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Autore: effe_95    04/09/2015    7 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 

24. Dolci, Pivelli e Non è Giulietta.


Dicembre
 
Ivan stava sudando vergognosamente.
Indossava un pullover blu elettrico sotto la giacca di pelle aperta, non aveva la canottiera e non indossava né guanti né sciarpe o cappelli, eppure stava sudando come se non ci fosse un domani. Si passò distrattamente una mano tra i capelli neri come la pece assolutamente scombinati, e imprecò mentalmente contro il brufolo gigantesco e rosso come il fuoco che non aveva voluto saperne di sparire nemmeno con un quintale di gentamicina.
Infilò le chiavi del motorino nella tasca della giacca, si passò le mani sudate sul jeans, respirò profondamente e poi suonò il campanello.
Dovette aspettare solamente pochi secondi prima di sentire dei passi felpati lungo il pavimento e qualcuno armeggiare con il pomello per aprire la porta.
Ivan rimase piuttosto interdetto quando si ritrovò davanti una bambina di massimo undici anni, era magra e minuta, aveva lunghi capelli ramati legati in una disordinata coda di cavallo un po’ storta sulla nuca, e intensi occhi neri contornati da un paio di occhiali rossi a forma di gatto. Indossava un vestito grigio piuttosto grazioso, con dei pantacollant neri e un paio di ciabatte a forma di leone. Non appena individuò il ragazzo, fece un largo sorriso mostrando due denti bianchissimi, grandi e quadrati, piuttosto simili a quelli di un castoro.
<< Tu devi essere Ivan, vero? Ti stavamo aspettando!  Io sono Eleonora >>.
La bambina aveva una voce squillante e allegra, saltellò amabilmente, e afferrandolo per un braccio, con una confidenza che fece arrossire terribilmente Ivan, lo trascinò dentro casa chiudendo la porta con la punta del piede foderato di ciabatta.
<< P- piacere >> Balbettò Ivan torturandosi le mani.
Lui ed Eleonora si trovarono immediatamente nel salotto, un ambiente sobrio e ordinato, molto più ordinato di quanto Ivan si aspettasse, sua madre non era proprio il massimo nelle faccende di casa.
<< Sei piuttosto timido, vero? >> Eleonora lo scrutava con un sorrisetto furbo, appoggiata con le braccia incrociate sul bordo di uno dei due divani bianchi che tagliavano in due la stanza. Ivan arrossì ancora di più, aprì la bocca per dire qualcosa ma Italia arrivò in suo aiuto. << Eleonora! Non importunare Ivan, ti avevo detto di farlo venire in cucina! >>
Italia era entrata nel salotto come una furia, a differenza della sorella aveva i capelli sciolti sulle spalle, portava gli occhiali neri e indossava una camicetta accompagnata da un cardigan e dei jeans scuri, Ivan la trovò bellissima.
<< Uffa, e va bene, va bene >> Cantilenò Eleonora, fiondandosi lungo un corridoio semibuio, Italia lanciò uno sguardo esasperato ad Ivan e sospirò. << Ti chiedo scusa, mia sorella ha un carattere piuttosto esuberante. >> Incrociò le braccia al petto e gli fece un sorriso.
 << Benvenuto >>.
Ivan si sciolse completamente di fronte a quelle fossette, i denti candidi e gli occhi gentili.
<< Grazie mille per l’invito >> Si ritrovò a rispondere.
Italia lo prese per mano e lo condusse per il corridoio fino alla cucina.
Era l’ambiente più caotico, caldo e accogliente che Ivan avesse mai visto, le pareti erano tinteggiate di giallo ocra, i mobili rustici gli conferivano un’aria passata e fantastica, un po’ come se fosse spuntata direttamente da qualche favola della Foresta Incantata.
Era un posto vissuto, le pareti piene di mensole con ricette, taccuini appesi, strumenti per cucinare e tantissime altre cose che Ivan non sapeva nemmeno riconoscere.
Una volta che ebbe scannerizzato per bene tutta la stanza, i suoi occhi si soffermarono su una donna, una donna bassa e cicciottella fasciata da un grembiule imbrattato di cibo.
<< Oh >> Fece allegra la donna non appena Ivan e Italia spuntarono dalla porta, Eleonora se ne stava seduta su una sedia e addentava voracemente una pagnotta. << Benvenuto caro! >>.
La signora si aprì in un sorriso tutto denti nei confronti di Ivan, che arrossì fino alla punta dei capelli. << Lei è mia mamma >> Spiegò Italia indicandola.
<< E’- è un piacere conoscerla signora >> Balbettò distrattamente Ivan, spostando gli occhi un po’ dappertutto tranne che su di lei, era troppo imbarazzato.
<< Puoi chiamarmi Marisa, dammi del tu! >> La donna gli rivolse un altro sorriso, poi venne improvvisamente distratta dal timer del forno, che annunciava la fine della cottura. Marisa aprì velocemente lo sportello e tirò fuori un enorme vassoio pieno zeppo di biscotti dall’aspetto delizioso. << Noi abbiamo una pasticceria >> Cominciò a spiegare Italia << E ogni tanto la mamma si porta del lavoro a casa, papà è al negozio >>.
Ivan guardò con occhi ammirati il minuzioso lavoro di farcitura che stava compiendo Marisa, sentendosi osservata, la donna sollevò lo sguardo sul ragazzo e sorrise ancora una volta, poi spalancò gli occhi e si portò una mano sporca di cioccolato sulla bocca.
Ivan trasalì, pensò di aver fatto qualcosa di sbagliato.
<< Ma sei ancora con il cappotto addosso?! Italia, non gli hai nemmeno fatto togliere il giubbino?! >> Esclamò la donna con calore, Ivan sentì il sangue defluirgli magicamente dal cervello, il battito cardiaco tornare ad un livello più o meno accettabile.
Era il cappotto, solo il cappotto.
<< Oh, hai ragione! Ma … cos’hai in quella busta? >>
Italia aveva allungato le braccia per afferrare il cappotto del ragazzo, ma si bloccò non appena notò una busta bianca che per tutto il tempo Ivan aveva portato a braccetto senza nemmeno ricordarsene, troppo terrorizzato dall’idea di fare brutta figura.
Ivan ricordò improvvisamente il contenuto della busta e si sentì morire dalla vergogna.
<< E’ … è un dolce … ecco, l’ha fatto mia mamma. Non è bravissima e io … io non sapevo che voi … insomma … >>. Ivan si maledisse interiormente, chiedendosi perché dovesse cominciare a balbettare proprio in quel momento, portando il rossore ad un livello quasi di ebollizione. Marisa batté le mani entusiasta e gli prese la busta dalle mani, scartando velocemente l’involucro.
<< Oh, una cheesecake! E’ bellissima, grazie mille caro, ringrazia tua madre di cuore >>.
Ivan sorrise imbarazzato, ma anche molto più rincuorato, se avesse saputo che i genitori di Italia erano due pasticcieri avrebbe evitato di portare un dolce.
<< Allora, datemi ancora dieci minuti e apparecchio la tavola. Vi chiamo quando è pronto >>
Disse la donna mentre infilava il dolce in un frigo giallo già stracolmo di roba e coperto totalmente da calamite di diversa forma, fattura e genere.
Italia prese Ivan per mano quasi per caso, gli fece prima posare il giubbotto sull’appendiabiti e poi lo condusse lungo il corridoio fino all’ultima porta sulla sinistra, dove si trovava la stanza che condivideva con la sorella Eleonora.
Non appena Ivan mise piede nella camera, gli sembrò di trovarsi immerso in due mondi completamente separati. L’ambiente era diviso in due parti, come se una linea invisibile avesse tracciato un muro incolore.
La metà destra apparteneva ad Italia, il letto era addossato al muro, incastonato in un armadio dai ricami floreali, accostata alla parete della finestra vi era una scrivania ordinatissima, in effetti tutto sembrava anche troppo in ordine per essere reale.
La metà sinistra invece, quella appartenente ad Eleonora, sembrava avere appena combattuto una guerra micidiale. Anche nel suo caso il letto era addossato al muro ma sfatto, la parete era interamente ricoperta di poster rappresentanti personaggi di anime e manga, la scrivania era disordinata, invasa da un televisore che fungeva da collegamento per il computer, la Playstation 3 e la Wii, dei vestiti sporchi sommergevano la sedia e un armadio con le ante ricoperte di adesivi se ne stava solitario e malandato nell’angolo dietro la porta. Inoltre, Ivan notò anche una mensola ricolma di action figure degli stessi personaggi dei poster, quella di Italia invece, era ricolma di fotografie.
Eleonora si era già fiondata sul letto e stava leggendo un manga.
<< Beh, questa è la nostra stanza >> Mormorò Italia mettendosi seduta sul suo letto, Ivan la imitò un po’ imbarazzato, guardandosi attorno, un piacevolissimo odore di cannella gli stuzzicava il naso.
<< E’ carina >> Commentò con il naso all’insù, mentre scrutava interessato una fotografia dove Italia sorrideva contenta all’obbiettivo, con un grosso tonno appena pescato tra le mani piccole e paffutelle << Voglio dire … io sono figlio unico, la mia è molto solitaria >>.
Le sorrise, Italia sorrise a sua volta e gli prese una mano quasi con naturalezza, poi lo sguardo di Ivan si posò su uno dei giochi della Playstation dell’undicenne.
<< Oh, ma dai, quello è davvero Dante’s Inferno? >>. Domandò entusiasta, Eleonora sollevò lo sguardo dal manga e guardò Ivan con occhi luccicanti.
<< Lo conosci? >> Domandò la ragazzina, tirandosi di scatto in piedi per prendere il gioco, fece due saltelli e in un attimo fu sul letto di Italia.
<< Scherzi?! E’ da una vita che sto cercando questo gioco! >>.
<< Davvero? Ci giochiamo insieme? >> Propose entusiasta Eleonora, afferrando Ivan per un braccio nel tentativo di trascinarlo fino alla console, il ragazzo tentennò un po’ imbarazzato.
Si era lasciato trascinare dall’entusiasmo dimenticandosi che magari ad Italia una cosa del genere non sarebbe piaciuta, con sua grande sorpresa però, Italia lo afferrò per l’altro braccio e lo trascinò a sua volta.
<< Si dai, così magari Ivan ci aiuta a passare Caronte! >>.
Italia sembrava entusiasta, Ivan si mise seduto con aria sorpresa.
<< Ci giocate insieme? >>.
<< Certo che si, io sono il braccio e Italia è la mente >>.
Replicò Eleonora, mostrando il braccio per far vedere un muscolo inesistente, Ivan scoppiò a ridere di cuore, mettendo in completo risalto le fossette sul viso.
Italia sentì il cuore esploderle nel petto, era così bello con quei capelli disordinati, i tatuaggi nascosti sotto il pullover blu elettrico, le fossette sulle guance, le mani nascoste sotto le cosce e la schiena leggermente incurvata in avanti, amò tutto di lui in quel momento, perfino la piccola cicatrice che aveva sotto il labbro e il brufolo spuntato a tradimento.
Non voleva nessun altro accanto a se in quel momento.
Non se lo sarebbe lasciato scappare.
 
Igor aveva sempre detestato educazione fisica.
Era l’unica materia dove aveva il voto più basso in assoluto, inoltre non tollerava che si tenesse proprio l’ultima ora di lunedì, dopo una giornata faticosa.
L’ altro aspetto che detestava, era l’atteggiamento da comandante d’esercito che assumeva Alceo De Luca, il loro insegnante. Era un uomo corpulento, tarchiato e peloso come una scimmia, che se ne stava sempre al margine del campo con le braccia incrociate al petto sbraitando ordini talmente ad alta voce che avvicinarsi comportava un notevole rischio di perdita d’udito.
Aveva la brutta abitudine di farli scaldare dieci minuti di lezione con quattro giri di palestra e numerosi piegamenti e flessioni, senza risparmiare le donne, per poi dividerli in squadre e farli massacrare in campo. Solitamente però, Igor non riusciva mai ad arrivare in forma per le partite, era già talmente sudato e stanco che non rendeva affatto in campo, anche se Telemaco sosteneva in continuazione che non avrebbe reso nemmeno se fosse stato fresco come una rosa appena sbocciata.
In quel momento si trovava in una di quelle situazioni critiche, stavano disputando una partita di calcio e lui si trovava in posizione di difesa, sudato e stremato, con il fiato corto, mentre Oscar e Aleksej correvano contro di lui come due ossessi.
Igor era cosciente del fatto che essendo un difensore avrebbe dovuto, appunto, difendere, ma in momenti come quelli, quando i suoi compagni di classe si tramutavano in bestie affamate di vittoria, non poteva fare a meno di cercare di proteggersi.
Era esile di fisico, e se fosse stato travolto da Aleksej e Oscar in quelle condizioni di adrenalina avrebbe sicuramente perso un polmone e qualche costola.
Quando i due si fecero più vicini passandosi la palla divertiti, sentì qualcuno urlare:
<< Togligli quella palla dai piedi deficiente! >>.
La voce gli era piuttosto familiare, gli ricordava vagamente Sonia, possibile che fosse proprio una donna a ringhiargli contro mentre giocavano a calcio? Igor non poteva tollerarlo, dopotutto era un ragazzo, non poteva essere troppo negato per il calcio.
Fece qualche passo in avanti per ostacolare Aleksej, allungò la punta del piede in avanti per sottrargli la palla e per un momento gli sembrò di aver azzardato una mossa abbastanza buona, ma si smentì immediatamente non appena Aleksej fece una finta scartando la palla leggermente indietro. Igor sentì il terreno mancargli improvvisamente sotto i piedi, vide gli occhi del compagno di classe sgranarsi mentre agitava le braccia nel vuoto tentando disperatamente di attaccarsi alla sua maglietta, ad un arto, a qualsiasi cosa, ma la sensazione finì velocemente sostituita da un tonfo assortante e un acuto dolore al ginocchio destro.
<< Oh, fantastico, si è sfracellato di sicuro >>. Mormorò Igor mentre si trovava ancora a faccia in giù, non osava rialzarsi da terra per numerose ragioni, la prima in assoluto era l’imbarazzo, e l’increscioso silenzio che si era venuto a creare.
La seconda invece, era perché temeva di essersi davvero sfracellato qualcosa, la terza …
<< TESTA! Come diavolo si fa ad inciampare in questa maniera per una ridicola finta! Insomma, sollevati da terra è fa l’uomo pivello! >>.
… la terza ragione era proprio quella, le urla disumane del professore.
<< Ohi, ohi Igor, stai bene? Tirati in piedi! >>.
Igor si sentì afferrare per le spalle e ribaltare, percepì un vuoto alla bocca dello stomaco mentre Telemaco lo costringeva a starsene seduto a busto ritto, una fitta lancinante al ginocchio lo colse all’improvviso, sentiva una leggera nausea pervadergli lo stomaco.
<< Professore, guardi che Igor non sta bene! E’ diventato verde >>.
Commentò Fiorenza con una certa apprensione, Alceo De Luca sbuffò pesantemente e si fece largo tra gli studenti, chinandosi verso Igor, il ragazzo trasalì quando il viso peloso del professore entrò in eccessivo contatto con il suo.
<< Cosa ti fa male? Un osso? Hai battuto la testa? Hai un trauma cranico?! Ti sei rotto tibia e perone?! Cos’è successo per avere quella faccia?! >>. Mano a mano che il professore parlava la voce si faceva sempre più alta e le domande veloci ed incalzanti, Igor aveva gli occhi spalancati dall’orrore, era piuttosto sicuro che se fosse successo qualcosa del genere non sarebbe stato cosciente, o almeno non del tutto.
<< Ginocchio >> Riuscì soltanto a biascicare, ed era grave per lui non riuscire nemmeno ad inserirci l’articolo, ma la faccia del professore era troppo vicina e lo terrorizzava.
<< Beh, devi avere almeno una distorsione per avere quella faccia pallida, sudaticcia e leggermente verdognola >>. Commentò arcigno l’uomo. << Coraggio, fa vedere >>.
Igor si tirò su il pantalone della tuta fino al ginocchio, per tutto il tempo dell’operazione tenne lo sguardo concentrato e fisso sulla gamba, era imbarazzato da morire di essere osservato da tutti quegli sguardi diversi, inoltre, aveva sempre avuto una carnagione pallida come la morte e gli si vedevano le vene verdi. Quando arrivò all’altezza del ginocchio, trasse un profondo respiro, terrorizzato dallo spettacolo che di sicuro si sarebbe trovato di fronte, pelle lacerata, l’osso che spuntava da fuori in poltiglia, sangue dappertutto … trattenne il respiro e fece l’ultimo risvolto alla stoffa pesante … mostrando una semplice sbucciatura appena sanguinante.
Il singulto strozzato del professore fece trasalire il ragazzo.
<< Tu … verde … per una … una sbucciatura … io … >> Cominciò a balbettare il professore, rosso in faccia come un pomodoro, sarebbe presto scoppiato come una pentola a pressione, Igor aveva lo stomaco sottosopra dalla nausea, ma era piuttosto certo che questo fenomeno non avesse nulla a che fare con il ginocchio, che comunque gli faceva un male cane, anche se ritenne fosse meglio non dirlo in quel momento << … FUORI DAL CAMPO! Vai a sciacquare quella ridicola ferita da femminuccia pivello, prima che mi svieni sul campo! >>.
Igor si alzò da terra piuttosto avvilito, si era aspettato la ramanzina, ogni lezione ne aveva una, ma quella volta ci aveva messo davvero tutta la buona intenzione, e poi non era colpa sua se il ginocchio pulsava terribilmente.
Raggiunse la fontanella all’esterno della palestra con passo piuttosto claudicante, aprì il getto d’acqua in maniera troppo violenta e si bagnò le scarpe e il bordo della tuta nera, un brivido di gelo gli risalì lungo tutta la schiena. Fuori c’era la neve ammucchiata in ordine un po’ da tutte le parti, i gradi erano sotto zero e l’acqua gelata, sospirò rassegnato lasciandosi cadere pesantemente sul gradino di una scala posizionata accanto alla fontanella.
La gamba scoperta protestava per il freddo eccessivo, una sottile pelle d’oca la ricopriva facendo rizzare i peli, Igor passò distrattamente la mano bagnata sulla ferita nel tentativo di togliere un po’ di sangue, ma si rendeva conto che non era affatto un’idea geniale, si ritrovò la mano imbrattata, il ginocchio ancora più macchiato e il sedere umido poggiato sul marmo ancora imbrattato di neve.
Non voleva tornare in palestra e farsi sgridare ancora.
Tirò le ginocchia al petto, e nonostante il dolore forte a quello destro, incrociò le braccia e vi nascose la faccia, dondolando sul gradino avanti e indietro lentamente, recitando formule di fisica come un mantra. L’aveva sempre trovato un modo terapeutico per l’agitazione.
<< Ti uscirà ancora più sangue se continui a fare così, guarda, sta colando sulla gamba >>.
Igor alzò la testa di scatto, spalancando leggermente i sottili occhi verdi quando vide Zoe in piedi di fronte a lui con una cassetta del pronto soccorso tra le mani.
I lunghi e sottili capelli biondo miele erano legati in un morbido codino pendente al lato sinistro della spalla, gli occhi castani senza trucco lo scrutavano curiosi e le labbra carnose erano piegate in un leggero sorriso, accennato solo dagli angoli sollevati.
Non indossava il cappotto e anche lei sembrava piuttosto intirizzita, Zoe era rimasta particolarmente colpita dal colore verde foresta degli occhi di Igor, erano così sottili che catturarne le sfumature era piuttosto difficile, ma quel particolare giorno, con i capelli scuri scostati dalla fronte e la sorpresa dipinta sul viso si vedevano chiaramente.
<< Cosa ci fai qui? >> Domandò Igor con aria guardinga, spostando immediatamente lo sguardo, l’ultimo incontro che avevano avuto era ancora impresso nella memoria.
<< Ho detto al professore che dovevo andare in bagno. Non sai quante storie ha fatto, ha brontolato qualcosa a proposito di donne e vesciche >>. Replicò allegra Zoe, mettendosi seduta accanto a lui sullo scalino senza permesso, Igor distolse lo sguardo e si prese le scarpe tra le mani, riprendendo a dondolare con lentezza, come se fosse sovrappensiero. << Ma in realtà … >> Continuò lei, ostinandosi a fissarlo nonostante lui non ricambiasse << … sono andata in segreteria per farmi consegnare questa >> Indicò la cassettina del pronto soccorso appena aperta, dal quale aveva tirato fuori ovatta e acqua ossigenata.
<< Posso medicarti la ferita? >>.
Igor si girò a guardarla, gli sorrideva e porgeva il batuffolo bianco imbevuto di disinfettante verso il suo ginocchio, ancora seppellito tra le braccia.
<< Posso farlo anche da solo, grazie >>. Zoe sospirò un po’ teatralmente, ma gli porse il batuffolo senza protestare, distese le gambe davanti a se e fece dondolare i piedi a destra e a sinistra, mentre Igor puliva il ginocchio e la striscia di sangue colata lungo la gamba.
<< Puoi andare, ce la faccio >> Replicò il ragazzo, aveva lo sguardo concentrato sulla ferita ma allo stesso tempo contratto e nervoso. Zoe non demorse e continuò a sorridere, picchiettando con un’unghia smaltata di rosa sulla cassettina rossa e scorticata.
<< Devo restituire questa in segreteria >>. Igor le lanciò un’occhiata un po’ obliqua, ma non replicò nulla. << Quel giorno comunque … avevi ragione tu. Io sono falsa >>.
Le parole di Zoe lo lasciarono senza parole, non se le aspettava così all’improvviso, Igor non si aspettava che lei volesse davvero tirare fuori l’argomento, l’aveva preso in contropiede.
<< Ma non posso farci niente, sono fatta così. Sono frivola, quando mi piace una cosa la voglio a tutti i costi, e quando il mio interesse finisce, a volte tendo a dimenticarmene. >>
Igor non replicò nulla a quelle parole, dopotutto credeva di essersi già espresso a sufficienza.
<< Sono quel tipo di persona che sembra non dare importanza ai rapporti … ma non credere che per me non siano importanti. Perché anche io posso creare legami profondi. >>
Igor non parlò, ma il suo pensiero andò automaticamente a Fiorenza, quelle due erano amiche dalle elementari, Fiorenza era uno di quei colori che Zoe aveva voluto catturare a tutti i costi.  E non sembrava aver sofferto con lei.
<< Ecco il cerotto >> Igor sobbalzò quando Zoe gli lasciò il cerotto in bilico sul ginocchio sano, e prima che potesse ringraziarla, si era già incamminata verso la segreteria.
 
Di solito Romeo amava incamminarsi verso l’uscita con Enea e Lisandro.
Amava farlo perché erano due tipi silenziosi e non c’era bisogno di fare conversazione, ma evidentemente quella regola non valeva quel giorno.
Da quando erano usciti dagli spogliatoi della palestra non facevano altro che battibeccare.
<< Insomma Enea, perché Beatrice non è venuta a scuola né venerdì né oggi? >>.
Gli domandò per la centesima volta Lisandro nell’arco di quella giornata, Enea sbuffò.
<< E io che cavolo ne so?! >> Sbottò irritato, mentre raggiungevano con passo strascicato l’atrio, avevano tutti e tre il motorino quel giorno, quindi avrebbero presto raggiunto il parcheggio situato fuori il cortile posteriore.
<< L’ultima volta che l’ho vista era piuttosto irritata con te! Siete rimasti soli in teatro e non so cosa … >>.
<< Basta! >> Tagliò corto Enea, avevano raggiunto le moto e stava combattendo furiosamente con il lucchetto per sciogliere la catena. Piuttosto irritato Lisandro non rispose, ma si limitò a salire sulla moto e partire, Romeo tenne puntato lo sguardo su di lui finché non sparì completamente dalla vista. Cosa era successo a quei due?
<< Vai da lei, vero? >> Domandò poi ad Enea, una volta che ebbe finito di infilarsi il casco.
<< Si … >> Brontolò l’altro mettendo in moto << … ma ultimamente Lisandro non mi sembra sincero con me e non ho voluto dirglielo! Io e Beatrice dobbiamo chiarire un paio di cose >>. Romeo sorrise impercettibilmente, nascondendo il viso alla vista dell’amico, che gli diede
una pacca sulla spalla a mo’ di saluto e partì.
<< E fai bene >>.
Mormorò quando Enea fu sparito a sua volta.
La moto che utilizzava quel giorno non era propriamente sua ma di suo padre, gliela prestava due volte a settimana quando andava a lavorare allo studio vicino casa.
I suoi genitori erano entrambi dentisti, e volevano che anche lui prendesse in considerazione quella professione, ma per ora Romeo non ci pensava affatto.
Arrivò a casa con qualche minuto di ritardo dal solito, ma non appena aprì la porta fu investito da un buonissimo odore di carbonara appena preparata, lasciò la cartella e la giacca sull’appendiabiti, e senza nemmeno andare in bagno a lavarsi le mani si fiondò in cucina.
Un largo sorriso gli si spalancò sulle labbra sottili quando vide la sua Meringa  indaffarata ai fornelli. La donna ricambiò il sorriso senza nemmeno voltarsi a guardarlo.
<< Oh, è tornato il mio bambino! >> Esclamò felice con un forte accento slavo.
Il vero nome di Meringa era Mar’ja, ed era la tata di Romeo sin da quando aveva due anni, ma siccome era una donna bassa, grassoccia, dai capelli bianchi a boccoli e a Romeo ricordava tanto una meringa spumosa e soffice, l’aveva chiamata così.
<< Ciao Meringa, ho una fame pazzesca! Che si mangia? >> Domandò entusiasta il ragazzo mettendosi seduto a tavola, l’anziana donna gli fece un largo sorriso, aveva già apparecchiato e stava riempiendo i piatti di pasta con porzioni esagerate.
<< Pasta alla carbonara e per secondo … >>
<< Dovrebbe prima andare a lavarsi le mani! >>.
Intervenne una terza voce, Romeo trasformò il sorriso genuino che stava rivolgendo alla sua tata in uno strafottente e ironico, si girò verso la ragazza che aveva parlato e spalancò gli occhi in modo davvero molto teatrale.
<< Oh, ci sei anche tu Fulvia! >> In realtà Romeo sapeva benissimo che Fulvia si trovava in quella stanza, l’aveva vista quando era entrato, ma aveva fatto finta di nulla, come ogni volta.    
Fulvia era la nipote di Mar’ja, ed era anche la sua amica d’infanzia, la sua migliore amica d’infanzia bloccata su una sedia a rotelle dalla nascita.
<< Sempre il solito spiritoso! >> Lo rimbeccò la ragazza facendogli la linguaccia, Romeo scoppiò nuovamente a ridere, seguito a ruota da Mar’ja, che nel frattempo stava servendo i piatti. << E poi cosa sono quei pantaloni così cadenti? Ti si vedono le mutande! >>.
Romeo scoppiò a ridere ancora di più, aveva le lacrime agli occhi, ma siccome Fulvia lo fulminò con lo sguardo, cercò di trattenersi, alzò le mani in segno di resa e tossicchiò.
<< Va bene mamma, vado subito a lavarle! >> Replicò alzandosi, con il corpo ancora scosso dai singhiozzi delle risate trattenute a stento.
<< Ti accompagno >> Sbottò semplicemente Fulvia, Romeo non replicò nulla, si limitò a raggiungerla e trascinare la sedia a rotelle fino al bagno, come faceva sempre da quando erano due bambini. Romeo aveva sempre pensato che Fulvia fosse una bella ragazza, aveva i capelli tagliati corti sotto le orecchie, lisci e biondi come il grano, gli occhi azzurri spesso risultavano freddi, ma era una maschera facile da abbattere.
Raggiunsero velocemente il bagno e Romeo si affrettò a lavare la mani sotto l’acqua gelata, era davvero troppo affamato per fare le cose per bene.
<< Quel codino a samurai ti sta bene >>. La voce di Fulvia giunse inaspettata, Romeo sollevò lo sguardo sorpreso dall’acqua e schizzò lo specchio senza rendersene conto.
Quando era uscito da scuola, dopo l’ora di ginnastica, li aveva raccolti in quel codino un po’ strano, mischiando i capelli decolorati del ciuffo con quelli castani.
<< Ho combinato proprio un disastro quando abbiamo provato a fare quella tintura al ciuffo, eh? >> Romeo sorrise alle parole dell’amica, che aveva le mani congiunte sul ventre e le torceva senza nemmeno rendersene conto.
<< Ma a me piacciono >> Replicò Romeo inginocchiandosi sul pavimento del bagno per raggiungere l’altezza dei suoi occhi, le sorrise, e dopo un attimo di esitazione lei ricambiò.
Romeo sapeva bene che Fulvia non era certo Giulietta, ma a lui andava bene lo stesso.



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Effe_95

Buonasera!
Allora, so di essere terribilmente in ritardo, ma questa settimana ho avuto la febbre alta, oggi sono andata a fare un esame con i decimi e quando sono uscita dall'Università è venuto un'acquazzone terribile! Per non parlare di problemi che imperversano ovunque.
Comunque, per questo capitolo devo confessare che la pubblicazione ha tardato anche perchè la stesura si è presa parecchio tempo, è venuto denso di contenuti, ma non mi andava di sacrificare nulla, spero solo che non risulti troppo pesante. 
Inoltre, per farmi perdonare, è più lungo degli altri, spero vi faccia piacere.
Volevo specificare una cosa, che leggendo potrebbe risultare strana, so che non è propriamente "usuale" giocare a calcio in una palestra, ma siccome fuori c'è la neve ovunque, ho immaginato che avessero arrangiato una partita al chiuso, per quanto possibile. 
Nel prossimo capitolo riprenderemo dall'incontro di Enea e Beatrice, poichè il ragazzo si è diretto, appunto, a casa sua ;) Ho inoltre approfondito un po' il personaggio di Romeo, e inserito quello di Fulvia, lei ci aiuterà a decifrare lo strano ragazzo dal ciuffo decolorato xD Mi spiace di aver rimandato proprio Bea ed Enea, ma Romeo l'avevo lasciato davvero troppo indietro.
Prometto di aggiornare il prossimo capitolo il prima possibile e di rispondere alle vostre fantastiche recensioni. Vi chiedo ancora scusa.
Alla prossima spero.
 
 
  
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