29 – Distanze (Chi è Oscar?)
Il giorno
successivo al suo arrivo, pregai ancora Leopold di abbandonare Etretat, o
almeno la mia villa. Non potevamo vivere sotto lo stesso tetto come cane e gatto
e oramai i nostri rapporti si erano decisamente deteriorati; non esisteva più
nemmeno la tolleranza fra noi, né alcuna parvenza di rispetto, inoltre i suoi
sospetti su André mi intimorivano. Era ovvio che volesse coglierci in fallo,
capire fino a che punto mi ero spinta con il giovane segretario; se ci avesse
sorpresi in atteggiamenti equivoci o troppo intimi, si sarebbe rivalso su
André, cacciandolo, o peggio, lavando l’onta nel sangue.
Era nel suo
diritto di nobile offeso nell’onore, e nessuno avrebbe obbiettato, né si
sarebbe scandalizzato, né avrebbe alzato un dito in difesa di un servo. Le
persone della nostra cerchia gli avrebbero dato ragione, e io sarei finita alla
berlina. L’infamia e l’umiliazione per me sarebbero state enormi, ma non era di
quello che mi preoccupavo.
Di ciò che pensano
gli altri mi è sempre importato poco, anche se ho sempre fatto attenzione a non
fornire troppa materia di trastullo ai meschini benpensanti, bigotti e falsi
moralisti che nuotano agili nella cosiddetta buona società.
Giacché egli non
volle lasciare la mia casa, adducendo come scusa che in quel paese di
pescatori, non c’era un alloggio degno di ospitare un aristocratico d’alto
lignaggio come lui, io feci in modo di restarvi il minor tempo possibile.
La vicinanza di
mio marito anche per poco mi era intollerabile.
Uscivo spesso, da
sola o accompagnata da André, che notavo, manteneva un atteggiamento cauto e
rispettoso, e rispondeva ai miei velati entusiasmi con garbo e riservatezza,
quasi volesse ristabilire tra noi una distanza che di recente, avevano molto
ridotto. Interpretai quel suo strano modo di fare, come reazione alla presenza
di Leopold; pensai non volesse dare conferma alle pericolose accuse del conte,
nonostante ciò, mi sentivo inquieta, attraversata dalla sensazione spiacevole
che qualcosa mi stava scivolando lentamente dalle mani e non ero abbastanza
forte da trattenerlo. Doveva essere la presenza ingombrante di mio marito a
farmi sentire tanto insicura e timorosa, e maledissi la sua influenza destabilizzante
nella mia vita. Effettivamente André da alcuni giorni mi appariva diverso.
Era sempre
gentile, protettivo, attento alle mie esigenze, ma la luce che bruciava come
fiamma viva e guizzante in fondo al suo sguardo verde ombroso non ero io che
l’animavo; mi accorgevo che qualche volta, distoglieva lo sguardo per non
incontrare i miei occhi, quasi volesse nascondermi certi suoi pensieri e
sentimenti. Il suo sorriso era sereno, ma distante, né aveva lo stesso calore
di un tempo. Non osai chiedere nulla a lui, e finsi, forse per paura. Finsi che
fosse tutto immutato tra noi, ma sentivo nel sangue e nelle ossa che non era
così: per quanto André facesse, per quanto fosse dolce e consolatoria la sua
presenza al mio fianco, un brivido a volte mi correva alla base della nuca,
appena prima dell’attaccatura dei capelli, come se dita gelide e invisibili mi
sfiorassero la pelle, proprio lì.
Possibile che
fossimo tornati al punto di partenza, lui ed io? Mi sembrava di essere giunta
ad un passo da un’intimità del cuore e dei corpi, credevo che le nostre anime
si sarebbero cercate e inseguite negli sguardi teneri e frementi, carichi di
segreta aspettativa, nell’attesa di vedere fiorire la passione amorosa, ormai
sul punto di divampare. Ero stata quasi certa del suo bisogno di scaldarsi al
fuoco di un amore genuino e ricambiato, della sua resa, che sentivo prossima.
Tutto invece
sembrava raffreddato, sopito, messo da parte. André si comportava da amico, i
suoi baci erano diventati casti e fraterni, oltre che radi, e con delicatezza
smorzava le mie carezze, i miei gesti affettuosi, perfino le mie parole.
“André, questi
giorni in Normandia sono stati pieni di gioia per me, e non basterà
l’interferenza di mio marito a rovinarci questi momenti passati insieme; se Dio
vuole, ce ne saranno altri altrettanto belli, e magari… più completi - osai
dirgli un pomeriggio, all’ombra delle fronde dei tigli, mentre i nostri cavalli
un poco sudati per la corsa, pascolavano poco lontano. - Io spero solo che sia
stato così anche per te.”
“Ma certo
Danielle; io sono stato bene qui con te… - si volse a guardarmi con uno sguardo
indecifrabile, e sentii una nota malinconica nelle parole seguenti - e
qualunque cosa accada in futuro, io ricorderò sempre il tempo passato qui ad
Etretat come una parte bella e felice della mia vita… Sarò sempre grato a
questi luoghi che mi hanno fatto ritrovare… qualcosa che avevo quasi perso…”
Spalancai gli
occhi, spaventata dal suo tono… o forse, dal non detto, che rimase sospeso come
un profumo fluttuante, che subito si dissolse nell’aria.
“Parli come se
dovesse finire, André… io non voglio che finisca. Io starei qui con te, per
sempre… - Mi avvicinai e presi le sue mani trattenendole nelle mie, posando una
guancia su di esse. - Non m’importa nulla di cosa penserà la gente… finalmente
l’ ho capito, e non temo più il loro giudizio… Non rimpiango nulla, André, ho
rinunciato alla vita di prima, a Versailles, agli onori, alle feste a corte,
alle amicizie vacue e sciocche; era un’esistenza vuota quella che conducevo, circondata
da tutte queste cose e non la voglio più. Tu riempi tutto, André… tu colmi
tutto un mondo e lo rendi immenso, migliore… ricco di colori e profumi che
accendono il cuore e svegliano i sensi alla vita… non ho bisogno d’altro per
essere felice. Mi basta sapere che tu sei al mio fianco, come ora.”
Mi guardò negli
occhi un istante. Non saprei dire a cosa pensasse, ma qualcosa combatteva in
lui. Un’ombra offuscò quelle meravigliose iridi verdi. Indugiò. Poi con
gentilezza, liberò una mano dalla mia stretta.
“Potrebbe finire,
però. Le cose cambiano, Danielle… quando meno ce lo aspettiamo…” disse, e io mi
persi, attraversata da un brivido di sconcerto, che faticai a nascondere.
“Perché parli
così? Mi spaventi, André…”
“Scusa, Danielle…
solo che io… ecco…”
La sua esitazione
mi venne in aiuto e mi salvò, e indossai una maschera d’entusiasmo artificioso,
forzato in un ampio sorriso che tuttavia, non arrivò a illuminare i miei occhi
appannati d’inquietudine.
“Prendiamo i
cavalli e proseguiamo fino alla tenuta dei Laundes; voglio andare a trovare
Tristan, gli faremo una sorpresa…”
Avvertivo un
profondo malessere che non seppi spiegarmi con razionalità. Tentai di non dare
credito a quella sensazione, e sbagliai. Il nostro istinto viene dalla parte
più profonda di noi, esso capta gli eventi prima che questi accadano e ci
avvisa del rischio, del pericolo che corriamo, e di solito, non fallisce.
L’errore è il nostro che non prestiamo mai abbastanza fede a questa nostra
parte ancestrale e ignota.
********
La tenuta dei Laundes era vasta
e comprendeva una bella porzione di costa affacciata sul mare, e alcuni boschi
attorno. La villa era una costruzione semplice, ma signorile ed elegante
situata nell’interno, formata da un corpo centrale e due piccole ali laterali,
circondata da un giardino curato all’inglese.
La contessa e il suo segretario
lasciarono i cavalli alle cure di uno stalliere che venne loro incontro, mentre
Danielle veniva annunciata con tutti i riguardi ai padroni di casa.
La visita di Danielle e André fu
per Tristan inaspettata, ma lo riempì di profonda gioia. Avrebbe preferito
essere solo con la contessa, ma averla lì a casa sua, rinnovava nel suo cuore
la speranza che la donna avesse per lui maggior interesse di quanto non
mostrasse.
L’accolse con garbo, e la
presentò al fratello più giovane e alla sua fidanzata; in casa era presente
solo Madame Laundes, una signora matura dagli occhi vivi e intelligenti che
portava con gran dignità i suoi anni, e recava sul viso la traccia di quella
che doveva essere stata in gioventù una gran bellezza.
Danielle riconobbe in lei, i
tratti nobili e affascinanti del figlio. Anche Fabian assomigliava alla madre,
ma aveva capelli più chiari, lineamenti meno marcati del fratello maggiore e
fattezze più delicate che gli davano un’aria quasi fragile, ma gli occhi erano
come quelli di Madame Laundes, trasparenti e allegri, e rivelavano un’indole
mite. [1]
“Sono felice di potervi
accogliere nella mia umile dimora, madame Recamier. Ma ditemi, a cosa devo
l’onore della vostra presenza in casa mia? Siete venuta, mossa dal desiderio
irrefrenabile di vedermi, come spero, o siete in fuga da vostro marito, come
temo?”
“Tristan siete il solito
sfrontato irriverente – rise Danielle – eppure mi siete simpatico. Siete sempre
così diretto, ma dovreste imparare ad essere un po’ meno audace.”
“Non posso. Perderei tutto il
mio fascino, madame… e in ogni caso, preferisco essere diretto e franco,
piuttosto che sibillino e subdolo. Perdonate la mia audacia, in realtà sono
felice che siate qui, e non posso fare a meno di manifestarlo. Presto o tardi
vi avrei invitata io stesso, e non avrei accettato un rifiuto da parte vostra.”
“State tranquillo, non avrei
rifiutato. E sia, vi dirò la verità: volevo vedervi, Tristan, così ho colto
l’occasione al balzo per fuggire da mio marito. Vi propongo una cavalcata;
perché non vi unite a me e ad André, e ci fate compagnia? Solo se non avete
altri impegni più urgenti, ovviamente…”
“Nessun impegno, per quanto
urgente, mi terrebbe lontano da voi, madame. Vi accompagno, più che
volentieri.”
“Bene. Allora, vi aspettiamo
vicino alle scuderie.”
La contessa sorrise e si voltò
per uscire dalla stanza, seguita da André, e non si accorse della rapida
occhiata che i due uomini si scambiarono per studiarsi a vicenda. Un’ intesa
muta, rivelatrice di molto ma non di tutto, e anche piena d’interrogativi, cui
Tristan voleva dare risposte.
Lasciata la villa, i tre
cavalieri s’inoltrarono tra il verde delle colline e i pianori che si
allungavano per chilometri lungo la costa, come tappeti erbosi stesi su costoni
di roccia bianca. I cavalli mantennero un’andatura sostenuta per svariati
minuti, poi rallentarono un po’ la corsa. In prossimità degli alberi sparsi
come grandi macchie lungo i percorsi, si godeva della frescura dei luoghi.
Tristan e Danielle cavalcavano
affiancati, i cavalli guidati al passo, lungo un sentiero che si snodava
attraverso una vasta radura.
André li seguiva a breve
distanza, discreto e silenzioso, l’aria assorta nei ricordi lasciati in una
locanda vicina al porticciolo di Etretat, senza curarsi affatto della
conversazione distesa che coinvolgeva la contessa e Tristan. Parlava solo se
interpellato; per tutto il resto del tempo osservava il paesaggio attorno,
coglieva i fruscii dei cespugli mossi dall’aria, il movimento improvviso di un
uccello che si alzava in volo.
Sentì Danielle emettere una
risata spontanea. Tristan era capace di alleggerire il suo spirito inquieto, lo
faceva con semplicità naturale, e André si sentì grato a quell’uomo, che
riusciva dove lui non era in grado di arrivare.
E ci riusciva per la semplice
ragione che era innamorato della gemella di Oscar, e lui questo lo avvertiva
con profonda chiarezza. Sarebbe stato tutto più semplice se Danielle avesse
ricambiato il giovane Laundes; ci aveva sperato e ci sperava ancora, un po’
vigliaccamente.
Intuiva nonostante tutte le
riserve di Danielle, che tra loro due c’era una sintonia particolare, un
potenziale incastro perfetto di anime e pensieri, e lui ne sarebbe stato
sollevato, perfino dalla paura di vederla soffrire per quel rifiuto che presto
le avrebbe imposto.
Stava per dirglielo poco prima
se lei non lo avesse interrotto, se lei non gli avesse aperto per l’ennesima
volta il suo cuore. Con che coraggio, di fronte alla sua appassionata confessione
d’amore, poteva dirle che l’avrebbe abbandonata, per tornare da Oscar? Quel
pensiero opprimente versava veleno amaro su un cuore che aveva ritrovato il
gusto più dolce della felicità. Non esisteva un rimedio. Una lama stava per
trafiggere il cuore di Danielle, e la mano carnefice pronta a colpita era la
sua.
Perso nell’intimo conflitto dei
suoi pensieri, André si accorse tardi del cavaliere che li seguiva, protetto da
un folto gruppo d’arbusti che lo nascondeva alla loro vista. Si manteneva a
considerevole distanza, probabilmente per non farsi notare o riconoscere. In
effetti fino a quell’istante, nessuno aveva fatto caso alla sua presenza.
Ma André capì subito chi era.
Bloccò le redini del suo cavallo, mentre guardava la figura lontana dileguarsi
nella macchia scura delle foglie.
Tristan e Danielle proseguirono
la loro marcia, distanziandolo, apparentemente ignari di ciò che accadeva alle
loro spalle.
Quando finalmente si accorsero che
André era rimasto indietro, si fermarono per capire cosa fosse successo.
Danielle lo chiamò con tono apprensivo.
“André? Qualcosa non va?”
André in fretta smontò da
cavallo, e li raggiunse sollecito. Tristan notò l’atteggiamento ansioso, e non
solo quello, e non fu del tutto sorpreso di sentire il segretario rivolgersi a
lui.
“Scusate Messieur De Laundes,
posso chiedervi di accompagnare la contessa fino a casa? Vedete, mi sono
accorto che il mio cavallo ha perso un ferro dello zoccolo. Non posso proseguire
insieme a voi, rischio di azzoppare l’animale. Verrò a piedi, voi andate
avanti, non aspettatemi.”
“Che disdetta André: dovrete
camminare per un bel pezzo di strada. - Commentò Tristan, pacato, ma André
colse in quegli occhi freddi un pizzico di sospetto. – Non preoccupatevi per la
contessa, l’accompagnerò io. Lungo la strada troverete la casa del maniscalco;
lì, potrete far ferrare il vostro cavallo.”
“D’accordo. Vi ringrazio.”
I cavalli ripartirono a sprone
battuto. Quando Danielle e Tristan furono abbastanza lontani da non poterlo
vedere, André rimontò in sella. Partì al galoppo nella direzione opposta.
§§§§§
Tristan vide per una frazione di
secondo il misterioso cavaliere nascosto tra il fogliame degli alberi. Fu un
attimo, sufficiente a cogliere quella figura di spalle, avvolta in un mantello
scuro allontanarsi in fretta. Non l’aveva visto in faccia, ma da sotto le falde
del cappello che lo nascondeva era sfuggita una lunga ciocca di capelli biondi;
un ricciolo impertinente e selvaggio serpeggiò sollevato dall’aria, e gli
ricordò i meravigliosi capelli color del grano di Danielle. La cosa lo
impressionò.
Non aveva detto nulla a
Danielle, né aveva creduto alla convincente scusa inventata in fretta dall’ex
attendente, ma lo aveva assecondato. Tristan era certo che André si fosse
accorto del cavaliere, ed era convinto che il segretario conoscesse l’identità
della persona che li stava seguendo.
Una spia del conte non poteva
essere.
Nel
passato di André stavano le risposte che cercava, e Tristan rifletté sul breve,
ma significativo scambio di battute avute con l’uomo appena mezzora prima.
“So che fino a poco tempo fa,
voi eravate a servizio come attendente presso la famiglia d’origine della
contessa, André. Che io sappia, Madame Recamier ha soltanto sorelle più
vecchie, dunque immagino che foste al seguito di suo padre, il Generale
Jarjayes.”
“No
signore. - Aveva risposto André, con un tono rigido che mirava a scoraggiare
altre eventuali curiosità. - Ero al servizio del Colonnello Oscar François De Jarjayes,
Comandante delle Guardie Reali di Sua Maestà.”
Era la prima volta che Tristan
sentiva nominare quell’ufficiale.
Un po’ sorpreso, aveva guardato
Danielle, aspettandosi una spiegazione, che non era arrivata. Anzi, gli parve
che la contessa fosse a disagio. Era rimasta in silenzio, le labbra serrate e
rigide, e gli fu chiaro che né lei, né André volevano parlargli di questo
fantomatico Oscar.
Chi era costui? Un fratello
misconosciuto? Un cugino della contessa?
E perché sembrava aleggiare come
una presenza fantasma, tra Danielle e André? Al nominare quel nome aveva colto
l’inquietudine passare come un’ombra sui volti dei due.
Alla mente gli si aprivano
retroscena oscuri e inquietanti, mai ipotizzati fino a quel momento; forse non era
dal marito che la contessa stava fuggendo, ma da segreti famigliari ben più
terribili e inconfessabili.
Perfino dietro il casato più
blasonato e rispettabile di Francia, poteva celarsi la più abbietta e
innominabile perversione tra consanguinei; Tristan sapeva benissimo cosa
accadeva nei palazzi dell’aristocrazia più insospettabile di Parigi, teatri del
vizio più corrotto, luoghi dove uomini e donne si concedevano senza pudore ai
più depravati, vergognosi piaceri della carne, dove si consumava nel silenzio
perfino l’incesto e la violenza.
Tristan guidava il suo Faust, al
fianco di Danielle. Studiava il bel profilo altero e inaccessibile,
l’espressione troppo seria e sulla difensiva, osservandola di sottecchi. Non
mancava molto alla villa, e non voleva raggiungerla prima di aver parlato
liberamente con la contessa, e se possibile scoprire quello che lei ancora si
ostinava a voler nascondere. Doveva farlo finché fossero rimasti soli.
Provvidenziale il fatto che
André fosse rimasto indietro.
Non voleva interferenze esterne.
“Vi fidate ciecamente del vostro
caro André, vero? Ma io credo che il vostro amico vi nasconda qualcosa,
Danielle…” esordì diretto.
“Che intendete dire? Cosa
dovrebbe nascondermi André? State lavorando troppo di fantasia, Tristan…”
“Io non direi. Oggi il vostro
segretario mi è apparso alquanto strano…” poi, in silenzio, puntò lo sguardo
davanti a sé, come se fosse concentrato a seguire la strada. In realtà, la
pausa voleva cogliere Danielle nella sua reazione più spontanea, che arrivò come
Tristan si aspettava.
“Danielle, perché non mi avete
mai detto di avere un fratello?”
“Perché non ho fratelli.” Fu la
risposta secca, quasi ostile.
Danielle si bloccò e sembrò
voler restare chiusa in un assoluto mutismo. Ma Tristan era più che mai determinato
a sapere la verità, in un modo o nell’altro.
“Sapete Danielle, il vostro
ostinato silenzio m’inquieta molto; cosa può esserci di così terribile da non
poterne parlare? Questo vostro parente… Oscar… che cosa vi ha fatto? E cosa
c’entra André in tutta la vicenda? Credo che anche lui sia coinvolto, e forse
dovremmo parlare della vera ragione che vi ha spinto fin quaggiù. Qualcuno vi
ha fatto del male, o vuole farvene?”
“Cosa? Ma no! – Gridò Danielle.
- Cosa andate a pensare!”
“Allora, ditemi chi è Oscar,
altrimenti penserò il peggio di questo misterioso personaggio che vi sconvolge
tanto, di cui sembrate restia a parlare…”
“Vi ha già risposto André; è il
Colonnello delle Guardie Reali, e questo non è un segreto per nessuno.” La
contessa tentò ancora di glissare, ma invano.
“Questo lo so, e André era
l’attendente del Comandante, ma lascia quell’incarico per seguire voi. È
veramente un fatto curioso. Non mi state dicendo tutto, e non capisco perché.
Non avete fiducia in me, madame? Io potrei aiutarvi…”
“Non ho bisogno d’aiuto,
Tristan… non corro nessun pericolo.”
“Meglio così, madame. Ma vi
prego, vorrei capire. Siete in cattivi rapporti col Comandante delle Guardie
per qualche motivo grave che non potete dirmi?”
Danielle restò in silenzio per
lunghi minuti, pensierosa e indecisa, lo sguardo basso posato sulla criniera
del suo cavallo. Dopo, le parole uscirono in un sussurro quasi timoroso.
“Oscar
François De Jarjayes è mia sorella…”
“Come avete detto?” Incredulo,
Tristan pensò di aver capito male.
“Avete capito benissimo. Oscar è
una donna, avviata da mio padre alla carriera militare fin dalla più tenera
età, addestrata e istruita a questo scopo esattamente come un uomo. A corte, è
un personaggio molto popolare, sapete? Mi sorprende che non abbiate mai sentito
parlare di lei…”
“No, madame. Frequento poco
Versailles, ma se avessi incontrato una donna singolare come vostra sorella, me
la ricorderei, senza dubbio…”
“Sì… questo è certo…”
Le
cose iniziavano ad avere un senso, nonostante le incognite ancora da chiarire.
Alla
luce di quella rivelazione sorprendente, che apriva nuovi scenari
inimmaginabili, Tristan fu quasi sicuro dell’identità del misterioso cavaliere
biondo che li aveva seguiti; se come pensava, si trattava davvero di quella
donna soldato, l’espediente del segretario per isolarsi dal loro piccolo
gruppo, assumeva tutt’altro significato. Una donna, Colonnello delle Guardie
Reali di Palazzo e il suo attendente; chissà quanti pettegolezzi giravano
attorno a quei due, e quanto c’era di vero.
Non
c’erano prove a dimostrare la sua ipotesi, ma l’atteggiamento rivelatore di
André assomigliava all’ansia tipica di un amante impaziente che corre incontro
all’oggetto del suo desiderio.
********
André pungolò i fianchi del suo cavallo
con una tale foga, che l’animale emise un deciso nitrito di disappunto,
sollevando le labbra scure a mostrare i grossi denti. Passò attraverso la
boscaglia e la raggiunse dopo un breve percorso.
Era scesa da cavallo. Lo
attendeva con le redini in mano, protetta dalle foglie delle piante, il
mantello gettato sulle spalle. Sentì il rumore sordo degli zoccoli battere
sull’erba umida. Lui tirò con forza le redini e saltò veloce dalla sella. Oscar
si era già mossa prima che i suoi piedi toccassero terra. Si tolse il cappello
e fu tra le sue braccia che le cinsero le spalle come se volessero proteggerla
e custodirla, mentre lei si aggrappava alla schiena di André con i palmi
all’altezza delle sue scapole, e da lì, scendevano e salivano in carezze lente e
sensuali.
Lui sussurrò il suo nome tra il
profumo dei suoi capelli, e un istante dopo fu sulle sue labbra, affamato del
suo sapore fresco, immerso nella gioia sublime di sentire la sua lingua che
inseguiva e accarezzava la sua. Le parole si spezzavano, perse tra un bacio e
l’altro, sospirate appena sulle labbra morbide che si sfioravano, pelle tiepida
e umida che regalava teneri brividi.
“Oscar, hai rischiato che ti
vedessero…” sussurrò rauco André sulla sua guancia, mentre i baci scendevano
sul collo lasciato scoperto che Oscar gli offriva.
“Vi ho visto passare e non ho
resistito… volevo vederti… esserti vicino… così vi ho seguiti. Non ho mai
invidiato Danielle così tanto come adesso.”
“Non invidiarla. Lei non ha
questo… Tu travolgi i miei sensi, Oscar… rapisci la mia mente.”
I baci percorsero la gola di
cigno e poi risalirono di nuovo verso le labbra. Oscar faticava a mantenersi
lucida, il cuore infiammato dal trasporto, il corpo posseduto da brividi.
“Non volevo farmi notare da
loro… solo da te… – Un nuovo gemito soffocato fu la risposta sulla bocca di
André che ritornò a cercarla, avida e impetuosa. – Quando ti sei accorto di me,
mi sono allontanata lentamente, per darti il tempo di raggiungermi…”
“Non mi aspettavo d’incontrarti
che fra qualche ora… - André rise un po’ – ho adottato la prima scusa che mi
venisse in mente per liberarmi di loro… e raggiungerti.”
“Speravo lo facessi…”
La baciò ancora, dolce e
irruento, sul volto, sulle labbra schiuse.
La trattenne di più, una mano
alla sua nuca, intrecciata ai capelli biondi e l’altra a circondarle la schiena
e stringerla contro il suo corpo; la sua virilità avvertiva tutta la tenerezza
conturbante del fisico di Oscar, le sue cosce nervose e tese premute contro i
suoi muscoli duri, il bacino che sfiorava il suo e lo accarezzava, il morbido
seno di Oscar protetto contro il suo petto, sotto cui il cuore batteva
impazzito di emozione selvaggia.
“Vieni da me appena puoi, André…
fai in fretta, ti prego… ti aspetterò alla nostra locanda.”
“Verrò Oscar. Nulla mi terrebbe
lontano da te… Mai più.”
Oscar sollevò la testa. Voleva
guardarlo negli occhi, immergersi nel suo sguardo, e colmarsi di lui. Lo
desiderava, e voleva che lui capisse quanto.
“Voglio fare l’amore con te, -
gemette provocandolo - e voglio farlo tutta la notte, André.”
La bocca del giovane amante si
piegò in un sorriso compiaciuto.
“Non tentarmi Oscar…”
“E tu non resistermi; non
tornare alla villa, questa sera… domani penseremo ad una scusa per Danielle.”
“Oh, che scusa potrei mai
trovare? Prima o poi dovrò dirle la verità; è una cosa che non potrò rimandare
in eterno. Ora non è proprio il momento, con l’arrivo imprevisto di Leopold.
C’è troppa tensione negli animi di tutti. Ti prego Oscar, abbi pazienza ancora
un po’.”
Lei lo strinse possessiva, e gli
rispose dolcemente indispettita.
“Lo sai che non è una delle mie
virtù.”
“Lo so, mio bellissimo
Comandante, padrona del mio cuore…”
Lei sgranò gli occhi e rise. Una
risata bassa che saliva dall’anima.
“Come fai a dire certe cose?” Chiese
impressionata, le guance un poco arrossate.
Infine, si lasciò ammaliare e
vincere dalla bocca di André, che sigillò di nuovo le sue labbra in un bacio
profondo e sensuale per fondere insieme i loro respiri.
*******
Presso la mia dimora, mi fu riferito che il conte era rientrato da poco.
Aveva chiesto di me e di André; volle sapere se avevo passato il pomeriggio in sua compagnia o se avevo incontrato altre persone. E indagò anche su Tristan, facendo domande insinuati sulla nostra amicizia. Non c’era giorno che non ribadivo il mio desiderio che se ne andasse al più presto, e per dispetto, con l’evidente intenzione di creare disagio tra me e André, Leopold prolungava il suo soggiorno, inventandosi infinite scuse per non partire e tornare a Parigi: accusava indisposizioni che lo costringevano a letto, immaginari dolori di varia natura che gli impedivano quel viaggio scomodo.
Mi sembrava davvero puerile e irritante il suo atteggiamento, quel suo inutile opporsi ad eventi e situazioni che non si potevano più fermare.
Non volevo più essere sua moglie, di fatto non lo ero più da tempo, dalla nascita del nostro secondogenito. Entrambi eravamo migrati in altri letti a cercare i nostri piaceri; ciascuno si era consolato in altre braccia, solo per una notte, o per giorni quasi infiniti.
Ma quella non era una vita che potevo continuare a condurre, né vi sarei più riuscita.
“Perché non tornate dalla vostra Lisette e mi lasciate in pace? Avreste anche una figlia a cui pensare…” gli dissi piccata quell’ultima sera.
Era da poco passata l’ora di cena, e stava imbrunendo il cielo contro l’orizzonte. Andrè si era allontanato senza dire niente, come faceva oramai da giorni, e non era ancora rientrato dalla sua passeggiata solitaria. Io ero dilaniata dall’ansia che mi gravava sul petto, ma non osavo chiedere spiegazioni, che non era tenuto a darmi. Mi bastava che lui tornasse e il mio cuore si placava.
“Tornerò a Parigi, quando lo riterrò opportuno, madame. Non prima di aver salvaguardato gli interessi del nome che porto. Per fortuna, quel vostro servo ha la decenza di non farsi vedere troppo in giro, ma insiste a girarvi attorno tutto il giorno. Ma vi giuro che prima del mio ritorno a Parigi, farò in modo di allontanarlo da voi.”
“Mi minacciate? Perdete solo il vostro tempo e il mio. Non recederò dalle mie intenzioni. Se, come dite, non possiamo divorziare, farò in modo che il nostro matrimonio venga annullato. So anche a chi potrei rivolgermi per perorare la mia causa: il cugino del Re non mi negherebbe mai il suo aiuto, e vi assicuro che saprei quali tasti toccare per portare il Duca D’Orleans dalla mia parte. A quel punto, basterebbe la sua pressione e il suo potere, e sapete quanto sia influente. E lasciate stare André, non siete degno neppure delle sue scarpe; è l’uomo più corretto che conosca, e nella nostra disputa non c’entra nulla.” [2]
Dopo quelle mie parole, Leopold comprese davvero quanto fossi determinata. Si sentì profondamente insicuro, e la cosa andava solo a mio vantaggio.
“Volete insistere in questa cosa ridicola?!”
“Avete già la mia risposta.”
Chissà se Lisette aveva calcolato questa mia mossa, quando mi aveva proposto di lasciare mio marito; era un’alternativa che stavo valutando solo di recente.
L’amante di Leopold non era una donna sciocca; alla fine, si stava rivelando una perfetta stratega e il suo azzardo provocatorio non era stato altro che la miccia che brucia e fa scoppiare tutto. Un’esca a cui Leopold non avrebbe mai abboccato direttamente, e lei aveva aggirato l’ostacolo con abilità, proponendo a me qualcosa d’impensabile e contando sul mio desiderio d’indipendenza.
Sì, un’idea davvero astuta, pensata con grand’intelligenza, una di quelle che solo noi donne potremmo concepire. A distanza di tempo, lo comprendevo pienamente.
Quella sera André non tornò.
Ma io lo scoprii solo il mattino successivo, quando Ninette venne a chiamarmi, trafelata e impaziente.
Facevo colazione nel mio salottino privato, e con un coltello spalmavo marmellata su una fetta di pane imburrato.
“Signora contessa, venite presto!”
“Cosa c’è Ninette? Perché tanta agitazione?!”
“Vengo dalla stanza del signor conte: è riverso per terra sul pavimento, accanto al letto. Sembra morto…”
“Cosa? – Mi alzai in piedi. - Ieri sera stava benissimo.” Dissi, ricordando l’ultimo alterco della sera precedente.
Seguii in fretta la cameriera, su per lo scalone che portava al piano nobile, fino alla camera di mio marito. Entrai e non vidi subito il corpo, nascosto dietro le alte sponde del letto a baldacchino.
Notai la pesante tenda ricamata strappata parzialmente dai ganci a cui mio marito doveva essersi aggrappato mentre cadeva per terra, ammassata in pieghe gonfie e scomposte sul tappeto ai piedi del letto.
Lì accanto, giaceva immobile Leopold, il corpo in una posa innaturale coperto da una vestaglia bianca, e da sotto l’orlo uscivano i polpacci nudi.
“Vai a chiamare André…” dissi alla mia cameriera, con una freddezza che stupì me per prima, senza staccare gli occhi dalla scena che avevo davanti, grottescamente illuminata dalla luce rada che entrava dalla finestra.
“Non è in casa, madame. Credo che abbia passato la notte fuori, perché ho trovato il suo letto intatto, quando sono andata a chiamarlo.” Mi disse Ninette, e io non ebbi il tempo di turbarmi per la scoperta.
Mi avvicinai per scuoterlo, lo chiamai, ma quando le mie mani si posarono sopra di lui, sentii sotto la pelle attraverso il tessuto di batista, il freddo rigore della morte. Guardai il suo viso pallido e mi accorsi che le labbra iniziavano a prendere un colore violaceo.
Compresi cosa fosse accaduto e sgranai gli occhi, perché non provai altro che profondo stupore. Leopold, un uomo ancora nel vigore degli anni, mi lasciava vedova, e orfani di padre i miei figli.
Pensai a Monique e Bastien e provai pena per le mie piccole creature. Troppo piccole, soprattutto Bastien che diventava da quell’istante il nuovo Conte di Recamier.
E Andrè quella mattina, la più inaspettata e assurda della mia vita, non era accanto a me.
Continua…
Eccomi, e anche prima del previsto!
Non vi aspettavate il colpo di scena, vero? O forse, sì?
In realtà, devo ringraziare Tixit, perché è stata lei a
suggerirmi la cosa, tempo fa. Io la stavo valutando, ma sono stata indecisa
fino all’ultimo, - mi sembrava troppo semplice - poi ho capito che era una
soluzione probabilmente necessaria e inevitabile, e Leopold è un personaggio
sacrificabile, almeno ai fini di questa storia.
Grazie sempre per i commenti, e spero che abbiate ancora voglia
di seguirmi. Alla conclusione non manca molto, non abbandonatemi proprio adesso!
Alla prossima.
Ninfea
[1] Non ho mai descritto le fattezze di Tristan, ma ho descritto
quelle del fratello per contrasto. In
realtà, io immagino che abbia l’aspetto di un altro personaggio che amo molto… avete
presente il mio avatar? O anche, per chi la conosce, la versione anime 2005 de
“La maschera di vetro” ? Ecco, secondo me, come potrebbe essere quel
personaggio, tolta la maschera di freddo cinismo dietro cui si nasconde.
[2] In un capitolo precedente, avevo accennato alla cosa, ricordate?
Una traccia vaga che si ricollega a quello che sta dicendo Danielle qui.