As
the sun goes down
#1.
Sunrise
«Allora,
sta
arrivando?»
«Rilassati,
Sherlock. L’ho chiamato cinque minuti fa».
«Chiamalo di
nuovo», concludi sbrigativo, chino sul cadavere da poco
rinvenuto sul tetto di
un importante palazzo di Londra.
Lestrade
sospira, alzando le mani in segno di resa, e digita nuovamente il
numero di
John Watson, mentre tu ricontrolli il telefono (per
la sesta volta nel giro di un minuto – zitto, cervello, zitto).
Dove sei? SH.
[Inviato alle: 6.33]
Nessuna
risposta.
Nessuna
risposta.
Staranno facendo colazione insieme –
caffè con lo
zucchero per te, vero John?
Mary dev'essere assonnata e un po’ irritabile a
quest’ora del mattino: sarà la gravidanza? (Fare
una ricerca in proposito una volta a
casa.)
Ora le starai dando un bacio leggero sulla fronte, mentre
leggi i miei messaggi. Avrai visto la chiamata persa di Lestrade? Sono
sicuro
di sì.
Perché non rispondi?
Mi stai ignorando, John?
«Ancora
niente»,
ti informa Lestrade, «posso mandarti qualcuno dei miei, se
serve».
Rimani in
silenzio per un paio di minuti, apparentemente assorto
nell’analisi della scena
del crimine – qualcuno dei suoi,
che
assurdità. Forse dovrò abituarmici, tu non hai
più tempo per queste cose
me. Zitto, cervello, zitto.
Sollevi lo
sguardo – oltre il cadavere, oltre Lestrade, oltre il
cornicione del tetto.
La città è
piccola dall'alto, mentre l'alba è immensa. La differenza fa
quasi male.
Ti senti solo,
Sherlock Holmes?
Un dato
inconfutabile: non è John.
Cancella la delusione dalla tua faccia,
prima che Mycroft la noti.
«Aspettavi
qualcun altro?» Troppo tardi.
«Che
vuoi, Mycroft?», eviti di
rispondere a quella domanda inopportuna, mascherando il disappunto
– perché non
è John – con la solita
espressione infastidita. Non potresti certo ammettere, a lui ancor meno
che a
chiunque altro: aspetto John, aspetto
sempre John.
«Sono passato a controllare
come stai», prevedibile,
«ora che non
vive più nessun altro a Baker Street», aggiunge,
dando un’occhiata rapida
all’appartamento, visibilmente più disordinato di
quanto già non fosse quando
John vi abitava.
«Sto bene», tagli corto,
deciso a buttar fuori di casa quel dispotico e maniaco del controllo di
tuo
fratello nel minor tempo possibile.
Mycroft annuisce poco convinto.
Schiude appena le labbra, quasi a voler dire qualcosa, ma poi ci
rinuncia.
Rotei gli
occhi e ti allontani dalla porta, dirigendoti verso la finestra (il violino). Ne sfiori le corde, ricordi
quando lo suonavi per John (c’è
mai stato
qualcosa che non abbia fatto per te? Zitto,
cervello, zitto). Accarezzi con i polpastrelli gli spartiti (chiusi. Da quanto?). Saggi il legno
dello strumento con le dita (ti piaceva
ascoltare il Regenlied di Brahms quando pioveva).
«Io ero lì e lui era lì.
Banale e semplice, eppure così sconvolgente»,
mormori, un po’ a te stesso e un
po’ al tuo Stradivari. Un po’ forse anche a John,
ma lui non può sentirti.
«Ti rendi
conto di averlo detto ad alta voce, vero?»
«Sta’ zitto,
Mycroft».
La
città è
immensa e sembra inghiottirti, se spiata dal vetro sottile di quella
finestra,
mentre il tramonto è distante, minuscolo. La differenza fa
quasi male.
Ti senti solo,
Sherlock Holmes?
«Se cadi a pezzi, chi raccoglierà i cocci? Starai attento a non spezzarti?», sussurra Mycroft, ma tu hai già cominciato a suonare.
#3. Sundown
Ed eccola lì,
servita su un piatto d’argento da un innocuo bip
sul cellulare.
Mi
dispiace per stamattina, Mary non si è sentita bene e
non potevo lasciarla sola. JW.
[Ricevuto alle: 20.52]
Prima che tu
possa rispondergli, avverti un leggero tocco sulla maniglia, il cigolio
della
porta – Mrs Hudson? Che può volere a quest’ora?
(John? No, non può essere.
È con Mary. Mary,
giusto.)
Fruscio di una
giacca posata sulla spalliera del divano
– Mrs Hudson? È la sua vestaglia, quella che ha
appena lasciato in soggiorno?
(John? Impossibile.)
Passi che
riecheggiano sui gradini – Mrs
Hudson? La
caldaia si è rotta di nuovo e ha bisogno di una mano? (John?
Non abita più qui.
Zitto, cervello, zitto.)
Una mano
esitante sulla porta della camera, qualcuno che si dondola sulla punta
dei piedi,
respiro pesante – nervosismo.
«John?»
Non ti pare
vero che l’hai detto sul serio: il suo nome. Hai provato a
evitarlo per tutto il giorno, ma era sempre lì, sulla punta della lingua e in
bilico sul cuore.
Lo sconosciuto
al di là della porta prende coraggio e fa la sua comparsa;
e, in fondo, l’avevi
sempre saputo. La mano di John, la giacca di John, i passi di John.
John, nel
221B di Baker Street.
«Allora, cosa
sarei io?», ti chiede, con un tiepido sorriso sul volto.
Vorrebbe dire: scusa, Sherlock.
«Tu sei tutto
il resto», spieghi accomodante, mentre lui prende posto sul
letto, al tuo
fianco. Vorresti dire: non è
ovvio, John?
La
città è
insignificante, mentre la luce bianca del crepuscolo filtra tra le
tende della
camera da letto. La città è insignificante,
perché tutto ciò di cui hai bisogno
è tra quelle quattro mura.
Ti
senti solo,
Sherlock Holmes?
***
Note
Autrice:
Avevo
scritto questa storia tempo fa, in versione più
striminzita (3 drabbles), per partecipare a questo
contest indetto da DonnieTZ
sul Forum di EFP. A causa di una serie di problemi al pc (hard disk
rotto,
alimentatore introvabile et similia), non ho potuto parteciparvi. Avevo
anche
perso il file della storia (vedere il punto: hard disk rotto), ma ho
deciso di
riscriverla – più o meno – come
l’avevo pensata.
Non credo ci sia molto da dire al riguardo, si tratta solo del modo in
cui Sherlock reagisce all'allontanamento di John da Baker Street e
della vita che vi conducevano.
Ho sfruttato i prompt che avevo scelto per il contest,
ovvero queste tre frasi qui che non sono farina del mio sacco:
1) La
città è piccola dall'alto, mentre l'alba
è immensa. La differenza fa quasi
male.
2) Io ero lì e lui era lì. Banale e semplice,
eppure così
sconvolgente.
3) Io sono quello bello. Per i pensieri profondi ci sei
tu e non scambierei i nostri ruoli per niente al mondo.
Dovevo questa storia da tantissimo tempo a una delle mie
amiche più care e quale miglior giorno per pubblicarla, se
non quello del suo
compleanno?
Tanti auguri, Asphodela ♥
Alla prossima,