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Autore: DARKOS    14/09/2015    2 recensioni
[Era una bella giornata alla Twilight Town University, mentre la
campanella che annunciava l’inizio delle lezioni squillava
rumorosamente. Roxas saliva in fretta i gradini dell’ingresso
principale, a disagio. Era nervoso perché era il suo primo
giorno come matricola, e non aveva idea di cosa lo aspettava.]
Pubblico ora una storia che mi entusiasma davvero molto, un AU dove i membri dell'Organizzaizone si ritrovano all'Università!
Io sono sempre stato un fan delle famose commedie americane su questo genere, quindi mi ci sto divertendo parecchio. Ecco il primo capitolo!
Genere: Comico, Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Organizzazione XIII
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
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NOBODIES UNIVERSITY – PARTE SETTIMA

Roxas avanzava per un lungo corridoio bianco, in un’ala mai vista dell’istituto, proprio vicino agli studi dei professori. Tutto, dalle pareti ai mobili, era di un bianco puro, innaturale: ti dava la sensazione di essere fuori posto, un essere inetto e sporco che era capitato per sbaglio nella sala di un signore. E ripensando a quanto gli era stato detto dai suoi amici, probabilmente era un effetto voluto.
Xigbar e Xaldin arrivarono di fronte a una grande porta color ocra, e quest’ultimo si fermò, passando il prigioniero a Xigbar.
“Già, Xaldin, a te non piace l‘atmosfera lì dentro, eh?”
L’altro grugnì. “Vado a vedere com’è andata agli altri. Niente errori stavolta.”
Mentre si allontanava, Xigbar aprì la porta e condusse Roxas all’interno. “Bene, vogliamo entrare? È maleducazione far aspettare chi ti è superiore.”

Tutto considerato, l’interno della stanza era abbastanza ordinario, rispetto a quanto Roxas si era aspettato.
C’erano studenti, per la maggior parte del terzo anno, che leggevano libri, ripassavano le lezioni, si intrattenevano con dei giochi da tavolo. Il tutto con della leggera musica classica in sottofondo. Eppure una sensazione di disagio s’intromise nel biondino. C’era qualcosa di davvero sbagliato lì.
Xigbar arrivò al centro della stanza e lì si fermò, davanti a una massiccia scacchiera di metallo, molto elaborata. E dietro la scacchiera, un ragazzo dai capelli grigi e lo sguardo più freddo e calcolatore che Roxas avesse mai visto. Nessuna emozione sembrava trasparire da quegli occhi dorati, eppure ti davano comunque la sensazione di leggerti nell’anima, e non in una maniera piacevole.
“Così tu sei Roxas. Un buon lavoro, Xigbar.” La voce di Xemnas era pari all’espressione, priva di sentimento e profonda. Indicò il posto dall’altro lato della scacchiera. “Siediti.” Disse, con un tono che non ammetteva repliche. Roxas si sedette, mentre Xigbar si spostò di qualche passo all’indietro, lasciandoli apparentemente soli.
Xemnas intanto muoveva dei pezzi, anche se prima del loro arrivo non c’era nessuno a fargli da avversario. Roxas ne aveva sentito parlare da Lexaeus: alcuni giocatori, invece di giocare una partita intera, disponevano i pezzi in modo da creare alcune situazioni difficili da contrastare, e provavano a uscirne fuori. Di norma era più un allenamento che un tentativo di uscirne vincitori, visto che spesso si ricreavano situazioni prese da partite di professionisti.
“Mi sono giunte voci sul tuo conto” riprese il presidente del comitato studentesco, mentre continuava la sua partita contro un avversario inesistente. “Ti sei introdotto nel club delle majorette senza permesso, hai iniziato a frequentare personaggi di dubbio gusto, e assieme a loro hai tramato per rovinare la cerimonia di metà anno, nonché aiutato a manomettere la sala monitor del professor Cid. Niente male, per una matricola.” E qui alzò gli occhi per fissarlo.
Roxas aveva una paura matta, ma restituì lo sguardo. Ricordava le rassicurazioni di Zexion: loro non avevano niente di concreto. “Non so di cosa stia parlando… signore.”
“Oh, puoi anche rilassarti; non sei qui perché ci serve una confessione. Abbiamo già tutto ciò che ci occorre. Pensa invece a questa come alla tua seconda occasione.” Roxas si fece più attento. Non capiva a cosa stava alludendo Xemnas.
“La prima impressione è la più importante, tanto nella vita quanto qui nel campus: essa può rovinarti per sempre, o farti vivere le migliori esperienze possibili. Ma ad alcuni individui molto fortunati è concessa un’opportunità per modificare la propria immagine… se sono abbastanza furbi da coglierla. Tu hai fatto delle scelte, nei mesi passati qui. Scelte gravi e discutibili. Ma hai ancora il beneficio del dubbio; sei solo una matricola, e immagino che lo stile di vita di quei parassiti ti sia sembrato allettante. Ma ora ti sei ravveduto, e hai optato per scelte più sagge.”
Roxas finalmente capì. Gli stavano chiedendo di passare dalla loro! Prima ancora che potesse rispondere, Xigbar si accodò: “Pensaci bene, pivello. Hai altri tre anni da passare qui. ALMENO. E a seconda della tua risposta, potrebbe essere l’esperienza più piacevole della tua vita… o un vero incubo. Ci serve solo un tuo cenno di assenso.”
Xemnas riprese, stavolta dimostrando almeno un pizzico di umanità nella voce: “So che non scorre buon sangue tra te e i miei ragazzi. Ma posso far cambiare tutto quanto, farti partire con una fedina immacolata. L’importante nella vita non è tanto chi sei, ma chi conosci. Fai le giuste amicizie e controllerai la partita a tuo piacimento.” E così dicendo, mosse un altro pezzo sulla scacchiera, mangiando un alfiere. “Dunque, Roxas?”

Roxas rifletté. Pensò per l’ennesima volta a quanto gli era capitato. Non aveva mai chiesto di finire in quella situazione. Alla fine, non era forse rimasto semplicemente invischiato in affari altrui? Certo, aveva dato il suo consenso di volta in volta, ma che altra scelta aveva? Stavolta ne aveva una, una scelta reale. Poteva dimenticarsi di tutti, farsi nuovi amici, e vivere la sua vita in modo normale.
Normale. Quel singolo vocabolo accese una luce nella sua testa. Finalmente aveva identificato l’elemento di disagio che lo pervadeva in quella stanza, ciò che vi era di sbagliato nel mondo di Xemnas.
Tutti gli studenti svolgevano le loro azioni senza traccia di emozione o divertimento, come automi. Nessuno guardava dalla loro parte, nemmeno un briciolo di curiosità nei loro confronti. Perfino la musica classica, si ripeteva ciclicamente senza mai variare. Tutto ciò non era normale. Non era così che ragazzi e ragazze della loro età dovevano comportarsi: non c’era chiasso, non c’erano risate, non c’erano sentimenti. Un mondo freddo, vuoto, senza cuore. Roxas aveva la sua risposta, e guardò Xemnas, sorridendo.
“Ha proprio ragione: nessuno sano di mente sceglierebbe di rovinarsi invece di vivere le migliori esperienze. Ed è per questo che rifiuto!” Pronunciò le ultime parole urlando, cercando di spezzare quell’ambiente. Alcuni studenti si voltarono brevemente, per poi tornare alle loro mansioni dopo un’occhiataccia di Xigbar.
“Lei li chiama parassiti, ma quei parassiti vivono ogni momento della loro vita al massimo, senza preoccupazioni di apparenza o etichetta! Qualcuno potrebbe definirli irresponsabili… ma se la scelta è tra essere irresponsabile o un burattino nelle sue mani, rinunciando alla mia individualità, preferisco restare irresponsabile a vita! Non tradirò mai i miei amici, e qualunque cosa voi abbiate in mente, noi la supereremo.”
Xigbar sembrò turbato dalla sua rinnovata fiducia; ma Xemnas sorrise, per la prima volta. “Bene, sembra che Axel avesse visto giusto con te. Sei leale, qualità che apprezzo, anche con chi mi ostacola. Ma mi chiedo quanto valore avrà la tua lealtà per i tuoi “amici” quando sapranno che sei stato tu a tradirli.”
Roxas non capì. “Cosa? Io non ho tradito proprio nessuno!”
“Oh, ma l’hai fatto, invece. È sempre stato il tuo obiettivo fin da subito: hai finto che Marluxia ti stesse importunando, in modo da avvicinare Axel; hai effettuato la prova d’iniziazione contando sul nostro appoggio, in perfetta comodità; e infine, li hai messi nelle mani del consiglio appena venuto a conoscenza del loro piano.”
“Questo non è vero! Non ho mai fatto niente di simile!”
“Non l’hai ancora capito? La verità non ha alcuna importanza. Il tuo gigante dal cuore d’oro è un esempio sufficiente. Conta solo ciò che la gente vuole vedere. E tu dirai a tutti esattamente quello che vogliono sentire. E prima che tu ti ribelli con un altro bel discorsetto, lascia che ti mostri qualcosa. Vexen, se non ti dispiace.”

Detto questo, Xemnas fece avvicinare un ragazzo dall’aria molto vecchia, allampanato, che portava con sé alcuni fascicoli. Il presidente ne prese uno e lo aprì.
“Dunque… Zexion, colpevole di aver manomesso svariati sistemi elettronici del campus, tutti ai danni degli studenti. È un vero peccato, aveva un’ottima media… ma c’è la possibilità che anche quella fosse tutta opera delle sue manipolazioni ai server.”
Ne prese un altro, e poi un altro ancora: “Demyx, quando il club musicale fu eliminato, si rifiutò di restituire la chitarra proprietà dell’accademia. In più, qui sono riportati vari episodi di vandalismo ai danni della facoltà… e non ha nemmeno una buona media a salvarlo. Finirà in mezzo a una strada. Lexaeus, beh, girano tante brutte voci sul suo conto, e pare che proprio oggi abbia anche aggredito degli studenti. Il massimo a cui può aspirare è la libertà vigilata, sempre se gli permetteranno di frequentare ancora luoghi pubblici.”
Mentre parlava, mostrava a Roxas foto e prove schiaccianti per ognuno. La matricola era allibita: Xemnas avrebbe potuto incriminarli quando voleva. I dati, però, erano abbastanza vecchi: ancora non spiegavano il fallimento di quella giornata.
“Ah, eccolo qui: la nostra punta di diamante. Axel, colpevole di aver apertamente diffamato il consiglio studentesco, di aver istigato altri studenti, di essersi fatto beffe delle autorità del campus, di aver commesso più volte atti vandalici… un bel repertorio, non c’è che dire. Ce n’è abbastanza per il carcere, direi, appena potrà essere processato come adulto.
“Bene, Roxas, ecco la situazione. Non vuoi avere nulla a che fare con noi? Benissimo. Ma questa storia ha bisogno di un cattivo. E tu sarai quel cattivo, o tutti i tuoi amici faranno una brutta fine. Dopodiché, ti lasceremo per sempre in pace. Non avremo bisogno di ostacolarti: l’intero campus sarà tuo nemico. Allora?”
Roxas fissò il tavolo di fronte a lui, sconcertato. Avevano vinto. E lui aveva perso. Non poté fare altro che mormorare un debole assenso, decidendo il suo destino.

“Molto bene. Xigbar, accompagnalo fuori: abbiamo già pronta la sua deposizione. Ora che abbiamo anche la sua conferma, non ci serve più.”
Mentre Xigbar lo riconduceva fuori dalla stanza, Roxas si girò e pronunciò un’unica parola, incapace di pensieri più complessi: “Perché?”
Ma Xemnas capì ugualmente. “Perché mi è più utile. Se avessi eliminato i Nobodies con la forza, li avrei resi martiri e oggetto di emulazione, creando nuovi nemici con le mie stesse mani. Così invece, tra loro crescerà l’odio e il risentimento, e gli studenti li vedranno solo come un mucchio di doppiogiochisti. Se chiedi invece perché proprio tu… a volte il pedone può rivelarsi il pezzo più utile in una strategia.”
E detto questo, portò il suo pedone dall’altro lato della scacchiera, facendolo diventare una regina, e mettendo il re avversario in scacco matto. Poi le porte si chiusero e Roxas non vide più nulla.
   
 
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