Il
Potere delle Pesche
Epilogo
Se
avessi studiato l’inglese - Il Matrimonio -
E
così ridendo e scherzando (e non solo questo), arrivò il fatidico
giorno del matrimonio di mia cugina Ines.
E quel mattino mi sembrò proprio che un ippopotamo mi avesse dormito
sulla testa, perché l’emicrania era indescrivibile. Era uno di
quei giorni da passare in pigiama. Ma di proporre a mia madre di bigiare il
matrimonio che lei e tutte le componenti donne della famiglia Zampieri avevano organizzato con tanto amore, non se ne
poteva nemmeno parlare.
Milla
arrivò con le migliori intenzioni al mio capezzale scrollandomi un
po’, ma quando mi voltai dall’altra parte per nulla intenzionato a
collaborare mi tirò giù di forza sbattendomi sul pavimento.
A
Sam toccò una sorte di gran lunga peggiore, dimentica di ogni gentilezza
gli aprì in rubinetto dell’acqua fredda in testa, e lui si tirò in
piedi urlando come se lo avessero accoltellato.
“Su,
su… cosa vuoi che sia, un po’ di frescura in queste giornate afose
d’estate” lo liquidò Milla stringendosi al petto il suo
vestito d’organza. “Fai presto a dirlo tu che non ci sei
sotto” sbottò Sam completamente fradicio. “Lo facevano tutti
i più grandi samurai ogni mattina, che ti succederà se lo fai una
volta anche tu…” rispose tranquilla passandosi una mano sulle
occhiaie evidentissime, a cui non aveva intenzione di fare nulla.
“Ma
io non sono un Samurai!” strillò stizzito del tutto inascoltato
mentre lei usciva dal bagno.
Ma
dato che ci eravamo già tutti svegliati finimmo svogliatamente a
vestirci. Sembrava che di tranquillo in casa non ci fosse davvero nessuno.
Mio
padre andava in giro in giacca e cravatta, ma non si decideva a mettersi i
pantaloni, e si aggirava con fare inquietante per casa guardando due paia di
pantaloni decisamente uguali.
Io
e Sam sbuffammo rassegnati al momento di infilarci in quei ridicoli vestiti da
cerimonia, per di più avevano anche l’aria di fare un gran caldo.
Ci lanciammo uno sguardo rassegnato prima di sistemarci entrambi la cravatta.
Aprii
la scarpiera in cerca delle scarpe eleganti e scrutai tutti gli scaffali,
mettendoci qualche secondo per rendermi conto che non c’era nessun paio
di scarpe eleganti.
Alzai
gli occhi al cielo cercando di ricordarmi cosa era successo il giorno che mia
madre ci aveva mandato a comprare i frac. A dire il vero di quel giorno a parte
l’incidente di Milla, non era rimasto molto tra i ricordi. Era tutto
decisamente sfocato. Scavando nell’ombra mi resi conto che io non avevo
acquistato alcun paio di scarpe. Aggrottai le sopracciglia. Mia madre mi
avrebbe linciato.
Alzai
le spalle e presi le mie scarpe da basket in tela. Almeno non sarei sembrato
quel damerino insopportabile di Giò. Sam mi
diede un’occhiata stranita, ma poi sorrise “Tu sei il più
furbo…” convenne. Sorrisi a mia volta.
Come
era ovvio mia madre ebbe una specie di mancamento
quando vide per che scarpe avevo optato. Milla la prese mentre indietreggiava.
“Ma, ma… le foto!” ebbe solo la forza di balbettare fissando
angosciata le mie All Star.
“Le
foto verranno male..” piagnucolò
portandosi le mani alla bocca.
“Tranquilla , tranquilla signora Zampieri,
diremo al fotografo di non inquadrare i piedi…” disse Milla
consolandola come avrebbe potuto fare con mio fratello più piccolo,
dandole colpetti rassicuranti sulla spalla.
Il
suo vestito era blu, decisamente sobrio a parte una cintura di vernice nera in
vita che faceva molto anni cinquanta. Sorrisi nel vedere che le occhiaie erano
sparite sotto il fard. Evidentemente non era riuscita a sottrarsi
all’attacco cosmetico di mia sorella. Anche i capelli non erano raccolti
nei consueti codini, fui sicuro che così si trovasse decisamente a
disagio. Non eravamo i soliti, eravamo dei buffi manichini. Mi venne da ridere.
E poi mi chiesi dove fosse Delfina. Per un secondo me la immaginai in posa da
Amleto con una pesca al posto del teschio.
Mia
sorella correva per casa cercando di accorciare il suo vestito da damigella
già decisamente corto. Sam le lanciò un’occhiata critica , poi guardò me, come se fosse colpa mia.
Mia
madre si prese un altro colpo quando la vide. “Oddio Gaia, cosa ti sei
messa in faccia?” urlò indietreggiando ancora come quando aveva
visto le mie scarpe. Ci mancava poco che si facesse il segno della croce e
iniziasse a fare scongiuri eccentrici.
Milla
però non fece una piega e fissò con aria decisamente critica il
trucco di mia sorella, che sembrava uscita da un esilarante carnevale di Rio.
Probabilmente ce l’aveva ancora con lei per averle fatto la cattura
estetica.
“Mi
sono truccata!” esclamò lei alterata perché glielo stavano
chiedendo.
“Ma..ma … è un matrimonio!” pigolò
mia madre sull’orlo del pianto, guardando incredula i macigni di ombretto
che Gaia aveva sugl’occhi.
“Vuoi
che ti dica quello che penso di tua sorella?” mi chiese gentilmente Sam.
“No” sbottai irritato sapendo esattamente qual’era la sua
opinione.
“Bruciarle
tutte le riviste non è servito a nulla…sono arrivato troppo
tardi…” sussurrò rassegnato. Sbuffai. Sarebbe stata una
giornata lunga. Tra una cosa e l’altra, mia madre sull’orlo di una
crisi di nervi, mio padre senza la sua guida spirituale per gli eventi mondani(mia madre appunto) era come un pesce fuor d’acqua, e
aveva finito per mettersi i jeans al posto dei pantaloni eleganti, Gaia che si
ostinava nel cercare di accorciare il suo vestito da damigella, il suo gemello
che voleva portarsi dietro la chitarra elettrica, il mio fratello più
piccolo che si era macchiato la giacca col dentifricio e non voleva più
uscire da sotto al letto, Sam rammaricato per quello che vedeva nel futuro di
Gaia (un night club a suo dire), Milla imbestialita per la quantità
esorbitante di trucco che si era trovata in faccia, e me con delle scarpe
astruse sotto il vestito elegante, la famiglia Zampieri
era nel più totale panico.
Uscimmo
di casa totalmente disorganizzati, con mia madre nel
panico perché Sam avrebbe dovuto guidare fino a una chiesa fuori
città, come se non l’avesse mai fatto.
Dovemmo
anche tornare indietro perché ci eravamo dimenticati il regalo di nozze.
E fu così che a me , Sam e Papà
toccò sbuffare, imprecare e sudare sotto il sole mentre mia madre dava
ordini isterici a destra e a manca preoccupata che ribaltassimo qualcosa,
continuando a zampettare sul marmo dell’atrio con quei suoi
irritantissimi tacchi. In tutto questo Milla ci guardava con una
espressione tra il curioso e l’addormentato da dietro le lenti
scure dei suoi occhiali a cuore, come se non capisse esattamente cosa stesse
accadendo.
Finalmente
in ritardo spaventoso riuscimmo a partire sudati e scomposti. Milla non si
lamentò nemmeno troppo perché io e mio cugino fumavamo in
macchina. Diretti verso un matrimonio scocciante in mezzo alla campagna.
Più
tardi parcheggiammo nel bel mezzo del piazzale mentre mia nonna ci insultava
issata sul suo treppiedi dicendo che quello era
terreno sacro e che non ci potevamo passare sopra con le ruote della nostra
utilitaria.
Quando
scendemmo mia madre ci guardò con un sorriso materno che avrebbe potuto
rivolgerci solo se fossimo tornati indenni da una guerra.
“Tranquilla
zia, stiamo bene” brontolò Sam offeso dalla poca fiducia che mia
madre riponeva nella sua guida.
E
così finimmo per incamminarci verso i gradoni della chiesa medioevale
che mia cugina aveva scelto per sposarsi.
Mi
sembrava di camminare al rallentatore, quando inquadrano il protagonista che
con lo sguardo deciso punta verso la telecamera. Io mi sentivo così, io e Sam
conciati come i Blues Brother ,
con in mezzo una lolita fuori dai canoni.
Ci
lasciammo cadere mollemente sui gradoni, e io mi accesi l’ennesima
sigaretta guardando beato mio padre che scaricava la
lavatrice che avevamo regalato agli sposi, aiutato da un paio di zii sovrappeso
e già sudati prima di cominciare. “Ma si potrà sposarsi in
questa stagione?” diceva con voce stridula una tipa truccata come Moira
Orfei che non avevo mai visto prima, ma che secondo Sam era una lontana zia di
secondo grado dalla parte di mia madre.
Rimasi
interdetto quando vidi arrivare una ragazza alta e mora con andatura
ondeggiante e un vestito che di organza aveva davvero poco, aguzzai la vista vedendo
che dietro di lei veniva una figura conosciuta con un ombrello parasole rosso
fuoco(esisteva ancora qualcuno che usava gli ombrelli
parasole?), come una palla di fuoco nella calura estiva.
La
seconda ragazza si avvicinò sempre di più mentre i suoi caratteri
cominciavano a definirsi. Marina si fermò a un metro da me con
espressione scocciata, aveva l’aria di odiare i
matrimoni quasi quanto me, Milla ,Sam e la maggior parte dei presenti.
Delfina
mi arrivò di fianco e fece sbattere leggermente il suo ginocchio contro
il mio. Rimasi muto con la sigaretta appesa in bocca e alzai la testa per
vederla, troppo stupito per proferir parola.
“Ciao
Kitty!” trillò allegra dall’alto
delle sue scarpe col tacco di un improbabile giallo. Boccheggiai togliendomi la
paglia dalla bocca, perché sapevo che sarebbe irrimediabilmente finita a
terra.
Probabilmente
mi lesse nel pensiero, o forse era semplicemente ovvio ciò che pensavo,
perché disse “Milla ci ha invitati al matrimonio di tua cugina
Ines, ha detto che ti avrebbe fatto piacere”. Annuii continuando a stare
zitto e probabilmente in faccia avevo stampata l’espressione più
stupida del secolo.
Poi
rimanendo seduto le presi la mano e mi guardai un po’ in giro mentre lei
distribuiva sorrisi ai presenti che la guardavano circospetti.
C’erano
davvero tutti. I nonni, gli zii, nonna Giunone, la mamma di Sam col suo odioso
fidanzato, il padre di Sam venuto direttamente dal suo paesino disperso per i
boschi del nord America, il coro gospel incaricato dell’intrattenimento,
poi c’era nonna Giunone che si era portata dietro un paio di ruole di lasagne, e dei vassoi stracolmi di melanzane alla
parmigiana perché non si fidava del catering. In un
angolo imbronciata stava Marlene vestita come mia sorella , ma con
un’aria da scout, e decisamente molto meno succinta. Mi accorsi solo in
quell’istante di quanto mia sorella avesse accorciato il suo. Sam si
schiarì la voce e io gli tirai una gomitata nelle costole prima che
potesse proferir parola.
Altera
se ne stava nello stesso angolo di Marlene ma con un sorriso abbagliante in
volto, di bianco vestita e col pargolo in braccio che
le tirava i boccoli dorati. Sorrisi alla sua visione angelica.
Fu
solo quando ebbi passato in rassegna tutti gli ospiti che mi resi conto che non
vedevo lo sposo.
Mia
cugina sarebbe dovuta arrivare a minuti sulla limousine bianca a vetri oscurati
che mia zia aveva noleggiato per l’occasione (Milla ovviamente aveva
arricciato il naso quando l’avevamo informata delle idee per
l’organizzazione del matrimonio. E aveva detto che se per caso un giorno
avesse organizzato un matrimonio la sposa sarebbe arrivata su un’apecar).
Sia
io che Sam ci guardammo in giro circospetti chiedendosi chi potesse essere il
pazzo che aveva deciso di sposare quell’arpia di nostra cugina. Ma la
realtà era che non c’era nessun trepidante fidanzato accanto
all’altare.
Quando
mia cugina arrivò mia nonna ebbe di nuovo qualche cosa da ribattere sul
fatto che delle ruote toccassero il sagrato, ma nessuno le badò come solito, Ines scese raggiante inguaiata in un vestito
sfarzosissimo coperto di pizzi e tulle. Per la prima volta da quando la
conoscevo mi sembrò carina.
Il
suo sorriso si spense un po’ guardando il terribile imbarazzo che
pervadeva la chiesa gremita di gente. Mia nonna teneva in mano la ruola di lasagne e la guardava con sguardo di
compatimento, mia madre si torturava le mani in grembo, mia zia urlava in
cortile trattenuta solo dal marito, la madre di Sam e il suo fidanzato tenevano
lo sguardo basso, il signor Jonas che non spiccicava
più di una parola in italiano non aveva capito nulla e si guardava in
giro spaesato, il prete fissava tutti gli invitati cercando supporto morale.
Vedemmo
l’espressione di Ines dapprima da raggiante farsi preoccupata, mentre il
sorriso smagliante evaporava vedendo tanti sguardi truci, poi adirata , la vedemmo allargare la bocca , intuimmo esattamente ogni
suo pensiero. Prima si chiese perché avessimo tutti i musi lunghi, poi
cercando il suo futuro sposo e non trovandolo si rese conto di cosa preoccupava
tutti.
Con
un urlo isterico e qualche bestemmia(mia nonna Giunone
mollò le lasagne al nonno per farsi il segno della croce) si
lanciò fuori nella vana ricerca del fuggiasco, con passo da militare,
gergo da scaricatore di porto e umore decisamente nero. Il bouquet di cui si
liberò nella corsa giù dalla gradinata si librò leggero
verso il soffitto austero della chiesa, passandoci sopra i nasi per poi cadere
tra le mani di una stupitissima Marlene.
Mia
sorella Gaia sussurrò qualcosa di cattivo al suo indirizzo, rammaricata
per il fatto di non essere riuscita ad afferrarlo prima di lei quel mazzo di
fiori.
“Beh di certo non potevi prenderlo tu! Non ti sposerai mai brutta
baldracca!” strillò Marlene che di certo non rimaneva inerme a una
provocazione del genere. Io e Sam alzammo gli occhi al cielo per non
vedere le nostre sorelle che si rotolavano per la chiesa strappandosi i capelli
a vicenda,e per non dover intervenire.
Milla
che era decisamente più ligia al dovere fece qualche passo in avanti per
staccarle, ma avvicinandosi si ritrovò inerme e tornò tra le file
di parenti con la coda tra le gambe. Delfina guardava il
trambusto divertita, mentre la zia truccatissima annunciava con un grido
“E’ arrivato il catering!”. E fu così che tutti gli
invitati compreso il prete si riversarono fuori dalla pieve tra urla e
schiamazzi, sembrava un po’ un esodo, e mi chiesi se fosse vero che avevo
tutti quei parenti, intravidi anche un paio di turisti giapponesi intenti a
fare foto a nonna Giunone con in braccio le lasagne.
Ci
fermammo tutti in mandria davanti al camioncino del catering decorato con
fiocchi e frasi dall’aria nuziale.
“Allora
se non c’è stato il matrimonio devo riportare tutto
indietro?” stava chiedendo l’autista del furgoncino piuttosto
scocciato. Mia zia era piuttosto interdetta, insomma, non era preparata a un
inconveniente simile, chi si poteva aspettasse che lo sposo fuggisse a gambe
levate proprio il giorno del matrimonio. Tra la moltitudine di parenti scese il
silenzio, mentre io stringevo tra le dita la mano candida di Delfina, e la
sentivo incredibilmente vicina.
Fu Milla a parlare per prima “ Nel mondo
c’è gente che muore di fame e noi sprechiamo così il cibo? Su , su scarichi che
mangiamo tutto questo ben di Dio!” esclamò perentoria accolta da
un fragoroso applauso generale.
“Oh, ma guardate , le damigelle si stanno picchiando!”
esclamò ingenuamente Altera intravedendo tra la folla mia sorella e mia
cugina che se le davano di santa ragione. Nessuno l’ascoltò e
mentre le due si picchiavano la zia Moira Orfei si appropriò del bouquet
dimenticato sul marmo della chiesa.
Con
un paio di tartine e un po’ di salsa rosa la situazione si
tranquillizzò, e qualche ora dopo c’era chi girava beatamente per
il parco sorseggiando spumante, mentre i resti del buffet se ne stavano
lì in bella vista in attesa degli ultimi golosi.
Io
mi lasciai mollemente cadere su una sedia pieghevole di quelle che erano state
appositamente messe sotto il telone per il rinfresco. Ero solo, ma ero
contento, l’aria all’ombra era fresco, e mi sentivo strano. Mi
stravaccai ancora più guardando Delfina che correva dietro a una bambina
che probabilmente era una qualche cugina di secondo grado. Passò un tipo
coi capelli rossi chiedendomi di chi era la festa, alzai le spalle. In effetti di chi era la festa se la quasi sposa
piagnucolava vicino al buffet per annegare il dolore nei bignè , mi
dissi che qualcuno avrebbe dovuto fermarla prima che stesse male.
Mentre
pensavo a lei il mio campo visivo si oscurò con qualche cosa di bianco e
biondo.
“Ciao
Marco” fece Altera sorridente ed eterea come sempre, coi boccoli dorati
ed ordinati che ricadevano sulle spalle. Mi morsi il labbro, sempre un angelo,
mi strappò un sorriso.
“Bella
festa” commentò guardando con un sorriso un punto indefinito del
parco davanti a sé.
“Sì”
convenni “Per essere la festa di un non-matrimonio è
bella…” feci con una punta di amarezza. Lei si decise a guardarmi
con quello sguardo che avrebbe fatto innamorare chiunque.
“Dovresti
andare a parlare con Ines…” sussurrò avvicinandosi.
“Lo so…” risposi senza guardarla mentre lo dicevo, ma solo
dopo.
Poi
mi diede un bacio. Sulle labbra, di quelli da angelo. E mi sorrise. “Sei un ragazzo carino Marco. Ed è carina anche
la tua amica bianca. Vedrai che girerà tutto per il
meglio”. E con un luccichio argenteo si dileguò verso il
centro del parco assolato.
Ero
inebetito. La guardai andare via ondeggiando un poco sui tacchi alti, poi
sorrisi, il bacio di un angelo. Mi avrebbe portato fortuna.
Mi
alzai nuovamente pieno di energia e mi diressi verso mia cugina Ines che mi
mise subito gli occhi addosso smettendo per un momento di ingozzarsi non
potendo credere che mi stessi avvicinando a lei di mia spontanea
volontà. La nostra antipatia reciproca era nota a tutta la famiglia Zampieri.
Mi
fermai con espressione seria e le mani nelle tasche proprio davanti a lei, che
aveva accavallato le gambe e se ne stava con un bignè a mezz’aria
senza mangiarlo.
Ci
guardammo seri per un po’, e visto che io non mi decidevo a parlare fu
lei a prendere la situazione in mano “Cosa c’è?” chiese scorbutica come di consueto.
“Volevo
dirti che non ti sopporto” dissi serio, lei scosse la testa scocciata ma
la sua capigliatura rimase intatta “Sei davvero carino a venirmelo a dire
oggi” sbottò seccata mentre gli occhi le diventavano lucidi. Imperterrito continuai “…nonostante questo il tuo
fidanzato non doveva farlo. Non te lo meriti… è stato
disonesto da parte sua. Vuoi che lo cerchi per
picchiarlo?” domandai grave. Lei mi guardò per vedere se
ero serio e vedendo la mia espressione convintissima si mise a ridere come se
avessi fatto una battuta esilarante. “Lo sai che con quei capelli sembri
uscito da un manga?” disse tra le risa. Sbuffai “Allora se non mi
prendi sul serio…” brontolai girando i tacchi. Quando l’avevo
distaccata di qualche metro in direzione delle seggioline
su cui avevo intenzione di spaparanzarmi di nuovo mi sentii richiamare
“Marco”. Mi voltai senza tornare indietro. Ines sorrideva seduta
accanto al buffet con ancora il fatidico bignè in mano
, poi disse “Grazie” e mi piacque. Feci un frettoloso cenno
d’assenso con la testa per non far vedere che mi aveva fatto piacere e mi
voltai ancora a cercare Delfina.
Ci
saremmo stati poco simpatici per il resto della vita, era ovvio. Ma le avrei
voluto bene lo stesso, anche se era un’arpia delle peggiori.
Tornai
alla ricerca della mia donzella albina e la ritrovai con lo sguardo alla
mercé di una mandria di bambini che le facevano il solletico sdraiati
sul prato verde, con lei che sgambettava mostrando a tutti le sue scarpe
improbabili. Risi divertito prima
di correre in suo aiuto.
“Su,
su ragazzi, andate a molestare Ines che di sicuro ha più bisogno di
ridere!” dissi mentre tiravo su da terra Delfina tenendola da sotto le
ascelle.
“Ah,
che fatica…” borbottò facendosi alzare mollemente da me. La
presi per mano mentre i bambini correvano a fare la festa a Ines. Ero un
po’ preoccupato, da quando mi aveva parlato di sua madre non
l’avevo più vista, e non sapevo che fare, parlarne o non parlarne,
fui però felice di vedere che era sobria, anche se il confine tra
Delfina sobria e Delfina alticcia era decisamente sottile.
Andammo
a sederci dove poco prima stavamo io e Altera. Mentre mi chiedevo cosa facessimo
per mano io e lei. Cosa eravamo? Due deficienti che si erano trovati insieme
per sbaglio. Probabilmente quella era la definizione più appropriata
alla nostra strana coppia.
Rimanemmo
in silenzio a guardarci intorno, e io non ero concentrato su nulla, mi limitavo
a guardare in giro, a catalogare le persone e fare fotografie mentali, per
non dovermi dimenticare di quell’immagine. Con Delfina che mi teneva la
mano.
Le
damigelle se ne stavano sedute una a una capo ,
l’altra dall’altro del
gazebo con il vestito rotto in vari punti, meno capelli di quando erano
arrivate e gli occhi pesti, che guardavano il mondo particolarmente
imbronciate. Mio fratello stava cercando di abbordare una ragazzina che temei
fosse una qualche parente, che ne so, una nipote della zia Moira.
Sam
e Marina sembravano impegnati in una conversazione muta fatta di sguardi da un
capo all’altro della tavola.
Il
coro gospel che mia zia aveva invitato per rallegrare gli ospiti si stava
ingozzando col salmone avanzato. Altera, suo figlio, mia madre e qualche altro
parente si intrattenevano con balli di gruppo con Altera che urlava
“Signora Zampieri com’è divertente!!”. Nonna Giunone stava conversando con il manichino
di Delfina che
era stato abbandonato su un sedile all’ombra, convinta, causa scarsa
vista , che fosse un suo nipote venuto da Milano. Mi appuntai mentalmente di
consigliarle una cataratta.
Mio
padre aveva elaborato un ingegnoso stratagemma per combattere il caldo, e se ne
stava in giacca e cravatta ma con i piedi immersi in una bacinella di acqua
gelida.
Il
prete e il tizio fulvo alticci cantavano a squarciagola canzonette popolari
irripetibili, con uno stupito signor Jonas che li
guardava a bocca aperta. Milla invece stava placidamente da sola a guardarsi in
giro.
“Ti
stai divertendo?” chiesi poi voltandomi verso Delfina dopo aver passato
in rassegna tutti gli invitati.
Lei
raspò nella borsa e ne estrasse un frutto. “Tieni pescofobico” disse porgendomi quella che riconobbi
come una pesca. Mi irrigidii afferrandola. Era una pesca noce, di quelle con la
pelle liscia. “Che ci devo fare?” chiesi preoccupato.
“La
devi mangiare” disse lei irremovibile. “Ma…ma …”
cercai di ribattere.
“Allora, vuoi tenerti il terrore per le
pesche per tutta la vita? Io
ho superato le mie paranoie e ti ho parlato di mia madre. Ora
tocca a te” aggiunse seria. Mi trovai spacciato, usare il ricordo
di sua madre per convincermi fu davvero meschino.
La
osservai guardingo, l’annusai e poi diedi un morsicotto
mandando giù il più velocemente possibile. Aspettai un attimo
analizzando il sapore che mi era rimasto in bocca.
“Allora
come è andata?” fece lei compiaciuta. Alzai le spalle. Meglio di
quanto pensassi. Forse le pesche non erano così tanto male.
Lei annuì convinta poi si tolse
gli occhiali da sole per farsi guardare dritto negli
iridi.
“I
think I love you”
sputò fuori. E io rimasi basito a guardarla. Avevo un’idea ben
precisa di cosa volesse dire I love you, ma
non ne conoscevo l’esatto significato insieme a I think . Mi
maledii per aver copiato per anni i compiti di inglese da Sam.
“Te
l’ho detto inglese perché speravo che non capissi”
biascicò lei guardandomi vergognosa. Annuii, forse andò meglio
così, se me lo avesse detto in italiano mi avrebbe preso in contropiede,
e forse sarei corso via terrorizzato, ma alla fine presi fiato e risposi
“Credo che sia lo stesso anche per me…” .
Lei mi sorrise e mie diede un bacio sulla guancia, leggero e bianco.
“Vieni
a fare un giro?” mi domandò mentre il vento le mandava i capelli
in faccia. “Ma siamo a un matrimonio…” ribattei io un
po’ perplesso. Lei alzò le spalle “Quale
matrimonio? Non si è sposato nessuno!”
ribatté lei. E questo bastò a convincermi, e mentre me ne
andavo sentii squillare il cellulare preistorico di Milla, che rispose con un
piglio inusuale per una che odia i cellulari.
“Mamma…”
fece una pausa, era un saluto “si sto bene… sai sono in un posto
dove tutti stanno festeggiando un matrimonio che non c’è
stato… molto, molto antireligioso, c’è il
prese che è ubriaco, credo che se ci fossi tu prescriveresti un totale
di confessioni e un paio di scomuniche…” rise, e sorrisi anche io
mentre me ne andavo.
E
così si concluse anche il fatidico matrimonio che tutta la famiglia Zampieri agognava tanto. E direi che alla fine tutti furono
soddisfatti.
Anche
se aveva passato una giornata pessima alla fine mia cugina Ines aveva trovato
la sua anima gemella, ovvero il fratello maggiore di Milla che era passato a
prenderla. E quindi anche le arpie hanno il loro lieto fine. Il figlio lo aveva
chiamato Fabio, nonostante Milla si fosse opposta. Il
signori Vincenzi si erano ripresi in casa i tre
figli, e avevano persino fatto amicizia con Dario, il fidanzato di Giò. Così Sam era riuscito dopo tanto tempo a
riconquistare il possesso della sua brandina. Mio fratello non aveva concluso
nulla con la ragazza che aveva cercato di abbordare. Milla aveva abbandonato la
sua fede biologica per darsi agli sport estremi, e probabilmente ora è
intenta a sperimentare il paracadutismo.
Sam
era diventato vegetariano e aveva una mezza storia con l’indisponente
Marina. Marlene e Gaia continuavano a odiarsi. La lavatrice che avevamo
regalato a Ines per il matrimonio c’era stata rimandata indietro,
perché se rimaneva ad abitare coi genitori era inutile, e per mancanza
di altro spazio era stata posizionata in camera mia.
E
io e Delfina…stiamo insieme, più o meno e I think I love her…
sarà il potere delle pesche.
E
in tutto questo la cosa che mi secca di più è che
astrologicamente sarò per sempre vergine… che scatole!
The End
Ed eccoci giunti alla fatidica
conclusione. Sì lo so, è banale e scontata, ma io amo i lieti
fine. Di solito preferisco i finali allegri ,ma a
sorpresa del tipo: Sam si mette con Milla, Marco si innamora di Giò e Delfina scappa col prete, ma questa idea di
finale sarebbe stata piuttosto inverosimile, perciò ho optato per
qualche cosa di più classico.
Questa storia è
nata principalmente incentrata su un matrimonio, dopo aver letto un articolo su
Nonciclopedia su come sopravvivere a una cerimonia
nuziale, e aver visto la foto di un tipo che vestito di tutto punto davanti a
una chiesa guardava l’obbiettivo della macchina fotografica decisamente
sconsolato. Poi però sono apparsi Sam Milla Delfina e tutta la banda
relegando il matrimonio a ruolo marginale.
Dopo aver iniziato a
scrivere questa storia ho scoperto una canzone di J-ax
intitolata Di sana pianta, che mi ha ricordato un sacco questa storia, mi ha fatto
ridere e ha finito per diventare la colonna sonora del mio racconto.
Questa è una delle
poche storie a cui non ho elaborato un seguito (mi capita spesso di trovare dei
seguiti, faccio fatica a scrivere la parola fine), ma sembra proprio che per
Marco & co. Sia finita così.
Spero che vi abbia
divertito come ha divertito me scriverla, grazie a tutti per i commenti, averla
aggiunta nei preferiti e avermi dato man forte tifando per uno o l’altro
personaggio. (Grazie in particolare a The Corpse Bride, AnimaDannata e
Lidiuz93 che hanno commentato l’ultimo capitolo.)
E Grazie tante anche a
chi mi ha sostenuto a suon di melanzane. (Chi
PUO’ capire capisca!!!)
GRAZIE e alla prossima.
Aki_Penn