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Autore: Edith Edison    05/09/2015    2 recensioni
Newtmas||Long||AU!HighSchool
« Newt! » Newt roteò gli occhi e sbuffò scocciato, osservando Thomas che correva nella sua direzione. [...]
Era un tipo solitario, lui: non gli piaceva stare in compagnia, specie dei suoi coetanei. [...]
Eppure Thomas non si era mai lasciato intimorire, sembrava voler diventare suo amico a tutti i costi.
***
Il fatto che avesse lasciato entrare quel ragazzo sempre troppo pimpante e curioso nella sua vita non significava che improvvisamente fosse diventato socievole. Continuavano a piacergli la solitudine e la tranquillità, però adesso parlava con qualche compagno a scuola, persino con qualche femmina.
Eppure l'unico a cui faceva vedere i suoi disegni era Tommy. L'unico che avesse mai invitato a casa sua era Tommy.
L'unico a cui avesse mai fatto un regalo era Tommy.
***
Quando Thomas se n'era ormai andato da venticinque minuti esatti, Newt si accorse di sentire ancora la sensazione delle sue braccia intorno al proprio esile corpo; ce l'aveva marchiato sulla pelle, quell'abbraccio.
***
« Speravo... » Intervenne Thomas e Newt riconobbe un leggero accento americano. « ...che potessi chiudere un occhio per un tuo vecchio amico. » Concluse posando lo sguardo sul biondo.
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Minho, Newt, Teresa, Thomas, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Remember how we were, shuckface?


Capitolo 1: Those big amber eyes

Presente

« Teresa, sei una palla al piede quando fai così. » Osservò le labbra rosa della ragazza formare prima una 'o' perfetta e poi piegarsi in un broncio infantile.
« Vaffanculo. » Incrociò le braccia sotto il seno e fece per andarsene, ma Newt roteò gli occhi e sospirando le afferrò un polso e la fece voltare nuovamente verso di sé.
« Dimmi. » Sospirò arrendendosi di fronte all'estrema cocciutaggine della sua migliore amica. 
« Ipotizziamo che oggi avessi un appuntamento. » Cominciò sfuggendo alla salda presa di Newt e portando le dita ad arrotolare una lunga ciocca di capelli neri. Nel notare che il biondino non le rispondeva, alzò i grandi occhi azzurri su di lui e lo scoprì a guardarla, attendendo che continuasse. « Potrei dire a mia madre che sono a casa tua? » 
Newton sospirò, pur essendo sollevato: si trattava di una stupidaggine, si erano coperti in quella maniera a vicenda un milione di volte. 
« Certo. » Rispose. 
Lei esultò e gli lasciò un bacio sulla guancia prima di andare via. « Grazie. Sei il migliore. » 
Il ragazzo sorrise scuotendo la testa e prese il libro di biologia dall'armadietto. Teresa non sarebbe cambiata mai, era incorreggibile. 
Sobbalzò quando Minho gli diede una pacca sulla spalla, ridendo allo spavento che Newt si era preso.
« Buongiorno, mio compagno di avventure! » Esclamò tutto contento.
Newt inarcò un sopracciglio e si incamminò verso l'aula numero 24.
Minho lo seguì senza esitazione.
« A cosa devo quest'allegria? »
L'asiatico sbuffò. « Ti direi che quando rido sono estremamente bello, ti direi che ho visto una biondina niente male, ti direi che oggi è una bellissima giornata di sole... » 
« Ma oggi piove. » Ribatté Newt sempre più confuso dal comportamento insolito dell'amico.
« Appunto! » Accordò il ragazzo, rendendo il biondo ogni secondo più incerto. « Non mi crederesti, amico mio! »
« Okay? » Avrebbe dovuto essere un'affermazione, eppure suonò tanto come una domanda, tanto non sapeva cosa dirgli. « Allora che ne dici di arrivare dritto al punto? »
Minho annuì e si fermò con lui di fronte all'aula di biologia. Di lì a poco sarebbe suonata la campanella, quindi doveva proprio darsi una mossa. 
« Oggi ci saranno anche i pivelli... » Così erano chiamate le nuove reclute della squadra di atletica della loro scuola, di cui Minho era il capitano da ben due anni. « ...ma sabato abbiamo una gara e voglio sottoporre gli altri ad un allenamento più intenso. Soprattutto per ora che il coach non c'è, non voglio che quelle teste di caspio si adagino sugli allori.» Quello era il loro 'senior year' e l'asiatico aveva ben chiarito il suo desiderio di 'lasciare un segno indelebile in quella scuola di merda'. Tuttavia proprio non riusciva a capire cosa c'entrasse lui. Non faceva parte della squadra di atletica. Non più, ormai. « So quanto ti faccia male, ma...non potresti allenarli tu? Solo per oggi, per favore, Newt. »
Minho era serio e lo stava praticamente pregando, lo stupì talmente tanto che non poté fare a meno di accettare.
« Sei un mito, amico! » Urlò il ragazzo prima di allontanarsi saltellando nel corridoio della scuola, sotto lo sguardo divertito di Newton e quello stranito di una manciata di studenti.

Minho aveva velocemente fatto un discorsetto di inizio allenamento a tutti, blaterando sulla costanza e l'impegno necessari per far parte di quella squadra, delle alte aspettative che il coach aveva di loro e bla bla bla.
Newt nel frattempo aveva cercato di studiare chimica, ma non era in alcun modo riuscito a concentrarsi.
Era tanto ormai che non tornava in quel campo di atletica; sì, aveva assistito a qualche allenamento di Minho e a tutte le sue gare, ma non era così vicino all'azione, all'allenamento vero e proprio dal suo ultimo giorno in quel club.
E sentiva l'adrenalina, gli sembrava quasi di poter odorare l'emozione mista a timore che caratterizzava tutti i novellini, spaventati nel profondo di non essere all'altezza. Così non era riuscito a stare fermo, si era alzato dagli spalti e aveva cominciato a camminare avanti ed indietro alle spalle del suo migliore amico, ascoltandolo distrattamente parlare con gli altri, mentre tentava di ricordare quanto fosse bello sentire l'aria fresca sferzargli il viso durante una staffetta, quando doveva correre più veloce che poteva.
Minho lo ridestò dai suoi pensieri chiamandolo ed annunciando ai pivelli che sarebbe stato lui ad allenarli per quel giorno, visto che i titolari avevano una gara importante venerdì pomeriggio.
« Allora, pivelli. » Iniziò Newt, dopo che Minho e gli altri si allontanarono per cominciare l'allenamento. « Iniziamo con un po' di stretching, che ne dite? » Udii delle parole di poco apprezzamento, ma la maggior parte dei ragazzi annuì senza fare storie. 
Stavano eseguendo una serie di saltelli sul posto, quando Newton notò che un ragazzo era appena arrivato e si era sistemato tra gli spalti. 
Non era di certo la prima volta che qualcuno si fermava ad assistere agli allenamenti e, di fatti, non fu quello a colpire il biondino, quanto una forte sensazione di familiarità che alla vista dello sconosciuto lo pervase. 
Lo osservò per un minuto buono, finché uno dei pivelli non lo chiamò, distraendolo. « Newt oggi ci farai correre? » 
Lui sbatté le palpebre almeno tre volte prima di comprendere la domanda che gli era appena stata posta; stava ancora pensando a quel ragazzo e alla sensazione di conoscerlo che continuava a provare. 
« Certo. » Poi si rivolse a tutti loro. « A terra. Venti addominali! » E si allontanò di qualche metro per parlare con Minho.
« Ehi Min... » Quello gli scoccò un'occhiata e si divise dal gruppo che continuò a correre indisturbato. « Sai chi è quello là? » E con un cenno del capo gli indicò il ragazzo sugli spalti.
Minho lo squadrò con attenzione, poi scosse la testa. « Mai visto. Perché? »
« Non so... » Rifletté il biondino. « Mi sembra familiare. »
L'asiatico sorrise. « Non vorrai far ingelosire Teresa. » Scherzò facendogli l'occhiolino. 
Newt fece una smorfia schifata. « Per favore, è praticamente mia sorella. » 
« Sì, sì... » E riprese a correre. 

Newton alzò le maniche della t-shirt fin sopra i gomiti e si asciugò la fronte sudata con un asciugamano.
Anche se aveva eseguito solamente pochi esercizi - a causa della gamba -, sentiva di aver comunque bisogno di una doccia, tanto faceva caldo quel giorno di metà ottobre.
Quando superò la curva del campo di atletica, scorse Minho intento a parlare con qualcuno. Non con un semplice qualcuno, ma col ragazzo degli spalti, il quale era rimasto ad osservare l'intero allenamento. 
Li raggiunse. « Newt, questo è Thomas! » Glielo presentò Minho, tutto affabile e sorridente. 
Il biondino gli strinse la mano, mentre quella strana sensazione ormai radicava in lui. C'era qualcosa di estremamente familiare in ogni sua caratteristica: negli occhi nocciola, quasi ambrati – decisamente ambrati -, incredibilmente brillanti, nei capelli castani, il naso dritto e le labbra carnose.
Eppure non riusciva a capire perché; forse lo aveva visto da qualche parte, ma non ricordava dove.
Thomas sorrise - anche quello stesso sorriso gli pareva familiare - e ricambiò la stretta. 
« Mi stava giusto dicendo che si è appena trasferito e che vorrebbe fare parte della squadra di atletica. » Spiegò l'asiatico all'amico.
« Ma le selezioni sono appena terminate. » Newt si passò nuovamente l'asciugamano dietro il collo. 
« Glielo stavo dicendo... » 
« Speravo... » Intervenne Thomas e Newt riconobbe un leggero accento americano. « ...che potessi chiudere un occhio per un tuo vecchio amico. » Concluse posando lo sguardo sul biondo.
Lui, per tutta risposta, sorrise e scosse la testa. « Non capisco. » Disse semplicemente quando anche Minho lo guardò.
« È passato tanto tempo, lo so, ma non pensavo che ti fossi dimenticato di me. » Il biondino aggrottò le sopracciglia e cominciò a scavare nella sua memoria, alla ricerca di un ricordo che in quel momento non riusciva ad afferrare. « Ero quel bambino fastidioso che abitava di fronte a casa tua, quello che ti chiedeva aiuto nei compiti anche se tu lo chiamavi 'faccia di caspio' e...»
E finalmente capì. « Tommy... » Lo interruppe sussurrando il soprannome che ricordava avergli affibbiato durante un afoso pomeriggio di luglio.
Sorrise di nuovo, di uno di quei sorrisi che Newt si era sempre chiesto come riuscisse a farli, che andavano da un orecchio all'altro e parevano non smettere mai di allargarsi e, allo stesso tempo, di brillare di luce propria. 
Fu impossibile non ricambiare. 
« Perciò vi conoscete? » Chiese Minho, palesemente stupito.
Annuirono. « Newt era praticamente il mio migliore amico. Ma mi sono trasferito a Los Angeles all'età di otto anni. »
L'asiatico scrutò con attenzione il suo amico, il quale sembrava perso nei suoi pensieri, troppo coinvolto per poter star dietro a quel discorso.
Si schiarì la gola. « Beh...immagino che per un vecchio amico di questo pive potremmo fare un'eccezione. »
Il biondo non rispose, lo sguardo fisso sul pavimento del campo di atletica.
« Che ne dici di provare domani? Alle quattro e mezza? »
Thomas gli lanciò un'occhiata furba e sicura di sé. Poi gli promise: « Non te ne pentirai. »
« Questo dipende da te. » Non poté fare a meno di aggiungere, prima che salutasse con un cenno entrambi e andasse via correndo.
Nessuno dei due disse una parola, così un imbarazzante silenzio si instaurò, secondi che Newt aveva l'impressione fossero minuti sotto lo sguardo indagatore di Thomas.
« Quando sei ritornato? » Chiese infine.
Piano piano stava passando in rassegna tutti i momenti trascorsi in sua compagnia, le risate e gli infantili litigi, i giochi inventati insieme a quel bambino sempre troppo attivo per i suoi gusti.
L'unico che fosse stato in grado di demolire il muro che aveva costruito intorno a sé, che non aveva mollato alla prima difficoltà, al primo insulto o rifiuto.
« Una settimana. » Rispose semplicemente. « Non pensavo frequentassi questa scuola. » 
« Perché? » Gli domandò sinceramente incuriosito da quel suo pensiero.
« Questa è una scuola statale e ricordo tuo padre. » Mormorò, ma non lo stava guardando. Poi balbettò imbarazzato qualcosa che non riuscì a capire. « Ehm...cioé... »
Newt ridacchiò e gli diede una pacca sulla spalla. « Intendi dire che ricordi il suo essere uno stronzo snob? Tranquillo, non devi vergognarti. »
L’altro sorrise leggermente. « Non intendevo... »
« Sì, è ancora come lo ricordavi. Forse è addirittura peggiorato. Ma non ho più il cuore di stargli dietro e rimanere male di fronte ad ogni suo sguardo deluso. » Strinse l'asciugamano fra le dita. Odiava parlare di suo padre, di quanto non andassero d'accordo e di come, qualunque cosa facesse, non riuscisse a renderlo orgoglioso di lui.
Thomas seguì attentamente il gesto con i suoi occhi color nocciola. « Mi dispiace, Newt.»
Ma lui sorrise e scosse la testa. « Figurati! » Cominciò a dirigersi in direzione dello spogliatoio, ormai avrebbe dovuto essersi quasi svuotato. « Piuttosto...dove abitate? »
Il moro lo seguì con le mani nelle tasche della felpa. « In realtà, non molto lontano dalla nostra vecchia casa. Qualche metro più avanti. » 
Questo significava che lui e Thomas al mattino avrebbero percorso lo stesso tragitto per raggiungere la scuola, pensò Newton. « Ti hanno già fatto fare il giro della scuola? » 
« Sì. Ci ha pensato un certo Alby. Lo conosci? » 
« Certo, chi non conosce Alby? » Newt sorrise pensando a quel ragazzo che lo aveva accettato senza pensarci due volte all'interno del comitato studentesco dopo aver saputo ciò che gli era accaduto. 
Inizialmente si era comportato male con lui: non voleva la pietà di nessuno, tanto meno di uno sconosciuto che non gli aveva mai rivolto la parola. Ma le intenzioni di Alby erano genuine; voleva solo aiutare un ragazzo che si sentiva perso, privato della sua più grande passione - la corsa - e non c'entrava nulla la compassione. 
« Già, beh...è un po' scorbutico ed arrogante... »
Newt si sentì in dovere di interromperlo, lanciandogli uno sguardo truce. « Alby è una brava persona. »
Thomas sembrò sorprendersi ed arrossire leggermente, mortificato. « Scusa. È solo che odio queste cose. Sai...essere il 'nuovo arrivato' ed integrarmi in un nuovo ambiente. Il tour della scuola, gli sguardi delle persone, il dover ricominciare: non lo sopporto. » 
E solo allora si rese conto che non avrebbe potuto capire ciò che il suo vecchio amico stava passando; dopotutto per lui non era la prima volta.
Tentò di mettersi nei suoi panni perché era sicuro che, se fosse stato al suo posto, anche lui avrebbe odiato trasferirsi in un'altra città, lasciandosi alle spalle la vita che si era costruito. 
Così sospirò. « Tranquillo, Tommy. » Ed eccolo, quel soprannome gli scivolò fuori dalle labbra con naturalezza, talmente tanta che in un primo momento non si accorse nemmeno di averlo effettivamente pronunciato, quasi come se lui e quel ragazzo moro ormai cresciuto non si fossero mai separati. 
Fu per questo che, nel momento in cui notò che Thomas stava sorridendo e si rese conto del 'Tommy' infantile con cui lo aveva appellato, percepii il sangue affluirgli all'altezza delle guance.
‘Sto arrossendo’, pensò. ‘Cacchio, sono un fottuto stupido.’ 
Si schiarì la gola nel vano tentativo di dissimulare l'imbarazzo che si era venuto a creare e si guardò intorno cercando di ostentare noncuranza. 
« Beh, ci vediamo domani, Tomm...Thomas, Thomas. Volevo dire Thomas. » Balbettò ripetutamente sentendosi ancora più imbranato. 
Il suddetto Thomas - il quale dal canto suo si stava trattenendo dallo scoppiare a ridere in faccia al biondino - si limitò a tenere il labbro inferiore ben incollato a quello superiore facendo finta di star solo sorridendo. 
Però quando Newt arricciò le labbra e gonfiò le guance ricordandogli quel bambino gracilino e terribilmente scontroso, non ce la fece più e proruppe in una grassa risata divertita. 
Questi si voltò, dandogli le spalle e fece per entrare nello spogliatoio senza più degnarlo di uno sguardo o rivolgergli una parola. 
Così Thomas si impose di calmarsi e gli rispose: « A domani, Newt. » 

***

Newt quel pomeriggio lo trascorse chino su innumerevoli album fotografici e fotografie sfuse di qualche anno prima.
Non che si sentisse particolarmente nostalgico o altro: il rivedere Thomas aveva acceso in lui una bruciante curiosità che lo spingeva a voler paragonare il ragazzo moro con il bambino energico di anni prima.
Così era arrivato a domandarsi come diavolo non avesse fatto a riconoscerlo, perché quei grandi occhi nocciola da cerbiatto erano impossibili da dimenticare. 
Sorrise nel ricordare il suo settimo compleanno, come si fosse annoiato per la maggior parte del tempo e come, invece, era finito per sorridere al fianco di Tommy mentre gli invitati intonavano 'Happy Birthday to you'. 
Quando si era trasferito a Los Angeles, il piccolo Newton ne aveva sofferto enormemente. Thomas Edison non era soltanto il suo migliore amico: era anche il suo unico amico. 
Aveva lasciato nel suo cuore un vuoto indescrivibile che il biondino era arrivato persino a pensare di non essere capace di colmare con nessun altro.
Si era arreso all'idea che sarebbe rimasto in quel modo, come lui lo aveva lasciato: un giocattolo rotto e troppo brutto, con cui nessun bambino avrebbe più voluto giocare. Ma poi si era ripetuto con determinazione e costanza la promessa che aveva fatto a Thomas; lui avrebbe voluto saperlo felice, circondato da veri amici, non chiuso nella sua camera ad osservare quella tela bianca che non aveva più saputo come riempire.
Aveva cercato di mettere da parte l'antipatia ed abbassare le sue difese, sorridendo di più e tentando di essere gentile. 
Finché alle medie non aveva conosciuto Minho: totalmente diverso da se stesso, un vulcano di energie dal quale si era lasciato travolgere senza troppi ripensamenti.
E piano piano si era guadagnato un posto nella vita di Newt, tra risate e pomeriggi trascorsi davanti ai videogiochi, tra litigi mai troppo seri e fiducia reciproca.
Poi in seconda media era arrivata Teresa: non sapeva come o perché, ma la ragazza aveva subito sviluppato una forte simpatia nei suoi confronti che li aveva portati a stringere un legame solido e duraturo. 
Teresa era la sorella che non aveva mai avuto - che non aveva mai voluto - e l'adorava, non sarebbe riuscito ad affrontare la giornata senza prima aver visto un suo sorriso.
Così si ritrovava ad osservare più che altro foto di lui in compagnia di Minho e Teresa ed a riflettere su quanto fossero cresciuti e quanti anni fossero effettivamente trascorsi da quando si erano conosciuti. 
Loro che non lo avevano mai abbandonato, nemmeno in quel periodo: quando non poteva confidare su se stesso, loro erano stati la sua ragione, la sua mente e le sue gambe.
Newt sapeva di dovere tutto a Minho e Teresa perché non ce l'avrebbe fatta mai senza il loro supporto, la loro presenza costante accanto a sé. E sapeva anche che era un pessimo migliore amico: non avrebbe potuto ripagarli per quello che avevano fatto per lui. Il loro aiuto era semplicemente inestimabile ed indispensabile.

Si bloccò nel momento in cui si accorse dell’oggetto che stesse tenendo fra le mani.
Da quanto tempo non vedeva il suo vecchio album da disegno?
Newt si rese improvvisamente conto di non ricordare minimamente l’ultima volta che aveva retto una matita tra le dita magre ed affusolate, con gli occhi marrone scuro incollati sul foglio e sul disegno che lentamente prendeva forma sotto il suo sguardo, con la mente proiettata per intero in un altro mondo in cui l’ispirazione faceva da sovrana, controllava i suoi muscoli e le sue articolazioni, gli permetteva di disegnare.
Disegnare.
Quasi scoppiò a ridere quando pensò che effettivamente lui non era più riuscito a disegnare dopo che Thomas era andato via.
Dopo che il suo migliore amico lo aveva lasciato da solo.
Newton si era sentito prosciugato di ogni emozione per così tanti giorni e l’unica cosa che avrebbe voluto fare era disegnare, azionare quel semplice meccanismo tramite il quale sentiva di potersi esprimere libero da ogni costrizione.
Eppure prendeva il pennello, lo intingeva nella pittura colorata e restava con la mano sospesa a mezz’aria perché l’ispirazione non c’era e i suoi muscoli e le sue articolazioni erano come paralizzate. Afferrava con rabbia una matita ed un foglio bianco, ma nulla prendeva forma sotto i suoi occhi, solo un’accozzaglia di linee che non sarebbero in alcun caso potute divenire qualcosa.
Newt si era reso conto con crescente orrore di non sapere più disegnare.
La sua ispirazione se n’era andata con Thomas.
O forse Thomas era la sua ispirazione.
Si stupì dei suoi stessi pensieri e scosse la testa come a cacciare quelle ipotesi assurde che si stava prendendo il lusso di formulare e ripose l’album nella scatola, evitando di sfogliarlo come aveva inizialmente intenzione di fare.

Sobbalzò quando udii la suoneria squillante del suo cellulare e si ricordò perché preferiva tenerlo in modalità silenziosa; sapeva bene che non sarebbe riuscito a sopravvivere senza utilizzare quell’aggeggio infernale per una lunga durata di tempo, così come la gran parte dei suoi coetanei. Era impossibile, la sua generazione era innegabilmente dipendente da quei dispositivi tecnologici, eppure Newton non poteva fare a meno di domandarsi come dovesse essere vivere in un tempo in cui le fotografie in bianco e nero erano considerate una vera e propria rivoluzione.
A volte li odiava, i cellulari: tutte quelle chat e quelle relazioni virtuali che non facevano altro che sminuire i rapporti veri, reali, quelli che si costruivano di presenza, indovinando i sentimenti delle persone scrutando il loro sguardo e non meditando sull’emoticon posta alla fine del breve messaggio.
« Ehi, Min. » Rispose senza troppi preamboli.
« Newt! Che stavi combinando, amico? » Il biondino corrugò la fronte quando udii della musica rimbombante provenire dall’altro capo del telefono.
« Niente di che, stavo sfogliando vecchi album fotografici. Tu, piuttosto…c’è una festa, per caso? »
L’asiatico rise e Newt sentii il volume abbassarsi radicalmente. « E’ solo Yun che ascolta la musica ad alto volume. Adesso mi sono chiuso nella mia camera, non ne vuole sapere di abbassare il volume. »
« Yun? » Ripeté scettico il ragazzo. « La tua adorabile sorellina di otto anni sta ascoltando della musica house ad alto volume? Sul serio? »
« I miei sono ad un cena di lavoro e lo sai che ascolta solo te quella peste. »
Newt sorrise teneramente al pensiero. Quella bambina dai tratti asiatici spaventosamente simile al fratello andava matta per lui.
« Sei una pappa-molle, Minho. » Lo prese in giro perché, dai, come faceva a non essere capace di badare alla sua sorellina? Era grande, grosso e vaccinato e, okay, i bambini potevano davvero risultare complicati e testardi, ma Minho era una frana in quelle cose.
« Stai zitto, faccia di caspio. Sono sicuro che quel mostriciattolo abbia una cotta segreta per te. » Sbuffò una risata. « E’ quel dannato accento inglese. Davvero, esiste una persona in questo modo a cui non piaccia il tuo accento? »
« Minho. » Lo ammonì Newt seppure fosse divertito, il suo migliore amico stava divagando alla grande, ma loro due non erano esattamente i tipi che trascorrevano ore e ore al telefono. Minho lo aveva chiamato perché doveva chiedergli qualcosa.
« Okay, okay. » Sospirò pesantemente. « Oggi sei stato grande con i pivelli. »
« Minho… » Ripeté, sebbene quella volta per un motivo diverso; non è che non gli piacesse ricevere complimenti, semplicemente non pensava di meritarne per aver fatto così poco.
« No, Newt. Sono serio, amico. » Boccheggiò un paio di volte prima di riprendere a parlare. « So di averti chiesto tanto, ma tu te la sei cavata benissimo. Quei ragazzi erano stremati dopo l’allenamento, eppure tutti stavano sorridendo soddisfatti. »
Il biondino prese a torturarsi le mani, nervoso.
« Due si sono persino fermati a chiedermi se li avresti sempre allenati tu in futuro. E poi tu eri così contento, avevi quell’espressione… »
Si sentì in dovere di interromperlo, perché non avrebbe retto un’altra delle sue parole, sarebbe crollato e quella era l’ultima cosa che volesse fare.
« Minho non ero poi così entusiasta. »
L’asiatico sembrò infuriarsi. « Vai, Newt, raccontami le tue solite stronzate. Dimmi che non eri felice, che non ti ha fatto bene allenare quei ragazzi. »
Uno strano silenzio calò fra di loro: era un silenzio di riflessione.
Minho aveva ragione, Newt non avrebbe potuto in qualsiasi modo negare le conclusioni alle quali era arrivato.
Rimettere piede in quel campo di atletica era stato un toccasana per lui, aveva sentito come se un peso sul petto si fosse dissolto ad un tratto e si era divertito da morire ad allenare quei pivelli. Era anche rimasto piacevolmente sorpreso dal suo corpo visto e considerato che fosse riuscito ad eseguire una serie di esercizi.
Forse non era completamente da buttare.
« Sì, mi è piaciuto. E allora? » La voce che uscì dalle sue labbra era roca, graffiava la sua gola secca, feriva come il pensiero di ciò che aveva perso.
« E allora potresti allenarli anche domani, mentre io guido gli altri e testo il tuo amichetto. »
Deglutì e si inumidì le labbra, poi si alzò con l’intenzione di riempirsi un bicchiere d’acqua fresca. « Thomas? »
« Mhm-mhm. » Assentì quello. « A proposito, non me ne avevi mai parlato. »
« Cosa avrei dovuto dirti, Minho? » Aprì il frigorifero e ne tirò fuori una bottiglia in vetro trasparente. « Non lo avevo nemmeno riconosciuto. » Aggiunse dopo quasi sussurrando, come se si vergognasse di quel particolare.
« Per questo quel tuffo nei ricordi? » Le sopracciglia del biondo scattarono verso l’alto, si conoscevano da parecchi anni eppure lo sorprendeva sempre il modo in cui Minho riuscisse a comprenderlo in ogni situazione.
« Sì. Anche se più che altro ho trovato foto di me, te e Teresa. »
L’amico ridacchiò. « Foto che resteranno per sempre in quegli album, mi auguro. »
Anche Newt si lasciò andare ad una risata, con la gola finalmente idratata e la tensione di poco prima ormai scivolata via dal corpo. « Vi ricatterò a vita. »
« Sei terribile, Link. »
Il ragazzo roteò gli occhi e sbuffò rumorosamente. « Ancora con questa storia? »
« Com’era? Ah, sì. ‘Ti ricatterò a vita’. »
« Ti odio. »
« In realtà, nascondi il tuo immenso amore nei miei confronti servendoti di queste false dichiarazioni perché sai che non potrei mai e poi mai ricambiarti in senso strettamente amoroso. »
Rise. « Sei ridicolo. »
C’era questa ragazza, una loro amica che frequentava un’altra scuola dall’altra parte della città e che avevano conosciuto durante una festa, Brenda, che lo aveva soprannominato ‘Link’, come il protagonista dei numerosi videogiochi di ‘The legend of Zelda’.
Insomma, il destino volle che una serie di sfortunati – per Newt, ma decisamente fortunati per i suoi crudeli amici – eventi lo portassero a perdere una stupida scommessa con Minho la quale prevedeva che, nel caso in cui lui avesse perso, avrebbe dovuto travestirsi dal suddetto Link in occasione della festa di carnevale organizzata dal comitato studentesco della sua scuola.
“Tranquillo, Newt!”, lo aveva rassicurato ottimista come non mai Brenda. “Siete praticamente uguali, dobbiamo solamente trovare il vestito e recuperare un arco con le frecce.”
In un primo momento, aveva pensato che la ragazza stesse scherzando e che alla fine si sarebbero arresi e lo avrebbero lasciato andare alla festa come aveva previsto di parteciparvi: con un paio di jeans blu ed una semplice maglietta colorata.
Invece, quando Brenda e Teresa gli mostrarono sorridenti l’ordine ormai spedito su Amazon, aveva capito di essere spacciato.
« Quelle foto devono rimanere nel tuo portatile. » Sibilò tentando di apparire minaccioso.
« Così come le tue. » Ribattè altrettanto seriamente il suo migliore amico.
« Affare fatto. »

***

10 anni prima
« Wow,Newt! » Un piccolo Thomas saltava da una parte all’altra della stanza di Newton, facendo quasi venire il mal di testa a quest’ultimo a forza di seguirlo con lo sguardo.
Sembrava una trottola impazzita: sfogliava l’album da disegno abbandonato sulla scrivania, poi balzava dall’altro lato della stanza per saggiare le linee colorate tracciate sulla tela ordinatamente riposta sul cavalletto di legno, subito dopo aveva la faccia praticamente schiacciata alla parete e il capo leggermente piegato verso destra mentre studiava attentamente i dipinti e i disegni attaccati gli uni accanto agli altri al muro della camera dell’amico.
« Come fai? » Gli domandò prima di osservare la collezione di matite dell’amico e prendere in mano la tavolozza, fingendosi un pittore. « Sono tutti così belli i tuoi disegni! »
« Non è vero. » Lo contraddisse il bambino. « Molti li staccherò dalla parete e li butterò. »
« Perché?! » Esclamò Thomas, il quale si voltò nella sua direzione e gli rivolse uno sguardo talmente tanto triste che Newt percepii una strana stretta al cuore.
Di nuovo si chiese cosa avesse di speciale quel moccioso.
« Perché sono brutti. »
Gli si avvicinò e gli mise entrambe le mani sulle spalle, guardandolo con un piccolo sorrisetto dipinto sulle labbra. « Beh, a me piacciono. Quindi li lascerai. »
E schizzò di nuovo via a giocare con le setole dei suoi pennelli.
Newt gli andò dietro, pronto ad urlargli contro perché ‘quei pennelli non sono giocattoli, idiota!’, ma scoppiò a ridere quando Thomas sbuffò e li rimise al loro posto.
Davvero, non sapeva perché ai suoi occhi quel bambino fosse diverso dagli altri.
Eppure di una cosa era sicuro: non avrebbe buttato quei disegni.

***

Presente
Newt fu svegliato dalla suoneria squillante del suo cellulare.
Doveva essersi addormentato poco dopo cena con la luce accesa, il computer ancora acceso sul letto e i vestiti indosso.
Prese il dispositivo fra le mani; il suo sguardo si posò prima sull’orario – erano solo le undici e mezzo, ma a giudicare dal silenzio che regnava in casa sua, i suoi genitori dovevano già essere andati a dormire. Successivamente notò il nome stampato a chiare lettere sul display: Teresa.
« Teresa? »
In risposta, non udì nulla. Solo un respiro affannato, come se la ragazza avesse corso per una decina di minuti, e qualche singulto che fece preoccupare il biondino.
« Teresa? » Provo di nuovo, stavolta a voce più alta. Ormai si era completamente svegliato.
« Apri la finestra. » Ed attaccò.
Newton obbedì in fretta. Spalancò le ante e lanciò un’occhiata al suo giardino, dove individuò chiaramente una figura in procinto di arrampicarsi.
Quella non era di certo la prima volta che utilizzavano quel metodo per incontrarsi: svariate volte Newton era sgattaiolato in quel modo dalla sua stanza sotto lo sguardo divertito dell’amica per poter andare a qualche festa o al cinema a vedere un film horror.
Eppure quando Teresa fece il suo ingresso nella sua camera da letto, era evidente che ci fosse qualcosa di diverso: il volto della ragazza era bagnato dalle stesse lacrime che avevano fatto sbavare il trucco sotto gli occhi azzurri.
Teresa aveva pianto.
« Teresa, ma cosa…? » Cominciò prima di vedere che la ragazza stava stringendo con le dita qualcosa: il suo polso sinistro. Newt le fece delicatamente allentare la presa ed inorridì alla vista dei segni rossi che marchiavano la pelle dell’amica, segni che era evidente sarebbero diventati lividi.
Poi si ricordò dell’appuntamento.
« Con chi sei uscita? »
La ragazza dai capelli corvini tirò su col naso. « Gally. » Disse solamente ed ogni muscolo del corpo di Newt si tese perché non aveva mai sopportato quel gradasso.
Lo avrebbe ucciso.
« Vieni qui, Tess. » Le disse dolcemente, chiamandola con quel nomignolo che utilizzava solamente per calmarla o quando doveva farsi perdonare per aver combinato un casino; allargò le braccia e, servendosi di un’occhiata abbastanza eloquente, la incitò ad avvicinarsi.
Teresa si rifugiò contro di lui e si lasciò stringere e consolare, strofinando il viso sulla sua maglietta, mentre ritornava a piangere.

Oh, sì, non l’avrebbe passata liscia.











Ed ecco il primo capitolo!
Innanzitutto volevo ringraziare - grazie, grazie, grazie davvero - tutti coloro
che hanno dedicato del tempo a leggere la mia storia, in particolare a chi 
l'ha recensita, ma anche alle persone che l'hanno inserita fra le seguite 
e fra le preferite. Non potete capire quanto mi avete resa felice.
Ho tentato di scrivere il primo capitolo in fretta per darvi un'idea della
storia che sto delineando. Certo, siamo ancora al primo capitolo e questo,
insieme al prossimo (che, a titolo informativo, è quasi del tutto pronto), 
saranno dei 'capitoli di presentazione'. Voglio dare spazio alle relazioni 
che esistono fra i personaggi, descrivendo per bene le amicizie che Newt
e Thomas hanno costruito nel periodo in cui sono stati lontani. 
Proprio per questo motivo alternerò i punti di vista. 
Il prologo, così come questo primo capitolo, sono P.O.V. Newt, mentre
il prossimo sarà P.O.V. Thomas e successivamente si alterneranno, ci 
tengo ad analizzare per bene entrambi i personaggi :)
Come mi hanno giustamente fatto notare in una recensione, non si riesce
a capire bene l'età dei personaggi e visto che cotruirò questa fan-fiction
su un intreccio di passato e presente, è importante che si sappia: 
frequentano tutti l'ultimo anno delle scuole superiori (il così detto 'Senior
Year), perciò hanno diciassette anni, anche se sono in procinto di compierne
diciotto.
Ho intenzione di pubblicare un capitolo a settimana e proverò davvero a farcela,
ma non prometto nulla visto e considerato l'imminente arrivo della scuola.
*piange in un angolino*
In ogni caso, spero che la storia vi piaccia e che vi strappi qualche sorriso,
spero di non deludervi. 
Al prossimo capitolo!

 
   
 
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