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Autore: aki_penn    06/02/2009    2 recensioni
All’epoca ero convinto che Milla fosse grassa, Sam era ancora un carnivoro, io ero ancora vergine in tutti i sensi (nel senso zodiacale lo sarò sempre;temo), mio cugino non dormiva ancora in un’amaca nel mio giardino,non avevo la più pallida idea che esistesse un nome da donna come "Delfina", non avevo ancora classificato mia sorella come una porno-bimba, non avevo la più pallida idea di dove fosse Funo, non avevo ancora compiuto i fatidici diciotto anni, odiavo i taxi vecchi e gialli, non mi piacevano le pesche,e soprattutto, tutto questo era accaduto prima del matrimonio. Non un matrimonio qualsiasi, ma IL matrimonio, quello che occupò per mesi tutta la famiglia Zampieri (la mia). Quello che tutti aspettavano come la grande svolta, e che per me in effetti lo fu davvero. * Dimmi qual'e' il problema? che lei ti abbia fatto le corna, o cHe te le abbia fatte prima cHe tu facessi in tempo a farle a lei, oppure ancora il fatto cHe tu abbia conosciuto un'avvinazzata che Gira in taxi, e che inconsciamente ti stai affezionando a lei?
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il Potere delle Pesche

Epilogo

Se avessi studiato l’inglese - Il Matrimonio -

 

 

 

 

E così ridendo e scherzando (e non solo questo), arrivò il fatidico giorno del matrimonio di mia cugina Ines.  E quel mattino mi sembrò proprio che un ippopotamo mi avesse dormito sulla testa, perché l’emicrania era indescrivibile. Era uno di quei giorni da passare in pigiama. Ma di proporre a mia madre di bigiare il matrimonio che lei e tutte le componenti donne della famiglia Zampieri avevano organizzato con tanto amore, non se ne poteva nemmeno parlare.

Milla arrivò con le migliori intenzioni al mio capezzale scrollandomi un po’, ma quando mi voltai dall’altra parte per nulla intenzionato a collaborare mi tirò giù di forza sbattendomi sul pavimento.

A Sam toccò una sorte di gran lunga peggiore, dimentica di ogni gentilezza gli aprì in rubinetto dell’acqua fredda in testa, e lui si  tirò in piedi urlando come se lo avessero accoltellato.

“Su, su… cosa vuoi che sia, un po’ di frescura in queste giornate afose d’estate” lo liquidò Milla stringendosi al petto il suo vestito d’organza. “Fai presto a dirlo tu che non ci sei sotto” sbottò Sam completamente fradicio. “Lo facevano tutti i più grandi samurai ogni mattina, che ti succederà se lo fai una volta anche tu…” rispose tranquilla passandosi una mano sulle occhiaie evidentissime, a cui non aveva intenzione di fare nulla.

“Ma io non sono un Samurai!” strillò stizzito del tutto inascoltato mentre lei usciva dal bagno.

Ma dato che ci eravamo già tutti svegliati finimmo svogliatamente a vestirci. Sembrava che di tranquillo in casa non ci fosse davvero nessuno.

Mio padre andava in giro in giacca e cravatta, ma non si decideva a mettersi i pantaloni, e si aggirava con fare inquietante per casa guardando due paia di pantaloni decisamente uguali.

Io e Sam sbuffammo rassegnati al momento di infilarci in quei ridicoli vestiti da cerimonia, per di più avevano anche l’aria di fare un gran caldo. Ci lanciammo uno sguardo rassegnato prima di sistemarci entrambi la cravatta.

Aprii la scarpiera in cerca delle scarpe eleganti e scrutai tutti gli scaffali, mettendoci qualche secondo per rendermi conto che non c’era nessun paio di scarpe eleganti.

Alzai gli occhi al cielo cercando di ricordarmi cosa era successo il giorno che mia madre ci aveva mandato a comprare i frac. A dire il vero di quel giorno a parte l’incidente di Milla, non era rimasto molto tra i ricordi. Era tutto decisamente sfocato. Scavando nell’ombra mi resi conto che io non avevo acquistato alcun paio di scarpe. Aggrottai le sopracciglia. Mia madre mi avrebbe linciato.

Alzai le spalle e presi le mie scarpe da basket in tela. Almeno non sarei sembrato quel damerino insopportabile di Giò. Sam mi diede un’occhiata stranita, ma poi sorrise “Tu sei il più furbo…” convenne. Sorrisi a mia volta.

Come era ovvio mia madre ebbe una specie di mancamento quando vide per che scarpe avevo optato. Milla la prese mentre indietreggiava. “Ma, ma… le foto!” ebbe solo la forza di balbettare fissando angosciata le mie All Star.

“Le foto verranno male..” piagnucolò portandosi le mani alla bocca.

“Tranquilla , tranquilla signora Zampieri, diremo al fotografo di non inquadrare i piedi…” disse Milla consolandola come avrebbe potuto fare con mio fratello più piccolo, dandole colpetti rassicuranti sulla spalla.

Il suo vestito era blu, decisamente sobrio a parte una cintura di vernice nera in vita che faceva molto anni cinquanta. Sorrisi nel vedere che le occhiaie erano sparite sotto il fard. Evidentemente non era riuscita a sottrarsi all’attacco cosmetico di mia sorella. Anche i capelli non erano raccolti nei consueti codini, fui sicuro che così si trovasse decisamente a disagio. Non eravamo i soliti, eravamo dei buffi manichini. Mi venne da ridere. E poi mi chiesi dove fosse Delfina. Per un secondo me la immaginai in posa da Amleto con una pesca al posto del teschio.

Mia sorella correva per casa cercando di accorciare il suo vestito da damigella già decisamente corto. Sam le lanciò un’occhiata critica , poi guardò me, come se fosse colpa mia.

Mia madre si prese un altro colpo quando la vide. “Oddio Gaia, cosa ti sei messa in faccia?” urlò indietreggiando ancora come quando aveva visto le mie scarpe. Ci mancava poco che si facesse il segno della croce e iniziasse a fare scongiuri eccentrici.

Milla però non fece una piega e fissò con aria decisamente critica il trucco di mia sorella, che sembrava uscita da un esilarante carnevale di Rio. Probabilmente ce l’aveva ancora con lei per averle fatto la cattura estetica.

“Mi sono truccata!” esclamò lei alterata perché glielo stavano chiedendo.

“Ma..ma … è un matrimonio!” pigolò mia madre sull’orlo del pianto, guardando incredula i macigni di ombretto che Gaia aveva sugl’occhi.

“Vuoi che ti dica quello che penso di tua sorella?” mi chiese gentilmente Sam. “No” sbottai irritato sapendo esattamente qual’era la sua opinione.

“Bruciarle tutte le riviste non è servito a nulla…sono arrivato troppo tardi…” sussurrò rassegnato. Sbuffai. Sarebbe stata una giornata lunga. Tra una cosa e l’altra, mia madre sull’orlo di una crisi di nervi, mio padre senza la sua guida spirituale per gli eventi mondani(mia madre appunto) era come un pesce fuor d’acqua, e aveva finito per mettersi i jeans al posto dei pantaloni eleganti, Gaia che si ostinava nel cercare di accorciare il suo vestito da damigella, il suo gemello che voleva portarsi dietro la chitarra elettrica, il mio fratello più piccolo che si era macchiato la giacca col dentifricio e non voleva più uscire da sotto al letto, Sam rammaricato per quello che vedeva nel futuro di Gaia (un night club a suo dire), Milla imbestialita per la quantità esorbitante di trucco che si era trovata in faccia, e me con delle scarpe astruse sotto il vestito elegante, la famiglia Zampieri era nel più totale panico. 

Uscimmo di casa totalmente disorganizzati, con mia madre nel panico perché Sam avrebbe dovuto guidare fino a una chiesa fuori città, come se non l’avesse mai fatto.

Dovemmo anche tornare indietro perché ci eravamo dimenticati il regalo di nozze. E fu così che a me , Sam e Papà toccò sbuffare, imprecare e sudare sotto il sole mentre mia madre dava ordini isterici a destra e a manca preoccupata che ribaltassimo qualcosa, continuando a zampettare sul marmo dell’atrio con quei suoi irritantissimi tacchi. In tutto questo Milla ci guardava con una espressione tra il curioso e l’addormentato da dietro le lenti scure dei suoi occhiali a cuore, come se non capisse esattamente cosa stesse accadendo.

Finalmente in ritardo spaventoso riuscimmo a partire sudati e scomposti. Milla non si lamentò nemmeno troppo perché io e mio cugino fumavamo in macchina. Diretti verso un matrimonio scocciante in mezzo alla campagna.

Più tardi parcheggiammo nel bel mezzo del piazzale mentre mia nonna ci insultava issata sul suo treppiedi dicendo che quello era terreno sacro e che non ci potevamo passare sopra con le ruote della nostra utilitaria.

Quando scendemmo mia madre ci guardò con un sorriso materno che avrebbe potuto rivolgerci solo se fossimo tornati indenni da una guerra.

“Tranquilla zia, stiamo bene” brontolò Sam offeso dalla poca fiducia che mia madre riponeva nella sua guida.

E così finimmo per incamminarci verso i gradoni della chiesa medioevale che mia cugina aveva scelto per sposarsi.

Mi sembrava di camminare al rallentatore, quando inquadrano il protagonista che con lo sguardo deciso punta verso la telecamera.  Io mi sentivo così, io e Sam conciati come i Blues Brother , con in mezzo una lolita fuori dai canoni.

Ci lasciammo cadere mollemente sui gradoni, e io mi accesi l’ennesima sigaretta guardando beato mio padre che scaricava la lavatrice che avevamo regalato agli sposi, aiutato da un paio di zii sovrappeso e già sudati prima di cominciare. “Ma si potrà sposarsi in questa stagione?” diceva con voce stridula una tipa truccata come Moira Orfei che non avevo mai visto prima, ma che secondo Sam era una lontana zia di secondo grado dalla parte di mia madre.

Rimasi interdetto quando vidi arrivare una ragazza alta e mora con andatura ondeggiante e un vestito che di organza aveva davvero poco, aguzzai la vista vedendo che dietro di lei veniva una figura conosciuta con un ombrello parasole rosso fuoco(esisteva ancora qualcuno che usava gli ombrelli parasole?), come una palla di fuoco nella calura estiva.

La seconda ragazza si avvicinò sempre di più mentre i suoi caratteri cominciavano a definirsi. Marina si fermò a un metro da me con espressione scocciata, aveva l’aria di odiare i matrimoni quasi quanto me, Milla ,Sam e la maggior parte dei presenti.

Delfina mi arrivò di fianco e fece sbattere leggermente il suo ginocchio contro il mio. Rimasi muto con la sigaretta appesa in bocca e alzai la testa per vederla, troppo stupito per proferir parola.

“Ciao Kitty!” trillò allegra dall’alto delle sue scarpe col tacco di un improbabile giallo. Boccheggiai togliendomi la paglia dalla bocca, perché sapevo che sarebbe irrimediabilmente finita a terra.

Probabilmente mi lesse nel pensiero, o forse era semplicemente ovvio ciò che pensavo, perché disse “Milla ci ha invitati al matrimonio di tua cugina Ines, ha detto che ti avrebbe fatto piacere”. Annuii continuando a stare zitto e probabilmente in faccia avevo stampata l’espressione più stupida del secolo.

Poi rimanendo seduto le presi la mano e mi guardai un po’ in giro mentre lei distribuiva sorrisi ai presenti che la guardavano circospetti.

C’erano davvero tutti. I nonni, gli zii, nonna Giunone, la mamma di Sam col suo odioso fidanzato, il padre di Sam venuto direttamente dal suo paesino disperso per i boschi del nord America, il coro gospel incaricato dell’intrattenimento, poi c’era nonna Giunone che si era portata dietro un paio di ruole di lasagne, e dei vassoi stracolmi di melanzane alla parmigiana perché non si fidava del catering. In un angolo imbronciata stava Marlene vestita come mia sorella , ma con un’aria da scout, e decisamente molto meno succinta. Mi accorsi solo in quell’istante di quanto mia sorella avesse accorciato il suo. Sam si schiarì la voce e io gli tirai una gomitata nelle costole prima che potesse proferir parola.

Altera se ne stava nello stesso angolo di Marlene ma con un sorriso abbagliante in volto, di bianco vestita e col pargolo in braccio che le tirava i boccoli dorati. Sorrisi alla sua visione angelica.

Fu solo quando ebbi passato in rassegna tutti gli ospiti che mi resi conto che non vedevo lo sposo.

Mia cugina sarebbe dovuta arrivare a minuti sulla limousine bianca a vetri oscurati che mia zia aveva noleggiato per l’occasione (Milla ovviamente aveva arricciato il naso quando l’avevamo informata delle idee per l’organizzazione del matrimonio. E aveva detto che se per caso un giorno avesse organizzato un matrimonio la sposa sarebbe arrivata su un’apecar).

Sia io che Sam ci guardammo in giro circospetti chiedendosi chi potesse essere il pazzo che aveva deciso di sposare quell’arpia di nostra cugina. Ma la realtà era che non c’era nessun trepidante fidanzato accanto all’altare.

Quando mia cugina arrivò mia nonna ebbe di nuovo qualche cosa da ribattere sul fatto che delle ruote toccassero il sagrato, ma nessuno le badò come solito, Ines scese raggiante inguaiata in un vestito sfarzosissimo coperto di pizzi e tulle. Per la prima volta da quando la conoscevo mi sembrò carina.

Il suo sorriso si spense un po’ guardando il terribile imbarazzo che pervadeva la chiesa gremita di gente. Mia nonna teneva in mano la ruola di lasagne e la guardava con sguardo  di compatimento, mia madre si torturava le mani in grembo, mia zia urlava in cortile trattenuta solo dal marito, la madre di Sam e il suo fidanzato tenevano lo sguardo basso, il signor Jonas che non spiccicava più di una parola in italiano non aveva capito nulla e si guardava in giro spaesato, il prete fissava tutti gli invitati cercando supporto morale.    

Vedemmo l’espressione di Ines dapprima da raggiante farsi preoccupata, mentre il sorriso smagliante evaporava vedendo tanti sguardi truci, poi adirata , la vedemmo allargare la bocca , intuimmo esattamente ogni suo pensiero. Prima si chiese perché avessimo tutti i musi lunghi, poi cercando il suo futuro sposo e non trovandolo si rese conto di cosa preoccupava tutti.

Con un urlo isterico e qualche bestemmia(mia nonna Giunone mollò le lasagne al nonno per farsi il segno della croce) si lanciò fuori nella vana ricerca del fuggiasco, con passo da militare, gergo da scaricatore di porto e umore decisamente nero. Il bouquet di cui si liberò nella corsa giù dalla gradinata si librò leggero verso il soffitto austero della chiesa, passandoci sopra i nasi per poi cadere tra le mani di una stupitissima Marlene.

Mia sorella Gaia sussurrò qualcosa di cattivo al suo indirizzo, rammaricata per il fatto di non essere riuscita ad afferrarlo prima di lei quel mazzo di fiori.

“Beh di certo non potevi prenderlo tu! Non ti sposerai mai brutta baldracca!” strillò Marlene che di certo non rimaneva inerme a una provocazione del genere. Io e Sam alzammo gli occhi al cielo per non vedere le nostre sorelle che si rotolavano per la chiesa strappandosi i capelli a vicenda,e per non dover intervenire.

Milla che era decisamente più ligia al dovere fece qualche passo in avanti per staccarle, ma avvicinandosi si ritrovò inerme e tornò tra le file di parenti con la coda tra le gambe. Delfina guardava il trambusto divertita, mentre la zia truccatissima annunciava con un grido “E’ arrivato il catering!”. E fu così che tutti gli invitati compreso il prete si riversarono fuori dalla pieve tra urla e schiamazzi, sembrava un po’ un esodo, e mi chiesi se fosse vero che avevo tutti quei parenti, intravidi anche un paio di turisti giapponesi intenti a fare foto a nonna Giunone con in braccio le lasagne.

Ci fermammo tutti in mandria davanti al camioncino del catering decorato con fiocchi e frasi dall’aria nuziale.

“Allora se non c’è stato il matrimonio devo riportare tutto indietro?” stava chiedendo l’autista del furgoncino piuttosto scocciato. Mia zia era piuttosto interdetta, insomma, non era preparata a un inconveniente simile, chi si poteva aspettasse che lo sposo fuggisse a gambe levate proprio il giorno del matrimonio.  Tra la moltitudine di parenti scese il silenzio, mentre io stringevo tra le dita la mano candida di Delfina, e la sentivo incredibilmente vicina.

Fu Milla a parlare per prima “ Nel mondo c’è gente che muore di fame e noi sprechiamo così il cibo? Su , su scarichi che mangiamo tutto questo ben di Dio!” esclamò perentoria accolta da un fragoroso applauso generale.

Oh, ma guardate , le damigelle si stanno picchiando!” esclamò ingenuamente Altera intravedendo tra la folla mia sorella e mia cugina che se le davano di santa ragione. Nessuno l’ascoltò e mentre le due si picchiavano la zia Moira Orfei si appropriò del bouquet dimenticato sul marmo della chiesa.

Con un paio di tartine e un po’ di salsa rosa la situazione si tranquillizzò, e qualche ora dopo c’era chi girava beatamente per il parco sorseggiando spumante, mentre i resti del buffet se ne stavano lì in bella vista in attesa degli ultimi golosi.

Io mi lasciai mollemente cadere su una sedia pieghevole di quelle che erano state appositamente messe sotto il telone per il rinfresco. Ero solo, ma ero contento, l’aria all’ombra era fresco, e mi sentivo strano. Mi stravaccai ancora più guardando Delfina che correva dietro a una bambina che probabilmente era una qualche cugina di secondo grado. Passò un tipo coi capelli rossi chiedendomi di chi era la festa, alzai le spalle. In effetti di chi era la festa se la quasi sposa piagnucolava vicino al buffet per annegare il dolore nei bignè , mi dissi che qualcuno avrebbe dovuto fermarla prima che stesse male.

Mentre pensavo a lei il mio campo visivo si oscurò con qualche cosa di bianco e biondo.

“Ciao Marco” fece Altera sorridente ed eterea come sempre, coi boccoli dorati ed ordinati che ricadevano sulle spalle. Mi morsi il labbro, sempre un angelo, mi strappò un sorriso.

“Bella festa” commentò guardando con un sorriso un punto indefinito del parco davanti a sé.

“Sì” convenni “Per essere la festa di un non-matrimonio è bella…” feci con una punta di amarezza. Lei si decise a guardarmi con quello sguardo che avrebbe fatto innamorare chiunque.

“Dovresti andare a parlare con Ines…” sussurrò avvicinandosi. “Lo so…” risposi senza guardarla mentre lo dicevo, ma solo dopo.

Poi mi diede un bacio. Sulle labbra, di quelli da angelo. E mi sorrise. “Sei un ragazzo carino Marco. Ed è carina anche la tua amica bianca. Vedrai che girerà tutto per il meglio”. E con un luccichio argenteo si dileguò verso il centro del parco assolato.

Ero inebetito. La guardai andare via ondeggiando un poco sui tacchi alti, poi sorrisi, il bacio di un angelo. Mi avrebbe portato fortuna.

Mi alzai nuovamente pieno di energia e mi diressi verso mia cugina Ines che mi mise subito gli occhi addosso smettendo per un momento di ingozzarsi non potendo credere che mi stessi avvicinando a lei di mia spontanea volontà. La nostra antipatia reciproca era nota a tutta la famiglia Zampieri.

Mi fermai con espressione seria e le mani nelle tasche proprio davanti a lei, che aveva accavallato le gambe e se ne stava con un bignè a mezz’aria senza mangiarlo.

Ci guardammo seri per un po’, e visto che io non mi decidevo a parlare fu lei a prendere la situazione in mano “Cosa c’è?” chiese scorbutica come di consueto.

“Volevo dirti che non ti sopporto” dissi serio, lei scosse la testa scocciata ma la sua capigliatura rimase intatta “Sei davvero carino a venirmelo a dire oggi” sbottò seccata mentre gli occhi le diventavano lucidi. Imperterrito continuai “…nonostante questo il tuo fidanzato non doveva farlo. Non te lo meriti… è stato disonesto da parte sua. Vuoi che lo cerchi per picchiarlo?” domandai grave. Lei mi guardò per vedere se ero serio e vedendo la mia espressione convintissima si mise a ridere come se avessi fatto una battuta esilarante. “Lo sai che con quei capelli sembri uscito da un manga?” disse tra le risa. Sbuffai “Allora se non mi prendi sul serio…” brontolai girando i tacchi. Quando l’avevo distaccata di qualche metro in direzione delle seggioline su cui avevo intenzione di spaparanzarmi di nuovo mi sentii richiamare “Marco”. Mi voltai senza tornare indietro. Ines sorrideva seduta accanto al buffet con ancora il fatidico bignè in mano , poi disse “Grazie” e mi piacque. Feci un frettoloso cenno d’assenso con la testa per non far vedere che mi aveva fatto piacere e mi voltai ancora a cercare Delfina.

Ci saremmo stati poco simpatici per il resto della vita, era ovvio. Ma le avrei voluto bene lo stesso, anche se era un’arpia delle peggiori.

Tornai alla ricerca della mia donzella albina e la ritrovai con lo sguardo alla mercé di una mandria di bambini che le facevano il solletico sdraiati sul prato verde, con lei che sgambettava mostrando a tutti le sue scarpe improbabili.  Risi divertito prima di correre in suo aiuto.

“Su, su ragazzi, andate a molestare Ines che di sicuro ha più bisogno di ridere!” dissi mentre tiravo su da terra Delfina tenendola da sotto le ascelle.

“Ah, che fatica…” borbottò facendosi alzare mollemente da me. La presi per mano mentre i bambini correvano a fare la festa a Ines. Ero un po’ preoccupato, da quando mi aveva parlato di sua madre non l’avevo più vista, e non sapevo che fare, parlarne o non parlarne, fui però felice di vedere che era sobria, anche se il confine tra Delfina sobria e Delfina alticcia era decisamente sottile.

Andammo a sederci dove poco prima stavamo io e Altera. Mentre mi chiedevo cosa facessimo per mano io e lei. Cosa eravamo? Due deficienti che si erano trovati insieme per sbaglio. Probabilmente quella era la definizione più appropriata alla nostra strana coppia.

Rimanemmo in silenzio a guardarci intorno, e io non ero concentrato su nulla, mi limitavo a guardare in giro, a catalogare le persone  e fare fotografie mentali, per non dovermi dimenticare di quell’immagine. Con Delfina che mi teneva la mano.

Le damigelle se ne stavano sedute una a una capo , l’altra dall’altro  del gazebo con il vestito rotto in vari punti, meno capelli di quando erano arrivate e gli occhi pesti, che guardavano il mondo particolarmente imbronciate. Mio fratello stava cercando di abbordare una ragazzina che temei fosse una qualche parente, che ne so, una nipote della zia Moira.

Sam e Marina sembravano impegnati in una conversazione muta fatta di sguardi da un capo all’altro della tavola.

Il coro gospel che mia zia aveva invitato per rallegrare gli ospiti si stava ingozzando col salmone avanzato. Altera, suo figlio, mia madre e qualche altro parente si intrattenevano con balli di gruppo con Altera che urlava “Signora Zampieri com’è divertente!!”. Nonna Giunone stava conversando con il manichino di Delfina  che era stato abbandonato su un sedile all’ombra, convinta, causa scarsa vista , che fosse un suo nipote venuto da Milano. Mi appuntai mentalmente di consigliarle una cataratta.

Mio padre aveva elaborato un ingegnoso stratagemma  per combattere il caldo, e se ne stava in giacca e cravatta ma con i piedi immersi in una bacinella di acqua gelida.

Il prete e il tizio fulvo alticci cantavano a squarciagola canzonette popolari irripetibili, con uno stupito signor Jonas che li guardava a bocca aperta. Milla invece stava placidamente da sola a guardarsi in giro.

“Ti stai divertendo?” chiesi poi voltandomi verso Delfina dopo aver passato in rassegna tutti gli invitati.

Lei raspò nella borsa e ne estrasse un frutto. “Tieni pescofobico” disse porgendomi quella che riconobbi come una pesca. Mi irrigidii afferrandola. Era una pesca noce, di quelle con la pelle liscia. “Che ci devo fare?” chiesi preoccupato.

“La devi mangiare” disse lei irremovibile. “Ma…ma …” cercai di ribattere.

“Allora, vuoi tenerti il terrore per le pesche per tutta la vita? Io ho superato le mie paranoie e ti ho parlato di mia madre. Ora tocca a te” aggiunse seria. Mi trovai spacciato, usare il ricordo di sua madre per convincermi fu davvero meschino.

La osservai guardingo, l’annusai e poi diedi un morsicotto mandando giù il più velocemente possibile. Aspettai un attimo analizzando il sapore che mi era rimasto in bocca.

“Allora come è andata?” fece lei compiaciuta. Alzai le spalle. Meglio di quanto pensassi. Forse le pesche non erano così tanto male.

 Lei annuì convinta poi si tolse gli occhiali da sole per farsi guardare dritto negli iridi.

“I think I love you” sputò fuori. E io rimasi basito a guardarla. Avevo un’idea ben precisa di cosa volesse  dire I love you, ma non ne conoscevo l’esatto significato insieme a I think . Mi maledii per aver copiato per anni i compiti di inglese da Sam.

“Te l’ho detto inglese perché speravo che non capissi” biascicò lei guardandomi vergognosa. Annuii, forse andò meglio così, se me lo avesse detto in italiano mi avrebbe preso in contropiede, e forse sarei corso via terrorizzato, ma alla fine presi fiato e risposi “Credo che sia lo stesso anche per me…” . Lei mi sorrise e mie diede un bacio sulla guancia, leggero e bianco.

“Vieni a fare un giro?” mi domandò mentre il vento le mandava i capelli in faccia. “Ma siamo a un matrimonio…” ribattei io un po’ perplesso. Lei alzò le spalle “Quale matrimonio? Non si è sposato nessuno!” ribatté lei. E questo bastò a convincermi, e mentre me ne andavo sentii squillare il cellulare preistorico di Milla, che rispose con un piglio inusuale per una che odia i cellulari.

“Mamma…” fece una pausa, era un saluto “si sto bene… sai sono in un posto dove tutti stanno festeggiando un matrimonio che non c’è stato… molto, molto antireligioso, c’è il prese che è ubriaco, credo che se ci fossi tu prescriveresti un totale di confessioni e un paio di scomuniche…” rise, e sorrisi anche io mentre me ne andavo.

E così si concluse anche il fatidico matrimonio che tutta la famiglia Zampieri agognava tanto. E direi che alla fine tutti furono soddisfatti.

Anche se aveva passato una giornata pessima alla fine mia cugina Ines aveva trovato la sua anima gemella, ovvero il fratello maggiore di Milla che era passato a prenderla. E quindi anche le arpie hanno il loro lieto fine. Il figlio lo aveva chiamato Fabio, nonostante Milla si fosse opposta. Il signori Vincenzi si erano ripresi in casa i tre figli, e avevano persino fatto amicizia con Dario, il fidanzato di Giò. Così Sam era riuscito dopo tanto tempo a riconquistare il possesso della sua brandina. Mio fratello non aveva concluso nulla con la ragazza che aveva cercato di abbordare. Milla aveva abbandonato la sua fede biologica per darsi agli sport estremi, e probabilmente ora è intenta a sperimentare il paracadutismo.

Sam era diventato vegetariano e aveva una mezza storia con l’indisponente Marina. Marlene e Gaia continuavano a odiarsi. La lavatrice che avevamo regalato a Ines per il matrimonio c’era stata rimandata indietro, perché se rimaneva ad abitare coi genitori era inutile, e per mancanza di altro spazio era stata posizionata in camera mia.

E io e Delfina…stiamo insieme, più o meno e I think I love her… sarà il potere delle pesche.

E in tutto questo la cosa che mi secca di più è che astrologicamente sarò per sempre vergine… che scatole!

 

The End

 

 

 Ed eccoci giunti alla fatidica conclusione. Sì lo so, è banale e scontata, ma io amo i lieti fine. Di solito preferisco i finali allegri ,ma a sorpresa del tipo: Sam si mette con Milla, Marco si innamora di Giò e Delfina scappa col prete, ma questa idea di finale sarebbe stata piuttosto inverosimile, perciò ho optato per qualche cosa di più classico.

Questa storia è nata principalmente incentrata su un matrimonio, dopo aver letto un articolo su Nonciclopedia su come sopravvivere a una cerimonia nuziale, e aver visto la foto di un tipo che vestito di tutto punto davanti a una chiesa guardava l’obbiettivo della macchina fotografica decisamente sconsolato. Poi però sono apparsi Sam Milla Delfina e tutta la banda relegando il matrimonio a ruolo marginale.

Dopo aver iniziato a scrivere questa storia ho scoperto una canzone di J-ax intitolata  Di sana pianta, che mi ha ricordato un sacco questa storia, mi ha fatto ridere e ha finito per diventare la colonna sonora del mio racconto.

Questa è una delle poche storie a cui non ho elaborato un seguito (mi capita spesso di trovare dei seguiti, faccio fatica a scrivere la parola fine), ma sembra proprio che per Marco & co. Sia finita così.

Spero che vi abbia divertito come ha divertito me scriverla, grazie a tutti per i commenti, averla aggiunta nei preferiti e avermi dato man forte tifando per uno o l’altro personaggio. (Grazie in particolare a The Corpse Bride, AnimaDannata e Lidiuz93 che hanno commentato l’ultimo capitolo.)

E Grazie tante anche a chi mi ha sostenuto a suon di melanzane. (Chi PUO’ capire capisca!!!)

 GRAZIE  e alla prossima.

 Aki_Penn

 

 

 

   
 
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