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Autore: Ninfea Blu    24/09/2015    8 recensioni
Oscar ha delle sorelle, lo sappiamo. Questa storia parla di una di queste sorelle, una che non conosciamo, perchè la Ikeda non ha pensato a una possibilità del genere. Danielle ha davvero molto in comune con Oscar... stessi capelli, stessi occhi. Qui parlerò dei suoi sentimenti, del suo rapporto con Oscar e inevitabilmente con l'amico Andrè che potrebbe, in qualche modo, mettersi fra loro. Perchè Danielle, gemella identica ma più femminile della nostra madamigella, potrebbe avere il coraggio di essere tutto quello che non è Oscar...
Aggiunte fan art cap. 7 - cap. 12
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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29 – Distanze (Chi è Oscar?)

 

 

Il giorno successivo al suo arrivo, pregai ancora Leopold di abbandonare Etretat, o almeno la mia villa. Non potevamo vivere sotto lo stesso tetto come cane e gatto e oramai i nostri rapporti si erano decisamente deteriorati; non esisteva più nemmeno la tolleranza fra noi, né alcuna parvenza di rispetto, inoltre i suoi sospetti su André mi intimorivano. Era ovvio che volesse coglierci in fallo, capire fino a che punto mi ero spinta con il giovane segretario; se ci avesse sorpresi in atteggiamenti equivoci o troppo intimi, si sarebbe rivalso su André, cacciandolo, o peggio, lavando l’onta nel sangue.

Era nel suo diritto di nobile offeso nell’onore, e nessuno avrebbe obbiettato, né si sarebbe scandalizzato, né avrebbe alzato un dito in difesa di un servo. Le persone della nostra cerchia gli avrebbero dato ragione, e io sarei finita alla berlina. L’infamia e l’umiliazione per me sarebbero state enormi, ma non era di quello che mi preoccupavo.

Di ciò che pensano gli altri mi è sempre importato poco, anche se ho sempre fatto attenzione a non fornire troppa materia di trastullo ai meschini benpensanti, bigotti e falsi moralisti che nuotano agili nella cosiddetta buona società.

Giacché egli non volle lasciare la mia casa, adducendo come scusa che in quel paese di pescatori, non c’era un alloggio degno di ospitare un aristocratico d’alto lignaggio come lui, io feci in modo di restarvi il minor tempo possibile.

La vicinanza di mio marito anche per poco mi era intollerabile.

Uscivo spesso, da sola o accompagnata da André, che notavo, manteneva un atteggiamento cauto e rispettoso, e rispondeva ai miei velati entusiasmi con garbo e riservatezza, quasi volesse ristabilire tra noi una distanza che di recente, avevano molto ridotto. Interpretai quel suo strano modo di fare, come reazione alla presenza di Leopold; pensai non volesse dare conferma alle pericolose accuse del conte, nonostante ciò, mi sentivo inquieta, attraversata dalla sensazione spiacevole che qualcosa mi stava scivolando lentamente dalle mani e non ero abbastanza forte da trattenerlo. Doveva essere la presenza ingombrante di mio marito a farmi sentire tanto insicura e timorosa, e maledissi la sua influenza destabilizzante nella mia vita. Effettivamente André da alcuni giorni mi appariva diverso.

Era sempre gentile, protettivo, attento alle mie esigenze, ma la luce che bruciava come fiamma viva e guizzante in fondo al suo sguardo verde ombroso non ero io che l’animavo; mi accorgevo che qualche volta, distoglieva lo sguardo per non incontrare i miei occhi, quasi volesse nascondermi certi suoi pensieri e sentimenti. Il suo sorriso era sereno, ma distante, né aveva lo stesso calore di un tempo. Non osai chiedere nulla a lui, e finsi, forse per paura. Finsi che fosse tutto immutato tra noi, ma sentivo nel sangue e nelle ossa che non era così: per quanto André facesse, per quanto fosse dolce e consolatoria la sua presenza al mio fianco, un brivido a volte mi correva alla base della nuca, appena prima dell’attaccatura dei capelli, come se dita gelide e invisibili mi sfiorassero la pelle, proprio lì.

Possibile che fossimo tornati al punto di partenza, lui ed io? Mi sembrava di essere giunta ad un passo da un’intimità del cuore e dei corpi, credevo che le nostre anime si sarebbero cercate e inseguite negli sguardi teneri e frementi, carichi di segreta aspettativa, nell’attesa di vedere fiorire la passione amorosa, ormai sul punto di divampare. Ero stata quasi certa del suo bisogno di scaldarsi al fuoco di un amore genuino e ricambiato, della sua resa, che sentivo prossima.

Tutto invece sembrava raffreddato, sopito, messo da parte. André si comportava da amico, i suoi baci erano diventati casti e fraterni, oltre che radi, e con delicatezza smorzava le mie carezze, i miei gesti affettuosi, perfino le mie parole.

“André, questi giorni in Normandia sono stati pieni di gioia per me, e non basterà l’interferenza di mio marito a rovinarci questi momenti passati insieme; se Dio vuole, ce ne saranno altri altrettanto belli, e magari… più completi - osai dirgli un pomeriggio, all’ombra delle fronde dei tigli, mentre i nostri cavalli un poco sudati per la corsa, pascolavano poco lontano. - Io spero solo che sia stato così anche per te.”

“Ma certo Danielle; io sono stato bene qui con te… - si volse a guardarmi con uno sguardo indecifrabile, e sentii una nota malinconica nelle parole seguenti - e qualunque cosa accada in futuro, io ricorderò sempre il tempo passato qui ad Etretat come una parte bella e felice della mia vita… Sarò sempre grato a questi luoghi che mi hanno fatto ritrovare… qualcosa che avevo quasi perso…”

Spalancai gli occhi, spaventata dal suo tono… o forse, dal non detto, che rimase sospeso come un profumo fluttuante, che subito si dissolse nell’aria.

“Parli come se dovesse finire, André… io non voglio che finisca. Io starei qui con te, per sempre… - Mi avvicinai e presi le sue mani trattenendole nelle mie, posando una guancia su di esse. - Non m’importa nulla di cosa penserà la gente… finalmente l’ ho capito, e non temo più il loro giudizio… Non rimpiango nulla, André, ho rinunciato alla vita di prima, a Versailles, agli onori, alle feste a corte, alle amicizie vacue e sciocche; era un’esistenza vuota quella che conducevo, circondata da tutte queste cose e non la voglio più. Tu riempi tutto, André… tu colmi tutto un mondo e lo rendi immenso, migliore… ricco di colori e profumi che accendono il cuore e svegliano i sensi alla vita… non ho bisogno d’altro per essere felice. Mi basta sapere che tu sei al mio fianco, come ora.”

Mi guardò negli occhi un istante. Non saprei dire a cosa pensasse, ma qualcosa combatteva in lui. Un’ombra offuscò quelle meravigliose iridi verdi. Indugiò. Poi con gentilezza, liberò una mano dalla mia stretta.

“Potrebbe finire, però. Le cose cambiano, Danielle… quando meno ce lo aspettiamo…” disse, e io mi persi, attraversata da un brivido di sconcerto, che faticai a nascondere.

“Perché parli così? Mi spaventi, André…”

“Scusa, Danielle… solo che io… ecco…”

La sua esitazione mi venne in aiuto e mi salvò, e indossai una maschera d’entusiasmo artificioso, forzato in un ampio sorriso che tuttavia, non arrivò a illuminare i miei occhi appannati d’inquietudine.

“Prendiamo i cavalli e proseguiamo fino alla tenuta dei Laundes; voglio andare a trovare Tristan, gli faremo una sorpresa…”

Avvertivo un profondo malessere che non seppi spiegarmi con razionalità. Tentai di non dare credito a quella sensazione, e sbagliai. Il nostro istinto viene dalla parte più profonda di noi, esso capta gli eventi prima che questi accadano e ci avvisa del rischio, del pericolo che corriamo, e di solito, non fallisce. L’errore è il nostro che non prestiamo mai abbastanza fede a questa nostra parte ancestrale e ignota.

 

 

 

********

 

 

 

 

 

 

La tenuta dei Laundes era vasta e comprendeva una bella porzione di costa affacciata sul mare, e alcuni boschi attorno. La villa era una costruzione semplice, ma signorile ed elegante situata nell’interno, formata da un corpo centrale e due piccole ali laterali, circondata da un giardino curato all’inglese.

La contessa e il suo segretario lasciarono i cavalli alle cure di uno stalliere che venne loro incontro, mentre Danielle veniva annunciata con tutti i riguardi ai padroni di casa.

La visita di Danielle e André fu per Tristan inaspettata, ma lo riempì di profonda gioia. Avrebbe preferito essere solo con la contessa, ma averla lì a casa sua, rinnovava nel suo cuore la speranza che la donna avesse per lui maggior interesse di quanto non mostrasse.

L’accolse con garbo, e la presentò al fratello più giovane e alla sua fidanzata; in casa era presente solo Madame Laundes, una signora matura dagli occhi vivi e intelligenti che portava con gran dignità i suoi anni, e recava sul viso la traccia di quella che doveva essere stata in gioventù una gran bellezza.

Danielle riconobbe in lei, i tratti nobili e affascinanti del figlio. Anche Fabian assomigliava alla madre, ma aveva capelli più chiari, lineamenti meno marcati del fratello maggiore e fattezze più delicate che gli davano un’aria quasi fragile, ma gli occhi erano come quelli di Madame Laundes, trasparenti e allegri, e rivelavano un’indole mite. [1]

“Sono felice di potervi accogliere nella mia umile dimora, madame Recamier. Ma ditemi, a cosa devo l’onore della vostra presenza in casa mia? Siete venuta, mossa dal desiderio irrefrenabile di vedermi, come spero, o siete in fuga da vostro marito, come temo?”

“Tristan siete il solito sfrontato irriverente – rise Danielle – eppure mi siete simpatico. Siete sempre così diretto, ma dovreste imparare ad essere un po’ meno audace.”

“Non posso. Perderei tutto il mio fascino, madame… e in ogni caso, preferisco essere diretto e franco, piuttosto che sibillino e subdolo. Perdonate la mia audacia, in realtà sono felice che siate qui, e non posso fare a meno di manifestarlo. Presto o tardi vi avrei invitata io stesso, e non avrei accettato un rifiuto da parte vostra.”

“State tranquillo, non avrei rifiutato. E sia, vi dirò la verità: volevo vedervi, Tristan, così ho colto l’occasione al balzo per fuggire da mio marito. Vi propongo una cavalcata; perché non vi unite a me e ad André, e ci fate compagnia? Solo se non avete altri impegni più urgenti, ovviamente…”

“Nessun impegno, per quanto urgente, mi terrebbe lontano da voi, madame. Vi accompagno, più che volentieri.”

“Bene. Allora, vi aspettiamo vicino alle scuderie.”

La contessa sorrise e si voltò per uscire dalla stanza, seguita da André, e non si accorse della rapida occhiata che i due uomini si scambiarono per studiarsi a vicenda. Un’ intesa muta, rivelatrice di molto ma non di tutto, e anche piena d’interrogativi, cui Tristan voleva dare risposte.

 

 

Lasciata la villa, i tre cavalieri s’inoltrarono tra il verde delle colline e i pianori che si allungavano per chilometri lungo la costa, come tappeti erbosi stesi su costoni di roccia bianca. I cavalli mantennero un’andatura sostenuta per svariati minuti, poi rallentarono un po’ la corsa. In prossimità degli alberi sparsi come grandi macchie lungo i percorsi, si godeva della frescura dei luoghi.

Tristan e Danielle cavalcavano affiancati, i cavalli guidati al passo, lungo un sentiero che si snodava attraverso una vasta radura.

André li seguiva a breve distanza, discreto e silenzioso, l’aria assorta nei ricordi lasciati in una locanda vicina al porticciolo di Etretat, senza curarsi affatto della conversazione distesa che coinvolgeva la contessa e Tristan. Parlava solo se interpellato; per tutto il resto del tempo osservava il paesaggio attorno, coglieva i fruscii dei cespugli mossi dall’aria, il movimento improvviso di un uccello che si alzava in volo.

Sentì Danielle emettere una risata spontanea. Tristan era capace di alleggerire il suo spirito inquieto, lo faceva con semplicità naturale, e André si sentì grato a quell’uomo, che riusciva dove lui non era in grado di arrivare.

E ci riusciva per la semplice ragione che era innamorato della gemella di Oscar, e lui questo lo avvertiva con profonda chiarezza. Sarebbe stato tutto più semplice se Danielle avesse ricambiato il giovane Laundes; ci aveva sperato e ci sperava ancora, un po’ vigliaccamente.

Intuiva nonostante tutte le riserve di Danielle, che tra loro due c’era una sintonia particolare, un potenziale incastro perfetto di anime e pensieri, e lui ne sarebbe stato sollevato, perfino dalla paura di vederla soffrire per quel rifiuto che presto le avrebbe imposto.

Stava per dirglielo poco prima se lei non lo avesse interrotto, se lei non gli avesse aperto per l’ennesima volta il suo cuore. Con che coraggio, di fronte alla sua appassionata confessione d’amore, poteva dirle che l’avrebbe abbandonata, per tornare da Oscar? Quel pensiero opprimente versava veleno amaro su un cuore che aveva ritrovato il gusto più dolce della felicità. Non esisteva un rimedio. Una lama stava per trafiggere il cuore di Danielle, e la mano carnefice pronta a colpita era la sua.

 

Perso nell’intimo conflitto dei suoi pensieri, André si accorse tardi del cavaliere che li seguiva, protetto da un folto gruppo d’arbusti che lo nascondeva alla loro vista. Si manteneva a considerevole distanza, probabilmente per non farsi notare o riconoscere. In effetti fino a quell’istante, nessuno aveva fatto caso alla sua presenza.

Ma André capì subito chi era. Bloccò le redini del suo cavallo, mentre guardava la figura lontana dileguarsi nella macchia scura delle foglie.

Tristan e Danielle proseguirono la loro marcia, distanziandolo, apparentemente ignari di ciò che accadeva alle loro spalle.

Quando finalmente si accorsero che André era rimasto indietro, si fermarono per capire cosa fosse successo. Danielle lo chiamò con tono apprensivo.

“André? Qualcosa non va?”

André in fretta smontò da cavallo, e li raggiunse sollecito. Tristan notò l’atteggiamento ansioso, e non solo quello, e non fu del tutto sorpreso di sentire il segretario rivolgersi a lui.

“Scusate Messieur De Laundes, posso chiedervi di accompagnare la contessa fino a casa? Vedete, mi sono accorto che il mio cavallo ha perso un ferro dello zoccolo. Non posso proseguire insieme a voi, rischio di azzoppare l’animale. Verrò a piedi, voi andate avanti, non aspettatemi.”

“Che disdetta André: dovrete camminare per un bel pezzo di strada. - Commentò Tristan, pacato, ma André colse in quegli occhi freddi un pizzico di sospetto. – Non preoccupatevi per la contessa, l’accompagnerò io. Lungo la strada troverete la casa del maniscalco; lì, potrete far ferrare il vostro cavallo.”

“D’accordo. Vi ringrazio.”

I cavalli ripartirono a sprone battuto. Quando Danielle e Tristan furono abbastanza lontani da non poterlo vedere, André rimontò in sella. Partì al galoppo nella direzione opposta.

 

 

 

§§§§§

 

 

 

 

 

Tristan vide per una frazione di secondo il misterioso cavaliere nascosto tra il fogliame degli alberi. Fu un attimo, sufficiente a cogliere quella figura di spalle, avvolta in un mantello scuro allontanarsi in fretta. Non l’aveva visto in faccia, ma da sotto le falde del cappello che lo nascondeva era sfuggita una lunga ciocca di capelli biondi; un ricciolo impertinente e selvaggio serpeggiò sollevato dall’aria, e gli ricordò i meravigliosi capelli color del grano di Danielle. La cosa lo impressionò.

Non aveva detto nulla a Danielle, né aveva creduto alla convincente scusa inventata in fretta dall’ex attendente, ma lo aveva assecondato. Tristan era certo che André si fosse accorto del cavaliere, ed era convinto che il segretario conoscesse l’identità della persona che li stava seguendo.

Una spia del conte non poteva essere.

Nel passato di André stavano le risposte che cercava, e Tristan rifletté sul breve, ma significativo scambio di battute avute con l’uomo appena mezzora prima.

 

“So che fino a poco tempo fa, voi eravate a servizio come attendente presso la famiglia d’origine della contessa, André. Che io sappia, Madame Recamier ha soltanto sorelle più vecchie, dunque immagino che foste al seguito di suo padre, il Generale Jarjayes.”

“No signore. - Aveva risposto André, con un tono rigido che mirava a scoraggiare altre eventuali curiosità. - Ero al servizio del Colonnello Oscar François De Jarjayes, Comandante delle Guardie Reali di Sua Maestà.”

 

Era la prima volta che Tristan sentiva nominare quell’ufficiale.

Un po’ sorpreso, aveva guardato Danielle, aspettandosi una spiegazione, che non era arrivata. Anzi, gli parve che la contessa fosse a disagio. Era rimasta in silenzio, le labbra serrate e rigide, e gli fu chiaro che né lei, né André volevano parlargli di questo fantomatico Oscar.

Chi era costui? Un fratello misconosciuto? Un cugino della contessa?

E perché sembrava aleggiare come una presenza fantasma, tra Danielle e André? Al nominare quel nome aveva colto l’inquietudine passare come un’ombra sui volti dei due.

Alla mente gli si aprivano retroscena oscuri e inquietanti, mai ipotizzati fino a quel momento; forse non era dal marito che la contessa stava fuggendo, ma da segreti famigliari ben più terribili e inconfessabili.

Perfino dietro il casato più blasonato e rispettabile di Francia, poteva celarsi la più abbietta e innominabile perversione tra consanguinei; Tristan sapeva benissimo cosa accadeva nei palazzi dell’aristocrazia più insospettabile di Parigi, teatri del vizio più corrotto, luoghi dove uomini e donne si concedevano senza pudore ai più depravati, vergognosi piaceri della carne, dove si consumava nel silenzio perfino l’incesto e la violenza.

Tristan guidava il suo Faust, al fianco di Danielle. Studiava il bel profilo altero e inaccessibile, l’espressione troppo seria e sulla difensiva, osservandola di sottecchi. Non mancava molto alla villa, e non voleva raggiungerla prima di aver parlato liberamente con la contessa, e se possibile scoprire quello che lei ancora si ostinava a voler nascondere. Doveva farlo finché fossero rimasti soli.

Provvidenziale il fatto che André fosse rimasto indietro.

Non voleva interferenze esterne.

“Vi fidate ciecamente del vostro caro André, vero? Ma io credo che il vostro amico vi nasconda qualcosa, Danielle…” esordì diretto.

“Che intendete dire? Cosa dovrebbe nascondermi André? State lavorando troppo di fantasia, Tristan…”

“Io non direi. Oggi il vostro segretario mi è apparso alquanto strano…” poi, in silenzio, puntò lo sguardo davanti a sé, come se fosse concentrato a seguire la strada. In realtà, la pausa voleva cogliere Danielle nella sua reazione più spontanea, che arrivò come Tristan si aspettava.

“Danielle, perché non mi avete mai detto di avere un fratello?”

“Perché non ho fratelli.” Fu la risposta secca, quasi ostile.

Danielle si bloccò e sembrò voler restare chiusa in un assoluto mutismo. Ma Tristan era più che mai determinato a sapere la verità, in un modo o nell’altro.

“Sapete Danielle, il vostro ostinato silenzio m’inquieta molto; cosa può esserci di così terribile da non poterne parlare? Questo vostro parente… Oscar… che cosa vi ha fatto? E cosa c’entra André in tutta la vicenda? Credo che anche lui sia coinvolto, e forse dovremmo parlare della vera ragione che vi ha spinto fin quaggiù. Qualcuno vi ha fatto del male, o vuole farvene?”

“Cosa? Ma no! – Gridò Danielle. - Cosa andate a pensare!”

“Allora, ditemi chi è Oscar, altrimenti penserò il peggio di questo misterioso personaggio che vi sconvolge tanto, di cui sembrate restia a parlare…”

“Vi ha già risposto André; è il Colonnello delle Guardie Reali, e questo non è un segreto per nessuno.” La contessa tentò ancora di glissare, ma invano.

“Questo lo so, e André era l’attendente del Comandante, ma lascia quell’incarico per seguire voi. È veramente un fatto curioso. Non mi state dicendo tutto, e non capisco perché. Non avete fiducia in me, madame? Io potrei aiutarvi…”

“Non ho bisogno d’aiuto, Tristan… non corro nessun pericolo.”

“Meglio così, madame. Ma vi prego, vorrei capire. Siete in cattivi rapporti col Comandante delle Guardie per qualche motivo grave che non potete dirmi?”

Danielle restò in silenzio per lunghi minuti, pensierosa e indecisa, lo sguardo basso posato sulla criniera del suo cavallo. Dopo, le parole uscirono in un sussurro quasi timoroso.

“Oscar François De Jarjayes è mia sorella…”

“Come avete detto?” Incredulo, Tristan pensò di aver capito male.

“Avete capito benissimo. Oscar è una donna, avviata da mio padre alla carriera militare fin dalla più tenera età, addestrata e istruita a questo scopo esattamente come un uomo. A corte, è un personaggio molto popolare, sapete? Mi sorprende che non abbiate mai sentito parlare di lei…”

“No, madame. Frequento poco Versailles, ma se avessi incontrato una donna singolare come vostra sorella, me la ricorderei, senza dubbio…”

“Sì… questo è certo…”

Le cose iniziavano ad avere un senso, nonostante le incognite ancora da chiarire.

Alla luce di quella rivelazione sorprendente, che apriva nuovi scenari inimmaginabili, Tristan fu quasi sicuro dell’identità del misterioso cavaliere biondo che li aveva seguiti; se come pensava, si trattava davvero di quella donna soldato, l’espediente del segretario per isolarsi dal loro piccolo gruppo, assumeva tutt’altro significato. Una donna, Colonnello delle Guardie Reali di Palazzo e il suo attendente; chissà quanti pettegolezzi giravano attorno a quei due, e quanto c’era di vero.

Non c’erano prove a dimostrare la sua ipotesi, ma l’atteggiamento rivelatore di André assomigliava all’ansia tipica di un amante impaziente che corre incontro all’oggetto del suo desiderio.

 

 

********

 

 

 

André pungolò i fianchi del suo cavallo con una tale foga, che l’animale emise un deciso nitrito di disappunto, sollevando le labbra scure a mostrare i grossi denti. Passò attraverso la boscaglia e la raggiunse dopo un breve percorso.

Era scesa da cavallo. Lo attendeva con le redini in mano, protetta dalle foglie delle piante, il mantello gettato sulle spalle. Sentì il rumore sordo degli zoccoli battere sull’erba umida. Lui tirò con forza le redini e saltò veloce dalla sella. Oscar si era già mossa prima che i suoi piedi toccassero terra. Si tolse il cappello e fu tra le sue braccia che le cinsero le spalle come se volessero proteggerla e custodirla, mentre lei si aggrappava alla schiena di André con i palmi all’altezza delle sue scapole, e da lì, scendevano e salivano in carezze lente e sensuali.

Lui sussurrò il suo nome tra il profumo dei suoi capelli, e un istante dopo fu sulle sue labbra, affamato del suo sapore fresco, immerso nella gioia sublime di sentire la sua lingua che inseguiva e accarezzava la sua. Le parole si spezzavano, perse tra un bacio e l’altro, sospirate appena sulle labbra morbide che si sfioravano, pelle tiepida e umida che regalava teneri brividi.

“Oscar, hai rischiato che ti vedessero…” sussurrò rauco André sulla sua guancia, mentre i baci scendevano sul collo lasciato scoperto che Oscar gli offriva.

“Vi ho visto passare e non ho resistito… volevo vederti… esserti vicino… così vi ho seguiti. Non ho mai invidiato Danielle così tanto come adesso.”

“Non invidiarla. Lei non ha questo… Tu travolgi i miei sensi, Oscar… rapisci la mia mente.”

I baci percorsero la gola di cigno e poi risalirono di nuovo verso le labbra. Oscar faticava a mantenersi lucida, il cuore infiammato dal trasporto, il corpo posseduto da brividi.

“Non volevo farmi notare da loro… solo da te… – Un nuovo gemito soffocato fu la risposta sulla bocca di André che ritornò a cercarla, avida e impetuosa. – Quando ti sei accorto di me, mi sono allontanata lentamente, per darti il tempo di raggiungermi…”

“Non mi aspettavo d’incontrarti che fra qualche ora… - André rise un po’ – ho adottato la prima scusa che mi venisse in mente per liberarmi di loro… e raggiungerti.”

“Speravo lo facessi…”

La baciò ancora, dolce e irruento, sul volto, sulle labbra schiuse.

La trattenne di più, una mano alla sua nuca, intrecciata ai capelli biondi e l’altra a circondarle la schiena e stringerla contro il suo corpo; la sua virilità avvertiva tutta la tenerezza conturbante del fisico di Oscar, le sue cosce nervose e tese premute contro i suoi muscoli duri, il bacino che sfiorava il suo e lo accarezzava, il morbido seno di Oscar protetto contro il suo petto, sotto cui il cuore batteva impazzito di emozione selvaggia.

“Vieni da me appena puoi, André… fai in fretta, ti prego… ti aspetterò alla nostra locanda.”

“Verrò Oscar. Nulla mi terrebbe lontano da te… Mai più.”

Oscar sollevò la testa. Voleva guardarlo negli occhi, immergersi nel suo sguardo, e colmarsi di lui. Lo desiderava, e voleva che lui capisse quanto.

“Voglio fare l’amore con te, - gemette provocandolo - e voglio farlo tutta la notte, André.”

La bocca del giovane amante si piegò in un sorriso compiaciuto.

“Non tentarmi Oscar…”

“E tu non resistermi; non tornare alla villa, questa sera… domani penseremo ad una scusa per Danielle.”

“Oh, che scusa potrei mai trovare? Prima o poi dovrò dirle la verità; è una cosa che non potrò rimandare in eterno. Ora non è proprio il momento, con l’arrivo imprevisto di Leopold. C’è troppa tensione negli animi di tutti. Ti prego Oscar, abbi pazienza ancora un po’.”

Lei lo strinse possessiva, e gli rispose dolcemente indispettita.

“Lo sai che non è una delle mie virtù.”

“Lo so, mio bellissimo Comandante, padrona del mio cuore…”

Lei sgranò gli occhi e rise. Una risata bassa che saliva dall’anima.

“Come fai a dire certe cose?” Chiese impressionata, le guance un poco arrossate.

Infine, si lasciò ammaliare e vincere dalla bocca di André, che sigillò di nuovo le sue labbra in un bacio profondo e sensuale per fondere insieme i loro respiri.

 

 

 

*******

 

 

 

 

Presso la mia dimora, mi fu riferito che il conte era rientrato da poco.

Aveva chiesto di me e di André; volle sapere se avevo passato il pomeriggio in sua compagnia o se avevo incontrato altre persone. E indagò anche su Tristan, facendo domande insinuati sulla nostra amicizia. Non c’era giorno che non ribadivo il mio desiderio che se ne andasse al più presto, e per dispetto, con l’evidente intenzione di creare disagio tra me e André, Leopold prolungava il suo soggiorno, inventandosi infinite scuse per non partire e tornare a Parigi: accusava indisposizioni che lo costringevano a letto, immaginari dolori di varia natura che gli impedivano quel viaggio scomodo.

Mi sembrava davvero puerile e irritante il suo atteggiamento, quel suo inutile opporsi ad eventi e situazioni che non si potevano più fermare.

Non volevo più essere sua moglie, di fatto non lo ero più da tempo, dalla nascita del nostro secondogenito. Entrambi eravamo migrati in altri letti a cercare i nostri piaceri; ciascuno si era consolato in altre braccia, solo per una notte, o per giorni quasi infiniti.

Ma quella non era una vita che potevo continuare a condurre, né vi sarei più riuscita.

“Perché non tornate dalla vostra Lisette e mi lasciate in pace? Avreste anche una figlia a cui pensare…” gli dissi piccata quell’ultima sera.

Era da poco passata l’ora di cena, e stava imbrunendo il cielo contro l’orizzonte. Andrè si era allontanato senza dire niente, come faceva oramai da giorni, e non era ancora rientrato dalla sua passeggiata solitaria. Io ero dilaniata dall’ansia che mi gravava sul petto, ma non osavo chiedere spiegazioni, che non era tenuto a darmi. Mi bastava che lui tornasse e il mio cuore si placava.

“Tornerò a Parigi, quando lo riterrò opportuno, madame. Non prima di aver salvaguardato gli interessi del nome che porto. Per fortuna, quel vostro servo ha la decenza di non farsi vedere troppo in giro, ma insiste a girarvi attorno tutto il giorno. Ma vi giuro che prima del mio ritorno a Parigi, farò in modo di allontanarlo da voi.”

“Mi minacciate? Perdete solo il vostro tempo e il mio. Non recederò dalle mie intenzioni. Se, come dite, non possiamo divorziare, farò in modo che il nostro matrimonio venga annullato. So anche a chi potrei rivolgermi per perorare la mia causa: il cugino del Re non mi negherebbe mai il suo aiuto, e vi assicuro che saprei quali tasti toccare per portare il Duca D’Orleans dalla mia parte. A quel punto, basterebbe la sua pressione e il suo potere, e sapete quanto sia influente. E lasciate stare André, non siete degno neppure delle sue scarpe; è l’uomo più corretto che conosca, e nella nostra disputa non c’entra nulla.” [2]

Dopo quelle mie parole, Leopold comprese davvero quanto fossi determinata. Si sentì profondamente insicuro, e la cosa andava solo a mio vantaggio.

“Volete insistere in questa cosa ridicola?!”

“Avete già la mia risposta.”

Chissà se Lisette aveva calcolato questa mia mossa, quando mi aveva proposto di lasciare mio marito; era un’alternativa che stavo valutando solo di recente.

L’amante di Leopold non era una donna sciocca; alla fine, si stava rivelando una perfetta stratega e il suo azzardo provocatorio non era stato altro che la miccia che brucia e fa scoppiare tutto. Un’esca a cui Leopold non avrebbe mai abboccato direttamente, e lei aveva aggirato l’ostacolo con abilità, proponendo a me qualcosa d’impensabile e contando sul mio desiderio d’indipendenza.

Sì, un’idea davvero astuta, pensata con grand’intelligenza, una di quelle che solo noi donne potremmo concepire. A distanza di tempo, lo comprendevo pienamente.

 

 

Quella sera André non tornò.

 

Ma io lo scoprii solo il mattino successivo, quando Ninette venne a chiamarmi, trafelata e impaziente.

Facevo colazione nel mio salottino privato, e con un coltello spalmavo marmellata su una fetta di pane imburrato.

“Signora contessa, venite presto!”

“Cosa c’è Ninette? Perché tanta agitazione?!”

“Vengo dalla stanza del signor conte: è riverso per terra sul pavimento, accanto al letto. Sembra morto…”

“Cosa? – Mi alzai in piedi. - Ieri sera stava benissimo.” Dissi, ricordando l’ultimo alterco della sera precedente.

Seguii in fretta la cameriera, su per lo scalone che portava al piano nobile, fino alla camera di mio marito. Entrai e non vidi subito il corpo, nascosto dietro le alte sponde del letto a baldacchino.

Notai la pesante tenda ricamata strappata parzialmente dai ganci a cui mio marito doveva essersi aggrappato mentre cadeva per terra, ammassata in pieghe gonfie e scomposte sul tappeto ai piedi del letto.

Lì accanto, giaceva immobile Leopold, il corpo in una posa innaturale coperto da una vestaglia bianca, e da sotto l’orlo uscivano i polpacci nudi.

“Vai a chiamare André…” dissi alla mia cameriera, con una freddezza che stupì me per prima, senza staccare gli occhi dalla scena che avevo davanti, grottescamente illuminata dalla luce rada che entrava dalla finestra.

“Non è in casa, madame. Credo che abbia passato la notte fuori, perché ho trovato il suo letto intatto, quando sono andata a chiamarlo.” Mi disse Ninette, e io non ebbi il tempo di turbarmi per la scoperta.

Mi avvicinai per scuoterlo, lo chiamai, ma quando le mie mani si posarono sopra di lui, sentii sotto la pelle attraverso il tessuto di batista, il freddo rigore della morte. Guardai il suo viso pallido e mi accorsi che le labbra iniziavano a prendere un colore violaceo.

Compresi cosa fosse accaduto e sgranai gli occhi, perché non provai altro che profondo stupore. Leopold, un uomo ancora nel vigore degli anni, mi lasciava vedova, e orfani di padre i miei figli.

Pensai a Monique e Bastien e provai pena per le mie piccole creature. Troppo piccole, soprattutto Bastien che diventava da quell’istante il nuovo Conte di Recamier.

E Andrè quella mattina, la più inaspettata e assurda della mia vita, non era accanto a me.

 

 

Continua…

 

 

 

Eccomi, e anche prima del previsto!

Non vi aspettavate il colpo di scena, vero? O forse, sì?

In realtà, devo ringraziare Tixit, perché è stata lei a suggerirmi la cosa, tempo fa. Io la stavo valutando, ma sono stata indecisa fino all’ultimo, - mi sembrava troppo semplice - poi ho capito che era una soluzione probabilmente necessaria e inevitabile, e Leopold è un personaggio sacrificabile, almeno ai fini di questa storia.

Grazie sempre per i commenti, e spero che abbiate ancora voglia di seguirmi. Alla conclusione non manca molto, non abbandonatemi proprio adesso! Alla prossima.

Ninfea

 

 

 



[1]  Non ho mai descritto le fattezze di Tristan, ma ho descritto quelle del fratello per contrasto.  In realtà, io immagino che abbia l’aspetto di un altro personaggio che amo molto… avete presente il mio avatar? O anche, per chi la conosce, la versione anime 2005 de “La maschera di vetro” ? Ecco, secondo me, come potrebbe essere quel personaggio, tolta la maschera di freddo cinismo dietro cui si nasconde.

 

[2]  In un capitolo precedente, avevo accennato alla cosa, ricordate? Una traccia vaga che si ricollega a quello che sta dicendo Danielle qui.

   
 
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