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Autore: Monique Namie    20/09/2015    2 recensioni
Dylia fa parte del dipartimento di trasposizione della E-Security, un ente pubblico che si occupa della sicurezza dei cittadini residenti sui pianeti di un nuovo sistema solare colonizzato dall'umanità. Un giorno le viene affidata una missione in solitaria per scongiurare un attentato a una importante stazione spaziale, ma qualcosa non va come previsto e da allora la sua vita prende una piega del tutto inaspettata...
Una storia d'amore e d'odio, di persone guidate dalla bontà e di altre accecate dal desiderio di vedetta. Una storia disseminata di ostacoli in apparenza insormontabili e intrighi legati allo spionaggio che portano i protagonisti del racconto a fare i conti con situazioni complicate, in cui i concetti stessi di "bene" e "male" tendono a confondersi.
{Il primo capitolo ha partecipato a "Boom! Il contest che vi lascerà con il fiato sospeso!" indetto sul forum di EFP}
Genere: Avventura, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Incertezze


Cap.5 -Simmetrie



Il giorno precedente Shulik aveva trascorso una pessima giornata. Era stato al mercato nero: non quello online, il mercato nero reale, quello che s’incontrava nei sobborghi più malfamati della città. Non doveva comprare niente, c’era andato solo per incontrare altri come lui. Ad un certo punto, annoiato dalle minacce di un rivenditore di merce rubata che non aveva mai pagato, era entrato in un bordello e aveva chiesto di Margaret, una prostituta con una mano bionica che accettava pagamenti in natura. Gli fu detto che era in camera con un cliente. Salì le scale, entrò nella stanza, afferrò il tizio nudo che stava sul letto con lei e lo sbatté in corridoio, poi richiuse la porta a chiave alle sue spalle. Non andava da lei in cerca di prestazioni sessuali, ma per qualcosa di molto più costoso. L’aveva conosciuta tre anni prima. Lei aveva appena compiuto un furto e aveva la polizia alle calcagna: se non l’avesse guidata fra i vicoli labirintici del quartiere abbandonato, l’avrebbero arrestata e condannata. Aiutandola nella fuga non le aveva soltanto garantito la libertà, ma le aveva anche salvato la vita, per questo Margaret si considerava sua debitrice. Si arrabbiò comunque quando Shulik irruppe in camera buttando fuori il suo cliente.
«Mi doveva ancora pagare!», urlò alzandosi dal letto e indossando la camicia da notte che aveva abbandonato a terra su un tappeto sgualcito.
«Non farne un dramma, ti pagherà il doppio domani», rispose lui sorridendo maliziosamente.
Lei storse il naso. «Che cosa vuoi da me, Elar?»
«Chi è Elar? Non conosco nessuno con quel nome.»
«Ah già, Elar era un nome troppo per bene per un criminale. Shulik trasmette più terrore! Guardami, sto tremando!»
Lui si avvicinò e, con fare aggressivo, la afferrò per le spalle e la costrinse a sedersi sul letto. «Ora che ti sei vendicata per aver fatto fuggire quell’imbecille, stammi a sentire!»
«Sono tutt’orecchi», disse con un improvviso fare civettuolo. L’altro si scostò e rimase in silenzio; Margaret sapeva perfettamente il motivo della sua presenza lì, ma desiderava sentirselo dire da lui.
Accavallò le gambe e lo guardò intensamente, quindi decise di passare alle provocazioni.
«Gira voce che tu abbia preso in simpatia un'agente della E-Esse
1
«Cazzate.»
«Allora perché l’hai risparmiata per ben due volte?»
«Non c’era motivo di ammazzarla.»
La donna piegò leggermente la testa verso una spalla e socchiuse gli occhi incorniciati da lunghe ciglia violacee. «Da quando Shulik ha bisogno di un motivo per ammazzare la gente?»
«Volevo solo divertimi un po’. Quando non mi divertirà più, ammazzerò anche lei.»
L’altra sbuffò. «Non vorrei che fosse proprio quella ragazza il motivo per cui questo mese sei passato da me così spesso…»
«Se potessi tornare indietro ti lascerei in mano agli sbirri», sbottò lui.
Margaret sorrise. Provava un certo piacere nel provocare Shulik, ma decise di non insistere, non ci teneva a risvegliare la sua collera, ed era chiaro che anche questa volta non le avrebbe dato alcuna spiegazione. Sospirò. «Ti darò ciò che vuoi, ma non voglio più vedere la tua faccia qui dentro per bel po'!» Si alzò e senza indugio lo baciò sulle labbra. Fingendo di provare una passione travolgente, insinuò le dita fra i suoi capelli neri e li scompigliò. Margaret sapeva svolgere il suo lavoro divinamente, ma in quel bacio mancava il sapore della verità e Shulik se ne tornò a nel suo rifugio più tormentato di prima.
Nel tardo pomeriggio tentò di fabbricare un ordigno esplosivo, deciso a farlo saltare l’indomani in qualche posto affollato per inaugurare così il ritorno alla sua abituale attività. Gli mancava solo un circuito secondario per la regolazione del timer che andò a cercare in una cassetta degli attrezzi. Quando non lo trovò, s'infuriò e gettò tutto il contenuto della cassetta sul pavimento. Fu allora che la sentì: una scossa elettrica che sembrava partire dalla nuca gli offuscò la vista e gli fece perdere l’equilibrio. Dopo qualche passo incerto, cadde seduto sul materasso mezzo disfatto che usava come giaciglio ed ebbe una visione: si trovava sul palco di una lussuosa sala mai vista prima, c’era anche Dylia addormentata su un lettino, ma quando provò a chiamarla la voce gli restò bloccata in gola. Sollevata la testa, avvertì lo sguardo di centinaia di persone addosso, lo guardavano con un’odiosa espressione che lo irritò in modo indicibile. Nel momento in cui tornò in sé, si ritrovò in piedi davanti a una delle finestre del suo covo rivolte verso est, il sole pomeridiano specchiava la sua immagine sconvolta sul vetro. Probabilmente fu quell'episodio che gli diede l'impulso di compiere l’atto più sconsiderato che potesse venire in mente ad un criminale del suo calibro.


Erano le due di notte passate e Oliwar continuava a ticchettare sui tasti del portatile con le sue lunghe dita sintetiche. Stava seduto alla scrivania della camera da letto di Dylia, mentre lei dormiva profondamente, avvolta nelle morbide lenzuola sognando di intraprendere un viaggio. Più che un viaggio di piacere, però, sembrava una fuga. Fuggiva in un altro sistema planetario inseguita da una squadra di navette da ricognizione. Nel momento in cui spararono alla sua navicella si svegliò di soprassalto ansimante.
Oliwar abbandonò momentaneamente il suo compito e si girò verso la ragazza: «Va tutto bene?»
La domanda non richiedeva una risposta, poiché il robot possedeva un cip di rilevamento dei valori vitali e, nel momento stesso in cui aveva parlato, aveva anche analizzato i dati necessari per arrivare da sé a una conclusione. La domanda era un optional richiesto dalle convenzioni sociali. La ragazza lo sapeva, ma rispose lo stesso: «Ho avuto un incubo.»
«Posso prepararti qualcosa di caldo da bere?»
«No, grazie Oliwar, non serve.»
Ricordò allora il compito che aveva affidato al robot prima di coricarsi. «La ricerca ha dato qualche frutto?»
«Solo molte analogie che richiedono un’ulteriore valutazione.»
«Previsioni sulla tempistica?», chiese lei. Ogni tanto, quando parlava con Oliwar si sorprendeva ad usare un linguaggio standardizzato, come se subisse l’influenza del suo interlocutore.
«Tre ore. Prima che la sveglia suoni avrò trovato qualcosa di concreto.»
«Bene.» Richiuse gli occhi e cercò di rilassarsi assaporando la morbidezza del cuscino. L’idea di fornire a Oliwar la descrizione del posto misterioso in cui si era vista catapultata durante l’esperimento di trasposizione nella Biblioteca Mondiale; le era venuta sulla navetta planetaria di ritorno. Si era messa in testa che Shulik vivesse in quel luogo. Il suo era un programma folle e impulsivo: entrare nella tana di un criminale armata di un solo taser voleva dire giocare sconsideratamente con il fuoco. Non aveva ancora deciso in che modo agire nel caso in cui l’avesse veramente trovato lì. Pensò che il giorno seguente, in ufficio, avrebbe avuto tutto il tempo per formulare con calma un piano e si riaddormentò.

La mattina, come previsto, Oliwar aveva trovato un luogo che presentava un’alta corrispondenza di particolari con quelli forniti da Dylia. Mentre faceva colazione, la ragazza ascoltò quello che aveva scoperto.
«Si tratta di un laboratorio ormai in disuso da anni. È collocato nella zona più decadente dei sobborghi del quadrante est della città.»
«Che ne dici, ci andiamo a fare un giro quando termino il turno di lavoro?»
«Sconsiglio vivamente di recarsi da quelle parti di giorno e tanto meno la sera. Non è un posto sicuro», rispose lui
con il solito tono inespressivo di sempre.
Dylia bevve l’ultimo sorso di cappuccino, poi si alzò e raggiunse Oliwar che era rimasto in piedi. Passò delicatamente una mano sulla pelle sintetica del suo viso in un gesto simile ad una carezza. Il volto del robot non tradì alcuna emozione.
«Certe volte sembra che tu ti stia preoccupando per me», disse la ragazza.
«È così. Mi preoccupo sempre per te, Dylia.»
Lei sorrise. La sua non si poteva dire preoccupazione, ma l’effetto di una complessa interazione fra i circuiti e il cip emotivo installato. «È deciso! Che ti piaccia o no, stasera si va incontro all’avventura!», disse.
Oliwar non cercò di farle cambiare idea, il che la lasciò per un attimo sorpresa.
Prima di uscire di casa ricevette un messaggio dalla E-Security in cui le si intimava di raggiungere il più velocemente possibile un centro commerciale non lontano dalla zona industriale della città. I sistemi di sicurezza dell’edificio in questione avevano captato un’anomalia che era stata interpretata con la presenza di un ordigno esplosivo. Appena letto tutto ciò, Dylia non poté fare a meno di pensare a Shulik. Indossò il soprabito e si precipitò in strada in cerca di un taxi.


Dylia scese dal taxi e osservò per qualche istante l’impotente struttura del centro commerciale che le si stagliava davanti. Era un edificio a forma di prisma più largo che alto, che come un iceberg nascondeva buona parte della sua struttura nel sottosuolo. Innumerevoli negozi erano stati posizionati nei livelli sotterranei in rispetto degli accordi mondiali per lo sviluppo sostenibile.
C’era molta gente che entrava e usciva sui nastri mobili. Dylia si affrettò a entrare tormentata dal pensiero che un ordigno fatto esplodere nel livello più basso avrebbe provocato una catastrofe immane. Fu sorpresa di non trovare nessuno dei suoi colleghi nella hall e solo allora rifletté anche sul fatto che non c’erano volanti della E-Security nel perimetro esterno. Compose istintivamente il numero del dipartimento e, quando sentì lo scatto della risposta, iniziò a parlare senza nemmeno presentarsi. «Sono alle coordinate che mi avete fornito, ma non c’è nessuno. Attendo maggiori istruzioni.»
Il suo interlocutore esitò qualche istante, il tempo di controllare a quale agente appartenesse il numero della chiamata. «Noi non ti abbiamo inviato nessun ordine. Dove ti trovi di preciso?»
«Ci dev’essere un errore. Se non mi avete mandato voi l’ordine, chi l’ha fatto?»
Non seppe mai la risposta del suo collega, perché qualcuno le strappò bruscamente il ricevitore dalle mani e lo scaraventò a terra, rompendolo.
«Tu!» Fece per prendere il taser dal fodero, ma Shulik gli immobilizzò le mani prima che potesse iniziare con le solite noiose intimidazioni. Vestito come una persona comune, poteva quasi passare per uno perbene, se una scintilla nel suo sguardo non avesse continuato a tradire quella che era sua vera natura. Tra la folla di persone presenti nel luogo, nessuno notò che Dylia era in difficoltà; certo le sarebbe bastato urlare per richiamare l’attenzione di una guardia, ma non lo fece, voleva prima capire il motivo di quell’incontro.
«Sta' tranquilla, non farò saltare il centro commerciale, devo solo provare una cosa», iniziò lui.
«Come diavolo facevi a sapere dove trovarmi?», cercò di liberarsi dalla presa senza successo.
«Ti consideravo più sveglia», ridacchiò lui, «il messaggio te l’ho inviato io.»
«Non è possibile, il mittente era la E-Security, non puoi aver hackerato il mio computer senza il tuo DSZ.»
L’altro non rispose. Allungò adagio una mano scostando il soprabito di lei in quello che sembrava un maldestro tentativo di abbraccio tra timidi amanti, ma che in realtà aveva come unico scopo quello di disarmarla: con estrema tranquillità le prese il taser e se lo infilò nella cintura. Poi trascinò la ragazza verso gli ascensori privati del personale. Dopo che aver inserito un codice nel display le porte si aprirono. Spinse dentro Dylia prima di infilarsi a sua volta nella cabina, poi cliccò per due volte il pulsante del piano più basso. Le porte si richiusero e i due rimasero a fissarsi uno di fronte all’altra per una manciata di secondi, mentre l'ascensore scendeva di diversi metri nel sottosuolo. Fu lui a rompere il silenzio.
«Prima che inventassero i DSZ, gli hacker usavano un semplice terminale per penetrare i più avanzati sistemi di sicurezza.»
«Il mio robot avrebbe percepito l’intrusione e mi avrebbe avvertita.»
«No, se anche lui fosse stato hackerato», ammiccò con spavalderia.
«Non mi freghi. I circuiti di Oliwar sono troppo complessi per essere hackerati!»
L’altro sorrise. «Sei così mielosa quando lo inviti a dormire accanto a te.»
Scioccata dalla rivelazione, Dylia alzò una mano decisa a colpirlo in faccia, ma lui la bloccò. «Sono venuto in pace, non costringermi ad usare la violenza.»
«Sei un bastardo!», urlò. In quel momento le porte dell’ascensore si riaprirono in quello che doveva essere il magazzino delle scorte: un grande spazio pieno scaffali ricolmi di merce e scatoloni accatastati ovunque. Era così poco illuminato che non si riusciva a vedere la parete di fondo. Il display dell’ascensore segnava -35.
«Io un bastardo? Sì, può essere», ghignò, «ma non è colpa mia. Vieni!»
La trascinò fra gli scaffali carichi di materiale di ogni genere. Verso il centro erano posizionati alcuni divani ricoperti da uno strato di cellofan; la costrinse bruscamente a sedersi su uno di essi, mentre lui rimase in piedi davanti di lei a guardala con aria di superiorità.
A quella profondità, circondati da metri di cemento armato nessun apparecchio riceveva il segnale. Dylia avrebbe dovuto sentirsi in trappola, oppressa, o quanto meno spaventata, invece l’unica cosa che provava era una certa irritazione provocata dalla scoperta che un pazzo criminale la spiava in camera da letto attraverso gli occhi del suo robot.
«Non ci vorrà molto prima che i tuoi colleghi si insospettiscano per la tua assenza, quindi sarò breve», iniziò lui. «Qualcosa è cambiato nella mia vita dopo il nostro primo incontro a Damon.»
Il modo in cui pronunciò quella frase lasciò Dylia senza parole. In altre circostanze, quello poteva sembrare il preambolo per una bella dichiarazione d’amore. Rimase ancora più sorpresa quando si chinò verso di lei in modo che i loro visi fossero alla stessa altezza: quella vicinanza inaspettata la fece divampare.
«Una volta provavo piacere nel vedere la gente soffrire, mi sentivo bene vedendo gente di ogni età morire tra le fiamme. Ora il solo pensiero mi provoca un senso di rifiuto. Eppure avverto ancora il desiderio di vendicarmi per tutto il male ricevuto.»
Dylia socchiuse gli occhi respirando l’odore di Shulik: sapeva di vita nei sobborghi, di avventura, di tecnologia rubata. Stava per dirgli che anche lei aveva percepito un cambiamento, ma lui le mise un dito sulle labbra per impedirle di parlare. «Per colpa tua non so più cosa sono.»
Trovava così bello il modo in cui si stava confidando con lei che approfittò dell’occasione, gli prese la mano che gli aveva posato sulle labbra e la scostò leggermente. «Che cosa ti hanno fatto per farti diventare così?», chiese in un sussurro.
«Mi hanno portato via tutto! Avevo una famiglia, dei genitori che amavo! Hanno distrutto la mia vita!» I suoi occhi si accesero di collera al ricordo. Dylia strinse più forte la sua mano e i loro sguardi si incrociarono. Avrebbe voluto dirgli che sapeva quello che provava, perché l’aveva provato anche lei quel giorno alla Biblioteca Mondiale. Si sporse di qualche millimetro in avanti in cerca di un contatto con le sue labbra, ma Shulik si scostò freddamente. «Sono quelli come te che mi hanno rovinato la vita!» Si alzò e dandole le spalle si allontanò di qualche passo. «Vattene!», disse.
Dylia rimase frastornata. Non poteva aver architettato tutto questo per lasciare il discorso a metà. Il suo atteggiamento sembrava dettato da un improvviso timore, tra l'altro del tutto giustificato dal fatto che lei era un'impiegata nel campo della giustizia e lui un assassino.
«Che cosa pensi di risolvere in questo modo?!»
«Sparisci, prima di ritrovarti con del cellofan stretto attorno alla gola!», urlò, girandosi verso di lei con un volto sconvolto. In realtà non lo avrebbe mai fatto. Non aveva mai ucciso a mani nude una persona: il contatto diretto con la propria vittima, per qualche ragione, lo aveva sempre ripugnato.
Dylia si alzò indispettita e rispose a tono: «Me ne andrò quando mi avrai ridato il taser!»
«Te lo ridarò quando riavrò il mio DSZ.»
«Benissimo!», gridò lei stringendo i pugni pervasa da un incontrollabile desiderio di prendere a schiaffi quel bel viso diabolico. Rimase qualche istante così, poi girò sui tacchi e se ne tornò verso l'ascensore.

Mentre percorreva il nastro mobile che portava all’esterno del centro commerciale, ebbe la sensazione che tra la folla qualcuno la seguisse, ma era troppo infuriata per lasciare spazio nella sua mente ad ulteriori preoccupazioni paranoiche. Il rapporto tra lei e Shulik si stava complicando a dismisura. La situazione era sul punto di sfuggirle dalle mani: oltre ad essere infuriata con lui, era infuriata anche con se stessa per essersi lasciata trasportare in quel modo.
Tornò a casa e, senza dire una parola, prelevò Oliwar e lo portò al centro robotico in cui l’aveva comprato per una scansione mirata del sistema. La sua decisione di marinare il turno di lavoro senza avvisare il capo, fu un primo chiaro segnale di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.




Note autore:
1- E-Esse: abbreviazione per "E-Security" usata soprattutto nei bassifondi in senso dispregiativo.

Mi scuso per il ritardo nella pubblicazione, il fatto è che sto scrivendo per diversi contest e non mi va comunque di mettere in secondo piano questo racconto (a cui tengo parecchio) inserendo capitoli pieni di strafalcioni perché non riletti. Sicuramente qualcosa mi sarà sfuggito come al solito: se trovate errori o parti stonate, aprite il "prendi appunti" in alto, segnatevi tutto quello che non vi torna e poi inviatemelo.
Spero che in generale il capitolo sia stato di vostro gradimento. Alla prossima! ;)


Licenza Creative Commons
"Inverse Transposition" di Monique Namie
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