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Autore: _Lightning_    04/09/2015    4 recensioni
Dal Capitolo 2, "Odio gli indifferenti": Il mio era un mondo dorato che mascherava qualcosa di molto più turpe di cui non volevo curarmi minimamente. Ero corazzato dietro l'indifferenza perché, tanto, non sarei stato io a subire i risultati del mio stesso lavoro. Mi sarei limitato a coglierne i frutti.
È facile parlare quando sei dalla parte sicura, quando il tuo punto di vista è l'unico che conosci.

Dopo Iron Man 3 troviamo un Tony diverso, cambiato dagli eventi nella mente e nel fisico, con una realtà del tutto nuova con la quale confrontarsi... e con una gran voglia di parlarne con qualcuno, meglio ancora se quel qualcuno è il suo migliore amico improvvisatosi controvoglia psicologo.
Non si parla però solo di Iron Man 3: si torna alle origini, al giorno in cui è nato Iron Man, alle scelte e alle decisioni che hanno portato Tony ad essere ciò che è adesso.
E tra un capitolo e l'altro qualche filosofo -e non- dice la sua.
[pre-Iron Man // Afghanistan // post-New York // Serie: Newborn]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Bruce Banner, Tony Stark, Yinsen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Newborn'
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3

Learn to hate



 

"Non c'è nessuno che ti possa dare aiuto. Solo io. E io sono la Bestia."

[W. Golding da Il Signore Delle Mosche]




"Non odio mio padre. Certamente non lo trovo nemmeno particolarmente simpatico... ma negli ultimi anni si è fatto perdonare, anche se in ritardo.
Comunque, prima di diventare Iron Man credevo di odiarlo con tutto me stesso. Non era un qualcosa su cui riflettevo di frequente: se qualcuno lo nominava, mi limitavo a pensare o a dire che lo odiavo in modo quasi distratto, come se fosse stata una conoscenza acquisita nel tempo e ormai scontata, tanto da risultare superfluo ripeterla. Una specie di routine.
Non è vero che l'odiavo. L'odio è qualcosa che nasce più in profondità e che va oltre alle semplici parole e al pensiero fugace. All'improvviso lo senti dentro di te e non sai come liberartene, anzi, non vuoi farlo. Non ti abbandona mai e non vuoi che lo faccia. È sempre lì, assopito, in attesa di ciò che lo farà scatenare. E tu ti lasci andare ad esso e permetti che ti corroda, perché alla fine diventa l'unico impulso che ti permette di andare avanti quando sei allo stremo.
Ti lasceresti consumare piuttosto che rinunciarvi."

 

*


«Ne è valsa la pena.»

Tony si asciugò il rivolo di sangue che gli colava lungo il mento con il dorso della mano e sorrise sprezzante nonostante il labbro spaccato. Ignorò la fitta di dolore e si raddrizzò a sedere, mentre il sorriso si trasformava in una smorfia quando percepì i cavi della batteria tendersi e smuovere leggermente il reattore. La avvicinò a sé quasi distrattamente voltandosi verso l'altro uomo, che lo fissò di rimando.

«Stark.»

Yinsen parlò con voce particolarmente stanca dal tavolo a cui era seduto e spinse da parte il circuito sul quale stava lavorando. Tony quasi alzò gli occhi al cielo nel sentire il suo nome usato come un rimprovero e si accigliò.

«Cosa c'è, adesso?» sbottò, alzandosi in piedi un po' dolorante.

Irritato, raccolse la batteria e si avvicinò all'altro, per poi poggiarla con un movimento un po' troppo brusco sul tavolo. Entrambi sussultarono e la fissarono con vaga preoccupazione, ma il suo ronzio rassicurante si limitò a sfarfallare per mezzo secondo prima di regolarizzarsi. Tony si rilassò e riprese a respirare anche se non si era accorto di aver trattenuto il fiato, lasciando andare il manico. Essere dipendente da quell'affare cominciava a snervarlo. Yinsen indicò brevemente il congegno, alzando le sopracciglia.

«Dovresti trattarla con più garbo. Trovare batterie per auto in mezzo al deserto non è così facile,» disse col suo solito tono un po' cantilenante mentre cercava qualcosa in tasca.

«Non vorrai veramente farmi la predica anche su questo, spero. Giuro che stai iniziando a...»

«Tieni,» lo interruppe Yinsen porgendogli un fazzoletto, chissà come pulito. «Stai sanguinando,» aggiunse, invitandolo di nuovo a prenderlo.

Tony rimase interedetto per un istante. A volte aveva la netta impressione che Yinsen lo trattasse come un bambino, ma adesso ne aveva la conferma. Gli prese, o meglio strappò comunque il fazzoletto di mano e si tamponò il labbrò, per poi voltargli ostentatamente le spalle e poggiarsi al tavolo metallico. Yinsen riprese in mano il saldatore e tornò a lavorare sul circuito, dal quale si levavano ora sottili fili di fumo. Dopo pochi minuti si interruppe, sospirò, si tolse gli occhiali e li posò sul tavolo, per poi incrociare le braccia.

«Stark,» chiamò, calmo.

L'altro non si girò né diede segno di voler rispondere. Yinsen raccolse i suoi pensieri per qualche secondo, con la sua solita pacatezza.
Erano ormai due settimane che Tony era prigioniero, e in quel lasso di tempo aveva avuto modo di salvargli la vita più volte, anche se probabilmente l'ex-miliardario non se ne era reso del tutto conto. L'aveva istruito in modo generico sul comportamento da tenere, ma grazie al suo carattere indomito Tony aveva finito per scontare ogni errore sulla propria pelle, a partire dal suo rifiuto categorico di assemblare il Jericho. Doveva ammettere che aveva resistito più di quanto si fosse aspettato da un ricco viziato, ma se le percosse non erano riuscite a smuoverlo, il waterboarding aveva infine spezzato la sua tenacia. La sua indole ribelle era però sopravvissuta.

Dopo solo una settimana si era ridotto a uno straccio ed era diventato cupo e taciturno anche con lui. Nonostante avessero represso a suon di pugni le sue difese principali – il sarcasmo, l'abilità nel parlare – non aveva nemmeno provato ad attenuare gli sguardi ostili che rivolgeva ai suoi carcerieri. Anzi, erano diventati ancor più intensi e frequenti, palesando tutto il disprezzo che provava nei loro confronti. E loro ricambiavano quell'astio con metodi più diretti.

Ogni sera – quella che loro chiamavano sera, visto che era impossibile dirlo nel buio della grotta – quando si buttava esausto sulla brandina, si trovava a contare i lividi del giorno e Yinsen lo ascoltava impotente mentre gli esponeva dettagliatamente, con voce glaciale, come si sarebbe liberato e soprattutto "cosa avrebbe fatto di loro" una volta libero. Il discorso di solito deviava su cosa avrebbe fatto non appena tornato a casa, il che comprendeva puntare dei missili a lungo raggio su quella zona e scatenare un potenziale Armageddon. Preferiva addormentarsi in fretta, perché dopo averlo ascoltato per qualche minuto non sapeva più se le parole di Tony e le visioni che evocavano gli provocassero più ribrezzo o piacere. Lo lasciava a parlare da solo nel buio, mentre la sua voce stremata si riduceva a un sussurro sempre più fievole fino a spegnersi del tutto. Solo allora sembrava svuotato, e si lasciava vincere anche lui dal sonno. Se avesse continuato così, sarebbe morto senza neanche rendersene conto. Yinsen si riscosse e si schiarì la gola.

«Stark,» ripeté, con più veemenza.

«Che c'è?» proruppe lui, sempre senza voltarsi.

«Non ne è valsa la pena,» disse lapidario.

Tony stavolta lo scrutò da sopra la spalla, corrucciato.

«Per me sì. Quello è il bastardo che mi ha quasi affogato,» replicò con voce vibrante di rabbia.

«E allora?»

Tony sembrò confuso a quella domanda, ma rispose con la stessa veemenza.

«Allora ho il diritto di rispondergli come mi pare e piace.»

«E di prenderti il calcio del suo fucile in faccia.»

Yinsen sospirò vedendo che Tony si tamponava con più forza il labbro sanguinante ostinandosi a non farsi sfuggire neanche un lamento.

«Quando parlavi di "speranza" non pensavo intendessi quella di farti ammazzare prima del tempo perché non riesci a tacere e a tenere un basso profilo,» lo rimbrottò aspramente.

«Non possono uccidermi finché non completo il missile,» replicò lui con tracotanza. «Ma questo non vale per me: scommetto che anche se ne facessi fuori un paio non oserebbero torcermi un capello prima di avere tra le mani un Jericho funzionante.»

L'altro non replicò, ma continuò a parlare come se non fosse mai stato interrotto, stavolta con voce grave e quasi rassegnata:

«Soprattutto, non pensavo che fossi così vulnerabile alle tue stesse emozioni.»

A quel punto Tony si alzò in piedi, frastornato. L'espressione del suo compagno di prigionia sembrava quella di un vecchio professore che avesse appena constatato i mancati progressi di un alunno che aveva un tempo ritenuto brillante. Allargò le braccia in un gesto di esasperazione.

«E questo che diavolo vuol dire?» la sua voce virò quasi sullo stridulo.

Anche Yinsen si alzò, e parlò con quella che l'uomo riconobbe come tristezza:

«Vorrei che a portarmi fuori di qui fosse un uomo che impara dai suoi errori e combatta per liberarsi, non una bestia che ha scelto di massacrare degli uomini per puro compiacimento personale.»

Tony lo fissò sconcertato e aprì e chiuse la bocca un paio di volte prima di riuscire a ribattere:

«Sono terroristi! Mi stai davvero chiedendo di avere pietà di loro? Ci hanno rinchiuso qui dentro e torturato!» Il suo volto era distorto dalla rabbia. «Sono loro che vanno in giro a mettere bombe sotto le auto, a fucilare chi non collabora con loro e a spedire bambini imbottiti di esplosivo nelle piazze!» elencò in un crescendo di rabbia e disgusto, tanto che la sua voce finì per tremare.

Yinsen annuì, per poi ribattere con la massima calma:

«E tu ovviamente li uccideresti per fare giustizia, non perché grazie a loro hai delle schegge nel petto che rischiano di spaccarti il miocardio, né perché vivi attaccato a una batteria, né perché ti hanno torturato e ti stanno facendo morire di stenti in questa grotta, vero? Tra l'altro, vorrei ricordarti chi ha progettato, costruito e venduto le armi per fare tutto ciò che hai appena elencato.»

Tony non riuscì a sostenere il suo sguardo limpido e inquisitore e finì per abbassare il proprio.

«Se vogliamo uscire di qui dovremo ucciderli. Spero che tu te ne renda conto,» commentò comunque, pungente.

«Certo che dovremo ucciderli: con un proiettile pulito in testa o una bomba ben piazzata. Non bruciandoli vivi o affogandoli o mutilandoli o in alcuno degli altri modi che mi hai accuratamente descritto,» la voce di Yinsen era stranamente fredda e severa, poi si addolcì un poco. «Qui non si tratta di quanto sia necessario ucciderli per evadere, ma di quanto lo sia per te

Tony strinse le labbra in una linea dura, scegliendo per una volta il silenzio come risposta.

«Pensi che non abbia notato il modo in cui li guardi?» lo incalzò allora il dottore.

Tony si sentì improvvisamente a disagio. Yinsen sembrava sapere il fatto suo quando parlava di esecuzioni e brutalità e si chiese quante persone avesse ucciso in vita sua. Sicuramente era molto più pratico di lui che, nonostante il suo mestiere richiedesse che fosse informato riguardo a qualunque ambito bellico, non si era mai trovato nella condizione di dover ricorrere alla violenza in prima persona, né ne aveva mai sentito l'esigenza, esclusa qualche rissa di poco conto. Aveva visto la morte, l'aveva vista distesa su due barelle d'obitorio coperte da lenzuola immacolate. Ma quella era stata una morte ricomposta, fredda, in cui le tracce di sangue gli erano sembrate quasi false e dipinte ad hoc su una tela umana per annunciargli di essere rimasto solo. Una morte distante che a volte aveva l'impressione di non aver visto davvero coi propri occhi.

Nemmeno la rabbia non era per lui un'emozione nuova, l'aveva provata in sordina anche all'epoca contro tutto e niente, ma l'aveva sempre incanalata nel suo sarcasmo e nelle sue battute caustiche per ferire qualcuno, se mai ne aveva sentito il bisogno. Ma quando l'immagine del capo dei Dieci Anelli gli balenava davanti nei suoi incubi, o lo vedeva entrare nella loro cella, il suo primo impulso era sempre quello di provocargli quanto più dolore fisico possibile. Ritornò con la mente alla prima volta in cui si erano confrontati, a come se ne fosse rimasto ad osservarlo con quegli occhi d'onice mentre lui annegava a poco a poco in un barile, quasi pregustando il momento in cui il suo respiro sarebbe diventato un gorgoglio asfittico. Al solo pensiero si fece strada dentro di sé quel calore bruciante e ormai familiare che gli faceva pulsare la testa e torcere le viscere, mentre ogni livido e contusione sul suo corpo provato doleva come la prima volta e i suoi polmoni bruciavano gridando contro l'acqua letale. Improvvisamente si chiese se, messo nella condizione di poterli uccidere tutti, sarebbe stato in grado di farlo. Aveva già elaborato un piano per evadere e, visto ciò che comportava, ucciderli non sarebbe stato solo possibile, ma anche estremamente facile. E no, non avrebbe esitato un istante a sporcarsi le mani.

«Li odio,» sibilò a denti stretti, senza cercare di nasconderlo minimamente; un brivido lo percorse nel sentire la sua voce trasfigurata e tremante.

Sentì una morsa chiudergli lo stomaco mentre le successive parole di Yinsen gli arrivavano come da una grande distanza:

«Lo so,» sorrise mestamente l'uomo. «È per questo, che non devi lasciarti andare.»





 

 



Note dell'Autrice:

Salve a tutti!
Credo che quest'oggi ci troviamo di fronte alla realizzazione concreta delle frasi "chi non muore si rivede" e "a volte ritornano". Non calco più le scene di EFP dalla bellezza di due anni e tutt'a un tratto ho la faccia tosta di rispuntare fuori dal nulla ripescando storie dimenticate, ma mi sentivo in dovere morale di concludere ciò che avevo iniziato. 

Avviso: qui sotto vi aspetta una tiritera infinita su questioni pseudo-filosofiche.

L'idea per il capitolo è nata da una discussione che ho avuto riguardo a quanto sia giusto uccidere qualcuno per vendetta. Voglio chiarire che in questo scritto non se ne sta facendo un problema di morale in senso stretto (per me uccidere è sempre sbagliato), ma piuttosto di conseguenze individuali: ovvero quanto l'atto di uccidere si possa ripercuotere sulla nostra psiche e sulle nostre azioni se ciò viene fatto per motivi personali. 
La mia opinione in proposito è che uccidere qualcuno spinti dall'odio rischia di desensibilizzare dall'atto stesso di uccidere, soffocando il naturale senso di colpa che ne conseguirebbe e portandoci a sottovalutare il valore stesso della vita degli altri (vedere delirio di onnipotenza che coglie molti soldati sul campo di battaglia). In molti libri, film e quant'altro le storie accennano o trattano proprio di vendetta e del suo compimento, quindi mi rendo conto che molti la pensano diversamente.
Tornando al piccolo di questo capitolo: q
uello che ho voluto far trasparire sfruttando la voce di Yinsen è che togliere la vita a qualcuno potrebbe essere giustificabile se in situazioni estreme -appunto, per scappare da un branco di terroristi-, ma va distinto chiaramente se ciò avviene per necessità o per puro desiderio di vendetta, oltre che se in modo umano o meno. Qui il punto è cosa si potrebbe rivelare nocivo per Tony in questo frangente. Nel suo caso, dopo aver dispensato per anni strumenti di morte senza venire emotivamente coinvolto nel processo, porsi in prima linea e sporcarsi le mani volontariamente e quasi con piacere non porterebbe a risultati piacevoli. Tony ha accesso a un arsenale che in nome della "giustizia", potrebbe tranquillamente scatenare a suo piacimento, trasformandolo nel villain della situazione. Un dialogo del genere avrebbe spiegato perché, più avanti nel film, Tony non uccida direttamente nessuno ponendosi come giustiziere/vigilante, ma lasci al "popolo" il compito di punire il cattivo di turno.
Chiuso l'immane ex-cursus, aspetto opinioni e commenti in proposito, perché il confronto è sempre bello e costruttivo.

Hoc dicto, io sparisco e aspetto il tradizionale lancio di frutta e ortaggi dal pubblico.
Valete

-Light-

P.S. grazie a
Angel27 che, inconsapevolmente, mi ha riportata sulla retta via della scrittura con un recensione inaspettata e grazie a D. che mi offre sempre ottimi spunti per parlare di dilemmi esistenziali.
P.P.S. Il titolo è un blando riferimento a un discorso in cui Mandela dice che l'odio non nasce spontaneamente, ma viene inculcato o acquisito nell'ambiente in cui si vive. Subito dopo dice che l'uomo è più incline ad amare che odiare, giusto per dare un po' il beneficio del dubbio a tutto ciò che ho scritto :'D
 

 
   
 
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