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Autore: Gurubell    10/09/2015    4 recensioni
Immaginate un tempo in cui Hogwarts ancora non esiste e Beauxbaton ha solo una ventina d’anni. Un tempo in cui i maghi non sono ancora ufficialmente entrati in clandestinità, ma devono cercare di tenere comunque i loro poteri nascosti ai Babbani, che vogliono processarli e (tentare di) ucciderli mandandoli al rogo. Un tempo in cui i giganti sono ancora molti e vivono nascosti, ma liberi, controllati da un apposito Dipartimento del Concilio dei Maghi (oggi conosciuto come Ministero della Magia).
Immaginate cosa potrebbe succedere se proprio i giganti si ribellassero e iniziassero ad attaccare i maghi...
E’ in questo clima di tensione che nasce la nostra storia, l’avventura dei quattro Fondatori della più grandiosa scuola di magia e stregoneria di tutti i tempi, delle loro famiglie e dei loro amici. Vi siete mai chiesti cosa li avesse uniti? Cosa li avesse portati a decidere di fondare una scuola? Ebbene, state per scoprirlo...
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: I fondatori, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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N.D. JD
Squillino le trombe signore e signori, perché il nuovo capitolo è arrivato!
Sì, proprio così... finalmente ce l'abbiamo fatta. Amateci *inchini, inchini, inchini*
Solo poche parole perché sono certa che siete impazienti di leggere. Speriamo davvero che i personaggi vi piacciano, che siano come ve li eravate immaginati eccetera eccetera e che abbiano tutti il giusto spazio... ogni personaggio compare in più atti, quindi non siate frettolosi e godetevi tutto con calma, perché tutti saranno in parte protagonisti.
Fateci sapere com'è ora che si entra nel vivo. Buona lettura,
JD




001 – CAPITOLO 1. UNA FESTA DA NON DIMENTICARE


Atto primo: nervosismi e presagi infausti

Elaine Rose Lancaster era ben consapevole del motivo per cui era stata invitata alla Villa dei Gryffindor. Non era certo per la su influenza o importanza all'interno della società, dal momento che non era altro che una donna con la fortuna di aver ottenuto una discreta carica all'interno del Concilio dei Maghi. Non era per la sua indiscutibile bellezza, per i suoi occhioni azzurro ghiaccio, per il suo innegabile charme, per gli splendidi capelli castani, lunghi e ondulati o per i suoi modi decisamente raffinati e appropriati, poiché nemmeno quelli, prima d'ora, erano riusciti a farla entrare nelle grazie di Lord Leon. Era invece per la sua notevole astuzia, per la furbizia che aveva dimostrato nel suo lavoro. Per l'idea geniale che aveva avuto...
Elaine era il Capo del Dipartimento di Controllo e Uso Locale di Orchi e Giganti, un piccolo dipartimento dalla sigla tutt'altro che invitante, fra i primi nati all'interno del Concilio, ed era merito suo se fino ad ora le ingombranti creature erano rimasti al servizio dei maghi, impresa tutt'altro che semplice. Da qualche mese, però, i Giganti avevano creato problemi, sfuggendo al controllo del Dipartimento e compiendo sporadici attacchi alle comunità di maghi e streghe e anche a qualche babbano.
Per questo motivo, il capostipite dell'importantissima famiglia Griffindor l'aveva invitata alla sua festa di Halloween. Per questo motivo, la bellissima ed elegantissima ventottenne, si trovava ai piedi della scalinata di marmo rosso che portava all'ingresso di Villa dei Leoni. Per l'occasione aveva sfoggiato un abito bordeaux ricco di ricami dorati con ampie maniche lunghe che sfioravano il suolo, solo parzialmente coperto da un mantello leggero color oro pallido. La mise era chiaramente un omaggio al padrone di casa, secondo l'antica usanza delle Prime Streghe, che poche dame ricordavano ancora. Era certa che ai piani alti l'avrebbero notata, che qualcuno avrebbe apprezzato.
Assieme a lei c'erano i suoi sottoposti, Meredyth Penshaw e Levhai O'Gallagher, entrambi tanto alti da spuntare come due colonne alle sue spalle. Tanto diversi nell'aspetto, occhi e lisci capelli castano scuro lei, ricci biondi e occhi grigio-verde lui, i due erano accomunati principalmente dal loro essere di poche parole, ma ambiziosi almeno quanto Elaine.
La ragazza indossava un lungo abito color cenere, semplice ed elegante, e un mantello verde acqua intessuto d'argento. Era un abbigliamento poco costoso, ma d'effetto, che la faceva sembrare più slanciata e contribuiva a farla sentire meno a disagio, nonostante la pressione di quel momento. La sua scarsa autostima certo non aiutava, eppure riusciva perfettamente nell'intento di non mostrare al mondo il suo nervosismo crescente.
L'unica altra occasione in cui era stata all'interno della Villa era stato quando aveva conosciuto Charles, quel meraviglioso giorno in cui aveva trovato il suo migliore amico. Mentre saliva la scalinata si ritrovò a pensare al suo passato difficile, ma anche a come ogni doloroso passo della sua esistenza l'avesse portata a quel delicato momento, in cui avrebbe però avuto a sostenerla, le sue due persone preferite: Charles e Levhai. Non era stato affatto facile superare il continuo abbandono di coloro che amava, quindi il solo fatto che loro due fossero sempre accanto a lei, senza secondi fini né l'intenzione di lasciarla ancora sola, bastava a renderla felice, a farla sentire più forte e amata. Anche per questo, pensando a ciò che aveva accettato di fare, si sentiva terribilmente in colpa!
Lev avanzava a poca distanza dalla sorella adottiva Meredyth, sfoggiando il suo miglior sorriso inquietante e la sua andatura rigida e composta, all'interno del completo da cerimonia color fondo di bottiglia. Era soddisfatto dall'idea della serata, che immaginava come un piacevole modo per sfogare le frustrazioni della vita. Questo perché non era minimamente a conoscenza del vero motivo per cui loro tre erano proprio in quella casa, in quel momento...
Giunto sulla soglia della Villa un'ombra gli passò accanto, lieve come un sospiro.
"Corri, scappa, va' via; stai lontano da questa dimora; non ti fidare di nessuno; non bere, parla poco", gli sussurrò una voce fredda e dal tono vagamente femminile.
Altre parole cercarono di risalirgli nel cervello, assieme a confuse immagini di uomini che corrono, ma con un gesto infastidito le scacciò. Istantaneamente il mal di testa fece capolino, come succedeva ogni volta che si allontanava dalle sue visioni. Ma non era quello il momento di cedere alle ombre che lo seguivano fin da bambino. Quella serata di svago con l'amata sorellastra e l'amico Charles non se la sarebbe fatta rovinare.
Varcò la soglia con solo un paio di passi di ritardo dalle sue compagne di viaggio, massaggiandosi le tempie per alleviare il dolore. I tre furono quindi accolti dalla famiglia Gryffindor al completo: lady Hellen era radiosa, nel suo abito ampio e dorato con sottili ricami scarlatti, completato a meraviglia da un sorriso spontaneo che metteva subito di buon umore; lord Leon emanava un aura di regalità che ispirava rispetto, pur avendo adottato un abbigliamento dal registro quasi informale, col gilet color borgogna sbottonato e le maniche della camicia arrotolate al gomito. I cinque figli erano incredibilmente simili fra loro, tutti con gli stessi occhi azzurri chiazzati di marrone e le espressioni serie, alcuni con i capelli più biondi e altri più rossicci, ma sempre a boccoli. I lineamenti del viso non mentivano: quelli erano senza alcuna ombra di dubbio i figli dei coniugi Gryffindor.
Rimanevano composti alla loro destra, in ordine d'età, sfoggiando sorrisi visibilmente falsi e forzatamente tirati, racchiusi in abiti troppo eleganti e pomposi.
«Benvenuti cari, accomodatevi pure, la festa è al piano di sopra. Siete leggermente in anticipo, ma non importa, il buffet è già in tavola e il concerto inizierà tra pochi minuti» li salutò calorosamente Hellen, regalando sorrisi e abbracci sinceri, pur non essendo in gran confidenza con gli ospiti invitati dal marito.
«Signori, forse non tutti li conoscete, quindi ho il piacere di presentarvi i miei figli» aggiunse quindi Leon «il ragazzone è Godric, il mio primogenito, poi ci sono Amande, Johany, Henric e infine la nostra bambina prodigio Elenore».
«E' un vero piacere conoscervi» disse la più piccola esibendosi in un inchino particolarmente accentuato, accompagnato da un gesto elegante con la mano.
«Seguite pure Godric, che vi accompagnerà nel salone dei banchetti» disse quindi Leon, dopo una distaccata stretta di mano ai tre ospiti.
Gli altri figli accennarono un inchino col capo e non appena gli ospiti ebbero superato la curva delle scale, rilassarono le spalle e tirarono un piccolo sospiro di sollievo.
Da dietro la colossale statua di Andros l’Invincibile, – primo mago a creare un patronus a forma di gigante – situata al centro della curva delle scale, nell'atrio, stava nascosta Raye Pendragon, la servetta di Elenore nonché paggio non ufficiale di Godric. Ella amava nascondersi da qualche parte nell'immessa tenuta dei Gryffindor ad ascoltare discorsi e seguire le vicende dei suoi abitanti, forse proprio per via della sua indole tutt'altro che da ragazza del Medioevo...
In quel momento era proprio curiosa di osservare l'arrivo degli ospiti, cui non era ovviaente autorizzata a partecipare. All'ingresso della delegazione del Concilio, riuscì quindi a notare molto bene la strana reazione del ragazzo, Levhai. Non era la prima volta che lo vedeva, ma non aveva mai avuto gran che a che fare con lui, che era principalmente un amico del suo "bro" Charles. Per questo motivo le sembrò davvero curioso il modo in cui aveva esitato, ad un passo dal portone della Villa. Lo vide chiaramente scacciare un qualcosa di invisibile, con l'espressione concentrata di chi è fermamente intenzionato a pensare ad altro. Ma non ebbe il tempo di pensare troppo a quella piccola stranezza, poiché dopo una breve presentazione, gli ospiti seguirono Godric su per la scalinata.
«Pst! Pst! Dric!» bisbigliò guardando verso l'alto, nel punto da cui dalla scala il ragazzo avrebbe potuto vederla, semplicemente con un'occhiata verso il basso. Ma il primogenito Gryffindor la ignorò bellamente, limitandosi ad un gesto spazientito oltre il parapetto.
"Questa me la paghi, brutto scimmione idiota!" pensò quindi la ragazza, irritata dall'affronto del venire ignorata. Cominciò quindi a pensare ai mille e uno scherzi da poter macchinare ai danni del ragazzo, con le braccia incrociate al petto, seduta a gambe incrociate dietro alla sua statua. Probabilmente avrebbe dovuto coinvolgere Charlie, ma non sarebbe stato un grosso problema. Più difficile sarebbe stato passare inosservata in mezzo agli eleganti ospiti della festa, visti i suoi abiti tutt'altro che da lady.
"Devo cercare in uno dei bauli di roba vecchia di Amande. So già cosa fare!" pensò mentre faceva scattare il passaggio segreto sotto le scale, ora del tutto disinteressata agli altri ospiti dei suoi padroni.
 

Atto secondo: di manici di scopa e utilizzi scorretti

«No.»
Lord Artax cercò di sorridere nel modo meno forzato possibile mentre i padroni di casa si avvicinavano per accogliere la famiglia Hufflepuff, appena giunta all’interno dell’immenso salone da ballo.
«Oh, andiamo!» protestò Lady Freya a bassa voce «Una fattura sui supporti del palcoscenico? Una fatturina piccola piccola… solo nel punto dove canta Daphne…»
«Amore, no» rispose l’altro, sempre sussurrando a denti stretti «niente fatture, niente polvere urticante, niente incantesimi della calvizie e niente ceffoni in pieno viso. A nessuno dei due.»
Tese rapidamente la mano verso Lord Leon che li aveva appena raggiunti: « E niente umiliazioni pubbliche di nessun genere.»
«Chi ha parlato di umiliazioni?» domandò con un sorriso il capofamiglia dei Gryffindor, non accorgendosi dell’insistente sguardo omicida che gli stava rivolgendo Lady Hufflepuff «Alistair si è sentito offeso da qualcuno ancora prima di giungere alla nostra meravigliosa festa?»
Artax pregò i propri avi affinché la moglie non ne combinasse una delle sue e strinse il padrone di casa in un vigoroso abbraccio. Adesso che si trovava serrato nella presa dell’enorme ospite, il fiero Lord Leon ricordava molto un gracile adolescente.
«E’ un piacere rivederti, amico mio» rispose il gigante, irrigidendosi non appena il rosso si inchinò di fronte alla sua signora.
«Buonasera, Lady Freya»
«Buonasera» sibilò freddamente l’altra, per nulla intenzionata ad abbattere il muro del distacco «trovo deliziosi gli addobbi del salone. Immagino sia opera della tua consorte…»
«In parte sì» rispose cautamente Lady Ellen «naturalmente è stato necessario l’aiuto della servitù e…»
«Oh, suvvia, non essere modesta » la interruppe Freya, abbracciandola «è tutto assolutamente perfetto. Certo, forse avrei scelto un altro genere musicale per accompagnare l’evento, ma…»
«Miei signori!» s’intromise immediatamente Lord Artax con un tono di voce eccessivamente alto, facendo voltare diversi invitati «E’ da un po’ di tempo che non vedete le mie figlie!»
Con un cenno dell’enorme mano indicò le due ragazze che erano rimaste in piedi e in silenzio dietro i genitori.
Helga fece un passo avanti, arrossendo leggermente e tenendo lo sguardo rivolto verso terra.
« Buonasera, Lord e Lady Gryffindor.»
Aveva sistemato i lunghi capelli biondi in modo che le ricadessero davanti al petto generoso, coprendo la scollatura.
Dietro di lei, invece, Hanna, la medium, restò perfettamente immobile: a differenza del resto della famiglia, abbigliata con abiti in cui i colori dello stemma degli Hufflepuff, nero e oro, erano distribuiti molto equamente, indossava un lungo abito quasi interamente nero - smorzato giusto da qualche piccola decorazione dorata - che seguiva la linea delle sue curve poco accentuate e creava un forte contrasto con la sua carnagione pallida.
Aveva solo cinque anni in più della sorella, ma sembrava molto più vecchia. I capelli biondo platino erano raccolti ordinatamente in una treccia, mentre i suoi occhi di ghiaccio scrutavano impassibili i padroni della villa. Non si tolse i guanti quando Lord Leon le baciò la mano e rispose con un monosillabo accennato ai saluti che le vennero rivolti.
«Volevo anche presentarti un’altra persona» disse poi Lord Artax, rivolto all’amico «l’ho invitato alla festa apposta, è un ragazzo incredibilmente sveglio che sarebbe molto utile per riparare il manico della tua vecchia scopa, ma a quanto pare ha preferito defilarsi…»
«Oh, la tua vecchia scopa ha problemi, Leon?» domandò Freya con finta innocenza «Forse dovresti cominciare ad abusarne di meno…»
«L’ultima volta che ho visto Ignis» s’intromise timidamente Helga, notando lo sguardo allarmato del padre «si stava dirigendo verso il banchetto, se vuoi vado a cercarlo. Anche Lilah è sparita.» aggiunse, riferendosi all’amica prostituta che aveva l’abitudine di seguire la famiglia Hufflepuff ad ogni ricevimento - i clienti, a detta sua, erano sempre più attivi e bendisposti alle feste.
Ricevuta una risposta affermativa, Helga salutò i Gryffindor con un inchino e cominciò ad aggirarsi tra la folla. Non riusciva a fare a meno di sentirsi esageratamente ingombrante.
Non ci volle molto prima che trovasse uno dei due oggetti della sua ricerca: adagiato scompostamente su una sedia, con un boccale di vino stretto nella mano, i folti ricci castani ed il sorrisino di circostanza della servetta con cui ci stava provando, Ignis Derrk non era certamente difficile da individuare.
Helga sospirò, si avvicinò al giovane e gli batté delicatamente la mano sulla spalla.
«Quando avrai finito di importunare questa ragazza, per cortesia, seguimi: mio padre chiede di te.»
Ignis si voltò lentamente, con aria quasi annoiata. Abbozzò un sorrisetto, mostrando un oggettino di forma sferica che teneva in equilibrio sul palmo della mano.
«Sei una guastafeste, Helga. Stavo soltanto mostrando a questa deliziosa signorina la mia ultima invenzione…»
«E sono sicura che lei l’ha trovata meravigliosa, pensa che tu sia un genio e non vede l’ora di sposarti» rispose ironica la figlia di Lord Artax «ora, però, lasciale fare il suo lavoro e vieni con me.»
Il ragazzo sospirò: posò con flemma il boccale di vino sul tavolo, si alzò e, scompigliandosi i capelli, lanciò un’occhiata astuta alla cameriera.
«Spiacente, devo abbandonarvi, dolce fanciulla. Il dovere mi chiama.»
«Non Vi preoccupate, mio signore» rispose spiccia quella, afferrando un vassoio e dirigendosi a falcate in direzione dell’uscita più vicina.
Ignis scosse la testa con un sorrisetto, mise in tasca l’ultima delle sue innumerevoli invenzioni e rispose con una risata allo sguardo severo che gli stava lanciando Helga.
«Oh, andiamo! Mi stavo solo divertendo un po’, siamo ad una festa!»
«Non so che divertimento ci sia nel provarci con qualsiasi essere umano di sesso femminile» borbottò la bionda, mentre si avviavano verso il punto del salone dove Lord Artax e Lord Leon stavano ancora amabilmente disquisendo «comunque, non importa. Ognuno ha le proprie debolezze. Spero soltanto di non vederti fare il cascamorto anche con Lady Gryffindor…»
«Credo che tu abbia una visione un tantino esagerata e distorta della mia personalità» sorrise il ragazzo, per nulla offeso «anche se devo ammettere che Lady Gryffindor è una gran bella pollastra, chissà se… dai, sto scherzando, Helga» aggiunse, ridendo allo sguardo indispettito della Hufflepuff.
Gli sfuggì un sussulto quando una mano grossa e pesante gli piombò sulla spalla, rischiando di fargli perdere l’equilibrio.
«Ignis! Eccoti qua, ragazzo!»
Il ventenne abbozzò un sorriso, drizzando la schiena ed ignorando il fastidioso pulsare che aveva cominciato a tormentargli la spalla offesa. Lord Artax era una persona dal cuore d’oro, ma spesso scordava di possedere una forza sovrumana.
«Avete chiesto di me, mio signore?» domandò il fabbricante di scope, scambiando un fulmineo sguardo con Hanna Hufflepuff.
«Ignis, ti presento i padroni di casa, Lord Leon e Lady Hellen» sorrise il gigantesco padrone di Rocca del Tasso, per poi rivolgersi ai coniugi Gryffindor «Miei signori, lui è Ignis Derrk, gestore della migliore fabbrica di scope del mio territorio, nonché provetto inventore.»
«Siete troppo magnanimo, mio signore» rispose Ignis, non senza una punta d’orgoglio «Lord Gryffindor ha forse bisogno dei miei servigi?»
«Sarebbe splendido se riuscissi a dare una controllatina al suo vecchio manico di scopa» spiegò Artax, assestando una micidiale pacca amichevole sulla schiena dell’amico.
«Da qualche giorno fa un po’ i capricci» spiegò dolorante Lord Leon, senza far caso alla tossetta finta di Lady Hufflepuff «Temo sia il caso di ripararla.»
«Non c’è problema, posso dare un’occhiata anche adesso» sorrise Ignis.
«Sei molto gentile, ragazzo» disse Lord Leon, con un sorriso di rimando «te la mostro subito, allora. Mia cara, ti dispiace se mi allontano per qualche minuto?» domandò poi, rivolto alla moglie.
«No, certamente» rispose Lady Hellen «non c’è problema, so gestire un salone da ballo affollato.»
«Ti aiuto io a gestirlo» s’intromise Lady Freya, prendendo la donna più vecchia sottobraccio e incamminandosi verso le lunghe tavolate imbandite «beviamoci qualcosa. Oh, è una mia impressione o la cantante ha appena stonato?»
Lord Artax osservò le due allontanarsi, non senza una certa apprensione, dopodiché circondò le spalle di Ignis con il braccio muscoloso e fece un cenno al padrone di casa: «Ebbene, mostraci la scopa ribelle. Ragazze, voi restate qui?»
«Sì, padre» rispose Helga, mentre Hanna si limitava ad annuire un paio di volte.
«Non vi preoccupate» disse Ignis, rivolgendosi a entrambe ma tenendo gli occhi grigioverdi fissi su Hanna «Tornerò giusto in tempo per un ballo.»
«Sì, d’accordo» disse la maggiore quasi soprappensiero, mordendosi all’istante la lingua non appena si rese conto della propria risposta. Distolse immediatamente lo sguardo quando lui le strizzò l’occhio e, senza aspettare commenti o reazioni da parte della sorella, si avviò impettita verso l’angolo opposto del salone, cercando una sedia libera nel punto più solitario del luogo, intimo ed oscurato dalla penombra delle grandi tende oro e cremisi.
Helga osservò la sorella allontanarsi, dopodiché sospirò. Avrebbe voluto distogliere la mente dal pensiero del cibo, magari mettendosi a cercare Lilah, ma la vista dei piatti d’oro colmi di prelibatezze, ben stretti tra le mani degli ospiti, annullò ogni sua difesa.
Senza nemmeno cercare di opprimere il fastidioso senso di colpa, si avviò spedita verso i tavoli del sontuoso banchetto.  

Atto terzo: luci e ombre della vendetta

L'affascinante cinquantenne Lord Maxwell Ravenclaw, arrivò dunque senza la moglie, salvando però l'immagine con la sua tipica ed intellettuale puntualità. Indossava i colori della propria casata, blu scuro, nero e argento, in un completo elegante e raffinato che esaltava ulteriormente la sua bellezza senza tempo. Ad accompagnarlo c'erano la figlia venticinquenne, Rowena, in un inconsueto abito nero ricamato a fiori blu; il figlio ventenne Cormac, graziosamente imbronciato da una crisi dovuta al completo elegante che aveva dovuto indossare al posto dell'amata cotta di maglia; e il suo servitore, Ethan Blake Clainwords.
Quest'ultimo non sapeva più come contenere l'emozione di essere stato scelto per l'uscita a Villa dei Leoni. Certo, si sentiva un po' in colpa per aver lasciato suo fratello Aaron a Reggia dei Corvi da solo, ma il Lord aveva chiesto solo di lui per questa occasione. E che occasione, visto che quella era la casa in cui vivevano il suo amico Charles e la piccola palla al piede, ma pur sempre simpatica, Raye. Contava proprio di incontrarli e passare una piacevole serata assieme a loro. Era consapevole di dover anche adempiere al suo lavoro, certo, ma in fondo si trattava di una festa e c'erano già molti servitori nell'immensa dimora dei Gryffindor! Ovviamente questa sua agitazione interiore somigliava più all'euforia che alla gioia e di certo non intaccava la sua espressione severa, che solo ad uno sguardo più attento appariva quasi triste.
All'arrivo alla Villa furono accolti solamente dai figli dei padroni di casa, impettiti e dall'inchino facile, che si limitarono a saluti di circostanza piuttosto imbarazzati. Una delle graziose fanciulle, Amande, si offrì volontaria per accompagnarli lungo la scalinata di marmo rosso, verso la sala dei banchetti. Aveva l'espressione emozionata di chi sta vivendo un sogno ad occhi aperti... e quel sogno pareva proprio essere il ragazzo Ravenclaw.
La ragazza faceva loro strada, voltandosi di volta in volta per sorridere al gruppo di ospiti, tanto che verso la fine inciampò nell'ampio abito di seta dorato rischiando di finire con la faccia sugli scalini, se non fosse stato per l'immediato intervento di Cormac, che la sorresse all'ultimo secondo.
«Fai attenzione, mia signora, non vorrai farti del male ad una festa? Reggiti al mio braccio» le disse con un sorriso smagliante stampato sul volto.
E così percorsero gli ultimi gradini, entrambi rossi in volto e sorridenti più che mai.
Raggiunta la sala Lord Maxwell richiamò il figlio alla realtà con una stretta alla spalla e dopo un piccolo inchino, i due ragazzi si separarono.
«Spero che tu non ti sia preso una cotta per la figlia di Lord Leon, Cormac. Lo sai che tua madre non ti permetterebbe mai di stare con una maganò» disse l'uomo guardando con espressione triste il suo unico figlio maschio.
«Ma papà, a me non importa che sappia o meno fare magie! Lei è così bella e intelligente... mi piace proprio un sacco» replicò quello ancora più imbronciato di quando era partito da casa senza armatura.
«Sono certo che troveremo la ragazza giusta per un matrimonio combinato per te molto presto, figliolo. Ma adesso andiamo dalla mamma».
Cormac sapeva che era inutile insistere a parole, quindi si incamminò verso il palchetto dove stavano le Salamandre Dorate, pur continuando a pensare agli occhi di zaffiro della sua Amande...
«Ethan, ragazzo, portaci qualcosa da bere e degli stuzzichini dal buffet, poi sarai libero di goderti la festa. Rimani all'interno del salone e non combinare guai; se avremo bisogno di te ti chiameremo. Non sono disposto ad aspettare a lungo, lo sai, quindi non sparire!» disse Maxwell al suo servitore, prima di congedarlo. Egli si mise quindi all'opera per obbedire, con l'euforia che montava sempre più potente in lui.
Nel frattempo, i Ravenclaw si erano riuniti sotto il palchetto sospeso. Lord Maxwell baciò lievemente le labbra della moglie.
«Buona fortuna mia signora, sono certo che sarai splendida come sempre» le disse «e porgo i miei omaggi anche a te, lady Bianca» proseguì rivolto alla cugina di lady Daphne, una ragazza tanto pallida quanto il suo nome, con capelli talmente chiari da sembrare bianchi anch'essi e occhi di un azzurro quasi slavato.
Bianca Greengrass era da poco rimasta orfana e nascondeva un terribile segreto, in proposito. Prima di scomparire misteriosamente, i genitori le avevano trovato però un promesso sposo e quella serata avrebbe dovuto essere l'occasione del loro incontro ufficiale, oltre che del suo debutto nelle Salamandre Dorate, come corista. A lei importava davvero poco del ragazzo, uno dei figli di lord Slytherin, e per quanto la riguardava poteva anche morire. Non aveva chiesto lei di sposarsi, non aveva chiesto lei di venire rinchiusa in quella stanza in attesa di questo giorno! Ma ora era libera di fare ciò che più preferiva e anche partecipare alla festa di Halloween dei Gryffindor era stata una sua scelta. Avrebbe incontrato comunque quel Christopherus, se fosse capitata l'occasione, ma nulla di ufficiale e artificioso come avrebbero voluto i suoi stupidi genitori morti.
«Grazie, Maxwell. Sei sempre molto gentile» rispose quindi con la sua vocina delicata, da brava ragazza, perfettamente abbinata al suo aspetto etereo e buono, quasi ingenuo, in una sorta di macabro ossimoro della sua personalità «sono molto agitata, ma abbiamo provato molto e sono certa che sarà tutto... meraviglioso» concluse con un sorriso che sarebbe parso sinistro, a chiunque l'avesse conosciuta davvero. Però nessuno conosceva a fondo Bianca, il suo passato, la sua seconda vita...
Ethan tornò con un vassoio più grande di lui, contenente panini al burro con paté di cinghiale e prosciutto salato, crocchette di riso al miele e noci, spiedini di anatra al limone e calici di Vino Elfico. Conosceva bene i gusti dei suoi padroni e sapeva che così li avrebbe accontentati – e tenuti buoni per un bel po'. Posò il vassoio su un elegante tavolino intarsiato, lì accanto, fece un inchino e attese il cenno del lord, dopo di che si allontanò mescolandosi tra la folla. Non amava affatto essere circondato da tante persone, perciò pensò di cercare un angolo appartato da cui vedere tutto e tutti e trovare i suoi amici.
Giunto nei pressi della scalinata da cui erano venuti si imbatté però in Raye, curiosamente elegante, con un abito giallo e azzurro, pieno di ricami, pizzi e cose da ragazza.
«Hey rompiscatole, cosa ti ha spinta a conciarti in quel modo? Sembri quasi... femminile» le comunicò guadagnandosi la peggior occhiataccia del secolo.
«Molto spiritoso Clainwords, ma non faresti ridere nemmeno una iena! Piuttosto, sarebbe utile che mi aiutassi a trovare Charlie. Ho in mente uno scherzo mica da poco da fare a quel barboso di Godric e questa volta non se lo scorderà facilmente...» rispose la rossa tirandolo poi per una manica e guidandolo verso il centro della sala.
Non riuscivano a trovare l'amico da nessuna parte, ma in compenso trovarono Meredyth e Levhai, anch'essi intenti a cercare Charles, nei pressi del buffet.
«Ciao Raye, hai per caso visto...» iniziò la ragazza, ma i due non la fecero nemmeno finire. Afferrarono una tartina al formaggio e corsero via, senza nemmeno fare caso a ciò che li circondava.
Durante la ricerca, Ethan era venuto a conoscenza del piano di Raye e sapeva perfettamente come metterlo in pratica: aveva bisogno di Bianca, prima che ricominciasse a cantare, quindi i due si separarono. Lei proseguì nella sua ricerca, mentre lui tornava dai suoi padroni pensando ad un modo per convincere la Greengrass a prestargli un po' di Pozione Polisucco, senza cui la ragazza non usciva mai di casa.
Non avrebbe dovuto saperlo, ne era consapevole, ma gli era capitato moltissime volte di vederla giocherellare con una boccetta all'interno della sua borsa e l'aveva vista fabbricarla nei sotterranei di Reggia dei Corvi. Non era sua intenzione spiarla, però era nella sua natura, era più forte di lui a volte, ficcanasare.
La trovò ai piedi della scala secondaria che portava al retro palco. Se ne stava a braccia conserte, appoggiata ad una colonna, ad osservare movimenti nella sala in attesa dell'inizio del secondo tempo.
«Signorina Bianca, la prego lo so che è sconveniente da parte mia, ma non è che potrebbe prestarmi la sua Pozione Polisucco?» chiese con la voce tremante e lo sguardo basso.
«Cosa ti fa credere che io ne possegga? E per che cosa dovrebbe servirti?» indagò la bionda, incuriosita più che adirata. Non aveva alcuna intenzione di donare anche solo una goccia della sua preziosissima scorta, anche perché non avrebbe mai ammesso di possederla.
«Una piccolissima vendetta, mia signora».

Atto quarto: vergogna e brividi, da smuovere le budella

Godric Gryffindor, ai banchetti era solito perdersi nei suoi pensieri, estraniarsi dal contesto in cui si trovava e vagare sovrappensiero. Amava osservare le persone e cercare di farsene un'idea. Quella sera ad attrarre maggiormente il suo sguardo era la bella Rowena Ravenclaw, che se ne stava seduta su una poltroncina a leggere, sbocconcellando una crocchetta senza troppo entusiasmo, con un calice di vino accanto a sé su di un tavolino dall'aspetto delicato. Gli occhi celesti si muovevano ad incredibile velocità lungo i sottili caratteri del libro, i lunghi capelli corvini erano legati in una pratica crocchia, le labbra rosate erano incurvate in un sorriso enigmatico, difficile dire se dovuto a ciò che stava leggendo o ad altro. Difficile era anche dire se stesse leggendo davvero, o fosse solo un modo come un altro per non essere disturbata e potersi godere i propri pensieri in santa pace.
Il primogenito di Villa dei Leoni aveva pensato a tutte quelle cose e anche a molte altre, ma non gli importava granché: voleva presentarsi a quella bellezza tanto diversa dalle altre dame nella stanza, intente chiacchierare o ballare o mangiare o appartarsi... Rowena era perfettamente al centro dell'attenzione, ma nessuno osava avvicinarsi.
Nessuno tranne Godric, appunto. Il giovane dai capelli dorati prese coraggio e andò dritto verso la mora, sfoggiando il suo miglior sorriso e il suo passo più sicuro.
«Milady, vi hanno già informata che siete la più bella donna della stanza?» una frase d'effetto, si disse Godric. Era sua.
«E hanno mai informato voi, del fatto che non si disturba una persona che sta leggendo?» rispose però lei, senza distogliere lo sguardo dal proprio libro.
"Che stesse leggendo davvero?" pensò allora Godric, preoccupato "Ma quale folle leggerebbe durante una festa?".
«Le chiedo perdono, mia signora, ma la vostra bellezza mi ha confuso. Sono certo che sarete magnanima con un povero lord innamorato...» con quella frase era convinto di stenderla.
«Innamorato, dunque. E quando mi chiederete di sposarvi? Sono una ragazza all'antica, io. Se vi inginocchiate subito potrei anche darvi un primo, casto bacio...» la Ravenclaw lasciò il Gryffindor totalmente a bocca aperta. Faceva sul serio o si stava prendendo gioco di lui? Stava iniziando ad agitarsi, così quando un bitorzoluto elfo domestico gli porse una coppa di vino non ci pensò nemmeno per un istante, la afferrò e ne prosciugò il contenuto.
Stava per ripartire all'attacco quando si sentì mancare il fiato, la gola gli si era seccata terribilmente e ogni piccola parte del suo corpo era come in preda alle fiamme. Lasciò cadere la coppa e si afferrò la gola, crollando in ginocchio.
Quando riaprì gli occhi stava guardando Rowena da una prospettiva decisamente diversa, decisamente più bassa...
«Non credevo proprio di fare questo effetto, milord. Vi chiedo perdono, ma...» la ragazza non riusciva più a trattenere le risate «è inutile che vi inginocchiate, non credo di poter... accettare la vostra richiesta di matrimonio» proseguì ridendo «potete pure rialzarvi».
Godric guardò il proprio riflesso attraverso la superficie lucida del vassoio e quello che vide lo lasciò ancora più senza fiato: il suo aspetto era il medesimo di quello del guardiano delle stalle, un vecchio nano barbuto e ingrigito. L'incantesimo durò solo pochi minuti, ma anche quando tornò sé stesso l'imbarazzo non de ne andò.
«Col vostro permesso mia signora, credo che andrò ad uccidermi da qualche parte» fece quindi un inchino e corse lontano dalla lady di Reggia dei Corvi.
 
Non molto lontano da quella scena, Charles Marchbanks tratteneva a stento le risate, mentre Raye si spanciava senza ritegno e Ethan si limitava ad annuire soddisfatto anche se le sue abbra rimanevano ostinatamente incurvate nel verso sbagliato.
«Per le vacche di Apollo, ragazzi, siete stati proprio crudeli con Godric... in fondo non aveva fatto nulla di male e se non la smetterete con questa storia degli scherzi prima o poi vi farete del male sul serio!» a parlare era stata Alex, il fantasma dell'ordine, che nessuno aveva ancora capito se fosse maschio o femmina.
Anche dopo la morte, la ragazza un tempo chiamata Alexandra Neokleos, aveva infatti mantenuto l'aspetto mascolino che aveva prima, con i corti capelli ricci e gli abiti di taglio maschile. Attraverso il suo pallore si intravedevano ancora le centinaia di lentiggini che macchiavano la sua pelle candida.
«Alex, senti chi parla! Quando la smetterai di prenderci in giro sul tuo sesso allora potrai giudicare i nostri scherzi» le rispose Charles tornando serio per un attimo.
«Ma il mio è uno scherzo innocente, simpatico, non fa male a nessuno e rallegra le deprimenti giornate di un povero fantasma! Ma cosa volete capirne voi, della morte...» e detto quello attraversò il corpo del castano provocandogli un violento brivido di freddo.
«Ho mai detto che odio i fantasmi? Perché credo di odiarli sul serio!» disse quindi lui rivolto più a Ethan che a Raye, la quale non riusciva ancora a smettere di ridere.
Poco dopo li raggiunse anche Meredyth, la quale pareva avere occhi solo per il maggiore dei tre, ancora teneramente imbronciato.
«Finalmente ti ho trovato, Charles! Dove ti nascondevi? Anche Lev vuole vederti, sai? Dovresti proprio venire con noi al buffet così potrai raccontarci qualche novità» disse lei dopo un'occhiataccia agli altri due, ancora offesa per il trattamento ricevuto poco prima.
«Ehm, ora sono con loro. Cioè, ci vengo volentieri però mi dispiace andarmene così» per un attimo era rimasto confuso. Non capiva cosa volesse fare davvero e se ne stava imbambolato, spostando lo sguardo tra i due amici e la ragazza.
«Certo che vuole venire! Vero Charlie? Non vedi l'ora di passare del tempo con Mer...» si inserì allora Raye per indirizzare il suo migliore amico verso la "giusta via" «offrile il braccio e andate!» aggiunse sollevandogli addirittura il braccio.
«Oh, non chiamarmi così... però... va bene, se lo dite voi...» ancora stranamente confuso il ragazzo si incamminò al fianco di Meredyth, tenendola sottobraccio.
«Ci sei mancato molto in questi giorni, abbiamo ricevuto solo due lettere e ci stavamo preoccupando...» Meredyth parlava al plurale, inserendo anche il suo fratellastro, anche se la verità era che avrebbe tanto voluto sentirsi libera di ammettere di essere solo lei a preoccuparsi tanto, a sentire tanto la sua mancanza...
Raggiunsero la zona del buffet adibita ai dolci e alle birre e trovarono Levhai intento a scegliere un pasticcino fra i centinaia disposti sul tavolo, in ordine di colore. Ne prese uno alla panna, completamente ricoperto da fragoline di bosco e lo addentò, sempre cercando di non pensare al mal di testa che lo tormentava.
Quando i loro sguardi si incontrarono, i due ragazzi si strinsero in un poderoso abbraccio amichevole.
«Charles! Qual buon vento eh? Non c'era occasione migliore di una bella festa, per onorare la notte a noi dedicata» esordì il castano «credo proprio che andrò a fare due passi, ma voi dovete proprio assaggiare questi pasticcini con un sorso di birra ambrata!» e con questo si accomiatò da loro, lasciandoli soli.
In quel momento fecero il loro ingresso in sala gli Slytherin, attirando l'attenzione di tutti...

Atto quinto: quello che gli uomini vogliono

Alistair Slytherin si guardò attorno con fare flemmatico, mescolando distrattamente il vino contenuto nel calice dorato con movimenti circolari del polso.
Si impegnò non poco per evitare sgradevoli pensieri dovuti alla sensazione di essere perennemente osservato e giudicato, ma la verità era che ormai ogni vecchia abitudine sembrava ermeticamente radicata in lui.
“Guardatelo!” gli pareva di leggere negli sguardi dei presenti “Guardate il nobile decaduto! Guardate quell’uomo fallito!”
C’era stato un tempo in cui il padrone del Maniero delle Serpi sembrava essersi avviato sulla buona strada per vivere più serenamente, senza il timore del giudizio altrui: allora era un giovane nobile a tutti gli effetti, sua moglie era ancora viva ed il territorio da lui amministrato era una distesa rigogliosa e fertile.
Alistair aveva avuto l’impressione che tutto avesse cominciato a crollare dopo la morte di Evangeline, nonostante cercasse più e più volte di scacciare questo pensiero: lui non era un uomo superstizioso, la superstizione era affar della volgare plebaglia babbana.
Il salone era già bello affollato, ma il capofamiglia degli Slytherin era ormai abituato a presentarsi ai ricevimenti in pomposo ritardo. Bevve distrattamente un sorso dal proprio calice, dopodiché si rivolse al servetto magro e allampanato che stava sull’attenti a pochi passi da lui.
«Huck, vai a cercare quei tre squinternati dei miei figli, per favore. E cerca di tenerli d’occhio, non voglio che mettano in imbarazzo il nome della nostra famiglia… come al solito.»
«Sì, mio signore» rispose il ragazzino con un sussurro, poco prima di accomiatarsi con un breve inchino e strisciare silenziosamente tra la folla, facendo ben attenzione a non urtare nessuno.
Huckleberry Aelfgar era un quattordicenne taciturno e discreto, che sarebbe potuto passare facilmente inosservato se non fosse stato per l’indomabile zazzera bionda che si aggrovigliava sulla sua testa. I grandi occhioni neri dalle lunghe ciglia ed i lineamenti eterei gli facevano dimostrare diversi anni in meno rispetto a quanti ne avesse, tutto ciò che gli impediva di essere scambiato per un bambino di dieci anni erano i suo centosettantasette centimetri d’altezza.
Nonostante l’aspetto fisico poco maturo, Huck era un tipetto sveglio, nonché gran lavoratore: era giunto al Maniero delle Serpi in una piovosa notte d’Ottobre dell’anno precedente, scampando al massacro della propria nobile famiglia insieme all’amico River Madison.
River non ce l’aveva fatta a riprendersi dalle ferite subite durante la fuga, ma Huck era stato in grado di ottenere un posto di lavoro, arrivando, nel giro di qualche mese, a diventare il servitore personale del secondogenito di Lord Slytherin.
“Trovare quei tre non sarà difficile” pensò, evitando per un pelo di essere colpito dalla mano di una nobile invitata che gesticolava animatamente “Il vero problema sarà tenerli d’occhio”.
Conosceva abbastanza bene i tre ragazzi più grandi da poter restringere il campo di ricerca: Christopherus solitamente prendeva un singolo calice di vino rosso e si metteva a pavoneggiarsi in mezzo ad una cerchia di invitati sufficientemente illustri; Fitzwilliam si sarebbe imbucato in qualche stanza ridotta ad un bordello improvvisato o avrebbe attaccato bottone con gli ubriaconi di turno, dando fondo alle bevande alcoliche del banchetto - anche se Huck era più convinto della prima ipotesi quella sera, considerato che alla festa era presente la favorita del padroncino.
Salazar, invece, si sarebbe sistemato in una zona poco affollata, magari intrattenendo brevi conversazioni qua e là oppure leggendo un libro portato da casa, accomodato in disparte su una qualsiasi sedia, anche non imbottita.
Il quattordicenne accettò il piccolo boccale offertogli da un servitore - era convinto ne avrebbe avuto bisogno - e si scostò verso una zona un po’ isolata del salone, in prossimità di due grandi drappi color rosso porpora, accostati tra loro.
Rischiò di finire soffocato da una piccola sorsata di birra scura quando l’apertura in mezzo alle pesanti tende di seta si allargò all’improvviso, mentre Christopherus usciva con aria tronfia, rischiando di urtarlo.
«Pronto per incontrare la promessa sposa!» esclamò ridendo tra se, controllando che la cintura dei pantaloni fosse ben serrata «Devo dire che adesso sono proprio di ottimo umore… e tu cosa ci fai qui?» domandò poi, accorgendosi finalmente della presenza di Huck.
«Vostro padre…» rispose sinteticamente il servetto, facendo intendere la propria missione al primogenito degli Slytherin.
«Il vecchio ha paura che infanghiamo il suo onore» s’intromise Will alle spalle di Huck, facendolo sussultare «come se non si rendesse già abbastanza ridicolo da solo con quell’aria da eremita pomposo. E poi ha anche il coraggio di prendersela, quando gli dico che Lord Babbius sarebbe il suo migliore amico ideale!»
«Sì, d’accordo, approvo tutte le tue scemenze, Fitzwilliam» tagliò corto il maggiore «ma adesso ho il dovere di incontrare la mia promessa sposa. Divertiti.» aggiunse mentre si allontanava, gettando un’occhiata al drappo rosso dal quale era sbucato.
Huck aggrottò la fronte, ma non si sorprese quando vide una testa rossa fare capolino dalla fessura tra le due tende. La morbida tunica verde era leggermente discinta sul davanti, allargando la scollatura che metteva in risalto la curva tra i due seni floridi.
«Hai intenzione di entrare, Will, o ti serve l’ invito ufficiale?»
Il terzogenito di Lord Alistair strizzò l’occhio ad Huck e si schiarì la voce, assumendo un tono altezzoso.
«A dir l’onesta verità, Milady, credevo foste ormai avvezza alla mentalità di Lord Babbius. Lui desidera ben due inviti ufficiali, due come i Vostri bei tuberi frontali. Fitzwilliam può entrare anche senza permes…»
«Dacci un taglio» lo zittì la rossa, senza mostrarsi né scocciata né divertita «potrei farti perdere il turno. E tu, ragazzino, cosa pensi di fare?» domandò rivolgendosi ad Huck «Hai intenzione di entrare? In caso contrario ti consiglio di girare i tacchi.»
Il biondino scosse rapidamente la testa e, alzando gli occhi al cielo, si inoltrò tra la folla alla ricerca di Salazar.
Will lo osservò allontanarsi, dopodiché abbozzò un sorrisino furbo.
«A che turno sei arrivata?»
«Ha importanza?» domandò impassibile Lilah, sistemandosi senza troppa convinzione la scollatura «Sono una donna, posso andare avanti quanto voglio. Mica come voi maschietti che avete sempre bisogno di una pausa, povere anime.»
Sporse il labbro inferiore, facendo una smorfia di finto dispiacere. Alla penombra delle gigantesche tende di seta, gli occhi verdi di Lilah avevano assunto una sfumatura quasi grigiastra.
«Cosa credi, tuo fratello fa tanto lo spavaldo ma l’ho appena sfiancato. Beh, in realtà non se n’è ancora reso conto» aggiunse con fare furbo, arricciando una ciocca rossa attorno al dito indice «ha voluto farlo con il nuovo rituale. L’avevo avvertito che certi effetti potrebbero manifestarsi a distanza di qualche ora… se non minuto. Deve solo sperare che non gli venga il fiatone quando si troverà davanti alla futura sposa.»
«Oh, io invece spero proprio che accada» rispose Will, con un sorriso a trentadue denti «farebbe bene sia a lui sia a mio padre qualche piccola figura di merda. Magari, col tempo, comincerebbero a prendere le cose meno sul serio, con un filo di ilarità.»
«Cosa che a te di sicuro non manca» replicò la prostituta, poggiando poi le mani ai fianchi con un sospiro «allora, cos’hai deciso? Hai intenzione di stare qui a chiacchierare per tutta la notte o vuoi venire dietro il drappo con me? C’è parecchio spazio, sono piuttosto sicura che qualcuno ha già avuto la mia idea molto prima. Magari il padrone di casa, o il suo figlio più grande.»
«Ti dirò, Godric mi ha dato l’impressione di essere poco incline ai piaceri della lussuria» osservò il diciannovenne, sfiorando poi distrattamente gli orli della propria camicia con il dito indice «Comunque, vorrei sapere se hai altri clienti dopo di me.»
«E perché mai?» domandò Lilah, leggermente sospettosa «Vuoi fare turno doppio? Non c’è problema per me, sei tu che devi pagare di più, poi…»
«In realtà volevo chiederti se ti andava di ballare un po’» la interruppe il giovane Slytherin, piegando leggermente il lato sinistro delle labbra verso l’alto «Fare un paio di giri a ritmo di musica, bere qualcosa di forte. E poi tornare qui.»
Lilah lo fissò in silenzio per qualche secondo. Socchiuse leggermente le palpebre, come se cercasse di focalizzare un punto lontano, un puntino all’orizzonte dell’anima del coetaneo.
«Vuoi ballare e poi ubriacarti, quindi?» ripeté infine, incrociando le braccia «Sesso da sbronzo?»
«Per me è divertente» disse Will, avvicinando poi le labbra all’orecchio della rossa «certo, se vuoi tirarti indietro non c’è problema.»
Lilah gli lanciò un’occhiata severa, dopodiché si sistemo rapidamente le vesti ed uscì completamente dal proprio nascondiglio, afferrando la mano dell’amico.
«Io sono una professionista. Non ho problemi di alcun tipo se vengo adeguatamente pagata.»
Cominciarono a volteggiare elegantemente per la sala, sulle note della canzone di Lady Daphne. Di tanto in tanto, qualche nobile lanciava uno sguardo ammiccante alla bella prostituta dai capelli rossi, che commentava la loro prestazione all’orecchio del partner di ballo.
«Lo vedi quello con il mantello blu?» disse in tono quasi circospetto «Il tipo con il nasone e la pancia da bevitore di birra…»
«Quello che sembra il cugino scemo di Lord Babbius?» domandò Will, sorridendo sotto i baffi.
La rossa soffocò un ghigno «Sì, quello. Ha la parrucca. E la lava decisamente poco.»
«Dev’essere stato uno spasso scopare con lui» commentò il ragazzo, trattenendo a stento le risate.
Lilah diede un’alzata di spalle.
«E’ il mio lavoro. Tu pensi forse di essere il più grande maestro del sesso della Gran Bretagna? Sciocchezze. Anche perché c’è soltanto un grande maestro qui, e sono io.»
Will fermò la danza, aggrottando la fronte confuso.
«Stai forse cercando di dirmi che non sono bravo?»
Lilah restò in silenzio per qualche istante, dopodiché gli volse le spalle e si incamminò in direzione delle bevande.
«Non te lo dirò mai.»
«Lilah!»
Ignorando gli sguardi degli invitati, Will raggiunse la ragazza, il volto teso.
«Voglio sapere.»
La rossa afferrò un piccolo calice dorato, colmo di un liquido scuro, dopodiché si appoggiò con noncuranza al tavolo, fissando l’amico dritto negli occhi. Il suo sguardo lasciava trasparire una nota di divertimento.
«Perché voi maschi siete tanto fissati con le prestazioni?»
Will afferrò un calice a sua volta, anche se più grande, e vuotò il contenuto tutto d’un sorso.
«Non mi piace quando ti metti a tiranneggiarmi in questo modo.»
Lilah fece per replicare, quando la sua attenzione venne catturata da due donne appena entrate nel grande salone addobbato.
«Ma guarda» mormorò con fare interessato «sono arrivati i francesi.»

Atto sesto: tra incantesimi e isteria

«Benvenute, mie signore.»
Lady Gryffindor accolse le ultime arrivate con un inchino, al quale rispose soltanto la più giovane delle due, una ragazza bionda sui diciotto anni dal fisico slanciato e la postura elegante.
Aveva delle belle labbra carnose, grandi e profondi occhi blu ed un delizioso nasino all’insù puntellato di lentiggini. Scontato dire che l’apparenza fragile e posata della giovane creava un fortissimo contrasto con quella della donna dai capelli rossi che l’affiancava: imponente, sicura, quasi strafottente. Dimostrava circa una quarantina d’anni e si guardava attorno con fare imperioso, le mani sui fianchi ed i piedi ben piantati a terra.
Non appena cominciò a parlare, Freya Hufflepuff, che era rimasta al fianco della padrona di casa, soffocò a stento un risolino.
«Siamo in ritordo» brontolò scocciata la maestosa ospite, con un accento francese esageratamente marcato al punto da sembrare finto «Il Primo Ministro ha avuto la “brillonte” idea di recorsi qui in carrozza. Carrozza majica, sonsa cocchiere. Perché lui ha paura dei cavolli, pensote che fenomeno di uomo, quindi, ovviamonte, non potevomo usare un normale cocchio, no? »
«Mi domandavo, in effetti, come mai il Primo Ministro non fosse con Voi» rispose gentilmente Lady Hellen, allungando un calcetto sugli stinchi di Freya «Anche se non comprendo il senso del suo desiderio: una carrozza… senza cavalli? Capisco che la magia renda possibili le cose più impensabili, ma a questo punto perché non scegliere un mezzo di trasporto diverso?»
«E’ quello che ho detto!» sbottò la prorompente ospite, facendo voltare mezza sala «Un’idea assolutamonte idiota! Ma moi che quell’impiostro mi ascolti! Oi! Pour le caleçon de Merlin! Ces choses me font sortir de ma tête!»
Calò un silenzio imbarazzante tra le ospiti e la padrona di casa - un silenzio interrotto soltanto dalle risate soffocate di Lady Hufflepuff - tanto che, dopo aver terminato le imprecazioni, la rossa assunse immediatamente un tono più pacato: «Perdonotemi, in scerti momonti fascio fatica a controllormi. Ho dovuto scappore dal matrimonio di mio fratello pour quella sciocca idea del Ministro. Abbiomo dovuto partire in antiscipo e la carrozza si è guastota comunque.»
«Non Vi preoccupate. Voi siete Donna Beautemps-Noble, preside di Beauxbatons, giusto?» replicò Lady Gryffindor in tono gentile «E’ un piacere incontrarVi, mia signora.»
«Il piascere è mio, Madame» rispose Donna con un inchino «La vostra dimora è delisiosa. Permettotomi di presentorvi una dei miei alliovi migliori: Mademoiselle Michèle de Grandprè.»
Indicò con un cenno della mano la biondina che era rimasta in silenzio al suo fianco, la quale rivolse un dolce sorriso alla padrona di casa.
«Mio fratello Jerôme è rimosto a fare compagnia al Ministro» spiegò, sistemando una ciocca bionda dietro l’orecchio «Ci rajunsceranno non appena il guosto sarà riparato.»
«Naturalmente» disse Lady Gryffindor, sorridendo di rimando «Volete unirvi alle danze, mie signore? O preferite rifocillarvi al nostro ottimo banchetto?»
«Il vino è davvooooro ottimo» aggiunse Lady Freya, beccandosi un pestone sul piede da parte dell’amica.
Donna e Michèle si consultarono un attimo con lo sguardo, dopodiché la maggiore indicò con un cenno della testa i lunghi tavoli apparecchiati. Pareva decisamente più rilassata rispetto al momento dell’arrivo.
«Trés bien, credo che mi farà piasciore bere qualcosa» disse, attaccandosi al braccio che Lady Hellen le aveva appena offerto «Michèle, ma chére, vuoi fare un jiro qua attorno?»
«Oui, Madame» rispose la bionda, congedandosi con un inchino.
Anche Freya decise di congedarsi, sapendo che non avrebbe resistito ad ascoltare una singola frase in più da parte di quella buffa donnona, e si allontanò con la scusa di cercare il proprio marito.
Dentro di sé, Hellen tirò un sospiro di sollievo.
«Avete accennato ad un matrimonio, prima» s’interessò, offrendo un calice dorato all’imponente ospite «Vostro fratello?»
«Oh, oui, oui, Jean» un sorriso affiorò spontaneo sulle labbra della quarantenne, mettendo in mostra i segni delle prime rughe «E’ un Guoritore, uno dei migliori in tutta la Fronscia. Non per nionte, gli invitoti erano numerosi quasi quanto i vostri stasera.»
«Avete molti parenti?» continuò Lady Hellen, dando una rapida occhiata al lavoro dei servitori.
Donna afferrò un acino d’uva da un grosso cesto di frutta: «Di fratelli ho solo Jean. Ma oui, ho molti paronti, tra cugini, zii… tutti rigorosamonte fronscesi…»
«Tanti quanti i peli che ho sulle braccia» s’intromise una voce cupa alle loro spalle «Non chiederle di parlarti della sua famiglia, Hellen, sul serio. Potresti addormentarti e crollare sopra una delle brocche di vino.»
Donna si voltò indispettita, fulminando l’interlocutore: «Oi! Mi sembrova di aver sontito un verme strisciore da queste porti, Alistèr!»
Il Lord del Maniero delle Serpi vuotò il proprio calice e si avvicinò con flemma al tavolo: «Io avevo sentito le tue urla da gallina isterica nel preciso istante in cui hai messo piede qui dentro.»
«Voi due vi conoscete?» domandò stupita Ledy Hellen.
I due si lanciarono un’occhiata di sufficienza.
«E’ una lunga storia» rispose spiccio Alistair «Forse più lunga della lista dei suoi strani ed improbabili parenti. E comunque, per l’ennesima volta, Donna, il mio nome si pronuncia A-lister, non Alistèr.»
«Tais-toi!» sbottò la preside «Vuoi che mi metta a raccontore tutte le stronzote che hai combinato duronte il tuo primo viaggio in Fronscia, Monsieur Pronunscia?»
Lady Gryffindor osservò preoccupata l’ospite d’oltremare, ma sospirò di sollievo quando Lord Leon le fece un cenno dalla parte opposta della sala.
Si congedò più in fretta possibile, allontanandosi dai due che avevano cominciato a battibeccare.
Il senso di sollievo, tuttavia, svanì non appena raggiunse il marito: l’espressione allarmata sul suo volto non prometteva nulla di buono.
Nel frattempo, Michèle si aggirava per il salone da ballo con aria discreta, la schiena dritta e le mani giunte dietro: le dispiaceva che suo fratello non fosse con lei in quel momento, di sicuro Jerry avrebbe apprezzato un boccale di buon vino inglese.
«Speriamo non sci mettano molto ad arrivare» mormorò tra se, fermandosi all’improvviso nei pressi dell’enorme caminetto acceso. La sua attenzione era stata attirata da un ridotto gruppetto di ragazzine: una di loro, una sedicenne dai lunghi capelli bruni, sedeva su uno sgabello tenendo in grembo un grosso calice vuoto. Accanto a lei, una ragazza poco più grande, simile nei lineamenti ma bionda di chioma, sbirciava incuriosita da sopra la sua spalla, mentre una bimba di circa dieci anni le stava tendendo dei piccoli sacchetti chiusi posati sui palmi delle piccole mani.
«Devi mettere prima le bacche di vischio, ne sono sicura!» annuiva convinta la minore, permettendo ai capelli castani ribelli di scivolarle davanti agli occhi «Prima le bacche e poi il Bezoar tritato!»
«Lail, ti ripeto che non ha senso!» esclamò spazientita la bionda «Il Bezoar va messo per primo, poi il corno di unicorno e per ultime le bacche di vischio!»
«Sì, ma l’Ingrediente Base quando va messo?» domandò la mezzana, stringendo bene il calice tra le ginocchia.
Michéle si lasciò sfuggire un sorriso, dopodiché si avvicinò alle tre dame (probabilmente sorelle) con fare gentile: «Volete creore un antidoto contro i veloni?»
Le giovani la fissarono per un secondo, quasi intimorite, poi la maggiore prese parola: «Sì, ma non ricordiamo bene il procedimento.»
«Penso vi sarà difficile riuscire nella vostra impresa, senza una fonte di calore» s’intromise una voce cordiale e femminile alle spalle di Michèle «Comunque Phoebe ha ragione, il trito di Bezoar è il primo ingrediente.»
La bella francese si voltò con grazia, trovandosi di fronte ad un’affascinante fanciulla sui diciannove anni, dai lunghi capelli rossi e magnifici occhi color azzurro cielo. I tratti del suo volto erano a dir poco incantevoli, ma la cosa che colpì all’istante Michèle furono le labbra: carnose, ben disegnate, di un bel colore rosato…
Rosa come quelle di Jo” pensò, con una punta di nostalgia.
«Tu sei l’ospite d’oltremare, giusto? L’ho capito dall’accento» disse la rossa, compiendo un piccolo inchino «Piacere, io sono Susanne Frey, figlia di Lord Tywin Frey e nipote di Alistair Slytherin. Naturalmente preferirei che non mi chiamassi Susanne perché non lo sopporto, di solito tutti mi chiamano Missy o Susy. Loro invece sono Phoebe, Pimpernel - che tutti chiamiamo Nell - e Lail Blanchefleur, le ultime per età tra i sette figli del Conte Lawrence Blanchefleur, che è uno dei più potenti alleati di Lord Gryffindor. Sì, sette figli, più il nipote che è stato adottato dopo la morte dei genitori, praticamente abbiamo a che fare con un esercito! E sono tutte femmine eccetto il quartogenito, Odd, che è anche cavaliere dell’Ordine…»
«Missy, stai cominciando a parlare a raffica di nuovo» la interruppe Phoebe Blanchefleur, l’unica bionda tra le tre sorelle «Rischi di mandare in confusione la nuova arrivata.»
«Non preoccupotevi» sorrise Michèle, notando di sfuggita quanto fosse strana la tunica esageratamente larga che indossava Lady Phoebe «Ho capito quosi tutto quello che ha detto. Il vostro cognome sombra avere oriscini fransciosi…»
«In effetti è così» rispose Nell, giocherellando distrattamente con il pendaglio di smeraldi e ossidiana appeso alla propria catenina d’argento «I nostri antenati sono nati e cresciuti nella terra dei franchi. Giunsero in Bretagna a bordo di lunghe navi, con il simbolo del Fiore Bianco dipinto sul tessuto delle vele.»
«Blanchefleur, per l’appunto» continuò Missy Frey «Allora, vi serve aiuto per questa pozione o no?»
«Io non sono un asso in Pozioni» avvisò Michèle «Ansi, a dir la verità, fascio piuttosto schifo…»
«Nessun problema, all’antidoto ci penso io, mio cugino Sal mi ha insegnato diversi trucchetti, lui è bravissimo a preparare pozioni» la rassicurò la rossa, senza porre freno all’incessante parlantina «Allora, mi sarebbe utile se trasfigurassi questo calice e mi trovassi una fonte di calore che non sia il caminetto, perché penso che Lady Gryffindor non sarebbe contenta se ci vedesse fare esperimenti con il suo…»
«Con gli Incantosimi e la Trasfigurasione non ho problemi»
L’affascinante diciottenne francese sfoderò con eleganza la lunga bacchetta in legno d’acacia contenente il capello di una veela - alias la sua stessa madre - dopodiché la puntò in direzione del calice posato in grembo a Nell Blanchefleur, che assunse immediatamente la forma di un piccolo calderone dorato, decorato con zaffiri e disegni floreali.
«Posalo a terra, s'il vous plaît» disse poi, rivolta alla sestogenita Blanchefleur, la quale obbedì con un’espressione curiosa e affascinata. La piccola Lail si lasciò sfuggire un gridolino d’eccitazione non appena un piccolo fuoco prese vita ai lati del calderone, senza toccare il pavimento.
«Perfetto» commentò Missy, afferrando i sacchettini contenuti nelle manine dell’ultimogenita del Conte Lawrence «Allora, prima di tutto mettiamo il trito di Bezoar, poi aggiungiamo due misurini di Ingrediente Base e scaldiamo» tirò fuori la propria bacchetta, legno di acacia con nucleo di scaglia di sirena, la agitò una volta ed attese una decina di secondi «Adesso mettiamo un pizzico di corno di unicorno, mescoliamo in senso orario per due volte e poi aggiungiamo le bacche di vischio. Mescoliamo due volte ancora, però in senso antiorario. Adesso basta agitare una volta la bacchetta e…»
«Et voilà!» concluse Michèle, spegnendo il piccolo fuoco «Sono sicura che tra qualche secondo mi sarò scordata qualche passajo, ma bien fait, Mademoiselle.»
«Ecco qua il vostro antidoto» sorrise trionfante Missy, porgendo il piccolo calderone pieno alle tre sorelle che la fissavano con le bocche spalancate «Chiamatemi pure se avrete bisogno di qualche altra piccola lezione.»
Face un piccolo inchinò e si allontanò a testa alta, sotto gli sguardi quasi frastornati delle tre Blanchfleur e di Michèle. La bionda attese qualche secondo, dopodiché commentò in tono confidenziale: «Sono convinta che se le tagliossero la lingua la condannerebbero involontariamonte a morte…»
 
Silenzioso ed in disparte, Salazar aveva bevuto soltanto mezzo bicchiere di vino: la sua testa, troppo affollata da strani pensieri, gli aveva fatto passare qualsiasi tipo di appetito.
I lunghi capelli, solitamente disordinati e sottoposti a cure neanche lontanamente sufficienti per il rango di un - seppur decaduto - nobile, erano stati lavati a lungo e poi acconciati in modo che i soliti ciuffi ribelli non gli ricadessero davanti agli occhi: non poteva di certo fare la figura del trasandato di fronte al capo dell’Ordine dei Grifoni!
Gettò svogliatamente un’occhiata in direzione del banchetto, notando una ragazza bionda e formosa che si aggirava in quella zona, visibilmente a disagio. Aveva camminato avanti e indietro già diverse volte, come se avesse paura di avvicinarsi alle invitanti vivande.
Salazar fece per bere un altro sorso dal proprio calice, quando, alzando lo sguardo, vide Huck corrergli incontro con aria affannata.
«Vi… Vi ho cercato dappertutto» ansimò il ragazzino, piegandosi in avanti, le mani appoggiate alle ginocchia «I… i Vostri fratelli non ne vogliono sapere di… di lasciarsi sorvegliare…»
«Io non vado da nessuna parte» lo rassicurò il ventunenne, osservandolo poi con aria preoccupata «A parte questo, c’è qualcosa che non va, Huck?»
Le guance del quattordicenne si colorirono leggermente, come succedeva ogni volta che il padrone pronunciava il suo nome in tono apprensivo, ma lui fece di tutto per evitare che si notasse.
Raddrizzò finalmente la schiena e gettò un’occhiata alle proprie spalle: «Ho sentito strani discorsi mentre Vi cercavo… non ne ho afferrato il senso… ma comincia ad esserci un certo nervosismo in sala… »

Atto settimo: che il caos abbia inizio

Graham Prewett, vispi occhi azzurri e sorriso amichevole, era ormai da cinque anni un fedele membro delle Cappe Rosse, la guardia d'onore dell'Ordine dei Grifoni. In breve tempo era riuscito a scalare le graduatorie e diventarne il capo, ma anche questo non gli sarebbe mai bastato: il biondo cavaliere voleva primeggiare, passare alla storia.
Fu il primo ad avvistare il pericolo e correre all'interno della Villa ad avvisare il suo massimo superiore, lord Leon. Lo prese in disparte, cercando di limitare il panico, anche se una Cappa Rossa che entra in casa durante un banchetto non è mai di buon auspicio e inevitabilmente alcuni invitati lo videro. Prima fra tutti Elaine, che non gli tolse gli occhi di dosso per tutto il tempo.
«Mio signore, i giganti. Non li avevo mai visti tanto vicini alla città; si dirigono verso di noi. Col suo permesso, consiglio di attuare un piano di protezione per la Villa e per i vostri ospiti» comunicò al rosso capo e fondatore dell'Ordine dei Grifoni, il quale cercò di non scomporsi troppo.
«Ottimo lavoro Graham, sapevo che era una buona idea affidarti il comando. Riunisci gli altri cavalieri nel cortile anteriore e aspettatemi lì. Organizzerò una squadra per gli incantesimi di...» ma non riuscì mai a terminare la frase.
«Mio signore! Lord Gryffindor!»
Quella che all’inizio sembrava la carica di un bufalo spaventato nel bel mezzo del corridoio principale si rivelò nient’altro che la disperata corsa del giovane Ormond Devereux Darthmout Blanchefleur, neo Cappa Rossa nonché quartogenito del Conte Lawrence.
Odd - abituato a farsi chiamare così per via dell’odio profondo nei confronti del proprio nome - irruppe nella sala con la grazia di un troll zoppo, i lunghi capelli castani completamente spettinati.
Graham provò a farlo tacere con un cenno, ma non fu abbastanza svelto: il giovane Blanchefleur non si permise nemmeno di prendere fiato: «Giganti! Mio signore, giganti! Ovunque! Ero di guardai ai confini… si dirigono da questa parte! »
Lord Leon aprì la bocca per replicare qualcosa, mentre il diciannovenne cadeva in ginocchio stremato, ma quello che il signore di Villa dei Leoni e Graham temevano si realizzò nel giro di qualche secondo: il salone fu pervaso da un’ondata di panico generale.
Urla, spintoni, tentativi di fuga. A poco servì l’intervento dei cavalieri appena giunti sul posto, la folla pareva indomabile.
«Com’è possibile?» esclamò Lilah, uscendo da dietro le tende insieme a Will, rivestendosi alla velocità della luce «Giganti che prendono iniziative del genere?»
« Non dovrebbero essere sotto il controllo di quel comitato dal nome lunghissimo? » replicò il terzogenito di Lord Slytherin, abbottonandosi la camicia.
«Dov’è Lady Elaine?» strillò un’invitata, passando accanto a loro «Non dovrebbe fare qualcosa?»
«Signori…» provò ad intervenire Lord Leon «Vi prego, non fatevi prendere dal panico… vi assicuro che faremo il possibile per tenervi al sicuro!»
A nulla servirono le parole del padrone di casa: il caos regnava incontrastato, trasformando il sontuoso salone in una prigione di terrore e follia.
Fu allora che il colossale Lord Artax decise di intervenire, sovrastando il frastuono con la sua voce possente.
«SILENZIO!»
Incredibile ma vero, l’urlo del gigantesco lord bastò a riportare il silenzio e l’ordine all’interno della sala. Leon ne approfittò per riprendere la parola.
«Grazie, amico mio. Niente panico, risolveremo il problema. In questo salone siete al sicuro, possiede già alcuni incantesimi che lo proteggono da incursioni indesiderate, ma ora ne aggiungeremo della altre a tutta la casa. Artax, Maxwell e Alistar, vi pregherei di seguirmi all'esterno, lady Daphne e lady Freya, potete tranquillamente unirvi a noi, se vi compiace» il capostipite della famiglia Gryffindor parlò con un tono di voce rilassante e autoritaria allo stesso tempo, calmando definitivamente la folla.
Fortunatamente Graham si era già defilato ad eseguire gli ordini e di questo Leon gli fu grato. Era un bravo ragazzo, sveglio e intelligente. Avrebbe senza dubbio fatto strada...
«Se non vi dispiace vorrei partecipare anche io, dal momento che il mio dipartimento si occupa proprio di controllare questo tipo di... creature».
A parlare era stata Elaine, che aveva già sfoderato la sua bacchetta di biancospino con nucleo di piuma di Ippogrifo e pareva pronta a tutto per scongiurare l'attacco. ->
«Se pensote che starò qui con le mani in mano vi sbagliote di grosso!» esclamò Donna Beautemps-Noble con fare deciso, sfoderando imperiosa la propria bacchetta di agrifoglio «Oi, chargez! Andiomo a sistemore questi stupidi jigonti!»
«Io e mia moglie ci uniremo a voi» disse il Conte Blanchefleur, alto e dignitoso «Detesto quando la quiete viene turbata.»
«Non temiamo quei bestioni» aggiunse risoluta la bellissima Clarice Blanchefleur, gli occhi di ghiaccio puntati in quelli di Lord Leon con aria quasi di sfida, come se temesse di essere lasciata indietro.
«D'accordo» accordò il padrone di casa «venite pure anche voi. Muoviamoci» e detto ciò il gruppo si incamminò verso l'esterno della Villa.
Gli avventori della festa di Halloween, dapprima in preda al panico e poi pietrificati dal grido di Artax e dalle parole di Leon, iniziarono a sciogliersi, calmandosi un po', e un lieve brusio ricominciò a ravvivare il salone.
Quando il dramma era iniziato, Charles e Meredyth se ne stavano impalati l'uno di fronte all'altro, nei pressi del buffet dei dolci, dove Levhai li aveva lasciati. Non sapevano cosa dire e un silenzio imbarazzante si era fatto largo fra loro. Il trambusto provocato dalla giovane Cappa Rossa aveva come sbloccato qualcosa e i due si ritrovarono abbracciati e tremanti, senza capire bene come ciò fosse successo.
«Chiedo perdono mia lady, non volevo invadere il tuo spazio...» proclamò lui sciogliendo l'abbraccio.
Aveva le guance lievemente arrossate, ma non riusciva proprio a capirne il motivo. Mer era visibilmente scossa, sia per la paura che per l'emozione e tutto quel caos le stava facendo girare la testa. Afferrò un pasticcino alle mandorle e un largo boccale di birra scura, fece un mezzo inchino a Charles e si diresse verso una poltroncina senza aggiungere altre parole. Dentro di sé sperava che il ragazzo la seguisse, ma ciò non avvenne.
Nel frattempo, Helga Hufflepuff aveva raggiunto la sorella maggiore, cercando di nascondere goffamente il nervosismo. Avrebbe voluto afferrarle la mano, giusto per ottenere un po’ di conforto, ma desistette coraggiosamente: Hanna, come al solito, pareva distante anni luce, persa nel proprio cupo mondo personale, fatto di tenebre e spiriti sussurranti.
C’erano stati giorni - ormai lontani - in cui le figlie di Lord Artax passavano molto tempo insieme, giocando e divertendosi, ma da quando i poteri da medium della maggiore avevano cominciato ad intensificarsi, le loro strade si erano dolorosamente divise. Non per imposizione genitoriale, ovviamente, il signore di Rocca del Tasso non avrebbe mai obbligato le gioie della propria vita ad allontanarsi l’una dall’altra: era stata Hanna stessa a prendere la tormentata decisione.
Ogni negromante pagava il prezzo dei propri poteri con una maledizione e la ventiduenne non avrebbe mai voluto fare del male involontariamente ai propri cari a causa della propria.
«Roba da pazzi» brontolò Lilah, raggiungendo le amiche «adesso perfino i giganti si mettono a creare problemi. E sì che Lady Elaine mi era sembrata una persona competente.»
«Quelle creature sono imprevedibili» rispose freddamente Hanna, lottando silenziosamente contro una delle solite tremende emicranie «penso che persino il Capo del Concilio in persona avrebbe difficoltà a tenerle a bada.»
«Beh, lo credo bene» s’intromise ridendo Ignis Derrk, riferendosi alla statura del Ministro inglese «Probabilmente dovrebbe già impegnarsi molto per farsi vedere…»
«Ignis, smettila, non è carino quello che hai detto» lo rimproverò Helga, alzando gli occhi al cielo.
«E’ la verità!» replicò l’altro, senza nascondere un sorriso «Comunque, sono convinto che i giganti in realtà volessero usufruire dei servigi di Lilah.»
«Probabile» rispose la rossa, lanciando un’occhiata distratta alla famiglia Slytherin, che si era radunata a pochi metri da loro.
Will ricambiò rapidamente il suo sguardo, abbozzando un sorriso poco convinto, dopodiché incrociò le braccia, concentrandosi sui discorsi dei propri parenti.
«Secondo voi avranno bisogno d’aiuto là fuori?» domandava Missy, guardandosi attorno nervosa «Non mi piace affatto questa situazione, non riesco a trovarci un senso.»
«Perché, in effetti, il senso non c’è» borbottò in risposta Salazar, accarezzandosi distrattamente la barbetta scura con le lunghe dita «i giganti non avrebbero mai potuto marciare fin qui da soli. Qualcuno li sta aiutando.»
«E chi diamine potrebbe mai essere tanto squinternato?» esclamò Christopherus «Chi potrebbe mettersi in testa di gettarci addosso un esercito di quelle orride creature?»
«E oltre a chi, io mi domando il perchè» commentò Missy, cominciando a mordicchiarsi nevrotica l’unghia del pollice.
Il secondogenito di Lord Alistair diede un’alzata di spalle, dopodiché si rivolse al proprio servitore con aria stanca. 
«Huck, per favore, potresti portarmi qualcosa di forte da bere? Questa situazione mi sta facendo scoppiare la testa…»
Huckleberry si inchinò silenziosamente, per poi incamminarsi con passo deciso verso la tavolata rotonda su cui facevano bella mostra di sé i superalcolici. Salazar amava il Wiskey Incendiario ed era compito suo procurarglielo, in quel momento di agitazione temporanea.
Eppure, nonostante il panico generale, lui non riusciva a provare una vera paura. Ci stava giustappunto riflettendo, mentre versava il liquore ambrato in quattro bicchierini d'oro lavorato con piccoli rubini, quando si sentì sfiorare la spalla.
«Ti serve tutta, quella bottiglia? Ne servirebbe un bicchiere anche a me, il signorino Cormac ha voglia di bere un goccetto, per calmare i nervi...» un bel ragazzo dai capelli corvini gli si era parato davanti e lo fissava in attesa di una risposta.
«P-prendila pure, io ho finito...» balbettò leggermente Huck, confuso dalla sensazione che gli provocava la vista di quei misteriosi e penetranti occhi grigi. Gli porse la bottiglia e fece per andarsene col vassoio di bicchieri, quando la voce del ragazzo lo fece immobilizzare.
«Molto gentile, bel biondino. Io mi chiamo Ethan, tu?» chiese semplicemente. Il biondo avrebbe preferito ignorarlo e tornare dai suoi padroni, ma qualcosa lo spinse a rispondere alla domanda.
«Io sono Huck. Huckelberry, in realtà, ma chiamami pure Huck».
«E' un vero piacere, Huck. Da brivido la situazione in cui siamo, vero? Giganti alle porte della città... assurdo» proseguì quello.
«Io... io non ho affatto paura. Che vengano, gli stupidi giganti. Gli farò vedere chi è Huckelberry Aelfgar!» un secondo dopo l'aver pronunciato quelle parole, Huck si sentì un completo idiota. Era arrossito e provava un profondo imbarazzo: non era da lui, aprirsi tanto.
Va bene, le pensava davvero quelle cose, ma estraniarle così, con un perfetto sconosciuto...
«Sei proprio un tipo coraggioso, biondino. Beh allora ci si vede. Ti cercherò come guardia personale in caso di attacco» lo salutò quindi Ethan con una strizzatina d'occhio, prima di ritornare al tavolo dei Ravenclaw.
In tutto ciò Raye si era limitata a tenerli d'occhio da lontano, con un sorriso malizioso sulle labbra. Aveva già capito tutto, era anni luce avanti a loro. D'altronde non era quello, il suo periodo storico...
L’attenzione della rossa, però, fu quasi immediatamente attirata dalla camminata nervosa di Michéle de Granpré, avvolta nella sua elegante veste azzurrina.
La francese aveva il solito aspetto composto e curato, tuttavia, il modo in cui si contorceva le mani tra loro, mormorando rapide frasette nel proprio idioma, faceva intuire piuttosto bene lo stato d’animo in cui si trovasse quel momento.
«Jerry… Jerry… s'il vous plaît…ne touchez pas à mon Jerry… »
«Qualcosa Vi preoccupa, mia signora?»
La biondina alzò lo sguardo, battendo le ciglia rapidamente per nascondere gli occhi lucidi. Lo strano fantasma che aveva visto aggirarsi qua e la per la sala volteggiava sopra di lei, fissandola benevolmente con il suo grazioso volto androgino.
«Mon frère… il mio fratellino è là fuori… e fuori sci sono questi maledetti jigonti… temo gli sia suscesso qualcosa…»
«Mi sa che potrete avere sue notizie soltanto quando rientrerà la pattuglia di avanscoperta» commentò lo spirito, volgendo gli occhi trasparenti in un punto imprecisato alle spalle della diciottenne «E a quanto pare non siete l’unica in pena per qualcuno…»
Michèle si voltò, aggrottando la fronte: a pochi metri da lei, Phoebe Blanchefleur parlottava nervosamente con tre ragazze più grandi, due more ed una bionda. Non ci volle molto alla bella francese per identificarle come le figlie maggiori del Conte Lawrence.
Volse nuovamente lo sguardo in direzione dello spirito dal sesso indefinito, ma si accorse, non senza una punta di fastidio, che quello era già scomparso, abbandonando una conversazione iniziata da lui stesso - o lei stessa.
Quasi sovrappensiero, fece tornare la propria attenzione alle figlie del Conte Blanchefleur: la situazione era leggermente cambiata, poiché ora Phoebe non stava più parlando con le sorelle, ma si era gettata tra le braccia di un giovanissimo soldato dai capelli rasati, ancora privo del manto che contraddistingueva i vari gradi dei cavalieri.
Questi era incredibilmente alto e muscoloso, forse secondo per stazza soltanto a Lord Artax, ma non incuteva un minimo di soggezione: il suo sguardo era mite e gentile, quasi timido.
Michéle non voleva fare la figura dell’impicciona, ma c’era qualcosa di strano negli atteggiamenti delle sorelle Blanchefleur. Osservando il labiale, riuscì in qualche modo a percepire una breve frase sussurrata da Phoebe al giovane spilungone: “Quanto tempo, ancora?”
Lui mormorò qualcosa con movimenti impercettibili delle labbra, impedendo involontariamente a Michéle di scoprire la risposta.
Tuttavia, alla giovane francese non sfuggì il movimento quasi furtivo della gigantesca mano del ragazzo, che percorse con una carezza il ventre di Lady Phoebe...
In un altro angolo della sala, nel frattempo, se ne stava in solitudine la bella Bianca, con le braccia strette al petto e l'espressione imbronciata. Si detestava per l'aver ceduto, col ragazzino. Si detestava per aver accettato di cantare, per aver deciso di venire a quella stupida festa. E tutto solo per i suoi due punti deboli: l'amore per la vendetta e Salazar...
Nonostante il suo promesso sposo fosse il bel tenebroso Christopherus – e nonostante il fatto che in ogni caso lei cercasse costantemente di evitare i rapporti con chicchessia – il fascino del secondogenito degli Slytherin l'aveva colpita come un dardo al cuore. Aveva finito la sua pozione Antisentimenti, perciò sentiva che una punta di desiderio si faceva largo dentro di lei. Se solo avesse avuto ancora la polisucco avrebbe potuto trasformarsi in una cameriera, sgattaiolare fuori dalla Villa e tornare a farsi gli affari propri. Ma non poteva farlo e la cosa la rendeva ancora più nervosa...
Un'altra donna se ne rimaneva in disparte. Era appena rientrata nel salone, dopo aver dato il proprio contributo agli incantesimi di difesa contro i giganti e stava aspettando che anche gli altri rientrassero per discutere dell'accaduto.
Elaine si sedette su una poltroncina solitaria, con boccale di burrobirra in mano, pensierosa. Stava per arrivare la resa dei conti, se lo sentiva nelle ossa. Estrasse distrattamente dalla borsa il suo spegnino, avendo però ben cura di non farlo scattare, per non liberare Abraham davanti a tutti.
"Stai iniziando finalmente a vedere le lacune, nel tuo piano?" le disse la sua voce all'interno della testa.
«Stai zitto, tu. Cosa vuoi saperne? Sei solo un stupido proteiforme all'interno del mio spegnino. Dovresti fare quello che ti dico, non giudicarmi in continuazione» bisbigliò lei, come fra sé e sé, sperando che nessuno si accorgesse che stava praticamente parlando da sola.
Da una parte le dispiaceva trattarlo male, era l'essere cui volesse più bene al mondo, ormai. Forse l'unico ad esserle rimasto ancora vicino, e anche se non approvava i suoi piani, sapeva che in fondo le voleva bene anche lui.
"D'accordo, come preferisci, non insisterò. Ma sappi che io ti avevo avvertito!" concluse quindi lui, senza insistere troppo.
«Ssh! Staranno per tornare... vado a bermi un sorso di vino».
Levhai, che ne frattempo era rimasto appoggiato con la schiena contro il muro, poco distante dal caminetto, si accorse che il proprio capo si stava spostando verso i tavoli del banchetto: era da un po’ di tempo che Elaine si comportava in modo strano - o meglio, più strano del solito, visto che qualche volta l’aveva pure sorpresa a parlare da sola - e pensò che, forse, quella poteva essere una buona occasione per indagare.
Sussultò quando qualcuno lo salutò da dietro con un sussurro. In un primo momento pensò che si trattasse di uno spirito in vena di scherzi, ma gli ci volle poco per capire che, in realtà, lui aveva già sentito quella voce calda e maschile, più d’una volta. E che, cosa più importante, aveva sentito quella meravigliosa voce da cantante uscire dalle labbra di una persona viva. Si voltò, sorprendendosi a sorridere quando si ritrovò faccia a faccia con un giovane dai lunghi ricci biondi, le cui spalle erano celate dal manto delle Cappe Rosse.
«Come stai, Lev? Sei preoccupato?» gli occhi celesti del cavaliere riflettevano meravigliosamente la luce delle fiamme del caminetto acceso. Quasi furtivamente, Levhai gli sfiorò con le dita la barba bionda e curata.
«Preoccupato? Per i giganti no» si costrinse ad ignorare i bisbigli dei morti che avevano cominciato a farsi nuovamente insistenti «Per l’intera situazione, per il comportamento Lady Elaine… sì, per queste cose sono preoccupato.»
Si guardò attorno, assicurandosi di non avere attenzioni indesiderate su di se. 
«E tu, Hael, come stai?» Haelan Heathcliff, secondogenito di Lord Hammond, ex cantante costretto dal padre a prendere il posto di cavaliere del fratello deceduto, diede una piccola alzata di spalle «Non mi lamento. Almeno ho potuto farti un piccolo saluto, prima di tornare ai miei doveri…»
Quasi l’avesse udito, Graham entrò nuovamente in sala, chiamando i cavalieri rimasti a sorvegliare gli ospiti.
Hael afferrò rapidamente la mano di Lev, la tenne stretta nella propria per qualche secondo, dopodiché si allontanò, lasciando scivolare le dita lungo quelle del ventiseienne.
Quasi in contemporanea, una voce roca e spettrale bisbigliò una singola parola all’orecchio di Levhai O’Gallagher.
"Doppio".
Mentre Lord Leon rientrava nel salone, accompagnato da coloro che l’avevano aiutato con gli incantesimi di protezione, uno strano brusio cominciò a diffondersi tra gli invitati, uno strano brusio che terminò in un agghiacciante e collettivo silenzio.
Il signore di Villa dei Leoni volse lo sguardo in direzione del gruppo di cavalieri che aveva appena fatto il proprio ingresso nella grande stanza, giusto pochi secondi dopo di lui.
Lady Daphne gli lanciò un’occhiata nervosa.
«La pattuglia di avanscoperta!» esclamò Lord Maxwell, riconoscendo i nuovi arrivati «Siete già di ritorno, dunque… non è un buon segno…»
«Ci sono novità?» domandò Leon, rivolto al Comandante Hammond Heathcliff, padre di Sir Haelan, che precedeva l’ordinata fila di messaggeri in armatura.
L’uomo sfilò dalla testa l’elegante elmo dorato, rivelando un volto burbero ed una capigliatura ordinata e ingrigita.
«Mio signore» disse in tono grave «i giganti ribelli hanno già mietuto le prime vittime, questa sera. Abbiamo trovato una carrozza distrutta a poche miglia da qui: il Primo Ministro francese è morto.»




Antro delle Gurubell:

Ebbene eccoci qua con un nuovo capitolo! Sì, vi abbiamo fatto aspettare parecchio, ma speriamo ne sia valsa la pena.
Colgo l’occasione per spiegare ad eventuali lettori “esterni” (che cioè non hanno affidato un personaggio a noi dementi per questa storia) la questione dei Medium.
No, non sono creature della Rowling, almeno non che io, ossia Tinkerbell, sappia. Abbiamo semplicemente deciso di inventare un nuovo tipo di abilità speciale da affiancare a Veggenti, Animagus, Metemorphomaghi, ecc.
I medium, o negromanti, sono coloro che possiedono il potere di comunicare con gli spiriti dei morti e, all’occasione, controllarli. La loro influenza vale sia per i fantasmi veri e propri, sia per le anime che non hanno scelto di vagare sulla terra dopo la morte.
Il problema è che questi continui contatti con l’Oltretomba hanno un prezzo abbastanza alto da pagare: oltre a frequenti mal di testa (dovuti alle voci degli spiriti che spesso e volentieri si fanno sentire anche contro la volontà dei “padroni”), ogni medium è afflitto da una propria maledizione, che può riguardare qualsiasi cosa. Nei capitoli successivi scopriremo ovviamente quali sono le maledizioni di Levhai e Hanna (e si verrà anche a conoscenza di dettagli più precisi riguardo i negromanti).
Cogliamo inoltre l’occasione di fare gli auguri a Loony/Giudi/Purr, alla quale dedichiamo questo capitolo come regalo.
Spero che i creatori dei personaggi siano soddisfatti del nostro lavoro, in caso portate pazienza, cercheremo di rimediare il prima possibile.
Al prossimo capitolo!

Trilly la Bitch

 

   
 
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