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Autore: effe_95    13/09/2015    5 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
25. Appunti, Rabbia e Calore.

Dicembre
 
Enea era pieno di buoni propositi quando giunse da Beatrice.
Propositi che si frantumarono senza alcuna pietà non appena ad aprire la porta fu la madre della ragazza. Enea non poteva credere di essere stato talmente accecato dal desiderio di risolvere la questione, dall’aver completamente messo da parte una simile eventualità.
La madre di Beatrice era una bella donna, completamente diversa dalla figlia, se non fosse stato per gli occhi grigi, Enea non si sarebbe giocato niente per affermare la loro parentela.
Aveva lunghi capelli biondi legati in un morbido codino, il viso sottile e spigoloso, indossava un paio di pantaloni neri che le fasciavano le gambe slanciate e una camicetta di seta bianca accompagnata da un cardigan grigio.
Enea deglutì sonoramente, solitamente non era il tipo da farsi intimorire da un adulto, ma stranamente quella donna gli faceva martellare sinistramente il cuore nel petto.
<< Salve, cerco Beatrice >> Riuscì a biascicare con voce ferma, cercando in tutti i modi di non mostrare il proprio imbarazzo e la propria titubanza.
La donna continuò a guardarlo con quei suoi occhi gelidi, tanto che per un momento Enea temette che l’avrebbe cacciato a calci nel sedere, sorprendentemente però, il viso spigoloso si aprì in un caldo sorriso, accogliente e genuino.
<< Sei un suo amico? >> Enea annuì frettolosamente, la donna aprì maggiormente la porta e lo lasciò entrare in casa << Sei stato davvero molto gentile nel venire a farle visita. Ha ancora la febbre alta >> Enea cercò di non rimanere troppo sorpreso da quelle parole, era convinto che Beatrice non fosse venuta a scuola tutti quei giorno a causa sua, e sapere di essersi sbagliato gli lasciò una sensazione amara e contemporaneamente piacevole alla bocca dello stomaco. Seguì la madre della ragazza fino in cucina, dopo aver lasciato il casco ed il cappotto nell’ingesso sull’appendiabiti, Enea sperò vivamente di non dare l’impressione di conoscere troppo bene quegli ambienti, non era sicuro che la donna sapesse di tutte le volte che lui e Beatrice erano rimasti da soli a provare per lo spettacolo teatrale.
<< Io sono Silvia >> Si presentò la signora, porgendogli una tazza calda di caffè, Enea la guardò con una certa sorpresa, non si aspettava tutta quell’accoglienza.
<< Enea, Enea Colombo >> Si affrettò a presentarsi a sua volta, stringendo con imbarazzo la mano della donna, che nel frattempo aveva provveduto a dargli anche una fetta di torta caprese. << La ringrazio >>. Enea pensò che fosse meglio mettersi a mangiare, piuttosto che prestare attenzione allo sguardo indagatore di Silvia.
<< E’ la prima volta che vedo un suo amico, nella vecchia scuola non ne aveva. Mi fa molto piacere >>. Disse la donna continuando a sorridere, si erano entrambi seduti sull’isola, e lei continuava ad osservarlo con interesse, un pugno chiuso appoggiato sulla guancia e l’altro braccio steso sul piano davanti al seno.
<< Io e Beatrice siamo anche vicini di banco, e seguiamo il corso di teatro insieme >>.
Si affrettò a specificare Enea ingoiando l’ultimo pezzo di torta, Silvia sospirò.
<< Posso farti una domanda Enea? >> Il ragazzo lasciò educatamente la forchetta nel piatto e fissò la donna negli occhi, gli stessi di Beatrice. << Ti ha mai parlato di un certo Mirko? >>.
Enea ricevette quella domanda come un pugno nello stomaco, ma cercò di non cambiare troppo l’espressione comparsa sulla sua faccia e scosse deciso la testa.
Silvia fece per rispondere qualcosa, ma venne bruscamente interrotta dall’ingresso in cucina di Beatrice. << Mamma, ho appena misurato la febbre. 38 preciso, dammi una tachipiri … >>
La frase le morì sul finire quando si accorse di Enea, seduto sullo sgabello accanto all’isola della cucina, con un piatto ormai cosparso solo di briciole e una tazzina del caffè vuota.
La luce della lampada gli striava di dorato i capelli castani, e gli occhi spigolosi la scrutavano incuriositi, scrutavano il suo pigiama di flanella azzurro con le farfalle lilla, le pantofole grigie pelose con i calzini a pois, i capelli legati in un codino talmente morbido da lasciare libere intere ciocche dai ricci un po’ sfibrati, le guance arrossate e gli occhi lucidi.
Automaticamente incrociò le braccia al petto e le strinse sotto il seno, sperando che le guance non fossero arrossite ancora di più.  
<< Enea? Cosa ci fai qui? >> Beatrice era rimasta bloccata sulla porta, ferma nella sua posizione rigida, le sopracciglia contratte e l’aria terribilmente imbarazzata.
Silvia spostò lo sguardo sulla figlia e poi immediatamente dopo su Enea, incuriosita dalle reazioni di entrambi.
Enea catturò con la coda dell’occhio la cartella abbandonata sulla sedia accanto e la afferrò velocemente, trovando la prima scusa che gli venne in mente.
<< Ah si, sono venuto a portarti gli appunti di storia e filosofia. Mi avevi detto che sarebbe stato un disastro per te rimanere indietro, no? >> Beatrice sollevò impercettibilmente un sopracciglio, colpita dall’abilità che aveva il ragazzo di fingere, e intanto lui la scrutava con quei suoi occhi azzurri e taglienti, i quaderni stretti tra le mani e l’espressione seria.
<< Che gentile >> Commentò distrattamente Silvia, rivolgendo un sorriso ad entrambi, Beatrice alzò gli occhi al cielo e afferrò velocemente Enea per un polso.
<< Andiamo in camera mia, così posso ricopiarli. >>
Quando Beatrice si fu richiusa la porta alle spalle, sospirò pesantemente e si maledì per essersi messa in quella situazione terribile, non era sicura di voler rimanere da sola con Enea, ma sopportare lo sguardo indagatore della madre era davvero troppo.
Enea si era già seduto accanto alla scrivania quando Beatrice si rigirò, aveva aperto i quaderni e la fissava con le braccia incrociate al petto.
<< Cosa sei venuto a fare veramente? >> Lo freddò immediatamente lei, restandosene con la schiena appoggiata alla porta, Enea prese a girare prima a destra poi a sinistra sulla sedia mobile, fissandola con serietà e freddezza a sua volta.
<< Guarda che ero sincero, ti ho portato gli appunti >>.
Il tono ironico di Enea fece saltare Beatrice su tutte le furie, la ragazza si precipitò sulla scrivania e puntò l’indice della mano destra sulla pagina completamente bianca di uno dei due quaderni. << Di quali appunti stai parlando?! Ma guarda … sei rimasto ancora al Risorgimento?! >> Sbottò indignata la ragazza, guardando con occhi di fuoco il titolo scritto con una pessima calligrafia e poi seguito dal nulla assoluto, probabilmente un tentativo di Enea di interessarsi alla lezione scemato frettolosamente. << Enea, cosa ci fai qui? >>.
Chiese nuovamente lei, abbassando il tono di voce e sospirando rassegnata, sentiva il fisico tutto intorpidito dalla febbre e aveva un leggero mal di testa, non aveva la forza di combattere con lui. Enea la guardò dritta negli occhi e sorrise, poi le afferrò saldamente i polsi e si avvicinò pericolosamente alla sua bocca.
<< Sono venuto per baciarti >> Mormorò ad un centimetro dalle sue labbra, Beatrice andò letteralmente in fiamme, cercò inutilmente di liberarsi dalla stretta ferrea del ragazzo ma era troppo debole, sia mentalmente che fisicamente con lui.
<< Ti prego smettila … ho la febbre >> Bisbiglio con un filino di voce, le labbra carnose di Enea si aprirono in un sorriso provocatore a pochi centimetri dalle sue. Beatrice trattenne il respiro, ma con sua grande sorpresa la lasciò andare improvvisamente, talmente repentinamente che fu costretta a reggersi alla scrivania per non cadere, colta da un capogiro. << Stavo scherzando >> Commentò allegramente Enea, incrociando nuovamente le braccia al petto e scrutandola con un sorriso a trentadue denti di scherno, Beatrice rimase con il fiato sospeso, appoggiata alla scrivania, la testa dolorante e il corpo in fiamme.
<< Ero venuto solo per dirti che non lo farò più, tutto qui. Vorrei evitare un altro calcio in zone pericolose. >> Enea si alzò, sistemò velocemente i jeans un po’ spiegazzati dopo essersi seduto e si diresse verso la porta, Beatrice lo fissava ancora stralunata, il cuore che batteva freneticamente nel petto.
<< Che cosa vuoi dire con questo? >> Domandò con un filo di voce, ancora aggrappata alla scrivania, la fronte imperlata di sudore e le vertigini a lambirle le membra.
<< Che hai vinto tu. La smetterò di darti fastidio, dopotutto … con me non hai sorriso nemmeno una volta. >> Nella stanza calò un silenzio opprimente, come se tutta l’aria fosse stata improvvisamente risucchiata nei polmoni di Beatrice senza permesso.
<< Ci vediamo a scuola >>.
Beatrice trattenne il fiato fino a quando Enea si richiuse la porta alle spalle, poi si lasciò andare. Cadde a terra battendo con le ginocchia sul soffice tappeto, un braccio appoggiato alla sedia e l’altro stretto a pugno per terra, il volto rigato dalle lacrime.
<< Ma io sono innamorata di te … deficiente! >>
Disse soffocando le parole, con la faccia schiacciata sul tappeto.
 
Giasone era piuttosto agitato.
Era martedì sera del 15 Dicembre e avrebbero disputato l’ultima partita prima delle feste di Natale, la vittoria era fondamentale per aggiudicarsi il turno successivo.
La palestra era stracolma di gente, più di quanta ce ne fosse stata nelle partite precedenti, il vociare era talmente intenso da rasentare lo stordimento.
Giasone cercò di isolarsi completamente dal disordine e dalla confusione per prestare attenzione alle giocatrici, le ragazze della sua squadra che stavano nervosamente sistemando le ultime cose del loro abbigliamento.
Lo sguardo gli scappò inevitabilmente su Muriel, era la più distante dal gruppo, la solita fascia rossa gli tirava indietro i corti capelli neri, le dita erano quasi tutte fasciate con dello scotch colorato, il viso luminoso e pulito era solcato da sottili sopracciglia aggrottate che mettevano in risalto il verde macchiato d’oro degli occhi, beveva da una bottiglietta d’acqua, già sudata a causa del riscaldamento, e sembrava sovrappensiero.
Giasone non riusciva a capacitarsi dell’ostinato silenzio nel quale si era chiusa da settimane, la mattina non la vedeva più nel solito catorcio, e quando le aveva chiesto il motivo di quelle assenze, si era sentito rispondere che preferiva passeggiare a piedi per allenare le gambe.
Non sorrideva, e non faceva più chiasso.
Almeno non con lui.
<< Ehi Muriel! >> La richiamò, distogliendo lo sguardo e spostandolo sugli appunti e gli schemi che lui e Livia avevano messo appunto contro le avversarie. << Tieni d’occhio il capitano della squadra avversaria, hai studiato lo schema che ti ho consegnato? >>.
Giasone sollevò distrattamente gli occhi dai fogli, per accertarsi che Muriel lo stesse ascoltando, la ragazza se ne stava ancora seduta sulla panchina a bere.
<< Si, coach >> Si limitò a rispondere, chiudendo finalmente la bottiglietta e riponendola nella borsa abbandonata sotto la panca. Giasone la guardò con le sopracciglia aggrottate, nelle partite precedenti, e anche durante gli allenamenti, non lo chiamava mai in quel modo.
Aveva preso quell’abitudine da qualche settimana, e a lui stranamente non piaceva.
La partita stava per cominciare, Giasone si affiancò a Livia e scrutò con occhi ansiosi le cinque componenti della sua squadra schierarsi in campo.
Al fischio dell’arbitro, la palla fu contesa e catturata immediatamente dalla squadra avversaria che partì in contropiede, contropiede che terminò con un tiro fuori equilibrio seguito da un rimbalzo, prontamente intercettato da Luisa.
La palla arrivò facilmente a Muriel, che con un passo veloce scartò la capitana avversaria e andò a canestro, schiacciare era sempre stata la sua specialità.
Il primo quarto terminò con 18 a 14 per loro, Giasone era piuttosto tranquillo, e durante la piccola pausa dei due minuti ne approfittò per dare alcune informazioni dell’ultimo minuto.
<< Maria, tieni sotto torchio la numero 15. Non devi permetterle di tirare, i suoi punti da tre sono davvero un problema >>. Maria annuì vigorosamente, mentre si passava una pezza dietro il collo sudato. << Ricevuto! >>.
Giasone annuì e sospirò pesantemente, Livia gli si avvicinò poggiandogli una mano sulla spalla, aveva un sorriso allegro e rassicurante.
<< Andiamo Gias, non essere così agitato, vinceremo. E dopo, ti darò un regalo >>.
Livia gli fece l’occhiolino e Giasone sollevò gli occhi al cielo sorridente, Muriel assistette alla scena cercando di non pensarci troppo, perdere la concentrazione durante la partita non era proprio il caso, ma anche con tutta la buona volontà, non appena cominciò il secondo quarto, Muriel non riusciva a pensare a nient’altro.
Perse immediatamente numerose palle e se ne fece rubare altrettante, sebbene cercasse in tutti i modi di tenere la concentrazione sulle proprie avversarie, la mente vagava altrove.
Quei dieci minuti del secondo quarto furono un tormento infinito, e quando finalmente l’arbitro fischiò la fine del tempo, sospirò sollevata, ma la sua squadra era sotto di venti punti. << Muriel! Che cavolo stai combinando?! >> La aggredì immediatamente Giasone, non appena si fu lasciata cadere sulla panchina. << Ti sei fatta rubare palle assurde e non hai segnato nemmeno una volta! >>. Muriel sollevò gli occhi e lo guardò in cagnesco, Giasone sussultò, era la prima volta che lo sfidava in quel modo a viso aperto.
<< Ce la sto mettendo tutta! >> Ribatté piccata, aggiustandosi la fascia rossa tra i capelli.
<< Evidentemente non è abbastanza! >> Replicò immediatamente Giasone, incrociando le braccia al petto, Muriel strinse forte i pugni sulle gambe e spostò lo sguardo altrove fumante di rabbia. << Un altro passo falso e ti sostituisco >>.
Giasone pronunciò quella frase con una freddezza agghiacciante, Muriel rabbrividì e sollevò nuovamente lo sguardo, tuttavia non ebbe modo di aggiungere altro perché era arrivato il momento di ritornare in campo per il terzo quarto.
Muriel sentiva una tale pressione sulle spalle che non credeva di poterla sostenere, non era mai stata una ragazza lamentosa o frignona, piangeva raramente, ma in quel momento ne sentiva quasi la necessità, sentiva il forte desiderio di lasciarsi cadere a terra e piangere come una bambina disperata, gridando e picchiando i pugni.
E fu così che si distrasse, venne completamente travolta dall’avversaria, cadde all’indietro e picchiò con il sedere per terra. Non appena si rese conto di cos’era successo, tutti i rumori della palestra, le risate di scherno, le grida, passarono in sottofondo, come un ronzio fastidioso. Il dolore al sedere si faceva mano a mano più acuto, ma era la vergogna a premere maggiormente, l’imbarazzo di sapere che i suoi genitori la stavano guardando, che Giasone l’avrebbe rimproverata, e poi sentì il fischio.
<< Sostituzione, numero 6 con il numero 10 >>
Muriel si sentì sollevare di peso da due delle sue compagne di squadra, entrambe la guardavano con mortificazione e compassione, non le era mai successo di cadere in quel modo, ed era tutta colpa di uno stupidissimo ragazzo.
Si scrollò di dosso le braccia delle sue compagne e camminò con passo impettito verso le panchine, ignorando completamente il dolore al fondoschiena, fumava di collera.
<< Perché diavolo mi hai sostituito?! Potevo rialzarmi benissimo, non mi sono fatta nulla! >> Sbraitò piena di rabbia, gesticolando impazzita contro il ragazzo, Giasone la guardò per un momento con gli occhi spalancati, poi ritrovò il contegno.
<< Lo so, ma ti avevo avvisata! Non sei in condizioni di giocare >>.
<< Sono il vostro giocatore migliore! >> Strillò la ragazza afferrando bruscamente una delle asciugamani che penzolava malamente dalla panchina.
<< No! In questo momento non sei altro che una stupida ragazzina viziata! >>
La furia di Muriel venne stroncata bruscamente da quelle parole, si immobilizzò con l’asciugamano stretta convulsamente tra le mani sempre più bianche per la tensione.
 << Devo pensare al bene della squadra in questo momento, e tu non lo sei. Vai negli spogliatoi e restaci >>.
Il silenzio calato sulla panchina era opprimente, fortunatamente, a causa del rumore solo poche persone del pubblico avevano notato il litigio in atto.
<< Gias, adesso stai esagerando … >> Intervenne Livia facendo un passo avanti.
<< Non mi interessa, deve smetterla di fare la bambi …  >>
Giasone non finì nemmeno di terminare la frase che si ritrovò l’asciugamano schiacciato sulla faccia, perché Muriel gliel’aveva violentemente gettata contro.
<< Non sono una bambina! Sono una donna, sono una ragazza, ho le tette e il culo come tutte le altre! Ma tu sei troppo idiota per accorgertene, vero?! >> Quando si rese conto delle parole che aveva appena pronunciato, Muriel sentì il sangue defluirgli fino alla testa e colorargli de gote in maniera evidente, si portò una mano sulla bocca. << Dannazione! >>.
Sbottò, e afferrato saldamente il borsone se ne corse negli spogliatoi.
Giasone la seguì con lo sguardo e la bocca spalancata, dopo qualche minuto, sentì la mano di Livia posarsi sul suo braccio, girò la faccia con un’espressione ancora scioccata e la ragazza gli mise tra le mani una caramella al gusto di mango.
<< Credo proprio di doverti dare il tuo regalo adesso. >>
Giasone guardò la caramella che stringeva tra le mani e poi nuovamente verso gli spogliatoi.
Alzò lo sguardo verso gli spalti, dove Ivan se ne stava seduto con le braccia incrociate sin dall’inizio della partita, Giasone lo vide scrivere qualcosa sul cellulare, e un secondo dopo sentì il suo vibrare. Lo sfilò velocemente dalla tasca dei jeans e si affrettò a leggere.
“ Ci sei arrivato idiota?”
Oh si, ci era arrivato eccome.
 
Miki non avrebbe proprio voluto aprire gli occhi.
Era terribilmente piacevole starsene rannicchiata sotto il piumone caldo quando fuori infuriava la neve, faceva freddo e non si aveva voglia di fare nulla.
Era completamente immersa in uno stato di dormiveglia e tepore quando qualcuno gli infilò qualcosa di ghiacciato tra il collo e la spalla, trasalì come se fosse stata colpita e spalancò gli occhi di colpo. Aleksej se ne stava inginocchiato di fronte al letto, aveva i capelli ancora scombinati sul viso e gli occhi leggermente assonnati, Miki lo guardò stralunata per alcuni secondi, poi si rese conto che la cosa gelata che aveva avvertito sul collo era la mano del suo fidanzato. 
<< Alješa, cosa stai facendo? >> Domandò con voce biascicata, mentre si strofinava goffamente gli occhi ancora completamente impastati dal sonno.
<< Sono venuta a svegliarti, sono le quattro e tra poco arrivano Gabriele e Zosimo >> Mormorò lui appoggiando il mento sul materasso morbido e caldo, Aleksej aveva sempre detestato quel plaid, Claudia si ostinava ad imbottirgli il letto tutti gli inverni, ma lui lo trovava eccessivamente caldo e alla fine la notte si ritrovava a dormire con solo le lenzuola addosso.
Miki invece sembrava adorarlo.
<< Alješa … perché sei a mezze maniche? >>
Lo rimproverò Miki afferrando un lembo della maglietta grigia di Aleksej, lui sorrise leggermente mettendo in risalto le fossette.
<< Perché sento caldo solo a guardarti! >> La rimbeccò immediatamente lui pizzicandole una guancia con l’indice e il medio della mano destra, ormai diventata bollette per il tempo che era rimasta a contatto con la pelle scoperta di lei. << Comunque, sarà meglio che ti vesti. Non ci tengo che Gabriele e Zosimo ti vedano nuda, e sbrigati che è tardi! >>.
Commentò Aleksej alzandosi in piedi, si chinò a terra, raccolse il reggiseno di pizzo della ragazza e glielo lasciò cadere sulla testa con decisione, Miki lo afferrò con stizza.
<< Ma sentitelo! Ti avevo detto che non era il caso, adesso devo anche fare le corse >>. Sbottò lei rannicchiandosi maggiormente sotto le coperte.
<< Non mi sembravi molto contrariata prima >> Il sorriso provocatore di Aleksej venne velocemente freddato da un cuscino scagliato in piena faccia, il ragazzo barcollò leggermente all’indietro sotto il peso del colpo e ridacchiò divertito.
<< Esci immediatamente se vuoi che mi vesta! >> Gracchiò lei rossa come un pomodoro, Aleksej scoppiò a ridere tenendosi la pancia tra le mani, Miki avrebbe voluto infuriarsi sul serio, ma non poteva fare a meno di trovarlo bellissimo in quel momento.
<< Va bene vado! Ma muoviti >> Il secondo cuscino scagliato ribalzò sulla porta di legno che Aleksej era riuscito a chiudere repentinamente prima di essere colpito per la seconda volta.
Miki ridacchiò senza rendersene conto, contagiata dal fantasma della risata del fidanzato, si lasciò cadere nuovamente sul letto e si godette il tepore per cinque minuti buoni, poi decise che era davvero il caso di vestirsi.
Non era sicura che sarebbe riuscita a sopportare i commenti maliziosi di Gabriele.
Infilò velocemente i vestiti, pettinò i capelli con le mani e li sistemò ai lati con delle forcine colorate di rosso, fece giusto in tempo ad infilare l’ultima scarpa quando suonò il campanello. Come una forsennata si chiuse la porta della camera di Aleksej alle spalle e raggiunse il chiacchiericcio di voci nell’ingresso. Lei, Aleksej, Gabriele e Zosimo dovevano vedersi quel pomeriggio per preparare l’ennesima ricerca di gruppo di scienze, avevano deciso di vedersi solo loro quattro per semplificare le cose, così Miki rimase piuttosto sorpresa quando si ritrovò davanti anche Katerina ed Alessandra.
<< Hanno terribilmente insistito per venire! >>
Le comunicò un Gabriele piuttosto stanco e avvilito.
<< Non avevamo nulla da fare >> Commentò allegramente Alessandra togliendosi frettolosamente sciarpa e guanti. << Allora abbiamo pensato di darvi una mano! >>.
<< Beh, io non mi lamento affatto eh >>. Replicò Zosimo con un sorriso a trentadue denti sulla faccia, Miki osservò Alessandra aggrapparsi al braccio del ragazzo e sorridere radiosa, le scappò automaticamente un sorriso.
<< Mettiamoci al lavoro allora, no? >>
Aleksej la afferrò per un braccio e la trascinò verso l’ingresso.
La sua mano era ancora calda.



_________________________
Effe_95

Buongiorno :)
Lo so, sono imperdonabile, avevo promesso che avrei aggiornato prima e invece non l'ho fatto.
Ma devo confessarvi che scrivere questo capitolo mi è costata una fatica assurda, soprattutto la parte di Enea e Bea, per non parlare poi della partita di basket, che fatica! xD
Comunque, in questo capitolo sono presenti dei sentimenti molto forti.
Enea sembra aver rinunciato a Beatrice lasciando a lei la mossa, e adesso dovremo vedere come reagirà la ragazza ;)
Mentre Muriel ha dato sfogo a tutta la sua rabbia facendosi scappare anche troppo.
Detto questo, spero che il capitolo vi piaccia.
Grazie mille a tutti come sempre, risponderò presto alle recensioni.
Alla prossima spero.


 
  
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