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Autore: Lely_1324    19/09/2015    9 recensioni
AU Capitainswan
Emma e Killian. Swan e Jones, sempre gli stessi eppure così diversi.
Dopo la burrascosa fine della sua storia con Killian, Emma decide di dare una svolta alla sua vita. Cambiare città sembra la scelta più adatta, e Washington sembra la meta perfetta. Una taglio netto è quello che le serve. Nuovo ambiente, nuovo lavoro, nuova casa. Ma il destino non sembra essersi arreso, a differenza loro.
"Erano già passati due anni.
Due anni dal suo nuovo inizio.
Due anni dalla loro fine.
Lo aveva detto lui, entrambi meritavano di più: più della paura di rivelarsi cosa fossero, e più di un forse.
E un forse era proprio ciò che gli aveva dato lei. Non a parole, non ce n'era stato bisogno, lui lo aveva letto nei suoi occhi
Da quel giorno non aveva mai più visto Killian."
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: David Nolan/Principe Azzurro, Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Mary Margaret Blanchard/Biancaneve, Ruby/Cappuccetto Rosso
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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And tell me you love me, come back and haunt me,
Oh and I rush to the start.
Running in circles, chasing tails,
And coming back as we are.
 
Nobody said it was easy,
oh it's such a shame for us to part.
Nobody said it was easy,
No-one ever said it would be so hard.
 
I'm going back to the start.

( The scientist, Coldplay)




David era sempre stato bravo nel suo lavoro.
Era sveglio e aveva un buon intuiuto. Due qualità che lo rendevano un ottimo detective.
Nulla di strano quindi se, nel bel mezzo di un ricevimento, con un centinaio di persone a riempirgli la visuale, i suoi occhi si fossero intestarditi sugli unici due grandi assenti del momento, che per quanto significativi non erano in fondo che puntini irrisori in confronto alla massa di gente che popolava la sala.
Non che la loro improvvisa sparizione fosse in qualche modo inattesa, o misteriosa: David aveva messo in conto quella possibilità fin dal momento dell'aperitivo, quando aveva scorto quel gonfiore sospetto negli occhi troppo arrossati di Emma, e forse persino da prima, quando Victor un mese addietro lo aveva messo a conoscenza di come fossero andate le cose tra loro.
No, non era l'assenza in sé a preoccupare David, né le conseguenze a cui inevitabilmente avrebbe portato -certo che un confronto tra loro fosse necessario, a prescindere dall'esito che avrebbe avuto.
Se infatti era certo che da un lato chiunque in quella sala sarebbe stato capace di dedurre che, sottraendo centotrentuno invitati a un totale di centotrentatré, da qualche parte doveva nascondersi il resto di due, dall'altro era al contempo rassicurato dal fatto che la maggioranza di quei potenziali testimoni non avrebbe trovato la cosa interessante.
Incrociando gli occhi di Victor e vedendoli offuscarsi d'un rapido ma eloquente scintillio di complicità e comprensione, quella magra consolazione a cui aveva affidato il sereno prosieguo del matrimonio stava iniziando pericolosamente a vacillare. Se persino Whale se n'era accorto, dovevano essere via da molto.
«Solo un giro veloce, promesso. Vediamo cosa solo succede, poi torniamo qui immediatamente.» 

Due anni prima

- Non può parlare-
Quelle parole continuavano a rimombargli nella mente.
Improvvisamente si fece tutto sfocato, confuso.
Dannazione, Non poteva essere vero!
- Quanto è grave?- formulare quella domanda gli costò uno sforzo e un' energia che in quel momento sentiva di non avere.
Hopper sospirò prima di parlare- Capisce i discorsi, ma non può formulare frasi. Le parole sono a mala pena distinguibili. Non sappiamo se questo fa parte dell'Afasia o se è una variante della Scansione del discorso-

Killian si lasciò sopraffare da un gemito, dovuto al pianto, e si allontanò velocemente da quel corridoio, spingendo la porta così forte, che i pannelli di vetro minacciarono d’infrangersi. 
Si appoggiò pesantemente contro la finestra, confortato da quel freddo supporto, che offriva un pò di tregua ai suoi arti tesi ed alla sua testa stanca.
In un moto di frustrazione colpì la parete con un pugno.
Il dolore lo investì un attimo dopo. 
Con gli occhi ancora chiusi e con la fronte serrata in un'espressione accigliata, fece cadere il mento sul petto, desiderando che il mondo scomparisse o che lui potesse scomparire da esso.
C'era semplicemente troppo dolore: il pulsare della mano, il mal di testa persistente e quella fitta opprimente nel petto, proprio all'altezza del cuore.




Il ticchettio di quelle stupide scarpe eleganti contro il parquet risuonava prepotente nel corridoio, e David iniziava ad aver l'impressione che quelle due traditrici fossero intenzionate a smascherarlo, generando più rumore del necessario.
Non sapeva come avesse fatto a farsi coinvolgere in quella specie di caccia all'uomo, non era mai stata questa la sua intenzione, fatto sta che ora era lì.
Quando infine dal fondo del corridoio la porta di una camera a loro ben nota si aprì, rivelando un viso familiare, David non seppe se sentirsi sollevato o tremendamente imbarazzato. Victor d'altra parte non sembrava essersi neanche posto il problema; piuttosto nel giro di un'istante, e senza alcuno scrupolo, incalzò l'altro con la domanda peggio posta e meno delicata di cui fu capace.
«Jones finalmente, si può sapere che diamine sta succedendo? E dov'è Emma?»
Vide l'altro sobbalzare al suono di quella voce, evidentemente sorpreso dalla loro presenza, e gli parve di vederlo esitare qualche istante, con un'espressione in volto in cui David non fiutò nulla di buono. Fu tuttavia questione di secondi: una scrollata di capo sembrò infatti bastargli per rimettere in moto il cervello, e i piedi assieme a quello, e con passo di carica li superò entrambi, parlando senza neanche voltarsi a guardarli.
«Me ne vado. Scusami Victor, davvero, ma devo andare. Tornerò in tempo per la fine della festa, promesso.»
«Aspetta, che vuol dire che te ne vai! E dove?»
«Ovunque, ma via da qui. Scusami»
David  osservò Killian procedere senza indugio in quella che, a tutti gli effetti, poteva essere definita una fuga in piena regola, e se fino ad allora era stato ancora indeciso verso quale umore dovesse sbilanciarsi l'ago della sua bilancia, se l'imbarazzo o il sollievo, ciò che accadde l'istante dopo a quella riflessione non gli lasciò più alcun dubbio: imbarazzo, sicuramente. 
Dal fondo del corridoio, con una precisione quasi sospetta, si materializzò infatti l'ultima persona che avrebbe dovuto assistere a quello spettacolo: sguardo spaesato e andatura affrettata, Milah aveva infatti appena svoltato l'angolo. 
A nulla valsero i suoi tentativi di richiamare il fidanzato che,  apparentemente senza neanche vederla, la superò in poche falcate, passandole accanto con invidiabile indifferenza, e pochi istanti dopo aveva già voltato l'angolo a sua volta, sparendo alla loro vista.
«Era Killian quello, vero?»
La domanda, del tutto superflua, uscì quasi da sé dalla gola di una Milah che più che contrariata pareva essere confusa e consapevole insieme.
« sì...»
L'imbarazzo e la tensione erano palpabili nella voce di Victor, e David sentì chiaramente lo sguardo dell'amico posarsi su di sé, in una muta richiesta di aiuto
«Dove sta andando? Sembrava sconvolto...»
«Oh no, era solo di fretta. Ecco lui sta...lui sta andando a prendere dei parenti di Ruby, sì! Hanno avuto un problema con l'auto e sono rimasti in panne, così Killian si è offerto di andarli a prendere visto che David è il mio primo testimone e mi serve qui»
Disegnandosi forzatamente un sorriso sulle labbra, Victor assestò una gomitata decisa all'amico il quale, annuì energicamente alla donna, pur ignorando a cosa avesse appena assentito, stordito com'era da quel casino di situazione.
Qualunque cosa fosse sembrava comunque non aver riscosso il favore di Milah, il cui sguardo si era acceso ora di una nuova, strana, luce. 
Non dovette passare troppo tempo prima che David potesse darle un nome.
«Ti ringrazio Victor, il tuo è davvero un nobile tentativo ma a questo punto credo sia meglio che io vada. Per favore, dillo tu a Killian qualora dovessi sentirlo, e ancora congratulazioni per le tue nozze»
Un sorriso di circostanza stemperò la gravita delle sue parole, ma si trattava di mera apparenza: li salutò educatamente, e con più calore e sincerità di quanto si sarebbe aspettato, e si congedò, abbandonando con passo fermo il piano senza mai perdere in dignità. 
Evidentemente, tutti loro l'avevano ampiamente sottovalutata. 
Milah aveva capito, eccome se lo aveva fatto. Ma quello al momento era l'ultimo dei loro problemi.
«Vado a chiamare Mary Margareth, pensaci tu qui»
La voce di Victor lo riportò alla realtà, giusto in tempo per vedere il suo sguardo puntato verso la porta incriminata, col sotteso e implicito ordine di varcarla.
«Io? E cosa dovrei fare?»
«Non lo so, parlale... o non parlarle. Solo, tienila d'occhio finché non arriva la cavalleria»
Non gli fu concesso tempo per ribattere: si ritrovò solo nel corridoio, con la sola compagnia del proprio sguardo che, nervoso, aveva preso a girargli intorno nella speranza forse che qualcuno facesse la sua provvidenziale comparsa, salvandolo da quella scomoda situazione. 
Nessuno apparve tuttavia, e dopo un paio di minuti dovette arrendersi all'idea che quel compito toccava a lui e a nessun altro. 
Adorava Emma, la considerava una sorella, ma sapeva che non era certo incline alle confidenze. E poi aveva visto Killian, il suo sguardo sconvolto... Aveva  paura di ciò che avrebbe trovato in quella stanza, temeva di non essere in grado di poterla aiutare. Anzi, ne era piuttosto sicuro.
Aveva poi anche paura di violare in qualche modo l'intimità di Emma: lei era una donna orgogliosa, e David aveva notato con quanta cura si fosse premurata di nascondere le proprie lacrime solo qualche ora prima, e quando le si era avvicinato aveva avuto la conferma che parlarne non fosse tra le sue priorità.
Adesso, pensava, la situazione non poteva che essere peggiorata.
Timoroso entrò infine nella stanza, affondando ogni passo nel pesante silenzio di cui l'aria s'era resa satura, rotto a tratti dal leggero sussultare della donna seduta di spalle ai piedi del letto. 
Da lì ne poteva scorgere soltanto la chioma bionda, che si alzava e si abbassava a ritmo di quell'inusuale melodia. Chiuse la porta dietro le proprie spalle, un attimo prima di vedere la sua mano, tremante, alzarsi nel vuoto a nascondere i singhiozzi, e la sensazione di essere di troppo in quella stanza si fece, se possibile, ancora più forte.

Due anni prima

Lei sollevò leggermente il mento e lui s’immaginò che la sua voce pronunciasse “Hey”.

“Hey” rispose di rimado. Le si avvicinò.
“Stai bene?” Emma annuì. Killian si maledì per la stupidità di quella domanda.
Come poteva stare bene? 
Avrebbe tanto voluto stringerla  in quel momento, stringerla fino a farle mancare il fiato, fino a farle male. Aveva bisogno di sentirla viva. 
Ma forse lei aveva bisogno di un pò di spazio. Non l'avrebbe certo biasimata se dopo tutto ciò che era successo Emma non avesse più voluto vederlo. Tutto quel casino era colpa sua. 
Lui non era stato in grado di proteggerla.
Dio, distruggeva tutto ciò che toccava.
Prima Liam, ora lei. 
Non poteva permetterlo. Emma gli aveva concesso di entrare, aveva abbattuto buona parte dei suoi muri e lui ...lui la ringraziava così! 
La guardò negli occhi quando sentì le sue dita sfiorargli l’avambraccio, distraendolo ma quel vortice di colpevolezza e autocommiserazione in cui si era gettato: gli occhi di lei improvvisamente si erano riempiti di preoccupazione e curiosità.
Killian capì non appena guardò in basso, verso la sua mano fasciata.
“Non è niente: sta tranquilla. Il muro sta molto peggio!” 
Emma sorrise dolcemente e scosse la testa, mentre la sua mano sinistra andò a posizionarsi accanto a quella di lui.
Aprì la bocca, ma non ne uscì nessun suono.
Killian vide un’espressione di pura paura attraversarle gli occhi.

Lui non sapeva che a Hopper erano occorsi oltre cinque minuti per calmare Emma, dopo averle comunicato che non avrebbe potuto parlare: era stata tutta un’altra cosa rispetto ai secondi che c’erano voluti a lui, per calmarla, quando le avevano sparato. 
E Killian la calmò ancora una volta.

“Hey, tesoro è tutto apposto. ” disse in modo rassicurante, mentre i suoi occhi erano ancora incatenati a quelli di lei.

Il calore ritornò negli occhi di Emma, anche se lentamente.
"Posso sedermi qui con te?" propose con un ampio sorriso.
Lei annuì. 
“Qual è l’ultima cosa che  ricordi?”

Lei si morse il labbro inferiore per un momento, prendendo in considerazione  carta e penna, che che si trovavano alla sua destra.
Ma non le prese.
Killian sentì le sue dita delicate muoversi attorno al proprio polso e non offrì alcuna resistenza, quando lei gli guidò la mano in modo tale che  stringesse la sua guancia sinistra, e la ricoprì la sua mano con la propria.

Lui sorrise con gli occhi umidi, lasciando che il pollice sfiorasse i viso di Emma.

“Mi dispiace così tanto”

La guardò sorridere, come avrebbe sorriso una madre ad un bambino che aveva appena fatto qualcosa di terribilmente dispettoso: non importava cosa avesse fatto il bambino, perché non avresti potuto mai smettere di amarlo.

Emma si portò la sua mano alle labbra per depositarvi il bacio più delicato che Killian avesse mai  ricevuto.
La sua pelle bruciò sotto il tocco di Emma come se  il suo bacio fosse troppo puro per un uomo come lui.
Non meritava di essere amato così.
E a dimostrazione di ciò, quasi fosse un promemoria delle sue colpe, fece scivolare la sua mano dalla stretta di lei muovendosi verso il suo petto e sfiorandole la pelle ruvida per via del ripetuto utilizzo del defibrillatore.
Le dita di lei gli afferrarono il polso ancora una volta: questa volta in modo molto più stretto, bloccandoglielo, tanto che lui poté sentire il proprio ritmo cardiaco accelerare velocemente sotto la presa di Emma.
Ma quando gli occhi di lei incontrarono lo sguardo bagnato di Killian, non ebbe più dubbi.
Liberò il suo polso e  lasciò ricadere la mano sul letto.

Le dita di lui continuarono a muoversi dolcemente sulla rettangolare imperfezione rossa, che si trovava sulla pelle chiara di Emma. Sentendo la pelle d’oca formarsi sotto le proprie dita, Killian  sorrise mestamente ma non poté contenere un sorriso più ampio, quando sentì il suono del monitor cardiaco accelerare il ritmo.

Rise quando vide lei guardare incredula la macchina traditrice.
Sentendolo divertirsi, gli occhi di lei incontrarono nuovamente i suoi.

Condivisero un momento in assoluta serietà, prima che lei sorridesse dolcemente ed alzasse la spalla sinistra: si rilassò ulteriormente nei soffici cuscini caldi, ma continuò a tenere lo sguardo puntato sui movimenti sicuri di lui.

Gli occhi e le dita di Killian si mossero sopra il suo camice ed attorno al seno , mentre il ritmo cardiaco di lei aumentava velocemente sotto le sue dita, prima che queste si muovessero più in basso verso le costole. 
Percorse il profilo di ogni costola, e poi risalì appena per tornare su quella scottatura elettrica che sapeva aver rovinato la pelle perfetta di lei. Tracciò con la punta delle dita il contorno di quel segno, mentre sentiva il proprio cuore lacerarsi. 
Coprì quel punto con la mano, facendo restare il palmo nell'incavo tra i seni di Emma , desiderando di allontanare quella sensazione.




Aveva lasciato quella camera con l'intenzione di tornare alla festa.
Aveva lasciato lei in quella camera con l'intenzione di tornare dall'altra  alla festa.
Eppure, nel momento stesso in cui la mano aveva accarezzato la maniglia, una scarica d'esitazione lo aveva pervaso lungo tutto il corpo. 
L'attimo dopo essersi richiuso la porta alle spalle l'esitazione era divenuta dubbio, e nell'esatto istante in cui Milah aveva incrociato la sua strada il dubbio era infine maturato in certezza: doveva andarsene.
Mai, in nessun modo, neanche ricorrendo alla migliore delle sue facce da poker, sarebbe stato in grado di tornare da Milah e fingere indifferenza. Né tantomeno avrebbe potuto affrontare nuovamente Emma, quando inevitabilmente anche lei fosse scesa a raggiungerli. 
E se un briciolo di orgoglio personale e di riguardo nei confronti degli sposi avevano continuato ad attardare i suoi passi anche dopo che, risoluto, aveva superato David, Victor e chiunque altro avesse incontrato lungo il tragitto, ogni traccia d'incertezza era stata poi spazzata via dall'orrenda presa di coscienza d'aver ingenuamente -e del tutto inconsciamente- etichettato nella propria mente Emma come la lei e Milah come l'altra. Un pensiero inammissibile, non tanto perché lontano dalla verità quanto perché vi era troppo vicino.
Era, in effetti, la cosa più sincera che si fosse concesso di pensare da che l'aveva rivista, quel giorno.
Anche adesso che sfrecciava senza meta sulla strada deserta , col vento a scompigliargli i capelli e a schiaffeggiargli il volto -con tanta violenza da impedirgli di scoprire se ciò che sentiva scheggiargli le gote erano lacrime o solo fruste d'aria-, non riusciva a capacitarsi di come la sua mente potesse essere ancora tanto irrimediabilmente pregna di lei.
Soprattutto non riusciva a liberarsi del suono della sua voce, e di quelle  parole che da minuti ormai facevano da sottofondo ad ogni suo altro pensiero: non ho mai smesso. 
Lei lo amava.
Glielo aveva confessato con una naturalezza quasi disarmante, tanto che confessione non sembrava neanche il termine giusto per descrivere ciò che era accaduto. 
Nessun impronunciabile segreto era infatti stato svelato, nessuna verità s'era di colpo manifestata in quella stanza. Constatazione sarebbe stato un vocabolo più adatto. 
In fondo entrambi sapevano benissimo di amarsi ancora senza alcun bisogno di dirlo, per quanto strenuamente si fossero impegnati a nasconderlo.
 Ed era proprio questo a segnare la tragicità della situazione: si amavano e tuttavia s'erano persi. Nel momento decisivo non erano stati abbastanza: abbastanza forti, abbastanza coraggiosi, abbastanza fiduciosi...
Eppure, lei lo aveva detto.
Nonostante l'ovvietà di quella affermazione, nonostante il dolore e l'orgoglio ferito, lei lo aveva detto. E quel gesto lo aveva spiazzato più delle parole stesse.
L'aveva guardata, per un minuto che era parso interminabile, e di fronte a sé aveva visto la stessa donna di sempre: bellissima e caparbia, dallo sguardo fatale e il sorriso salvifico.
Un concentrato d'opposti, dannatamente nocivo per chiunque  fosse stato in grado di possedere contemporaneamente i suoi occhi e le sue labbra, la sua anima e il suo corpo -come un tempo a lui era stato concesso. 
Fino al giorno in cui quella stessa donna che lo aveva amato, non lo aveva poi messo da parte, fuggendolo e spezzandogli il cuore, dandogli infine il colpo di grazia.
Solo adesso, a distanza di anni, quando ormai si era rassegnato all'idea che nessuna redenzione sarebbe venuta a trascinarlo fuori dall'inferno in cui era scivolato insieme al loro amore, lei era infine tornata a salvarlo ancora un'altra volta, col solo potere delle parole.
Eppure, nonostante all'apparenza nulla sembrasse cambiato in lei, i suoi gesti, la sua ostinazione, la sua sicurezza nel mostrarsi ai suoi occhi, anche se vulnerabile, senza più nascondersi, tradivano la presenza di una donna nuova, una donna diversa.
Chi era questa nuova Emma? Sembrava sempre la stessa eppure era diversa. 
Quella domanda imperterrita continuava a riaffiorargli dalle pieghe dell'inconscio, sovrapponendosi alla voce di lei.
Emma era sempre stata complicata. Ma ciò che era peggio, Killian non riusciva a darsi pace, inabile a capire cosa avrebbe preferito: se scoprire che Emma era davvero cambiata in quei due anni, o se rendersi conto che in fondo non era che la stessa donna di sempre, semplicemente catapultata in una situazione troppo complicata per non uscirne scalfita.
Del resto, già in passato lei aveva dimostrato d'essere in grado di annullare le proprie barriere solo volendolo. E in fondo era di quella donna che lui si era innamorato, per quanto frustrante quella relazione sapesse essere alle volte.
La strada accanto a lui scorreva rapida, quasi quanto i suoi pensieri. Forme indistinte e macchie di vegetazione dai contorni sfumati gli riempivano gli occhi, mentre il piede flirtava con l'acceleratore un po' di più ad ogni chilometro percorso.
Stava scappando, non aveva problemi ad ammetterlo. E lei del resto lo aveva fatto in così tante occasioni che, si disse, come avrebbe potuto adesso rimproverarlo per aver invertito i ruoli, una volta tanto? Anzi, doveva ammettere che solo adesso, in qualche maniera, poteva capirla: scappare era un gesto vigliacco, non risolutivo e decisamente immaturo, ma era anche terribilmente ristoratore. Liberatorio quasi, nella misura in cui, col solo obiettivo in mente di andare via -ovunque questo via conducesse- si era in grado di distrarsi al punto da scappare persino da se stessi.
Lo squillo del cellulare interruppe momentaneamente quel filo di pensieri, riportandolo di colpo alla realtà. Allentata la pressione su volante e pedali, iniziò a rallentare fino a fermarsi del tutto, al riparo in una rientranza sul ciglio della strada. Non aveva alcuna intenzione di rispondere, anzi tolse la suoneria mentre il viso di Victor campeggiava ancora sul display del telefono. 
A convincerlo a interrompere la sua corsa folle era stato piuttosto il repentino rendersi conto di non riconoscere quasi più il paesaggio intorno a sé, segno che si stava allontanando troppo dal luogo del ricevimento. Andare oltre, perdersi nelle vastità della valle o giungere persino ai confini della città, non gli avrebbe tratto alcun giovamento. E d'altronde lui voleva solo una pausa da quell'ambiente, non era certo una fuga definitiva che cercava.
Sapeva che presto o tardi sarebbe dovuto ritornare sui suoi passi.
Quel “presto o tardi” arrivò in effetti più tardi del previsto, quando il crepuscolo aveva già preso a cancellargli l'ombra intorno, sfiorandolo più e più volte con i timidi raggi di sole che ancora sapevano sfuggire indisciplinati al suo controllo.
Il velo scuro della sera aveva già inghiottito l'asfalto, e sul nero del bitume apparivano ora più nitide le lacrime salate che solo adesso si rendeva conto di stare versando da quelli che, a giudicare dagli umidi indizi, dovevano ormai essere parecchi minuti. Non sapeva se a guidare l'avanzata di quel pianto fosse il solito dolore ,vecchio amico di bevute, o qualcos'altro: nel dubbio non ebbe cuore di impedirgli di fargli compagnia in quella presa di consapevolezza che stava poco a poco schiarendo i suoi pensieri, incamminatisi su un sentiero che mai avrebbe pensato di percorrere di nuovo. Mai di nuovo con lei almeno.
Ma c'era quel sorriso, timido e nostalgico, che aveva appena scoperto sul proprio viso insieme alle lacrime, e che non lasciava dubbi. E sebbene la sua presenza non lasciasse presagire nulla di buono circa il suo futuro stato d'animo, trovava che troppo bene si intonasse a quel suo pianto per poter pensare di sopprimere uno dei due, o persino entrambi, suoi compagni di viaggio.
Lui l'amava.
Ogni cosa trascinava irrimediabilmente dietro di sé questa piccola, affilata verità: l'amava.
Nel momento esatto in cui si era concesso quel pensiero -dopo averlo strenuamente ostacolato, convinto che gli avrebbe divorato l'anima-, e lo aveva abbracciato in tutta la sua ineluttabilità, era come se un grosso macigno fosse scivolato via dal suo petto, e lui si era infine reso conto di quanto stupido fosse stato a combatterli, anziché semplicemente arrendervisi a quei sentimenti.
Era risalito in auto un momento dopo, e aveva preso a percorrere la strada del ritorno con una fretta che nulla aveva a che fare con quella che lo aveva guidato solo un'ora prima. 
Le dita, tremanti, scivolavano continuamente sul volante, reso umido dalla patina di sudore freddo ed eccitato che gli imperlava i polpastrelli.
Sapeva quanto folle fosse. Sapeva di star rinunciando definitivamente ad ogni speranza di poter sopravvivere a quella guerra. 
Lei sarebbe partita l'indomani e nulla sarebbe cambiato. Nessun tentativo sarebbe valso a qualcosa, perchè era già finito tutto tra loro -forse anche prima che cominciasse.
Lo sapeva, lo sapeva bene . Ma saperlo non serviva a nulla perchè -che lei ci fosse per un giorno o per sempre, che lo amasse davvero o lo odiasse, che fosse cambiata o fosse la stessa - non importava. 
Non faceva alcuna differenza perché lui l'amava. È questo adombrava ogni altra cosa.
Tutto ciò a cui riusciva a pensare, adesso era che doveva vederla, ancora e ancora.
 Finché avesse potuto. Finché lei glielo avesse concesso. Finché il tempo a loro disposizione non si fosse esaurito. E sperava, pregava, che lei fosse ancora lì. Perché sì, lei l'indomani sarebbe ripartita, ma in che modo questo avrebbe potuto interessare al suo amore?
Sapeva a cosa stava andando incontro, e a che velocità. Il tachimetro continuava ostinatamente a ricordarglielo, attirando la sua l'attenzione su di sé forse nel vano tentativo di dissuaderlo da una resa che non avrebbe portato alcun cambiamento, se non la possibilità di donargli ancora qualche minuto -o magari un'ora, chissà- con lei. 
Ma non era forse abbastanza? Non era forse questo un motivo valido per correre da lei?
Nel migliore dei casi l'indomani ne sarebbe uscito distrutto, nel peggiore non sarebbe arrivato incolume neanche alla notte; l'euforica rassegnazione che lo stava conducendo da Emma adesso, avrebbe forse guidato i suoi passi  il giorno dopo dietro il suo taxi, verso l'aeroporto, incontro al suo aereo... nell'insano e futile tentativo di impedire una partenza inevitabile.
Ma il piede non vacillò mai sull'acceleratore, la mano non esitò mai sul cambio: che in qualunque circostanza, a qualunque costo e con qualunque conseguenza, lei ne valeva la pena.
Lei ne valeva sempre la pena . 


Due anni prima

Dopo quattro giorni passati a dormire sulla sedia accanto al letto di Emma, le infermiere  avevano costretto Kilian ad andare a casa a mangiare un pasto vero e a farsi una doccia.
Aveva protestato, ma alla fine si era lasciato convincere.

Alle undici e quarantatre di sera il suo telefono squillò .
Ancora nel limbo tra il sonno e la veglia alzò lo sguardo e, con gli occhi  offuscati , guardò l’identificativo chiamate, cercando di riconoscere il numero. 
Pensò di avere un'allucinazione. O forse si trattava semplicemente di un incubo.
Emma.
Il suo nome continuava a lampeggiare imperterrito sullo schermo del  cellulare.

La paura gli corse dentro, così veloce che poté sentire le pupille restringersi. Si alzò  in piedi e guardò il telefono squillare per un secondo senza fine, prima potarselo all'orecchio.

“Sì?” rispose con voce incerta.
"Killian..."

Il suo nome sembrò aleggiare nell’aria per un brevissimo istante.

“Sto arrivando” disse velocemente.






Salve a tutte, scusate il ritardo! Ultimamente il tenpo scarseggia...
In ogni caso ecco il nuovo capitolo! Lo so, non è ancora risolutivo, giuro che non voglio tirarla troppo per le lunghe, nel prossimo si rincontreranno, promesso.
E mi impegnerò ad essere un pò più veloce nell'aggiornamento.
Per il resto che dire? Manca poco più di una settimana al ritorno di OUAT ♥ 
Questa attesa infinita sta per finire!
E poi ovviamente un enorme, gigantesco grazie a tutti coloro che leggono, seguono, e recensiscono questa storia.
Grazie della pazienza, della fiducia e del tempo che mi dedicate!
Al prossimo, un abbraccio, Elena.

  
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