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Autore: Euridice100    25/09/2015    8 recensioni
"Ma l’altra rialza il capo e lo fissa con odio.
È allora che Gold la vede.
Arretra di un passo con la certezza di avere dinanzi a sé un fantasma.
'No, non può essere.'
Ma è allora che il passato torna a essere presente."
(Victorian!AU RumBelle
Seguito di "Cleaning all that I've become" e "All of the stars".)
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Nuovo personaggio, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Your dream is over... Or has it just begun?'
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XVII - I dreamed a dream
 
 
 

“There was a time
when men were kind.”

 
 
 
La villa era affollatissima. I Feinberg parevano aver invitato ogni esponente dell’alta società britannica: ovunque ci si voltasse s’intravedevano volti che campeggiavano sulle pagine dei giornali di politica, di finanza o di pettegolezzi. Essere al centro di quel vivaio del fior fiore della società era un’esperienza strana: il senso d’irrealtà quasi dava le vertigini a Belle. Chissà cos’avrebbero pensato tutti quei personaggi fino ad allora bidimensionali se fossero stati al corrente del suo passato e del suo presente: l’avrebbero etichettata come donna perduta? L’avrebbero scansata disgustati, temendo quasi di esserne insozzati? Solo ora capiva i moniti di Robert…
A essere franca, non le importava molto. Aveva la coscienza pulita: tutto ciò che aveva fatto, l’aveva fatto per amore. Amore per quell’uomo tanto tenebroso quanto custode di una tenerezza insospettabile, venerazione per quella bambina che meritava una famiglia unita, rispetto per se stessa. Chi poteva ergersi a suo giudice? Aveva imparato da tempo, oramai, che ovunque possono nascondersi oscuri segreti: chi le assicurava che sotto quei completi azzimati, tra fili di perle, corpetti strizzati e virtù ostentate non vi fossero segrete disonestà e storie ben più oscure, più cupe e dolorose della sua?
Come lei non avrebbe giudicato loro, così loro non avrebbero dovuto giudicare lei.
Sarebbe andata avanti a testa alta, senza farsi intimorire da niente e nessuno, continuando a essere la Belle che era sempre stata e mettendo da parte il senso di inadeguatezza. Aveva tutte le armi per vincere la sfida, e soprattutto aveva al suo fianco Robert; quell’uomo così timido ed esitante, ma che anche in quel momento dimostrava l’amore che provava dal profondo del cuore: come intuendo l’incertezza dell’amata, infatti, l’industriale la strinse più forte a sé e la carezzò attraverso i guanti, come a infonderle sicurezza.
- Va tutto bene? – le chiese sollecito.
Belle gli sorrise.
- Se siamo assieme va tutto bene.
Se fossero stati soli, Gold avrebbe solo voluto cercarle le labbra e assaggiare il sole dei suoi baci. Ma c’era troppa gente, troppe regole da rispettare e una nemica che sarebbe stata deliziata da uno scandalo. Si limitò a sussurrarle all’orecchio: – Ti amo.
Dio, quanto era bella, vestita finalmente come la principessa che era, che meritava di essere. Era a disagio, lo sguardo le si smarriva nell’immensità del luogo, ma pure il suo carattere volitivo non veniva meno. Nel sorriso morbido che gli rivolse c’era più forza di quanta lui avesse avuto in un’intera vita; e Gold pensò che avrebbero potuto risucchiare tutta la luce del mondo, ma Belle sarebbe comunque bastata a illuminarlo.
Sweetheart, non togliermi mai il tuo sorriso.
- Ti presento ai padroni di casa, – fece, guidandola per l’atrio. Lì, nell’ampio spazio del vestibolo da cui partiva un ampio scalone in marmo, una donna bionda vestita di bianco e di nero studiava la situazione con aria critica; al suo fianco, un uomo dall’aspetto ordinario accoglieva bonario gli ospiti.
- Robert, vecchio mio! – Hans Feinberg salutò Gold con una stretta di mano e una pacca fin troppo vigorosa sulle spalle – Temevo di non vederti, conoscendo il tuo caratteraccio!
- Se pur conoscendo il leone ci si infila nella sua tana, si è o stupidi o coraggiosi, caro Hans.
- Darling, è inutile sforzarti: non riuscirai mai a battere il nostro amico nel suo campo, – la donna ghignò al marito, un mezzo sorriso sul volto affilato e gli occhi puntati su Belle.
E così eccola: la tanto cantata Hélène era al suo cospetto. Ella non vedeva l’ora di conoscerla, e finalmente aveva dinanzi a sé colei che aveva rapito il cuore del gelido scozzese, rubando il posto che Rebecca pretendeva fosse suo. Era bellina, in effetti, giovane e raffinata: la combinazione di delicatezza in miniatura ed eleganza evidentemente innata le assicuravano certo successo con gli uomini. Tuttavia, non era neanche nulla di superlativo, eccezion fatta per un notevole paio di occhi azzurri come onde che le adornavano il volto.
- Piuttosto, Robert, – proseguì l’ereditiera, osservando con curiosità diffidente l’accompagnatrice – Non lasciarci nel dubbio: chi è quest’adorabile creatura che ha la sventura di accompagnarti?
- Ho l’onore di presentarvi Isabelle French. Miss French, i nostri ospiti, Hans ed Ella Feinberg. Vi avverto che potreste trovare la padrona di casa tanto adorabile quanto caustica.
… Isabelle French?
Non era il nome che Ella si aspettava di udire. Hélène era già finita nel dimenticatoio? In momenti simili ringraziava il Cielo per non provare la minima attrazione per gli uomini, tanto più per i casanova alla Robert Gold.
- Allora saprò cavarmela, Mr Gold, – la più giovane fece soavemente eco – Ho fatto sufficiente pratica con voi.
Ella sogghignò. Però, sotto l’aspetto angelico la ragazzetta nascondeva artigli abbastanza affilati da sapere tener testa al suo compare. La rivalutò all’istante.
- Colpito e affondato, vecchio mio, colpito e affondato! – ridacchiò Hans – Attento alla dolce fanciulla che accompagnate, Robert: spero sappiate gestirla!
- Gestirla? – Gold ripeté, levando un sopracciglio – Oh, no, Dearie. Vi assicuro che Miss French non ha alcun bisogno di essere gestita: è più che in grado di governarsi da sé. Al contrario di molti uomini, non ho cercato una schiava, ma una mia pari; e chi mi accompagna questo lo sa bene.
Ella non si curò del marito brutalmente zittito: possibile avesse udito… Quel che aveva udito? Le parole del conoscente non erano fraintendibili: quella che lei aveva reputato la compagna di una sera pareva essere più, molto più; pareva essere in grado di mettere per sempre all’angolo Rebecca, Cora, Hélène e chi per loro.
Da come Gold la guardava, era chiaro che questa Isabelle French non fosse la panacea per una misera esigenza dei lombi: solo un cieco non avrebbe notato il modo in cui l’uomo la conduceva, sostenendola senza quasi toccarla, le minuscole eppure tanto significative attenzioni che le riservava. Con ogni probabilità, a una semplice parola della bella sconosciuta Gold sarebbe saltato su come un cane al fischio del padrone. Ella cercò di capire chi fossero i French, ma non le sovvenne alcuna parentela illustre: se fossero stati degli spiantati avrebbero messo a segno un bel colpo, unendosi a degli scapoli più ricchi dell’Impero…
Ma, in fondo, non era affar che la riguardava.
- Questa sera ci sarà anche la scelta delle dame, Miss French – la informò Ella prima di congedarli – Perciò i nostri amici dovranno stare all’erta. Molti bei giovanotti sono impazienti di ricevere un invito…
 
 
 
- Che donna… Particolare, – commentò Belle poco dopo, mentre si allontanavano dalla coppia.
- Particolare? – Gold sbuffò divertito, guardandosi attorno con aria distratta – Sempre indulgente col prossimo, Sweetheart, sempre indulgente.
- La conosci da molto?
- Da un po’ di anni. Non ci incontriamo spesso, ma mi trovo bene con lei. Pur essendo di alti natali, non ha peli sulla lingua.
- Me ne sono accorta, – tutto d’un tratto l’ex domestica si mostrò tesa come una gatta di vicolo.
Gold ghignò.
- Se non vi conoscessi direi che siete gelosa, Miss French.
- Io? Ma per piacere! – fu la sincera risposta di Belle. Il suo tono non era dovuto a emozioni che sapeva di non dovere provare: Robert l’amava – le era rimasto fedele persino quando la credeva morta, aveva giurato – ed Ella non era il suo tipo. Tra i due poteva esistere una simpatia, magari un’amicizia, certo un’affinità, ma non un’attrazione.
No, il suo tono era dovuto a qualcosa di molto più immediato e letale: tra gli invitati aveva scorto il volto di Cora Mills.
E – cosa che l’aveva maggiormente inquietata – la Contessa non solo aveva ricambiato lo sguardo: le aveva rivolto un sorriso forte e sicuro che non lasciava presagire nulla di buono.
- C’è la Mills, – il suo fu poco più di un sussurro, ma subito ebbe la certezza che tra la musica e il caos Gold l’avesse comunque udito.
L’uomo deglutì,  gli occhi che lampeggiavano verso la folla.
Te l’avevo detto.
Non era una sorpresa, ma dover affrontare la situazione era ben più difficile che limitarsi a ipotizzarla. La nobile avrebbe sfruttato ogni occasione per avvicinarsi a loro, ma se avesse anche solo mosso un dito contro la rivale…
Se non altro, cercò di consolarsi, Ella era stata sincera: Rebecca non stava prendendo parte al ricevimento.
Con tutta la calma che l’agitazione interna gli permetteva d’ostentare, si volse all’amata.
- Se ce ne andassimo risolveremmo ogni problema, – più che i suoi timori, in quel momento a parlare fu la preoccupazione per Belle. Senza la Zelenyy la situazione era gestibile, ma se avessero potuto evitare anche Cora sarebbe ulteriormente migliorata.
Ancora una volta, però, la donna scosse il capo.
- Ti ripeto che non siamo noi a dover fuggire.
- Non è codardia, ti ho detto. Alle volte compiere un passo indietro è il solo modo per avanzare.
- Se si vuole avanzare. Questa non è una guerra, Robert: non dobbiamo sconfiggere nessuno. Dobbiamo solo procedere per il nostro cammino, mostrarci per chi siamo e ignorare chi ci invidia. L’indifferenza è la migliore strategia.
- L’indifferenza la indispettirà ulteriormente.
- Nella mia esperienza, l’indifferenza porta come nome di battesimo Cora. E tornando a noi… – ghignò sorniona – Stasera l’unico a dover temere sarai tu. Hai sentito lady Feinberg: noi dame potremo scegliere i cavalieri. Un’occasione che ho intenzione di sfruttare appieno, Mr Gold, – lo provocò, pregustandone la reazione.
- Fate pure, Miss French, – controbatté subito lui, imponendosi di ritrovare lo spirito e allontanare i pensieri – In effetti il ballo potrebbe rivelarsi noioso. La mia vendetta contro qualche incauto giovanotto lo ravviverebbe non poco.
- Cercate di non trasformare quest’occasione in un bagno di sangue, almeno nelle vostre fantasie.
- Mia cara, sarei capace comunque di uscirne lindo e pulito. Ma in ogni caso, – fece con l’aria di chi la sa lunga – Se ben ricordo la regola prevede che la dama conceda il primo ballo al suo accompagnatore. Perciò, Miss French, – il suo inchino fu un capolavoro di eleganza ed esagerazione – Mi concedete l’onore?
 
 
 

“There was a time
when love was blind.”

 
 
 
Belle era stanchissima: i piedi doloranti e il corsetto cui non era avvezza non le davano tregua e, quel che era peggio, erano solo a metà serata.
Il ballo, a onor del vero, non era male. Soprattutto all’inizio, le era piaciuto molto volteggiare al braccio dell’amato, pur sapendo di avere addosso occhi sempre più curiosi: ben tre balli suggerivano un certo coinvolgimento, e non vi erano dubbi sulle domande che in molti si stavano ponendo. Robert l’aveva allertata: Cora o no, ci sarebbero comunque chiacchiere; ma Belle non se ne curava. Finché Robert ci fosse stato, finché avesse avuto al suo fianco l’uomo che amava con tutta se stessa, il mondo non avrebbe potuto tangerla. Con lui – lui e il modo in cui le sorrideva complice, lui e il modo in cui la sosteneva, concentrato solo sulle loro mani unite – la festa era bella.
Ma in fondo al cuore Belle lo sapeva: montagne di pizzi e ventagli di piume non erano il suo mondo. Potevano essere il diversivo di una sera, non una consuetudine: a sorrisi effimeri avrebbe sempre preferito il rifugio di un libro nel crepitio della pioggia, le franchezza di Granny e Ruby e i giochi con Helena. Quella parata di cortesia formale non faceva per lei: era un mondo in cui da sola si sarebbe sentita inadeguata, un modo falso, così distante da quello che stava costruendo con Robert.
Il loro mondo era il vero, ed era il solo di cui le importasse. 1
Avrebbe voluto ballare con lui tutta la sera. Aveva detto di voler invitare altri uomini solo per stuzzicarlo, perché mai avrebbe desiderato cavalieri che non fossero lui. Ma le regole la pensavano diversamente: avrebbe dovuto ballare almeno col padrone di casa. E poi, non poteva rifiutare qualunque proposta le venisse avanzata: glielo imponevano la buona educazione e il galateo.
Le danze con Hans Feinberg e James Spencer non erano state nulla di esaltante: il primo si era dimostrato chiacchierone e innocuo come previsto, e il giovane Spencer era un ragazzino arrogante e fin troppo importuno che Belle aveva sì messo al suo posto in fretta, ma che avrebbe volentieri evitato per il resto dell’esistenza.
Ma in ogni caso, questo tale William Scarlet sarebbe stato l’ultimo cui avrebbe concesso un ballo. Aveva accettato per un motivo molto semplice: premiare il coraggioso che, pur conscio di far infuriare la Bestia, si era piantato davanti a lei con una determinazione a dir poco encomiabile.
Belle aveva già notato il giovane che, malgrado la compagnia di una bella mora vestita di bianco, la fissava oramai da un po’. Il ragazzo aveva approfittato della prima occasione: si era avvicinato a testa alta e, con una dose non indifferente di faccia tosta, aveva pronunciato le fatidiche parole: – Oso sperare mi concediate questo ballo, Miss.
Una simile spavalderia meritava senz’altro una risposta affermativa.
- Un ballo di pochi minuti vale la salvezza delle vostre giovani gambe? – aveva ringhiato Gold lasciandola andare, e subito era giunta l’incauta replica.
- Sono proprio le giovani gambe a piacere alle giovani donne.
La – prevedibile – freddezza dimostrata dall’amato non aveva fatto cambiare idea a Belle: la gelosia di Robert non l’aveva mai fermata, anche perché non aveva ragione d’esistere. Per non parlare dell’idea di incutere timore solo perché si è legati a qualcuno: le pareva un’assurdità a dir poco inconcepibile. Con quell’uomo lei avrebbe solo e soltanto ballato, e aveva tutta l’intenzione di godersi il momento.
- Vi state divertendo? – Belle domandò per rompere il ghiaccio.
- Oh, sì! – fece lui entusiasta – Non andavo a un ballo da secoli e, bloody hell, non… – resosi conto dell’imprecazione in un simile contesto, si bloccò – Ciò che intendevo dire, Miss, è che questo ballo è davvero…
- Dannatamente divertente, – rise Belle concludendo la frase per lui. Dopo tanta affettazione era bello avere a che fare con qualcuno così schietto. Il giudizio sul compagno migliorò ulteriormente.
Il ragazzo le dedicò un largo sorriso.
- Già. Scusate la mia maleducazione, ma voi… Mi mettete a mio agio. Non sembrate come le altre dame, anche se indossate un bell’abito.
- Anche la vostra accompagnatrice è ben vestita, – replicò appena piccata – Ci state forse paragonando a questa massa di boriosi interessati solo al denaro e ai titoli?
- Tre persone intelligenti in un unico salone, musica per le mie orecchie! – William ammiccò, deliziosamente insolente – Dobbiamo bere alla nostra! Comunque, bello il vestito di Liz, vero? Gliel’ho procurato io, come l’invito alla festa. Di questi tempi è un po’ giù… Amore non corrisposto, a quanto pare, – aggiunse distogliendo appena lo sguardo – Se trovassi il tipo che la fa soffrire tanto lo prenderei a pugni. Voglio dire, come si può non voler bene alla mia Lizzie? È dolcissima. Siamo cresciuti assieme: è davvero la migliore amica si possa desiderare.
Dal modo in cui l’oggetto del dialogo li osservava, Belle pensò che per quella creatura dall’incarnato di bambola e dagli occhi tristi Scarlet dovesse essere molto più di un amico.
- Tanta brutalità è inutile. Potreste fermarvi a riflettere, capire se magari si tratta di una comune conoscenza…
- Le avrò chiesto cento volte il nome del fortunato che le ha rubato il cuore, e ogni volta mi ha risposto che non me lo svelerà mai. Eppure dovrebbe fidarsi di me, sono bravo a dar consigli: senza di me, adesso una nostra coppia di amici non sarebbe in luna di miele. Non potrò costringere nessuno a innamorarsi, ma posso pur sempre aiutarla in qualche modo. In fondo, – William si fece pensieroso – Liz ha tutto ciò che, nonostante quel che si dice, piace a un uomo: ha stile, è sicura di sé, passionale, spontanea, avventurosa e sempre pronta alla sfida.  E ha quel pizzico di audacia che male non fa, – concluse con una smorfietta.
- Sapete, – Belle stette al gioco – Non sono certa se questa sia la descrizione della vostra amica o della vostra donna ideale. O di entrambe, – decise di spezzare una lancia a favore della sconosciuta.
Il giovane bruno sospirò divertito.
- Non lo negherò. Mi avete scoperto: è questa la donna dei miei sogni. Forse mi troverete esigente, ma resto fermo sulla mia idea. Anche se, – l’immagine di William si accigliò e per un attimo abbandonò il caratteristico ghigno – La cosa più importante sono i fuochi d’artificio.
- Fuochi d’artificio? – la French ripeté, certa di essersi suo malgrado distratta.
- Sì. La donna ideale dovrebbe farmi esplodere il cuore, riscaldarmi l’animo e colorare il mio mondo, come un fuoco d’artificio Senza, tutto sarebbe vano.
- Dalle vostre parole, – Belle non poté trattenersi – Deduco conosciate bene ciò di cui parlate.
- Bisognerebbe farsi strappare il cuore per non conoscere l’amore. E credetemi – se fosse possibile lo farei.
Tacquero per lunghi istanti, ciascuno perso nei propri pensieri. Nel silenzio che seguì, Belle poté quasi sentire l’eco delle reminiscenze cui il compagno si stava abbandonando. Perché se ne stupiva tanto? Concentrata com’era sulla sua storia con Robert, quasi dimenticava che al mondo c’erano persone dalle vite tanto travagliate quanto le loro. Chi era veramente William Scarlet? Il ragazzo che in pochi minuti già l’aveva fatta sorridere con la sua allegra sfacciataggine, o una figura molto più complessa, coi suoi segreti e i suoi rimpianti?
Forse era lei troppo riflessiva. Forse sarebbe dovuta essere più superficiale e limitarsi a ballare come si era ripromessa di fare: non avrebbe più visto William Scarlet, non avrebbe dovuto farsi toccare tanto dai problemi altrui.
Ma forse anche quell’uomo, nonostante l’apparenza briosa, era qualcun altro, oltre a chi pareva essere.
E a quanto pareva, anche stavolta il merito o la colpa era di quell’amore che ci si ostina a descrivere come farfalle allo stomaco, e che invece sa essere terribile, potente.
Tanto forte da far paura.
- In un periodo della mia vita sono quasi giunta a pensarla come voi, – la donna si ritrovò a confessare.
Scarlet la fissò incuriosito.
- Cos’è successo poi? Se non sono indiscreto, – aggiunse rapido a mo’ di scusa.
Belle scosse il capo per rassicurarlo.
- Ho capito che l’amore, quando è vero, va oltre un cuore strappato, – disse con semplicità – Non si lascia dimenticare.
Il sorriso tirato di William fu mesto.
- Vorrei potervi credere.
La musica s’interruppe, segnando la fine del ballo.
- E io vi auguro possiate credermi in fretta.
 
 
 
“I dreamed a dream in times gone by,
when hope was high
and life worth living.”

 
 
 
Camminava lenta, con calma dignitosa, nonostante gli infiniti occhi puntati addosso. L’assenza di chaperon era già stata notata: avrebbe generato indiscrezioni infinite, ma se quello fosse stato il prezzo per giungere al suo scopo, l’avrebbe pagato volentieri.
Non c’è successo senza sacrificio, in fin dei conti.
Lui era alla festa. Erano nella stessa stanza, respiravano la stessa aria, i loro piedi pestavano lo stesso marmo: nulla avrebbe più potuto fermarla. Quel muro che aveva sempre incontrato, quel muro che poteva essere il destino, il vero amore, o la propensione dell’universo verso chi merita la felicità, stava per essere abbattuto
Robert pagherà per averci tradite.
Sicuramente con lui ci sarebbe stata anche lei. Si conficcò le unghie nei palmi al semplice pensiero: lei era una serva, una sciocca, miserabile serva! Era l’ultima tra gli ultimi, senza alcun titolo per stare al loro cospetto: se le fosse stato rivolto anche un solo sguardo, avrebbe dovuto ringraziare di tanta attenzione.
Ma presto quell’irritante aria trasognata le sarebbe stata strappata dal volto per sempre.
In fondo, si disse alzando il mento, cosa poteva il passo pavido di una domestica scialba contro l’incedere maestoso di un’elegante principessa in seta verde?
Lei era Rebecca Zelenyy.
E Rebecca Zelenyy, presto tutti avrebbero scoperto, aveva imparato a vincere.
Sempre.
 
 
 

“There was a time
when love was
blind.”
 

 
 
Quando la French l’aveva scorta, Cora le aveva rivolto il più dolce dei sorrisi.
Goditi la festa finché puoi, bambina.
A breve avrai una sorpresa.
Comunque fossero andate le cose, la prima apparizione in pubblico di Belle sarebbe passata agli annali. Rebecca non si sarebbe risparmiata vedendola al braccio dell’ex amante: se tutti si interrogavano sull’identità dell’accompagnatrice di Gold, entro pochi giorni avrebbero ricevuto risposta. A partire da quella stessa sera i giornalisti avrebbero scavato nel passato della sconosciuta, portandone alla luce ogni peccato, ogni segreto e ogni vergogna; la patina sottile che la French stava cercando di costruirsi sarebbe andata in frantumi.
Al momento la serva danzava raggiante con un brunetto che Gold fissava truce. Per un istante, Cora ebbe quasi compassione di lui e dello stato in cui l’assurda infatuazione l’aveva prostrato.
- Lasciato all’angolo, mio povero Robert? – gli offrì un calice di champagne che lui rifiutò.
- All’angolo, lady Mills? – l’industriale rispose con la voce più piatta ed evasiva che riuscì a fare – Non sono dello stesso avviso: la mia dama sta danzando con un altro gentiluomo, com’è opportuno che sia. È maleducazione concedere balli a un solo cavaliere, dovreste saperlo. Piuttosto, – incalzò senza darle il tempo di replicare – Mi pare che siate voi a essere stata lasciata sola.
- Anche lord Spencer è impegnato in un ballo con un’altra ospite. La giovane lady Lannister, tuttavia, non lo sta contemplando come una torta alla panna, – fece cenno a Belle e al suo accompagnatore, in quel momento uniti in un sorriso complice.
Gold si rammaricò di essere divenuto troppo beneducato per mandare la Contessa al diavolo. La vista di Belle e di quel bellimbusto faceva male: non era la prima volta che vedeva l’amata tanto vicina a un altro, ma assistere ancora a simile spettacolo, oltretutto dinanzi a una Cora che sol per questo pareva scoppiare di gioia, era una questione ben diversa.
Com’è possibile non tollerare più chi prima era tanto caro?
Detestava la Contessa con ogni fibra del suo essere dalla sera di un ballo tanto simile e tanto diverso da questo. Già allora non aveva fatto altro che mettere in dubbio la reputazione di Belle; e ancora, non paga di tutte le sofferenze che aveva loro inflitto – che le aveva inflitto, che gli aveva fatto infliggere –, perseverava in scopi che non avrebbe più raggiunto. Nello sguardo della donna lampeggiava la comprensione; ma la sua voce lo pungeva come uno spillo.
- La Lannister è come voi, Milady. Solo, decisamente più giovane agli occhi di un uomo, – rispose con un aplomb di cui qualcuno gli avrebbe reso merito in un’altra vita.
- Forse, – Cora lasciò vagare lo sguardo altrove, mentre si sporgeva a mormorargli all’orecchio – E forse c’è chi dimentica che in questo mondo alzarsi in volo è facile quanto cadere.
- Robert?
Il richiamo di Belle gli parve musica, dopo i sussurri insidiosi di Cora. Si voltò all’istante e gelò con uno sguardo il giovanotto, che prese la quanto mai azzeccata decisione di accomiatarsi in fretta.
Per vendicarsi, Belle avrebbe voluto rivolgere un’occhiata altrettanto assassina all’amato, ma sarebbe morta anziché dare una simile soddisfazione alla Contessa.
- Lady Mills, – la salutò invece freddamente.
- Mia cara, – rispose serafica – La vostra mise è splendida. Non c’è da stupirsi, in fondo: il nostro Robert è sempre stato generoso con le sue favorite…
- Ma con la sua promessa sposa lo è di più.
Cora annuì.
Cosa che non sarai mai.
- Non ne dubito, – nella voce le s’infiltrò un’ombra di compiacimento – Attendo sempre con ansia l’ann…
Non ebbe il tempo di concludere: all’improvviso, una donna vestita di verde, con dei topazi sul seno scoperto dalla scollatura abbondante, si materializzò al loro fianco e si unì al trio.
- Vogliate perdonare l’intromissione, – esordì con un cinguettio grondante miele – Posso avere il piacere di danzare con voi, Mr Gold? – senza attendere risposta, afferrò l’imprenditore per una manica e lo trascinò via con sé – Non temete, – rassicurò le altre due, rivolgendo loro uno sguardo radioso, avvelenato di gioia – Ve lo riporterò sano e salvo in men che non si dica!
Fu in quel momento che una stupefatta Belle riconobbe la ghirlanda di rame liquido di quei capelli.
L’aveva ammirata per la prima volta due settimane prima.
Lo stesso giorno in cui aveva parlato con Miss Staples-Lewis.
Si voltò interdetta verso Robert, portato via a forza dalla giornalista senza quasi opporre resistenza.
Gli occhi scuri dell’uomo, quegli occhi che sapevano essere tanto feroci, spietati, scaltri con chi gli si opponeva, ora erano sbarrati.
Terrorizzati.
Perché anche Gold aveva conosciuto quella donna.
E ricordava bene chi fosse.
 
 
 
“But the tigers come at night
with their voices soft as thunder.”
 
 
 
Belle era perplessa. Un istante stava partecipando all’ennesimo scambio di punzecchiature con Cora, Robert al suo fianco; quello seguente una stramba giornalista compariva dal nulla e letteralmente prelevava l’uomo. Cosa ci faceva in simile contesto Charlotte Staples-Lewis? Era ancora a caccia di notizie succose sulla – in teoria – inesistente famiglia Gold?
Il volto dell’industriale la diceva lunga circa l’effettiva volontà di seguire la rossa; ma più che il malcontento, a dominarlo era il panico.
Alla giovane la reazione parve eccessiva: Robert era abituato a trattare con la stampa, e avrebbe tenuto in pugno senza difficoltà una cronista poco abile come Charlotte. Conoscendolo, ne avrebbe schivato le domande,  l’avrebbe zittita con un paio di battute, e con ogni probabilità anche messa in imbarazzo per aver osato una mossa tanto sconsiderata.
Non era certo il caso di mostrarsi così preoccupato…
- Mia cara, pare proprio che a entrambe sia stata preferita l’ultima arrivata, – Cora la prese a braccetto. Un gesto d’intimità che in un’altra occasione Belle avrebbe scansato; ma che in quel momento subì senza protestare, la mente catalizzata da due ballerini, dalle figure di danza che sapientemente eseguivano, dall’armonia dei loro corpi che si muovevano all’unisono con tanta grazia da far passare in secondo piano l’evidenza che non fosse il cavaliere a condurre il ballo.
Un ballo, una parte di Belle si rese conto, in cui c’era più intimità di quella che sarebbe potuta – dovuta – esserci tra estranei.
Ma non si conoscono.
Come potrebbero?
Qualcosa la indusse a porre la domanda che il suo orgoglio avrebbe voluto non rivolgere alla rivale.
- Chi è quella donna?
- Miss Rebecca Zelenyy. Non conosci la sua storia?
Rebecca.
Ma si chiama Charlotte…
No.
Rebecca.
Belle scosse il capo lentamente.
- È l’ultima erede di una nobile casata russa. È stata rapita da neonata e portata in America, dove ha trascorso la sua intera esistenza… Tutti la reputavano morta fino a qualche anno fa, quando per una serie di fortunate circostanze è emersa la verità sulle sue origini. Tuttavia, malgrado la sua ascendenza sia oramai certezza, Rebecca preferisce continuare a lavorare come giornalista. Sostiene al giorno d’oggi le donne non possano più permettersi di farsi mantenere e di far dipendere la propria felicità da un uomo, – Cora sospirò rassegnata, per poi soppesare la più giovane – Belle cara, ero certa Robert te ne avesse accennato almeno una volta.
- No, – fu la semplice e sollevata risposta – Robert sa che i pettegolezzi non mi interessano.
Era tutto risolto. Rebecca era una giornalista, e Charlotte il suo pseudonimo. Anche l’impaccio doveva essere stato un mezzo per indurre una presunta dipendente a fidarsi e parlare; ma dinanzi al fallimento, la donna doveva aver deciso di risalire alla fonte primaria e rivolgere le domande direttamente a Gold in occasione della soirée. Rebecca si era dimostrata scaltra: forse Robert ne conosceva la fama, e per questo avrebbe preferito evitarla. In quel momento i due stavano chiacchierando, o meglio: era lei a far sfoggio di parlantina. C’era un che di strano nel modo in cui la donna fissava l’industriale: lo guardava come se gli stesse succhiando via l’aria, la vita; come se ogni istante meditasse di sferrare il colpo fatale.
Oramai, si rimproverò Belle, si era suggestionata: vedeva del marcio là dove non c’era. Ma non aveva di che preoccuparsi. Perché mai avrebbe dovuto farlo?
Mio Dio, Cora riuscì solo a pensare. La situazione era grave come aveva supposto: la camerierina era all’oscuro delle avventure galanti di Gold. Da perfetto codardo quale era sempre stato, lo scozzese si era ben guardato dal confessare la verità a colei che tanto sosteneva di amare.
Se lei fosse stata Belle French, una volta scoperta la verità il suo primo istinto le avrebbe suggerito l’evirazione del miserabile pezzente. Se non altro, lei e Gold non avevano mai avuto segreti sotto quel determinato aspetto: già prima della morte di Henry Mills, erano stati fedeli l’un l’altra…
Ma non era il momento di perdersi in chiacchiere: l’occasione le era stata servita sul proverbiale piatto d’argento, e lei avrebbe dovuto fare solo una cosa: sfruttarla.
- Che strano, – la Contessa esordì cogitabonda – Eppure avrei giurato che Robert fosse onesto con te. Che non ti nascondesse una parte tanto importante del suo recente passato.
Belle fissò stordita l’interlocutrice.
- Cosa intendi? – chiese, imponendosi invano di non allarmarsi.
Cora la guardò, addolorata e solidale.
- A New York Robert e Rebecca sono stati amanti.
In seguito, ripensando a quella frase, più che il significato o le conseguenze Belle avrebbe ricordato il modo in cui le parole la raggiunsero: non con violenza, con forza o brutalità, ma con delicatezza. La sfiorarono appena, le carezzarono l’udito giungendo a incunearsi nel profondo di lei senza che per questo ne cogliesse il senso. Come un discorso fatto a chi è sott’acqua, così a Belle parve che la coltre spessa del silenzio in cui era all’improvviso precipitata fosse appena rotta da una musica lontana, che la tangeva e non si fermava.
- Mia cara… Ho forse parlato più del dovuto?
Tutto sembrava sparito. Non sentiva niente; niente. Una parte di lei sapeva che Cora le aveva appena detto qualcosa di brutto,  di davvero brutto; ma non sapeva cosa.
Se non ci avesse pensato, sarebbe stata bene.
- Cosa… Cosa state dicendo?
- Ciò che ho detto. Robert Gold e Rebecca Zelenyy si sono incontrati in America e sono divenuti molto, molto intimi. Si sono frequentati fino all’inizio di quest’anno, quando lui ha improvvisamente deciso di far ritorno in Europa. Formano una coppia ben assortita, non trovi? – incurante della giovane che non si muoveva, silenziosa e immobile come porcellana, il tono di Cora assunse un che di intimo, come se fossero state sole e nessuno avesse potuto ascoltarle – Ho avuto modo di conoscere Rebecca: così bella e intelligente, è la donna perfetta per lui.
No.
Era la Mills a parlare. La Mills. Colei che aveva indotto la propria creatura a mentire, tradire, rubare, colei che perseverava nei suoi sporchi piani da oramai mezzo decennio. Come poteva riporre fiducia in una persona simile?
Come poteva credere a lei e non a Robert, il suo Robert che l’amava tanto, che baciava la terra su cui lei e la loro bambina camminavano, che la mattina la svegliava toccandole il naso, che le aveva promesso – le aveva giurato, le aveva giurato! – di non aver avuto altra donna dopo lei?
Gliel’aveva promesso.
Gliel’aveva giurato.
Non le aveva mentito.
Lui non le mentiva più.
- Non è vero, – lottò per ingoiare la rabbia, fingendo una sicurezza che non possedeva come Cora fingeva i suoi sorrisi. Il mondo attorno si dissolveva, ma lei non si muoveva – Stai inventando tutto. Robert e Rebecca non si conoscono. Appena finiranno di ballare, glielo chiederemo. Ci sono solo io. Da cinque anni ci sono solo io. Lui me l’ha giurato. Me l’ha giurato, – concluse, con voce ferma, ma già più sottile.
Cora trovò quasi divertente quel candore. Possibile che l’esperienza non avesse insegnato nulla alla servetta?
- Belle cara, perché mai dovrei mentirti?
- Per mille ragioni! – il respiro le si strozzò per l’indignazione – Non fai altro da anni, da quando Robert ha fatto la sua scelta! Da allora mi perseguiti senza sosta, hai cercato di farmi rapire, non hai perso occasione di umiliare nostra figlia e…
- E mentirei se ti dicessi che ne sono pentita, – la replica non si fece attendere – Sebbene non sia più legata a Robert, una parte di me continua a vederti come un’avversaria da eliminare a ogni costo. So che non esistono basi per alcun rapporto tra noi due, ma ti prego di credermi se ti dico che no, in questo momento non sto mentendo. Non ne avrei alcun interesse: come ti ho detto, non mi interessa riavere il tuo promesso. Anzi, – Cora scrollò le spalle – A maggior ragione, dopo le menzogne che ti ha evidentemente raccontato, te lo cedo volentieri. Nessuna donna con un minimo d’amor proprio dovrebbe condividere la vita con un essere tanto abietto. Ero convinta che almeno stavolta fosse stato onesto nei tuoi confronti, si fosse fidato di te, ma la tua reazione mi smentisce. In fondo, – concluse, con la grazia della pantera che infligge il colpo letale – Cosa aspettarsi da una simile bestia?
Lo disse con tanta innocenza che, se Belle non avesse saputo, le avrebbe creduto.
No.
Sì.
A chi credere?
Tremò, ma non a causa del freddo. Era qualcosa nella voce della Contessa, quell’assurda e improvvisa onestà che la permeava a farla rabbrividire, a farla stringere nell’improvvisa prigione di un vestito da regina. Le parole dai piedi di piombi era cadute l’una dopo l’altra, l’avevano colpita, ferita: troppi dati da incanalare, troppe varianti da considerare, troppe…
Sai a chi credere.
Il velo che obnubilava la mente di Belle si squarciò. Ecco il perché dei sorrisi che non riuscivano a fissarsi; ecco il perché dell’ostinatezza mentre le chiedeva di non recarsi alla festa, delle scuse continue, delle paure e dei baci affamati.
Ecco il segreto che i suoi occhi stanchi temevano di rivelare.
Belle aveva creduto di dover imputare quella reticenza alla sua tragica incapacità di comunicare, ma ora, solo ora scopriva la verità.
Solo ora scopriva di non essere il personaggio principale della storia, né un capitolo; ora scopriva di essere una nota a piè di pagina, un dettaglio, un particolare trascurabile al di là dei proclami.
Qualcosa da aggiungere e da scordare.
Qualcosa, non qualcuno.
Qualcosa indegna di fiducia.
E lo scopriva da Cora.
La voce di Belle non esternò emozioni, quando tornò a parlare. Fu come se stesse esternando di cose di poco conto, che non valeva la pena ricordare. Non seppe mai rievocare la risposta a Cora; non seppe mai se l’avesse maledetta, offesa, o forse ringraziata.
Il mondo illusorio in cui era vissuta si sgretolava istante dopo istante.
E quando Robert Gold tornò da lei, la confessione in volto, seppe pronunciare solo una frase.
 
 
 
“As they tear your hope apart
and they turn your dream

to shame.”
 
 
 
Gold stava avendo un incubo.
Ella gli aveva assicurato che Rebecca fosse partita: in quel momento doveva essere sull’Atlantico, o già a casa, ma non in quel salone. Non poteva essersi presentata al suo cospetto e averlo trascinato, le gambe rese pesanti come piombo dall’angoscia, in una danza che lui non intendeva condividere.
Il suo peggiore timore diveniva realtà: con Belle e Rebecca così vicine, il peso delle sue bugie era improvvisamente più grave, più angosciante, mortale.
- Tu non sei qui, – ringhiò, a costo di apparire folle – Tu sei un’allucinazione.
Un risolino divertito lo fece quasi annaspare in cerca d’aria.
- Dearie, – fu l’unica, beffarda risposta – Sono tanto reale quanto te.
- Cosa vuoi?
Il tono sordo non intimidì la giornalista.
- Sono venuta a trovarti, caro. Dalle tue missive, parevi sempre così di malumore… Se tra amici è dovere preoccuparsi l’un per l’altro, figurarsi cos’è tra amanti.
- Cosa che non siamo più da mesi
La donna scosse il capo, come si fa dinanzi a un bambino capriccioso.
- Robert, Robert. Oh, andiamo: capisco che alla lunga il lusso possa stancare, ma preferisci davvero una servetta a me? Quella, – fece un cenno disgustato col capo – È una nullità. Così anonima, non è neppure molto sveglia. Avresti dovuto vederla quando le ho parlato…
Un soffio d’aria gelida si alzò dal marmo, gli s’insinuò fin dentro i piedi e da lì si diffuse per tutte le ossa. Cosa stava dicendo quella folle? Era impossibile: se la Zelenyy avesse incontrato Belle, non le avrebbe risparmiato dettagli; e Belle, a sua volta, l’avrebbe affrontato alla prima occasione. Non avrebbe mai taciuto una scoperta tanto rilevante; a meno che…
A meno che Rebecca non avesse tratto in inganno Belle. E allora, ogni mossa si faceva ancora più rischiosa.
Anche per Helena.
- Non avvicinarti a lei, – le ingiunse – Non osare. Se ci proverai ancora, io…
- Tu cosa? Avanti, sentiamo, – lo incalzò con foga,  consapevole di aver messo a segno un colpo ben assestato – Quali piani ti stanno frullando in mente, ora? Con me i tuoi propositi li puoi condividere, lo sai. Non sarò certo io a trattenerti
La sua voce, il suo sorriso… Tutto di lei gli dava la nausea. Com’era possibile avessero un passato comune? Cos’aveva avuto in mente quelle notti di appena un anno prima?
- Tu non sei innamorata di me, ma dell’idea di essere accettata.
Quel sorriso come il filo di un rasoio permase, ma l’uomo avvertì la frustrata di due gelidi occhi sprezzanti.
- Dettagli, – fece fingendo noncuranza, il tono di voce già più alto che attirava sguardi incuriositi,
- Tendi sempre a dimenticare che la vita è fatta di dettagli. Immagino perché tu sia qui, ma pensavo di essere stato chiaro, – il tempo delle cautele era ormai terminato: non era mai saggio provocare Rebecca, tanto più in simili frangenti, ma la donna aveva già straziato a sufficienza il suo autocontrollo. Ogni tentativo era fallito: era giunta l’ora di farle fronteggiare la dura realtà – Ciò che c’è stato tra noi è finito mesi e mesi fa, ed è stato niente per me, niente. Se ti sei illusa, mi dispiace, ma non è affar mio. Non ci sono mai state promesse da parte mia, e ne avevo ben donde.
La stretta al braccio si fece appena più intensa. Un avvertimento.
- Sei stato tu a indurmi a certe azioni.
- No. È stata la tua invidia.
- Tu mi hai messa da parte, quando io, io ho lottato per ottenere ciò che desideravo.
- Non quanto lei, evidentemente.
- Io ho lottato più di tutti! – fece, ormai isterica.
- Potrebbe esser vero, ma ciò non toglie che in questo campo sono io ad avere l’ultima parola. E, per quanto possa crucciartene, io ho scelto lei, non te.
Proprio quando era certo che sarebbe esplosa, proprio quando si preparava a sentirla strillare, la donna reagì nel modo più inaspettato: all’improvviso, senza alcuna ragione logica, Rebecca sorrise, lasciando Gold interdetto.
- Puoi anche averla scelta, – riconobbe in tono calmo, quasi estatico  – Ma chi ti assicura sia ancora lo stesso da parte sua?
Il mondo sprofondò in Gold a quelle parole. Come mosso da un atroce presentimento, si voltò appena: Cora stava bisbigliando qualcosa all’orecchio di un’impietrita Belle. Appena si accorse dell’uomo, la più grande puntò gli occhi su di lui, in un silenzioso e distante duello di sguardi in cui fu lui ad avere la peggio.
In presenza di Rebecca, era solo una l’informazione che la lingua affilata della Contessa poteva star rivelando a Belle…
- Sì, mio caro, – la Zelenyy riprese eccitata – A Londra ho fatto ben due incontri interessanti. Uno con la tua amichetta… E l’altro con la prima che hai tradito. E sai, non credo proprio che Belle, – le labbra taglienti come lame di un minaccioso pugnale si richiusero attorno a quelle cinque lettere – Sarà felice di scoprire di noi. Perché tu, da vigliacco quale sei, non le hai detto nulla di me.
Malgrado la musica non fosse finita, l’industriale si fermò. Il suo ballo era finito. Tutti i presenti e le coppie si voltarono a guardare con malcelata curiosità: Robert Gold non era insolito a tali colpi di testa. Le cronache avevano registrato una festa di un lontano dicembre, durante la quale la stessa padrona di casa, la gentildonna che si vociferava fosse sua amante, era stata improvvisamente abbandonata a ballo appena concluso…
Ma in quel momento Robert Gold non badò a niente e nessuno. Diede le spalle alla giornalista, e subito si mosse verso un’altra persona.
Il respiro gli si strozzò in gola quando ne vide gli occhi cerulei ardere d’accusa.
 
 
 

“There was a time.
Then it all went wrong.”

 

 
 
La seguì. La seguì perché non poté far altro, perché il corpo, la mente non poterono sottrarsi al comando; perché fu come se lei stringesse la sua vita tra le mani, e lui ricordava e riviveva il giorno in cui gliel’aveva consegnata, il giorno in cui aveva capito d’amarla come mai avrebbe più fatto, di volerla accanto a sé anche a costo di doverla adorare in silenzio, nascosto da tutto e da tutti – nascosto da lei.
Quante volte l’aveva persa da allora, quante.
Questa sarebbe stata solo l’ennesima.
Quella definitiva.
Ma come puoi pentirtene, tu che ti sei creato il tuo inferno personale?
Belle non sapeva dove lo stesse conducendo. Quel giardino sembrava immenso, immenso e affollato tanto quanto la villa; cercava uno spazio dove parlare lontani da orecchie indiscrete, e nulla faceva a caso loro.
Non esiste un posto per noi, pensò amara.
Aveva pensato di essere intelligente, matura. Aveva pensato tante cose, negli ultimi mesi; ed era sempre stata solo uno strumento nelle mani altrui, una bambolina da manovrare a suo piacimento. Si era accontentata di frasi sussurrate, accettando che baci suffragassero illusioni; ma quei baci, quelle parole erano stati tutti crudelmente consapevoli.
Sapeva che la loro storia era difficile, lo sapeva da sempre; ma aveva sperato, aveva creduto davvero che le cose fossero cambiate, migliorate, che lei gli sarebbe bastata.
Lei che ci sarebbe sempre stata, lei che non l’avrebbe mai lasciato.
Lei, che aveva mantenuto la sua promessa, perché alla fine era lui a star costringendola a questo.
Il dolore pulsava forte e spietato quando infine si fermò. Che la sentissero: non le importava più nulla. Non avrebbe addotto pretesti, non si sarebbe scusata.
La nausea le sconquassò lo stomaco quando si fermò di colpo e disse: – Qui.
Fu appena una parola, ma attraversò Gold con una forza tale da farlo sussultare. Solo ora che si era voltata, che gli permetteva di vederla in volto, ne scorgeva le dita che artigliavano la veste, le spalle tremanti, i denti piantati nel labbro inferiore, il volto pallido e cereo. Sembrava una bambina, Belle, ora. Una bambina sperduta, che s’imponeva di trattenere le lacrime perché sapeva non sarebbe più riuscita a fermarle.
Una bambina arrabbiata, il cui silenzio lo colpiva dritto allo stomaco come un calcio.
- Belle… – mormorò, muovendo d’istinto un passo verso di lei – Cosa stai facendo?
Altrettanto d’impulso, lei arretrò.
La prima volta le mancò la voce
La seconda fu solo il suo corpo a tremare.
- Sto finalmente affrontando la realtà.
Per tutto questo tempo ho abbracciato un fantasma.
Gold chiuse gli occhi, annuendo a se stesso più che a lei. Non doveva avere paura. Non doveva. Stava parlando di Belle, della sua Belle. Colei che amava con tutto ciò che restava del suo cuore, colei che l’aveva sempre capito, aiutato, sostenuto. Che sempre, sempre si era fermata ad ascoltarlo, che anche stavolta gli avrebbe dato la possibilità di chiarire, vero? La sua Sweetheart gli avrebbe permesso di parlare, vero?
Le avrebbe spiegato tutto. Le avrebbe spiegato tutto, e tutto si sarebbe risolto.
Non avere paura, si ripeteva, arrancando tra pensieri sempre più confusi.
Belle mi perdona, vero?
Belle mi capisce, vero?
- No, ti prego. Calmati, Belle, calmati, – la esortò, notando il modo in cui il petto le si alzava e abbassava convulso – Respira. Respira. Fammi spiegare…
- No, – lo guardava dritto negli occhi, ma lo vedeva sempre meno a fuoco. Si rese conto solo allora di star sostenendosi a una colonna. Neanche quando lui l’aveva cacciata di casa si era sentita così male. Cosa le stava succedendo? – Ora tocca a me parlare. Ricordi quando siamo stati a Canary Wharf? Ricordi quello che mi hai detto al ritorno? – Gold annuì – Ero sicura di aver visto un cambiamento in te, un miglioramento; e non tanto per ciò che mi avevi detto, ma per il fatto stesso che tu me l’avessi detto. Che ti fossi fidato di me, che avessi iniziato ad aprirti, a parlare, come dovrebbe essere con chi si ama. Ero felice, Robert. Ero felice, – s’impose di non tremare, ma subito capì di star fallendo. Non combatté più – Ma, mentre ballavi, Cora mi ha avvicinata. Mi ha avvicinata e mi ha rivelato una cosa, una cosa che in sé non ha alcun valore, ma che tu avresti dovuto dirmi, che io ho ignorato per tutto questo tempo, e che sono venuta a sapere da Cora. Da Cora, – ripeté. All’improvviso, al dolore atroce che sembra essersi acquietato, si era affiancato un altro sentimento: la rabbia. Una furia profonda, immane, incapace di vedere e sentire altro al di fuori di sé. La furia della delusione per l’essere stata messa da parte ancora una volta, per l’essere stata tradita non nel corpo, ma nell’anima da colui che aveva giurato di non ferirla mai più. Era quella rabbia, le ribadì una parte di lei, che ora avrebbe dovuto cavalcare, la compagna cui affidarsi per ciò che s’accingeva a fare.
Belle, in quel momento, obbedì.
- È stato allora che ho finalmente capito, – continuò, mentre Gold abbassava il capo come per nascondere quegli occhi che avevano molto, troppo da non dire – Tutti i segnali, gli atteggiamenti che credevo di aver visto e su cui sono andata oltre ripetendomi di star fraintendendo, tutto… Era tutto giusto. Non sei stato sincero con me. Tu non sei cambiato in questi cinque anni, Robert: non rinunceresti mai ai tuoi segreti, alle tue macchinazioni per me. Non l’hai fatto in passato, non lo stai facendo ora, e non lo farai mai.
Belle aveva la voce di vetro e lo sguardo d’acciaio. Era determinata, ora che aveva scoperto la verità. Ma quale verità? Quella che Cora le aveva raccontato, Gold riuscì appena a riflettere, non era che una parte, la parte peggiore. Non poteva, non potevano arrendersi così. Un amore come quello era sopravvissuto a tanto, aveva superato disastri. Come poteva finire tanto banalmente?
Non l’avrebbe fatto finire.
Mai.
- No, Belle, no! – agitò invano le mani in aria due o tre volte e fece piccoli passi, col risultato di apparire isterico, fuori controllo come già era malgrado le intenzioni – Cosa ti ha detto Cora? Come puoi credere a lei, dopo tutto quello che ci ha fatto? Lascia perdere, non stare a sentire ciò che…
- No! Tu mi hai detto di non avermi mai tradita. Sai, se anche fosse successo, io l’avrei capito: mi credevi morta, era giusto ti rifacessi una vita. Lo volevo, lo speravo per te. Ti amavo: desideravo tu riuscissi ancora a sorridere, – quel verbo, quel determinato verbo al passato lo fece quasi accasciare come un pupazzo rotto, scivolare inerme lungo la parete. Ma lei continuò senza mostrare pietà, tanto bella quanto terribile – Ma tu mi hai detto di non avermi tradita. E invece, sai cosa mi ha detto Cora, Robert? Lo sai? – Belle si sentiva affogare mentre s’accingeva a ripetere le parole che l’avevano uccisa dentro, ma non s’arrestò – Che Rebecca Zelenyy non è una giornalista tra le tante. Non è un’estranea, non è una vecchia conoscenza qualunque, no. È lei. È la donna con cui sei stato durante questo tempo. È stata la tua amante… L’amante di cui tu non mi hai mai fatto parola.
- Non capisci, Belle, tu non capisci…
- Come potrei capire? – s’impose di non ridere istericamente – Io non ti conosco. Io conosco solo la realtà che tu fabbrichi a tuo piacimento. La realtà in cui tutto è perfetto, sì, ma lo è solo perché coperto da un velo. Appena lo scosto scopro sempre la verità, la lezione che avrei già dovuto imparare e che ancora mi ostino a ignorare – Belle chiuse gli occhi per non vedere la ferita che gli stava infliggendo – Il tuo unico, vero amore, Robert, non sono io, ma il potere. Il potere che ti diverti a esercitare sul mondo, sugli altri a cominciare da me. Il potere che io, – le si ruppe la voce – Ti ho permesso di esercitare su di me.
Era tutto finito. Gold glielo leggeva dritto nell’anima con un’esattezza, la stessa esattezza che lei tante volte aveva dimostrato nei suoi confronti e che lui tanto spesso aveva invidiato. Ma ora che riscopriva simile abilità, se ne pentiva. Perché mai, mai avrebbe voluto svilupparla per capire di essere giunto alle ultime battute
Al finale tragico quanto gli interludi.
Belle, io ti amo, pensò. Tutto questo l’ho fatto per te.
- Belle, no, questo non è vero, – provò a spiegare mettendo da parte ogni protervia. Ma spiegare cosa? Credeva di averle dato la felicità, e non si era reso conto di star distruggendola giorno per giorno – Non ti ho mai manipolata. Ho avuto una relazione con Rebecca, questo sì, e hai ragione quando dici che ho sbagliato, che avrei dovuto... Non so, essere sincero, dirtelo, almeno accennarti qualcosa! Ma se non l’ho fatto non è stato per cattiva volontà, ma perché lei non è mai stata niente per me, niente. Stavo con lei e sognavo te, volevo te, piangevo per te. Solo e sempre te, da cinque anni, – la supplicava con lo sguardo, con le parole, supplicava l’unico giudice al cui cospetto si rimetteva anche quando sapeva non avrebbe mostrato pietà – cui si rimetteva anche ora.
- Non ti ho mentito quella volta: non c’è stata nessun’altra nel mio cuore dopo di te. Per questo non ho detto niente: perché non aveva senso, perché ti avrebbe solo turbata ancora di più, quando meritavi solo serenità. Ci eravamo ritrovati: stavamo ricominciando a frequentarci, a riscoprici innamorati, Helena era così felice e questo dettaglio, questa mia maledetta debolezza avrebbe rovinato tutto. Non c’era nulla di sbagliato nel tacerlo. Non significa che io… Che noi.. – si perse tra le parole, si perse tra le bugie, tra la verità. Lei l’avrebbe lasciato. Tutto stava per finire – Noi abbiamo tutto, Belle! Capisci? Tutto! Perché credi che io…
Era così dolorosamente sincero che doveva recitare per forza. Si era confuso già tante, così tante volte tra i suoi modi d’istrione e l’onestà, tra segreti taciuti e lealtà ostentate. Tra le sue mille maschere aveva perso se stesso. Chi era Robert Gold?
Belle non sapeva più darsi una risposta.
Belle sapeva solo di amarlo, di non riuscire a smettere d’amarlo neanche ora che le piantava quei suoi occhi bugiardi in volto e la pregava di credergli.
Preghiere dal sapore di veleno, il più dolce, il più letale.
Non smetteva d’amare il suo veleno, e per questo sarebbe dovuta andar via.
Per non impazzirne.
Per non morirne.
- Tu non capisci, – la sola idea della sua decisione la fece sprofondare in un abisso insondabile, la travolse completamente – Non è l’essere stata tradita a farmi male, non lo definisco neanche tradimento! L’avrei accettato, non avrei sofferto, non starei così se tu me l’avessi detto! Ma tu mi hai mentito, – chinò il capo, mentre l’angoscia, la tristezza, la solitudine che tornavano a essere sue fedeli amiche le gonfiavano il petto – Non hai detto una cosa, una cosa che in sé può anche non significare molto, ma che avrebbe dimostrato la fiducia che tanto dici di nutrire nei miei confronti! – gli gridò contro senza pietà, senza temere di mostrargli le sua lacrime arrabbiate prima di riprendere con un filo di voce – Io volevo te, solo te. Io volevo solo essere scelta da te. Io ho… Provato a essere tutto per te, Robert, tutto! Ti ho dato tutto ciò che potevo darti, tutto ciò che hai voluto prendere. Ho accettato ogni sfaccettatura del tuo animo, ho perso me stessa per cercare di aiutare te! Ma ora non lo farò più. Tu hai bisogno di qualcosa che non posso darti, e io non so più cosa. Non so più nulla.
Gold si sentì morire. Momento dopo momento, si rendeva conto di aver perso – non l’hai persa, non è stato un incidente – distrutto la storia con l’unica persona che l’aveva ascoltato, compreso, fatto rialzare. Con colei che l’aveva amato più di tutto il resto, che l’aveva dimostrato in ogni modo possibile, che non aveva esitato a sfidare il mondo pur di stare con lui. E che l’aveva distrutta lui, ostinandosi a costruire un castello, sì, ma di sabbia: un castello tanto bello quanto fragile.
Un’onda, un passante distratto l’avevano portato via.
E aveva portato via loro.
- Per favore, mi farò perdonare! Belle, io… Io sistemerò tutto! – il terrore gli acuiva la voce – Sono già cambiato in passato, posso rifarlo!
Lei scosse il capo.
- Non sei mai cambiato.
- Per favore… – senza neanche rendersene conto, Gold allungò una mano verso il suo volto per carezzarla.
- Non toccarmi! – Belle urlò, scostandolo con violenza. L’uomo digrignò i denti quando lei si strofinò dove era stata appena sfiorata, quasi a voler eliminare ogni traccia del contatto. Com’era possibile che nell’arco di minuti tutto fosse mutato a tal punto? Un’ora prima ridevano felici, innamorati, e ora… – È troppo tardi, Robert. È troppo tardi, – la donna si premé una mano sulla bocca per soffocare i singhiozzi, una battaglia tanto vana quanto le altre che aveva combattuto. Era stanca, così stanca… Non era bastato fare attenzione, cercare di capire, provare a spiegarsi. Non era bastato nulla – In passato ho visto l’uomo dietro la bestia. Ora… Ora vedo solo la bestia.
Il dolore gli esplose in mente senza preavviso. Coprì tutto con un manto nero senza vie di fuga, un manto sotto cui Gold soffocava con la consapevolezza che non sarebbe tornato a respirare, che all’alba nulla si sarebbe diradato, che la notte sarebbe durata in eterno.
Non trattenne più le lacrime. Gli uomini non piangono, dicevano. Forse lui non era mai stato abbastanza uomo. Di sicuro lui non era più niente senza lei.
- Quando siamo andati dal fotografo… Ci siamo promessi di non dimenticare ciò che siamo. Di non lasciarci andare mai più. Mai più, Belle, mai più, sei stata tu a dirlo… Hai detto che non smetterai mai di lottare per me… Per favore… – singhiozzò convulsamente, dondolandosi su se stesso, incurante di ogni cosa. Si gettò ai suoi piedi – Per favore, l’hai promesso… Non lasciarmi… Tu ed Helena, non lasciatemi…
- Non posso mantenere la promessa. Non più, – nel pianto, una voce quasi estranea a lei stessa le abbandonò le labbra – È finita, Robert. È finita per sempre. Ho deciso di andarmene. Prendo Helena e le mie cose, e me ne vado per sempre.
- Belle, no! No, no, no, no, per favore, no! Non sei padrona di te, ora, prova a riflettere!
- Sono più padrona di me adesso di quanto lo sia stata negli ultimi mesi, – dichiarò, già voltandosi.
- Belle… Helena… Ti supplico, Belle, ti supplico! È mia figlia, sai che non posso stare senza di lei, sai che non posso stare senza di te! Non voglio perderti, Belle, non voglio…
Lei si fermò per un istante.
- Ormai mi hai già persa, – sussurrò a testa bassa prima di riprendere il suo cammino.
- Belle, per favore, Belle! – ululò come un animale ferito – Ho paura! Senza di te io ho paura! Belle!
Stava piangendo. Robert stava piangendo, e lei si voltava dall’altra parte per non guardarlo – per non fargli vedere le lacrime aggrappate al battito delle ciglia.
Quel cielo che poche ore prima risplendeva d’oro, ora era cenere.
- Belle! Per favore!
Come avrebbero fatto i piedi a spingerla fino a casa, se tutto ciò che desiderava era tornare indietro, accasciarsi al suo fianco e piangere sul suo petto, maledirlo, baciarlo, uccidere?
Se mi volto indietro sarò perduta. 2
Belle stava uscendo dalla sua vita all’improvviso, come vi era irrotta. Lo stava lasciando lì, sotto quell’albero maledetto, a contemplare la sua mancanza, incapace di muoversi e seguirla, afferrarla, costringerla a guardarlo negli occhi e a restare. Se ne andava, e forse gli augurava ogni bene, o forse ogni dolore, ma sapendo che senza di lei ad aspettarlo c’era solo il nulla.
Non poteva trattenerla. Non ne aveva titolo.
Rimase lì, tremante, la schiena contro un tronco. Era quello il suo posto
Ora che ti ho persa, so di aver perso tutto.
 
 
 

“And still I dream he'll come to me,
that we'll live the years

together.”

 
 
 
Un rintocco, un altro, un altro e un altro ancora…
Quasi mezzanotte.
Regina sbirciò ancora una volta verso il cancello. Non abbandonava la sua posizione da ore intere, nella speranza di scorgere Daniel; ma i lampioni spandevano la loro luce fioca su una strada fin troppo deserta.
Non si sarebbe mossa finché non fosse giunto l’amato, a costo di attendere fino al mattino. Quel ritardo doveva avere una ragione: Daniel non l’avrebbe mai lasciata a dibattersi nel dubbio per tante ore senza motivo. Cosa poteva essere successo? Che il colloquio stesse andando per le lunghe? Non che Regina fosse esperta di affari, ma intuiva che una trattativa tanto lunga difficilmente poteva concludersi per il meglio…
Ma qualsiasi fosse l’esito, lei e Daniel l’avrebbero affrontato assieme. Quando fosse giunto, lo stalliere le avrebbe raccontato ogni cosa e avrebbero valutato il da farsi.
Per fortuna, dopo tanto gioco almeno Helena dormiva tranquilla. Malgrado il trattamento riservatole, la bambina era tornata presto: era sgattaiolata nella camera della ragazza e, come dimentica della lite, le aveva proposto di giocare. Non che Regina avesse molta voglia di chiocciare attorno a una mocciosa, ma quel giorno era già andata in escandescenze e scatenato abbastanza l’ira dello… – dello zio – ; aveva pertanto deciso di mettere da parte per qualche momento il suo carattere fumatino e accontentare la figlia di Belle.
E poi, come avrebbe potuto negare qualcosa a Helena, quando le buttava in faccia quegli occhioni imploranti?
Ma questo Regina non l’avrebbe ammesso ad alta voce.
Si voltò di nuovo verso la finestra, le dita che stiravano senza sosta le pieghe del vestito. Se Mal avesse notato quella piccola mania, l’avrebbe come minimo derisa. – Cosa fai? – le avrebbe detto – Diventi maniaca del controllo perché non riesci a sfuggire a tua madre?
Ma lei era riuscita a sfuggire alla Contessa. Lei e Daniel ce l’avevano fatta: a momenti lui sarebbe giunto, foriero di buone notizie, e presto avrebbero cominciato una nuova vita insieme…
Era strano: proprio nell’istante in cui aveva pensato a Mal Bauer, le era parso di intravederla al cancello. Che bizzarro scherzo della mente: avrebbe al più potuto immaginare il giovane, non la ragazza!
Regina scosse il capo, preparandosi a dover sopportare i primi inconvenienti della lunga veglia.
Però…
Se non Mal, la sua sosia stava passeggiando senza sosta sotto casa dello zio. Se la razionalità non la ingannava, le probabilità che quella fosse proprio l’ex dipendente di Maman erano decisamente più elevate. Ma cosa ci faceva lì? Perché era venuta a trovarla a quell’ora, quando sapeva che attendeva Daniel…
Restare a guardarla, Regina decise, non avrebbe fornito risposte: l’unica cosa da fare era scendere, nella speranza di non essere scoperta, chiarire la faccenda e tornare ad attendere.  Non c’era altro modo, ma una cosa era certa: se l’amica fosse passata per chiacchierare, l’avrebbe rispedita nell’East End a calci. Con Helena poteva anche fingere pazienza, ma con Mal…
Si mosse in silenzio verso la porta;  ma nell’istante stesso in cui pose la mano sul pomello una vocina assonnata la bloccò.
- Re’ina?
L’adolescente sospirò. Perché quella dannata bambina sceglieva sempre il momento meno opportuno per fare qualsiasi cosa?
- Dormi.
Incurante, la piccola proseguì: – Dove vai?
- Scendo in cucina. Non ho cenato, e ora ho fame.
La Contessina scostò cauta la bussola. Controllò circospetta il corridoio prima di muoversi; ma prima che scivolasse fuori, ancora una volta un richiamo la fermò.
- Regina?
L’interpellata s’impose una calma che non possedeva.
- Dimmi.
- Ma poi torni?
Che domanda assurda.
Perché mai non dovrei tornare?
- Certo, Helena. Torno.
 
 
 
- Cosa ci fai qui? – Regina salutò Mal con ben poca grazia – Aspetto Daniel. Scendendo ora ho rischiato di essere scoperta, e sai che…
Uno sguardo la fece interrompere all’istante. Colse la tristezza negli occhi di Mal, i gesti crudi, quasi febbrili con cui la ragazza si stringeva sotto  il giaccone maschile, quasi sentisse un freddo che non apparteneva a quella mite notte d’agosto.
Era successo qualcosa, era palese; e anche qualcosa di grave. Ben poco prostrava tanto Mal; o meglio, quasi niente. Solo quando era stata catturata dagli uomini di Cora le era parsa tanto sperduta e fragile.
- Mal, – fece Regina, all’improvviso incerta – Cos’hai?
L’unica risposta fu il silenzio.
- C’entra Stefan?
Mal doveva aver litigato col suo amico. Daniel gliel’aveva detto, e lei stessa l’aveva ribadito alla Bauer: non era un uomo con cui si dovesse avere a che fare. Era pericoloso, crudele, violento. Tutto, fuorché raccomandabile.
Ancora una volta, la bionda tacque.
- Ti ha… Ti ha fatto del male?
Mal scosse il capo.
- E allora?
La domanda cadde nel vuoto, mentre la pazienza diveniva definitivamente un’estranea per Regina Mills.
- Senti, mi sono stancata di questa farsa. Sai com’è la situazione, perciò o mi dici cos’è successo, o te ne torni domani. Stanotte è tragica, ho anche la figlia di mio zio che...
- Daniel.
Regina si bloccò.
- Cos’hai detto?
Mal ripeté il nome.
- Cosa c’entra Daniel? Verrà qui appena finirà l’incontro.
- Regina... – la voce stessa della giovane risuonò come il pigolio di un uccellino – Devi venire con me.
- Ti ho detto che non posso, – Regina non stava capendo nulla – Devo aspettare Daniel, oramai sarà qui a breve.
- No, Regina, no, – quell’implorazione quasi la colpì materialmente – Oggi Daniel non viene. Devi andare tu da lui.
- No, ti dico che verrà, lui…
- Regina, non verrà! – l’amica scattò, posando le mani sulle spalle della mora e scuotendola – Per favore, stammi a sentire una volta nella tua vita! Non può venire!
L’adolescente si ritrasse come colpita, il vuoto nella mente.
All’improvviso, aveva la gola secca.
- Che significa “non verrà”? – riuscì appena a bisbigliare, dopo un tempo infinito.
Mal la guardò stancamente.
 
- Seguimi.
 
 
 
“Now life has killed
The dream I dreamed.”

“I dreamed a dream” – Les Misérables
 
 
 
1: “Quando ricevo una sua lettera so che il nostro mondo è vero, ed è il solo di cui m'importi”, dal film “Bright star” basato sugli ultimi anni di vita del poeta inglese John Keats e sulla sua storia con l’amata Fanny. È stupendo, vedetelo appena ne avete occasione!
2: citazione di Daenerys Targaryen di “A song of ice and fire/Game of thrones”. Anche la citata lady Lannister, ovviamente, viene dall’opera di George Martin. ;)
 
 
Per i riferimenti al ballo, scelta delle dame in primis, vi rimando a quest’interessante articolo:  http://georgianagarden.blogspot.it/2009/10/regole-di-base-sul-comportamento-ai.html
 
 
 
N.d.A.: Due parole prime di essere brutalmente assassinata da voi. ♥ ♥ ♥
Carissim*!
Dopo un mese avreste preferito un ritorno più allegro, lo so; e invece, vi beccate la versione euridiciana della rottura della 4x11. #Maiunagioia, lo so, ma il break-up era nell’aria: le bugie non sono mai la scelta giusta e la verità emerge sempre, nel modo più imprevedibile e con conseguenze nefaste per tutti. Gold si è trovato a fronteggiare il passato recente da cui credeva di essere oramai sfuggito, e Belle… Beh, ogni certezza di Belle è andata in frantumi come lo schermo del mio cellulare. Ogni promessa, ogni speranza si è rivelata fumo e cenere: per l’ennesima volta, sia pure per motivi diversi, l’uomo che ama non ha dimostrato alcuna fiducia in lei. L’ha ferita in un modo forse meno plateale, ma non per questo meno doloroso: il lieto fine che Belle credeva di avere finalmente raggiunto è svanito come neve al sole.
Questa è la più grave crisi che la coppia affronterà, per citare una vecchia intervista fatta agli autori: bisognerà vedere se e come si risolverà, quali ne saranno gli sviluppi e gli strascichi. Perché una cosa simile cambia tutto per sempre…
Quanto a Will(iam), non credo che tornerà. In questo mi scosterò dal telefilm: ho inserito il personaggio perché lo adoro, ma non voglio coinvolgerlo per poi trascurarlo. La sua è stata una comparsa, diciamo pure un omaggio volto anche a smorzare – appena appena! – i toni del capitolo. Se non avete seguito “Once upon a time in Wonderland” la figura di Liz e il discorso di Will potrebbero apparirvi oscuri: senza spoilerare niente, vi dico che la serie è carina, non eccezionale ma merita davvero uno sguardo – non fosse altro per Will Scarlet che è er mejo der mejo, non l’ameba vista in OUAT – e che Liz merita solo gioia. My baby. ♥
Silenzio stampa su Regina: sabato 24 ottobre scoprirete tutto. Nel frattempo, sbizzarritevi pure con le teorie: come evolverà la situazione, secondo voi? Mi raccomando, fatemi conoscere il vostro parere sul punto e sul capitolo tutto: IC, OOC, critiche e commenti vari ed eventuali, sapete che potete – dovete! – parlare senza farvi scrupoli! Sono qui per migliorare, e questo può avvenire solo attraverso confronti e consigli! :)
A breve tornerà OUAT e io, malgrado sia spesso e volentieri una criticona, non vedo l’ora: nei prossimi giorni arriverà la mia recensione delirante su “Euridice’s World”, la pagina Facebook che aspetta una vostra visitina e magari un bel “mi piace”! :D
Ora la smetto: potreste anche scuoiarmi stile Bolton, ma poi non scoprireste mai come va a finire la storia! :P
Bacioni, Dearies adorat*, e a presto, spero! ♥ :* ♥
Euridice100
   
 
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