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Autore: Whatadaph    29/09/2015    4 recensioni
Nel centro di Londra, un clamoroso furto di opere d’arte dal valore inestimabile avviene in circostanze misteriose. Gli Auror brancolano nel buio e Scorpius Malfoy c’è dentro con tutte le scarpe.
Nel frattempo, a Hogwarts, Lizzie Dursley è alle prese con una cotta impossibile e Fred Weasley ne combina una dopo l’altra.
Sono passati sei anni e i nostri eroi si muovono nelle loro nuove vite, tra il Ministero della Magia, l’ospedale San Mungo, il Caffè Nero di Trafalgar Square e un certo castello in Scozia.
Come sempre, se i Potter-Weasley e compagnia non vogliono guai… Sono i guai che li vanno a cercare!
Con la partecipazione straordinaria di quattro squadre di Quidditch, alcune vecchie conoscenze e un grosso gatto peloso.
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Hugo Weasley, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Metamorphosis'
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CAPITOLO SECONDO

Al Cluricauno Ubriaco
 
 
17 settembre 2027
Londra, Ministero della Magia
Mattina (piuttosto presto)
 
Quella mattina Scorpius rientrò in ufficio di buon'ora, le sopracciglia aggrottate mentre a passo rapido si avventurava nel familiare corridoio rivestito di fogli di giornale.
Aveva fatto ormai l'abitudine a passare quotidianamente per quello che sembrava l'interno di uno scatolone da imballaggio, con le figure animate di criminali ancora in movimento nelle fotografie, incastrate tra blocchi di fitte linee in caratteri scuri. Non aveva mai avuto modo di guardarli tutti con attenzione e neanche aveva tutta questa gran voglia di farlo, ma alcune facce non aveva potuto fare a meno di notarle: il suo sguardo finiva sempre per cadervi sopra.
Ciao, zia Bellatrix, borbottò nei propri pensieri quasi per automatismo. Ciao, nonno Lucius.
Mormorii indistinti e il ticchettio di macchine da scrivere dietro le porte socchiuse dei vari uffici tenevano compagnia al suono dei suoi passi. Incrociò un paio di colleghi e rivolse loro un cenno, prima di grattarsi la spalla; sotto le sue dita, oltre la spessa stoffa rinforzata della divisa da Auror, percepiva il tessuto ruvido delle bende che gli aveva cambiato Jake la mattina stessa.
“La pelle sulla spalla si sta ancora rigenerando,” gli aveva detto il Guaritore con una smorfia. “Non toglierti la benda, non sapresti rimetterla. Ti pruderà tutto il giorno a meno che tu non te ne resti buono qui a farti cambiare tutto ogni due ore dalla Davis.”
“Ma in linea teorica potrei essere dimesso?” aveva chiesto lui speranzoso.
L'amico aveva sbuffato, scuotendo la testa. “Non vedi l'ora di rischiare la pelle di nuovo, eh?”
Eccome.
Ed era di nuovo in Dipartimento. La spalla prudeva fastidiosamente, ma poteva sempre sforzarsi di ignorarla. Gli anni in Accademia e poi finalmente in prima linea erano bastati a fargli capire una cosa: non aveva paura di farsi male perché non era poi così importante, a meno che non lo tenesse bloccato a letto impedendogli di andare a lavoro. Gli era accaduto una volta dopo una maledizione lieve combinata ad un qualche tipo di fattura... Era stato orribile. Giorni e giorni passati al San Mungo e poi a casa senza niente da fare se non guardare il vuoto e fumare – cosa che non avrebbe dovuto fare: il fiato gli serviva.
Tanto ci sarà sempre un Guaritore a rimettermi a posto le ossa...
Eh, Jake?
Tra quei corridoi rivestiti di giornale si sentiva a casa. E se suo padre scuoteva la testa – Dev'essere stato quel Bolide che l'ha preso alla testa al Quinto Anno... Che ne pensi, Astoria, potrei aver ragione? – lui era terribilmente entusiasta di quello che faceva, nonostante Bernie e Jake gli dessero del fanatico, del Grifondoro mancato e altre sciocchezze del genere. Gli piaceva l'adrenalina che gli dava andare in missione; lo agitava ma riusciva a rimanere lucido, padrone dei propri sensi più del solito, sicuro di sé come non era mai stato.
Certo, forse il fatto che l'ultimo caso grave sia stato cinque anni fa aiuta, pensò saggiamente, visto che non era diventato del tutto stupido.
Svoltò in un corridoio più piccolo, che portava alla stanza assegnata alla sua squadra.
Sulla soglia, quasi andò a sbattere contro Louis Weasley che usciva.
“Ben trovato, Malfoy,” lo udì dire in tono allegro. “Come va la ferita?”
Le ferite,” lo corresse automaticamente. “Ventidue ustioni più o meno gravi.” Quella di esibire gli infortuni come medaglie al valore era un'abitudine abbastanza tipica tra i più giovani del Dipartimento. Si era ritrovato ad assumerla quasi senza farci caso, ma almeno su questo una parte dei suoi amici si era rivelata comprensiva. Specialmente Al – che a dire il vero approvava anche tutto il resto – ma anche Jake, forse perché così poteva a propria volta vantarsi di averlo curato i tre quarti delle volte.
Weasley gli diede una pacca sulla spalla – quella già guarita, fortunatamente.
“Capiti al momento giusto, Malfoy,” gli disse. “Zio Harry ha convocato la squadra... Intanto andiamo noi.”
Se non l'avesse sentito fare da Rose per anni, probabilmente non si sarebbe mai abituato a sentir chiamare zio Harry il Direttore del proprio Dipartimento.
Annuì, per poi seguire Louis per il dedalo di corridoi tappezzati. I loro passi riecheggiavano sulla pietra scura che pavimentava il Ministero; da una stanza chiusa si udirono il fragore di un bicchiere rotto, un'imprecazione e un Reparo.
L'ufficio di Harry Potter era il solito caos di pergamene, detector oscuri e foto di famiglia. Ad aspettarli c'erano il Direttore stesso, Ron Weasley e Theodore Nott, un vecchio amico di suo padre che lo salutò con un cenno del capo.
“Ah, siete arrivati.” Harry Potter sollevò la testa arruffata dalla pratica che stava firmando – probabilmente l'assegnazione alla squadra della missione di cui avrebbe parlato loro a momenti – e fissò su entrambi uno sguardo verde chiaro, attraverso le lenti rotonde degli occhiali. “Louis, Scorpius. Dove sono gli altri?”
Aveva apprezzato il fatto che il Direttore si fosse sempre sforzato di chiamarlo per nome, fin dal suo  primo ingresso al Dipartimento. Forse c'entrava qualcosa il fatto che all'epoca fosse ad un passo dal matrimonio con Rose, ma comunque essere trattato con familiarità l'aveva fatto sentire accolto, in un ambiente che in teoria non doveva essere proprio l'habitat naturale per un Malfoy, almeno secondo l'opinione comune.
“Arriveranno tra non molto,” rispose Louis per entrambi.
Il Direttore annuì, riassestandosi gli occhiali sul naso. “Allora nel frattempo comincio con voi.” Sospirò e trasse una pergamena dalla cima della pila disordinata che aveva di fronte. “Ci è stata segnalata una rapina di una certa entità al Museo d'Arte Magica Britannica, qui a Londra...”
Scorpius sollevò brevemente le sopracciglia. Era stato al Museo un paio di volte, da piccolo... Non ricordava granché, se non file e file di dipinti magici che faticava a sbirciare tra la folla, vista la sua statura infantile.
“Sono stati trafugati quadri di enorme valore,” proseguiva il Direttore, “alcuni dei più preziosi tra quelli custoditi al Museo. Le circostanze sono abbastanza strane... Dalla denuncia che mi è stata recapitata sembra che uno dei guardiani notturni abbia semplicemente aperto una porta e i quadri siano spariti uno dopo l'altro, almeno stando alle Magicamere di sicurezza.” Sbuffò. “Non è chiarissimo, erano tutti molto agitati... Al momento sono stati messi sotto custodia tutti i dipendenti del Museo.” Tornò a fissare lo sguardo su di loro. “Recuperate le opere e mettete dentro il colpevole,” borbottò semplicemente. “Abbastanza chiaro?”
Era abbastanza chiaro, convenne Scorpius dentro la propria testa.
Naturalmente, non vedeva l'ora di iniziare.
 
 
*
 
 
17 settembre 2027
Hogwarts, Scozia                    
Mattina (ancora piuttosto presto)
 
Il sabato mattina, da sette anni a quella parte, Elizabeth Dursley faceva colazione da sola. Questo perché Lucrezia reputava inconcepibile alzarsi allo stesso orario dei giorni di scuola durante il finesettimana, mentre a lei non era mai piaciuto svegliarsi tardi o restare a letto a poltrire.
All'inizio aveva pensato che fosse perché sua madre non aveva mai permesso a nessuno, in famiglia, di passare la mattinata in completa inattività: poi anche Max era arrivato a Hogwarts e Lizzie aveva capito di essere proprio fatta così, dal momento che al fratello non era parso vero di potersi alzare all'ora di pranzo, fuori dal raggio di controllo materno.
Anche quel sabato era uscita dai sotterranei in sommo anticipo rispetto a quasi tutti i suoi compagni di casa. In dormitorio Lucrezia ancora dormiva della grossa, e così Bernice e Candida. Non avrebbe saputo dir nulla di Adelaide Nott: le tende serrate del suo baldacchino avrebbero potuto celare la sua presenza o la sua assenza allo stesso identico modo.
Non aveva incontrato nessuno per i corridoi, con l'esclusione del Barone Sanguinario e di un grasso gatto a pelo lungo, dal manto di una curiosa tinta argento-bluastra, di cui non conosceva il proprietario. Nel vederla, il felino aveva sollevato la coda infastidito per poi allontanarsi in un trotto silenzioso e sparire dietro un angolo. La cosa l'aveva fatta sentire sollevata: era allergica al pelo di gatto e non le sarebbe piaciuto strozzarsi con il tè a forza di starnuti.
Anche la Sala d'Ingresso era deserta, con l'esclusione di un paio di Tassorosso mattinieri e della figura massiccia del professor Hagrid, che stava entrando nel castello tirandosi dietro un grosso sacco di cui davvero Elizabeth non voleva conoscere il contenuto.
Dietro di lui intravvide un cielo di un azzurro tenue, visibile nel rettangolo ritagliato dal portone di quercia aperto a metà.
Decise di fermarsi.
“Buongiorno, professore,” gli si rivolse con cortesia. Una volta aveva parlato a suo padre di Hagrid; Dudley era sbiancato e si era defilato in tutta fretta in un'altra stanza, borbottando qualcosa a proposito di un codino di maiale e di un ombrello rosa.
Non aveva mai capito perché, ma si era ripromessa che un giorno avrebbe chiesto allo zio Harry delucidazioni al riguardo.
Hagrid udendola sollevò la testa di scatto, puntando su di lei gli occhi neri come scarafaggi da sotto le folte e cespugliose sopracciglia. Le rivolse un sorriso burbero in mezzo alla crespa barba grigia. “Ehilà, Lizzie,” borbottò affettuoso. “Vai a colazione, adesso?”
Elizabeth annuì. Hagrid le piaceva, forse perché aveva capito di starle simpatico anche se lei aveva cercato di nasconderglielo in tutti i modi.
Era una cosa che faceva spesso.
Insieme al professore attraversò la Sala d'Ingresso, immersa nel silenzio se si escludevano i passi di Hagrid – forti abbastanza da coprire quelli di Lizzie – e il costante frusciare del grosso sacco contro il pavimento. Gettò un'occhiata guardinga alla grezza tela marrone, con l'impressione che qualcosa si stesse dibattendo al suo interno.
Non resistette più.
“Hagrid, cos'hai lì?”
Gli occhi dell'altro scintillarono in modo poco rassicurante. “Oh, una bella robetta. Vedrai alla lezione di lunedì...”
Ma erano giunti in Sala Grande e lì si separarono, Hagrid per raggiungere il resto del corpo insegnanti e Lizzie diretta al tavolo di Serpeverde.
Come si aspettava, la Sala era semivuota. La tavolata di Corvonero e quella di Tassorosso contavano più o meno un terzo degli studenti, ma quelle di Serpeverde e Grifondoro erano occupate da non più di una decina di persone ciascuna. Si sedette più o meno a metà del proprio tavolo e neanche si guardò attorno prima di sporgersi verso un bricco di tè e una pila di pane tostato.
“Ciao, Dursley.”
Sobbalzò, la mano che quasi si era stretta attorno al manico della teiera. Alzò lo sguardo, sperando con tutto il cuore che i suoi capelli avessero un aspetto migliore rispetto al giorno prima.
Conosceva quella voce.
“Ehi, Warrington,” rispose incolore, fissando gli occhi sul suo interlocutore – un ragazzo pallido, con il volto magro e capelli di un castano cinerino. “Come mai sveglio così presto?”
L'altro roteò gli occhi chiari, riemergendo da una tazza di caffè. Aveva l'aria di qualcuno che è stato appena buttato a calci giù dal letto, ma Lizzie lo trovò comunque piuttosto carino.
“Candida.” Lo udì rispondere. “Ha prenotato il campo da Quidditch per tutto il giorno.”
Elizabeth sollevò brevemente le sopracciglia. “Sono uscita dal dormitorio un quarto d'ora fa e Candida stava ancora dormendo,” obiettò.
Stanley le gettò uno sguardo ironico. “Infatti. Ci ha detto di iniziare a scaldarci... Ci raggiungerà tra un paio d'ore.”
“E perché non ve ne siete fregati? Potevate restare a dormire.”
“Infatti era quella l'idea originaria.” Il ragazzo sospirò, prima di bere un altro sorso di caffè. “Ma ovviamente Candida ha preso misure precauzionali... Almeno credo, visto che non so chi altro avrebbe potuto lanciare sui nostri letti una fattura urticante. Sembra di avere le chiappe su un mazzo di ortica a sedercisi sopra.”
Lizzie scoppiò a ridere. Candida Flitt non le dispiaceva, nonostante non fossero esattamente amiche: l'altra passava tutto il tempo tra Bernice e gli allenamenti di Quidditch – si frequentavano il minimo indispensabile – e nel complesso era troppo piena di sé per i suoi gusti, ma doveva ammettere che a volte aveva dei veri e propri picchi di genialità.
Stanley finì il proprio caffè e si passò le mani in mezzo ai capelli. “Marcel e Harvey stanno cercando un controincantesimo, ma dubito che ce la faranno.”
“Certo,” convenne Lizzie prima di riuscire a trattenersi, “se lasci il testimone a un cretino come Higgs che cosa puoi aspettarti?”
Non appena vide l'espressione del ragazzo capì di aver fatto un errore.
Lizzie, sei una stupida. Ma non imparerai mai a tenere chiusa quella ciabatta?!
Stanley le scoccò un'occhiata furente. “Stronza già alle prime ore del mattino, Dursley?” disse freddamente.
Stupida stupida stupida.
Mai, mai, mai insultare gli amici di Stanley. Quei tre vivono in simbiosi, dannazione.
“Solo prima di colazione,” replicò scrollando le spalle e ostentando indifferenza.
L'altro continuò a squadrarla in cagnesco ancora per diversi secondi prima di sbuffare e tornare a dedicarsi alle sue uova strapazzate. Elizabeth finì di sbocconcellare il tuo toast continuando a sbirciarlo di sottecchi, finché Stanley non intercettò uno dei suoi sguardi.
“È un modo indiretto per chiedere scusa, Dursley?” Nell'udire il tono della sua voce, ancora sostenuto ma non più così freddo, capì che le cose erano tornate a posto, più o meno.
“Neanche con una bacchetta puntata alla tempia, Warrington,” scherzò.
E fu certa che lui avesse capito quello che intendeva.
Proprio per questo Stanley Warrington le piaceva: era intelligente, non come quegli altri caproni dei suoi amici o dell'allegra combriccola Grifondoro di Fred Weasley. Aveva ottimi voti, era un Prefetto e rispetto agli altri limitava anche il numero di apprezzamenti dementi sulle ragazze, cosa che Lizzie apprezzava moltissimo (soprattutto perché sapeva perfettamente che quei commenti non la riguardavano).
Continuarono a mangiare in silenzio per diversi minuti, l'uno di fronte all'altra. Elizabeth, il volto immerso nella sua tazza di tè, decise poi improvvisamente che non avrebbe avuto senso sprecare l'occasione di essere sola con lui senza tentare un minimo di conversazione. Nonostante gli esiti disastrosi della precedente.
“Senti,” esordì, senza avere un'idea chiara su come continuare. Tuttavia non poté proseguire, perché qualcuno parlò dietro di lei, con la voce sgraziata che avevano gli adolescenti quando cercavano di camuffare i loro nuovi suoni da baritono.
“Prefetto Dursley, prefetto Warrington...”
Si voltò in fretta, intimamente sollevata che qualcuno avesse interrotto la sua frase dalle incerte conclusioni. Posò gli occhi sulla sagoma allampanata di Merlin Arbuthout, il tremebondo prefetto Corvonero del Quinto anno.
“Dì pure, Arbuthout,” lo esortò Stanley in tono neutro, l'espressione indecifrabile.
Merlin si schiarì la voce. “Ozzie mi ha detto di dirvi che oggi pomeriggio ci sarà una riunione dei Prefetti.”
Cosa?!” udì sbottare Stanley. Era molto compassato, come la maggior parte dei loro compagni di casa, ma di tanto in tanto perdeva davvero le staffe, e questo a Lizzie piaceva un sacco. “Oggi ho gli allenamenti di Quidditch!”
Ozzie Omega Ramkin era un Corvonero ed era anche Caposcuola, oltre che capitano della squadra di Quidditch della sua casa. Non era improbabile che avesse fissato di proposito la riunione proprio durante l'allenamento dei Serpeverde.
Lizzie capì che avrebbe potuto approfittare dell'occasione per farsi perdonare da Stanley la pessima uscita di poco prima. “Non preoccuparti, Stan,” disse rapidamente. “Andrò io alla riunione e ti dirò tutto quello che è stato detto.”
Dall'espressione sollevata del ragazzo capì di aver fatto centro. Camuffò un sorriso, rivolgendosi a Merlin. “Grazie, Arbuthout. Messaggio recepito, adesso puoi andare,” lo congedò in tono gelido. Il piccolo Corvonero la guardò atterrito e si allontanò più in fretta possibile.
Davvero, non ho ancora capito come mai faccio così paura.
Non è che io sia alta tre metri, abbia le zanne o che.
Tornò a voltarsi verso Stanley in tempo per vederlo ridacchiare; a quel punto dovette trattenersi dal sorridere euforica. Il ragazzo sembrò sul punto di dirle qualcosa, probabilmente qualche parola di ringraziamento, ma fu distratto dall'arrivo di un ragazzo dai capelli scuri e la pelle olivastra.
Era Marcel Buckley, un altro Serpeverde del loro anno che Lizzie non trovava granché simpatico.
Anche se di certo potrei dire di amarlo rispetto a quel troll di Higgs.
Decise di andarsene con un saluto sbrigativo, decisamente allegra nonostante cercasse di non darlo a vedere. Era sempre più convinta che ci fossero ottime ragioni per alzarsi presto il sabato.
 
 
*
 
17 settembre 2027
Museo d'Arte Magica Britannica, Londra
Tarda mattinata
 
Gwyneth era stata diverse volte al Museo d'Arte Magica Britannica, da bambina, di solito per mostre organizzate dalle amiche di sua madre. Lo ricordava come un posto davvero splendido, con lucidi pavimenti di legno che scricchiolavano sotto i piedi, pareti pitturate di un neutro color crema per mettere in maggior rilievo le opere esposte e una luce soffusa a pervadere l'intero ambiente.
Adesso non era cambiato quasi nulla, in realtà.
Le uniche grosse differenze rispetto ai suoi ricordi infantili erano il continuo viavai di gente in totale agitazione e il nastro di plastica viola del Ministero a isolare le zone circostanti alcune postazioni per dipinti di diversa grandezza, rimaste vuote.
Ah, e il fatto che io sia qui in veste di Auror.
Che figata.
Si voltò verso Scorpius, in piedi a fianco a lei, preso a grattarsi furiosamente una spalla; Gwyneth inarcò un sopracciglio, certa che avesse insistito per andar via dal San Mungo il prima possibile. Scosse la testa, reprimendo uno sbuffo. Era diventato un malato del lavoro, da quando...
Ma in fondo non sono affari miei, no?
Si riscosse dai propri pensieri quando vide il Tenente Weasley venir loro incontro con espressione seria.  “È ora di andare.” 
Scorpius smise immediatamente di grattarsi e assieme seguirono Louis a passo marziale per un paio di corridoi immersi in un'atmosfera asettica, dalle pareti coperte di ritratti che li sbirciarono con curiosità, saltando da una cornice all'altra per sussurrarsi borbottii all'orecchio...
“Tutte queste persone...”
“Ma che razza di intromissione!”
“Davvero inaudito.”
Gwyneth fece una smorfia e accelerò appena il passo, affiancando Louis. “Weasley, a qualcuno è venuto in mente di interrogare i quadri?”
Lui scrollò le spalle di rimando, allontanando una ciocca bionda dalla fronte con la punta delle dita. “Tenente Weasley, Parkinson. Quante volte dovrò ripetertelo?”
“Non fare l'idiota.” Sbuffò. Come se davvero gli importasse delle formalità...
Per alcuni istanti non si udì altro suono che quello dei loro passi sul pavimento. Scorpius non disse nulla, ma Gwyneth sapeva che aveva le orecchie tese.
“Sì, ci hanno provato,” sospirò poi Louis. “Tutto inutile, purtroppo. Sembra che il ladro sia riuscito a eludere persino il loro controllo... Dormivano tutti, probabilmente a causa di qualche incantesimo... Gli Spezzaincantesimi ci stanno lavorando.” La sua mano salì nuovamente a spostare una ciocca ondulata: portava i capelli leggermente più lunghi sul davanti, adesso. Gwyneth non si stupì nell'udire sospirare un gruppo di giovani donne dalle lunghe vesti quando passarono davanti al loro quadro. Lavorava assieme a Louis da quasi tre anni e ormai aveva fatto l'abitudine alla sua influenza Veela, ma questo non valeva per chi lo incontrava per la prima volta... Aveva fatto l'abitudine anche a questo, ma non si trattenne dal voltarsi e fare la linguaccia alle damine vittoriane, che si ritirarono indignate.
Alle sue spalle, Scorpius trattenne una risata.
Finalmente s’inerpicarono su di una scaletta scivolosa e buia, ben diversa dalle luminose aree di esposizione, per poi entrare nel locale dov'erano piazzati gli schermi di controllo delle Magicamere di sicurezza. Era una stanzetta dall'aria angusta ma dai soffitti piuttosto alti, ingombra di schermi Levitanti, ciascuno dei quali mostrava un'ala diversa del museo – alcune completamente vuote, altre ingombre di Tiratori che facevano su e giù cercando di raccogliere tracce o indizi o a srotolare nastri viola per isolare le zone sospette.
Facendosi strada tra gli schermi sospese a diverse altezze finalmente raggiunsero un piccolo gruppo di persone in fondo alla stanza, distribuiti tra una scrivania di medie dimensioni e diverse sedie pieghevoli probabilmente Evocate per l'occasione.
Automaticamente si mise sull'attenti quando riconobbe due delle persone lì presenti: il Maggiore Holly Greengrass, una giovane donna bionda dall'aria volitiva, accompagnata da un ragazzo dai capelli neri cronicamente scompigliati.
“Parkinson, Malfoy,” constatò la donna in tono sbrigativo, ma non antipatico: semplicemente appariva estremamente concentrata su quello che stava facendo. Il ragazzo al suo fianco, nientemento che il Sergente James Potter, li salutò con un cenno e una smorfia.
Gwyneth chinò la testa a mo' di saluto, prima di spostare lo sguardo sugli altri membri del gruppo. Vide un uomo panciuto che continuava ad asciugarsi il sudore dalla fronte con un fazzolettino di seta ricamata – le ricordava qualcuno, ma non avrebbe saputo dire chi – e un signore di mezz'età dall'aria distinta e assai poco affabile, con capelli biondo paglia e un profilo affilato, assieme a una donna grassottella che indossava un sobrio tailleur Babbano.
Dietro di loro c'erano altre due persone di spalle, che Gwyneth non ebbe modo di guardare con più attenzione perché Louis mosse un passo avanti.
“Gwyn, Scorpius: conoscete già il Maggiore Greengrass e il Sergente Potter.” Sorrise sghembo alla volta del Maggiore, che gli gettò un'occhiataccia di rimando. “Vi presento il signor Victorius Lumacorno, direttore del Museo.”
Si fece avanti assieme a Scorpius per stringere la mano all'uomo grassoccio dal fazzolettino di seta, improvvisamente consapevole di chi fosse la persona che le ricordava. Fu poi il turno di Zacharias Smith, l'uomo biondo dall'aria antipatica che era socio in affari del signor Lumacorno, e infine della signora Marple, segretaria del direttore.
Infine, le due persone di spalle si volsero verso di loro. Dapprima lo sguardo di Gwyneth si concentrò sul primo dei due, un professore di Storia dell'Arte Magica che si presentò come Heribert Bulstrode – un uomo imponente con una curata barbetta grigia che sorrise mentre le stringeva la mano con garbo.
Non ebbe bisogno che l'altro individuo si presentasse per riconoscerlo, come non ne ebbe bisogno Scorpius – Gwyneth lo sentì chiaramente irrigidirsi al suo fianco.
Era una figura più esile rispetto a quella del professor Bulstrode, la sagoma slanciata di un ragazzo non più grande di loro, con capelli castani che ricadevano morbidamente sulla fronte a ombreggiare gli occhi chiari. La mascella squadrata si contrasse in un leggero spasmo, né il resto del volto rimase impassibile: anzi parve storcersi appena, mentre gli occhi si socchiudevano in uno sguardo rancoroso... Durò solo un istante: subito il giovane si ricompose in un'espressione neutra.
“... Anthony Menley, il mio assistente.” Concluse la voce del professor Bulstrode, che a Gwyneth parve come giungere da un altro mondo.
Gwyneth fissò Menley dritto negli occhi mentre gli stringeva la mano, e lui sostenne il suo sguardo, sorridendo appena. Era il fratellastro di Christine, e adesso che lo sapeva Gwyneth si chiedeva come avesse fatto prima, in tutti quegli anni a Hogwarts, a non ravvisarne le somiglianze nella forma del naso, la linea delle sopracciglia e degli occhi, l'attaccatura dei capelli... Persino quel sorriso somigliava a quello dell'amica, enigmatico e sottilmente inquietante.
Non si fidava di lui, sebbene anni prima fosse stato assolto da tutte le accuse fuorché quella di essere stato a conoscenza di parte del reato. La sorella Georgia, invece, era stata condannata a dieci anni per utilizzo di magia illegale, sequestro di persona, collaborazione ad attività criminali e ripetute aggressioni ad altri studenti: la pena era tuttavia stata ridotta a cinque anni per buona condotta e adesso era in libertà vigilata.
Georgia Menley... Per colpa sua Christine e Bernie erano quasi morti e Rose aveva rischiato di perdere irreversibilmente la memoria.
Gettò uno sguardo a Scorpius, che si stava sforzando di sorridere a Menley – anche se a Gwyneth non sfuggì la rigidezza del suo braccio mentre gli stringeva la mano. Immaginò che quello sforzo di risultare amichevole fosse dovuto ad una sottesa solidarietà: dopotutto Scorpius era nato in una famiglia di criminali ed ex-criminali, dunque sapeva bene come fosse vivere al vaglio dei pregiudizi altrui.
Fu la voce bassa e melodiosa di Louis a distoglierla dai propri pensieri.
“Vorremmo esaminare le riprese,” disse il Tenente. “Si potrebbe...”
Il signor Lumacorno si schiarì la voce. “Ah, ehm. Sì, naturalmente...” Estrasse di tasca la bacchetta magica, picchiettando ripetutamente sul più vicino degli schermi: l'immagine in bianco e nero iniziò a scorrere al contrario, mostrando gruppi di Auror fare avanti e indietro a tempo accelerato, simili ad un gruppo di gamberi che si muovevano a scatti. La ripresa si riavvolse finché la data e l'ora che capeggiavano in un angolo di ogni schermo non retrocessero fino alle 22:14 della sera precedente. Allora il signor Lumacorno le bloccò con un altro colpetto della bacchetta magica, e l'immagine tornò a scorrere normalmente.
Riprendevano da diverse angolazioni le varie aree del museo, immerse in un'immobilità quasi mortuaria, se non per il guardiano notturno che percorreva a passo calmo i corridoi, scomparendo e riapparendo da uno schermo all'altro come facevano i protagonisti dei ritratti tra le cornici.
Quasi involontariamente lo sguardo di Gwyneth finì per seguire i movimenti del guardiano da un'immagine all'altra. Lo vide percorrere gallerie di ritratti, stanze affollate di sculture. Lo vide scendere scale, superare porte e poi scendere ancora, fino al piano terra, in prossimità dell'uscita del museo, vicino al negozio e alla caffetteria.
Allora lentamente, con mosse quasi da sonnambulo, il guardiano notturno estrasse la bacchetta magica e iniziò a muoverla in cerchio in direzione della porta. Gwyneth vedeva le sue labbra muoversi nel pronunciare incantesimi che non poté udire, dal momento che il filmato era privo di audio.
Immaginò che stesse disinnescando incantesimi di protezione.
Lo vide poi armeggiare con il mazzo di chiavi che portava alla cintura e infine aprire la porta secondaria per poi farsi da parte e ricominciare a percorrere i corridoi... Tutto era immobile tranne il guardiano notturno, proprio come prima. Almeno finché alcuni quadri non iniziarono a scomparire di punto in bianco.
Uno, due, tre, quattro... Ne contò cinque in tutto.
Il guardiano notturno tornò al pianterreno e chiuse la porta, prima di ricominciare a camminare, lento come un Infero. Per qualche ragione, Gwyneth si sentì profondamente inquietata.
La sua mente iniziò a lavorare velocemente. Era proprio come aveva detto il Direttore Potter: il guardiano aveva aperto la porta e puff, i quadri erano scomparsi nel nulla. Come era potuto accadere? Forse un Evanesco particolarmente efficace? O forse i ladri si erano Smaterializzati assieme ai quadri, una volta abbassate le protezioni del Museo...
La voce di Louis giunse improvvisamente alle sue orecchie, distogliendola dai suoi pensieri per l'ennesima volta. “Chi è il guardiano?” chiese spiccio, la voce priva della solita inflessione flautata.
“Euan Abercrombie,” rispose il signor Smith in tono freddo.
“Lavorava qui da tanti anni,” intervenne Lumacorno, passandosi nuovamente il fazzolettino sulla fronte. “Non avremmo mai pensato...”
“Dove si trova adesso?” lo interruppe Scorpius.
Il direttore fece per rispondere, ma Holly Greengrass lo anticipò. “Lo abbiamo arrestato due ore fa, agente Malfoy,” li informò nel solito tono sbrigativo. “Vi aspettavamo per interrogarlo, ma siamo stati costretti a spedirlo al San Mungo perché ha avuto una specie di crisi isterica, è come impazzito. Non era nelle condizioni di darci una qualsivoglia informazione. Christakos e Zabini sono lì a tenerlo sott'occhio.”
“Sospettiamo che ci sia qualche incantesimo di mezzo,” aggiunse James.
Gwyneth assottiglio gli occhi. “Imperio?” domandò semplicemente.
Il Maggiore sospirò. “Non possiamo saperlo, Parkinson. Non ancora.”
 
*
 
17 settembre 2027
Sala Grande, Hogwarts (Scozia)
Ora di pranzo
 
 
Fred Weasley Jr si sentiva un figo.
Andiamo, non era da tutti raccogliere da solo l'eredità malandrina di plurime generazioni della sua famiglia, acquisita o meno. Certo, gli sarebbe piaciuto davvero condividere le sue bricconate con qualche altro membro del parentado, ma i suoi cugini avevano finito Hogwarts da un pezzo ed era rimasto solo lui, quindi aveva dovuto imparare a cavarsela con i propri mezzi.
Trovare qualche buon amico aveva aiutato, davvero, e Tessie Scamandro come diversivo funzionava incredibilmente bene da anni. L'ultima volta che Fred aveva organizzato uno scherzo grosso con i suoi compagni – verso la fine dell'anno precedente... torme di topolino da laboratorio mutanti liberati in tutta la scuola: Madama Chips aveva dovuto preparare litri di Bevanda della Pace per far calmare tutti – per non farli scoprire Tessie aveva usato il megafono magico di DJ Jordan e improvvisato una conferenza sui Thestral in Sala d'Ingresso con un bel po' di death metal in sottofondo.
Era stato epico.
"Se continui a gonfiare il petto così finirai per esplodere."
Improvvisamente la sua apoteosi enfatica di se stesso si sgonfiò come un palloncino bucato e Fred tornò alla realtà della Sala Grande e della sua confusione di chiacchiere e tintinnii di stoviglie.
"Ti odio, Winifred." Digrignò i denti.
La ragazza accanto a lui roteò gli occhi scuri e si sistemò dietro l'orecchio una ciocca dei capelli castani tagliati corti. "Quante volte ti ho detto..." cominciò, ma Fred non le permise di proseguire.
"Nessuno interrompe i miei sogni di gloria, Wins. Nessuno."
Compiacendosi per quella frase a effetto, tornò con soddisfazione a dedicarsi alla sua porzione di carne arrosto, mentre Winifred tagliava con coltello e forchetta le verdure grigliate che aveva nel piatto.
"Allora, Freddie?" disse dopo un po'. "Ormai la scuola è iniziata già da due settimane e ancora non avete combinato niente. La tua testa è tornata al suo posto in cima al collo?"
Fred sogghignò. "Neanche un po'."
"Sempre il solito," commentò lei, ma rideva.
"Andiamo, Winifred," intervenne una voce alle loro spalle. "Se non facessimo più scherzi inizieresti a trovarci terribilmente noiosi e non vorresti più essere nostra amica." Con una smorfia e un sorriso che gli scoprì i denti, Bastien Leclerc scavalcò la panca e si lasciò scivolare elegantemente accanto a Winifred, che gli scoccò uno sguardo a metà tra l'affettuoso e il rassegnato.
Fred l'osservò per un istante ma non si curò neanche di salutarlo, visto che dietro di lui era comparso Darren Jude Jordan.
"Ehi, DJ!" esclamò subito rivolto all'amico di sempre. "Com'era quella barba di Divinazione?"
Darren gli lanciò un'occhiataccia e si sedette accanto a lui, servendosi di polpette di manzo. "La solita noia, Freddie. La Cooman mi ha chiesto più o meno dieci volte perché non fossi a lezione." Serrò i denti, che spiccavano bianchissimi sulla pelle scura. I suoi occhi castani lo fulminarono. "Piantala di fare assenze senza avvisare. Potevo saltare anche io e mi sarei evitato l'interrogatorio."
Fred sospirò teatralmente. "Scusa, DJ. Non hai tutti i torti."
Darren parve soddisfatto – lui sapeva che a volte gli bastava sentirlo scusarsi – e si dedicò al proprio pranzo, mentre Fred lo osservava pensieroso, pensando a Divinazione.
La professoressa Cooman era ormai piuttosto avanti con gli anni, e già dal loro terzo anno cominciava a perdere colpi e ripeteva le stesse cose anche tre o quattro volte di fila. Gli sarebbe dispiaciuto per lei se la professoressa non si fosse convinta che lui fosse dotato dell'Occhio Interiore fin dalla primissima lezione – solo perché aveva fatto finta di avere una visione un filino troppo teatrale!
Ad ogni singola lezione lo costringeva a sedere accanto a lei per testare le sue capacità. E se all'inizio era stato anche divertente – specie perché Divinazione si era rivelata un Eccezionale garantito agli esami – adesso Fred aveva esaurito le sue scorte d'inventiva nel profetizzare eventi sempre più catastrofici.
Quindi aveva bigiato. E fatto arrabbiare Darren.
Ma sapeva che avrebbero fatto la pace presto. Di solito all'amico bastava che lui si scusasse.
Come gli capitava da un po' di tempo a quella parte, Fred dovette faticare per distogliere lo sguardo dal profilo di DJ, ma la cosa si stava facendo imbarazzante e perciò tornò a rivolgere la sua attenzione a Bastien e Winifred, che stavano parlottando di... di qualcosa.
Non riuscì a inserirsi nella loro conversazione, che evidentemente era giunta ad un punto assai avanzato.
Giunse a salvarlo una figura sottile e pallida, con una nuvola di vaporosi capelli biondo sporco.
"Buon pomeriggio," li salutò Tessie Scamandro con voce sognante, insinuandosi tra Fred e Darren. "Non esagerare con le polpette, DJ. Sono piene di Stereotipi."
Darren quasi si strozzò con il boccone. "Che cosa?!"
Tessie sbuffò e li guardò con aria di sufficienza. "Siete proprio ignoranti. Gli Stereotipi Altalenanti sono invisibili e hanno la forma di batuffoli. Si nascondono nel cibo e mangiandone troppi non si vede più a tre dimensioni ma solo a due."
"Caspita, Tessie," buttò lì Fred, gettando un braccio attorno alle spalle dell'amica, che si stava sporgendo verso una zuppa di patate e broccoli. "DJ, molla le polpette. Hai detto di voler fare i provini, no? E ci serve un nuovo Cacciatore. Un Cacciatore non può vedere solo a due dimensioni."
Darren gli gettò l'ennesima occhiataccia e continuò a mangiare, imperterrito, anche se Fred si accorse che stava contraendo la mascella nello sforzo di non sorridere.
... Stai iniziando a notare troppi dettagli, eh, Freddie?
La cosa non gli dispiaceva fino in fondo, doveva ammetterlo.
Improvvisamente Winifred tornò a rivolgersi a lui. "Allora? Perché ancora niente scherzi?"
Fred sorrise, pensando che una piccola anticipazione poteva pur dargliela. "Abbi pazienza, Wins." Ammiccò. "La settimana prossima ne vedrai di belle."
Dopotutto quello era il suo ultimo anno a Hogwarts. Doveva essere grandioso.
 
 
*
 
 
Londra, pomeriggio
 
La serratura scattò e la porta si aprì con un lungo scricchiolio sull'ingresso immerso nel buio.
La ragazza non cercò l'interruttore ma si mosse con cautela nella stanza, sfiorando con le dita il profilo dei mobili per orientarsi, le chiavi che ancora pendevano tintinnando dalla sua mano.
Si fece strada fino in soggiorno e lì finalmente accese la luce, rendendo visibile il proprio riflesso sullo specchio appeso dietro la poltrona, coperto in parte da una grossa pianta. Si studiò per alcuni istanti: i capelli rossi che aveva tagliato sopra le spalle pochi mesi prima già scivolavano disordinati a sfiorarle le scapole, scomparendo tra le pieghe della sciarpa di cotone.
Lily Luna Potter scambiò un sogghigno con se stessa prima di lasciar cadere a terra la borsa piena di libri e guardarsi attorno.
L'appartamento che Jake condivideva con Scorpius era sempre relativamente in disordine, proprio alla soglia del livello di caos sopportabile, ma non si muoveva da là. C'erano giacche, tazze e bicchieri ovunque, ma neanche l'ombra di calzini sporchi o avanzi di cibo, ringraziando Merlino. E soprattutto, c'era quiete: entrambi gli inquilini lavoravano per gran parte della giornata, il che lo rendeva un posto perfetto per studiare il sabato pomeriggio, quando la Biblioteca Magica Britannica era chiusa.
Lily si lasciò sfuggire un sospiro soddisfatto prima di togliersi sciarpa e giacca, recuperare la borsa dal pavimento e dirigersi in cucina, la stanza più luminosa della casa.
Intendiamoci, avrebbe potuto anche restare a Godric's Hollow a studiare nella sua vecchia camera. Solo che quel pomeriggio entrambi i suoi genitori erano a casa, quindi aveva pensato bene di togliersi dai piedi.
Finita Hogwarts, le era bastato pochissimo per rendersi conto che i suoi genitori si erano ormai abituati a vivere praticamente da soli, con l'esclusione dei mesi estivi. Dopotutto, sia Jamie che Al se n'erano andati di casa appena finita la scuola – il primo viveva a Londra con Grace e Clara e il secondo a Wimbourne con Quinn Baston, visto che erano entrambi titolari delle Vespe – e Lily aveva capito benissimo che i suoi, nonostante fossero felicissimi di averla lì con loro, avevano pur sempre bisogno dei propri spazi. Quindi sapeva bene quando scomparire per qualche ora, e aveva anche un posto perfetto dove rifugiarsi.
Le piaceva stare a casa di Jake, persino quando lui non c'era. Nonostante il disordine sostenuto e la pressoché totale mancanza di cibo cucinabile in frigo, si era affezionata all'appartamento. Amava il proprio ragazzo, aveva finito per voler bene a quel matto di Malfoy e le piaceva il posto in cui vivevano.
Entrata in cucina il suo sguardo cadde subito sul posacenere lasciato sul davanzale della finestra, con abbandonato vicino un pacchetto di sigarette. Strinse le labbra e li fece sparire entrambi in un cassetto con un colpo di bacchetta, resistendo alla tentazione di controllare se nella confezione fosse rimasta qualche cicca.
Sia lei che Jake avevano smesso di fumare da luglio, di comune accordo. Le sigarette erano di Scorpius, che da quando si era lasciato con Rose un paio d'anni prima aveva cominciato a fumare regolarmente. Non ammetteva di aver preso il vizio e sosteneva di poter smettere quando voleva, ma Lily non gli credeva affatto.
Malfoy era dipendente dal fumo e dal lavoro, e Rose...
Ma non era il momento di pensare a sua cugina. Era il momento di mettersi al lavoro.
Spedì il bollitore sul fornello con un colpo di bacchetta e tirò fuori dalla borsa un quaderno di appunti, l'astuccio e lo spesso manuale di Diritto Goblinese.
Forza, Lily, pensò. Mettiti sotto.
Tre ore e due pause dopo – i momenti in cui fumare le mancava di più erano proprio gli intermezzi di relax tra un round di studio e l'altro – un rumore improvviso la fece riscuotere da un complicatissimo passo sulle consuetudini di trasmissione patrimoniale dei Goblin.
La serratura era scattata e la porta si era aperta con uno scricchiolio. Lily si tirò più dritta sulla sedia: non poteva vedere chi fosse arrivato, ma in qualche modo sapeva che si trattava di Jake e non di Malfoy.
"Lily?" La voce del suo ragazzo provenne infatti dall'ingresso. "Sei tu?"
Doveva aver visto la luce accesa in cucina.
"Sono qui!" esclamò lei di rimando, mettendo una matita tra le pagine del libro per tenere il segno.
Pochi secondi più tardi Jake entrava in cucina con ancora la divisa da Guaritore addosso e l'aria stanca. Nonostante ciò, i suoi occhi chiari scintillarono nel posarsi su di lei, sotto i capelli scuri che piovevano ordinati sulla fronte, con l'eccezione di una ciocca spostata un po' di lato.
"Ehi..." Si chinò a baciarla appena e Lily gli allacciò le braccia al collo. "Come va lo studio?"
Lei scrollò le spalle. "Procede. Tu al lavoro?"
Jake roteò gli occhi e si sedette accanto a lei, Appellando una tazza per servirsi a propria volta un po' di tè. "Nulla di che. Solo una ragazza con un ritorno di fiamma mentre cercava di far fuori un ragno che l'aveva spaventata... Ah, e un tizio che chissà come è riuscito a farsi esplodere la bacchetta su per il-"
"Okay, okay," Lily lo fermò con un gesto. "Ho capito, non c'è bisogno che continui. Altro?"
"Ho dimesso Scorpius stamattina," fece Jake, e si scambiarono uno sguardo complice. "Già è tanto che sono riuscito a fargli passare la notte in ospedale."
Lily sospirò. "Sono pazzi. È così anche con mio papà: quando andava in missione più spesso finiva al San Mungo almeno una volta al mese. Sono proprio contenta che almeno Jamie sia un po' più responsabile e che Al abbia deciso di giocare a Quidditch invece di combattere maghi oscuri."
Jake ridacchiò e a Lily venne in mente una cosa.
"A proposito di Jamie," disse. "Mi ha scritto stamattina che sia lui che Grace sono in missione stanotte... Mi ha chiesto se posso stare con Clara."
James e Grace si erano fatti mettere in due squadre separate dal Dipartimento Auror per evitare il più possibile di finire in missione contemporaneamente, ma di tanto in tanto capitava. E Lily adorava la sua nipotina – che tra l'altro le assomigliava incredibilmente – quindi era ben felice di risolvere a simili incombenze.
Nonostante quella sera lei e Jake avessero un impegno con una persona molto speciale. Ma sapeva che lui avrebbe capito.
"Non preoccuparti," le disse infatti. "Possiamo andare a cena fuori domani sera."
"Infatti," annuì lei. "Salutami Christine!"
Jake assentì a propria volta per poi sorriderle furbo, con uno sguardo che Lily conosceva benissimo.
Il suo cuore palpitò più in fretta mentre lui si sporgeva verso di lei per coinvolgerla in un bacio appena accennato, ma comunque carico di aspettativa.
"Hai finito di studiare, per oggi?" soffiò Jake contro le sue labbra.
Lily pensò che lasciarsi sollevare di peso e portare in camera da letto fosse una risposta più che eloquente, quindi lo lasciò fare.

 
*
 
17 settembre 2027
Nocturn Alley, Londra
Sera
 
Sulle viuzze tortuose di Nocturn Alley pioveva appena: piccole gocce ticchettavano piano sulla pavimentazione di pietra sconnessa e sulla testa dei passanti discretamente numerosi, perlopiù abitanti del quartiere – sempre leggermente sospetti, col loro passo guardingo e l'aria losca, sebbene i tempi bui fossero ormai trascorsi.
C'erano anche alcuni ragazzi in giro a divertirsi, che si affrettavano in direzione dei due o tre locali aperti in quella zona che iniziava ad essere di moda proprio per la sua fama Oscura: adesso che il buio aveva smesso di far paura iniziava ad assumere un certo fascino da brividi per la gente, specialmente per coloro che erano nati dopo la guerra e quindi non l'avevano vissuta sulla propria pelle.
Uno di essi – un giovane non molto alto, un cappuccio sollevato a ripararlo dalla pioggia e il passo cauto, misurato – infilò un vicolo laterale, in direzione di un piccolo pub dall'aria leggermente trascurata, all'insegna del Cluricauno1 Ubriaco.
La porta del Cluricauno si aprì e si richiuse, facendo tintinnare i campanelli appesi sopra l'uscio. L'interno, a dispetto delle apparenze, era relativamente curato e abbastanza allegro e chiassoso da far sorvolare sullo scarso senso dell'igiene. Ciò nonostante il giovane ebbe un brivido: la sua tendenza germofobica era stata accentuata dall'avere a che fare tutto il giorno con l'ambiente totalmente asettico e disinfettato del San Mungo... Per contrasto lo sporco pareva più sporco.
Calò il cappuccio e srotolò dal collo la sciarpa che aveva indossato per proteggersi dai primi freddi; scansò dagli occhi una ciocca di capelli scuri e gocciolanti e si guardo attorno, alla ricerca di qualcuno in particolare.
Non impiegò molto tempo a trovarla, seduta presso un tavolo accostato alla parete. Una giovane donna dai capelli scuri e ricciuti sciolti sulle spalle e la carnagione olivastra, impegnata ad accarezzare appena con la punta delle dita il profilo del boccale che aveva di fronte. Aveva occhi neri che sollevò di scattò, come se avesse percepito la sua presenza: gli sorrise appena.
Christine De Bourgh non era tipa da passare inosservata.
Jake Greengrass sorrise a propria volta, di un sorriso simile ad un piccolo sogghigno d'intesa, prima di raggiungerla al tavolo. Lasciò cadere la sciarpa sullo schienale della sedia, si sfilò il cappotto e poi la guardò. “Ciao, Christine.”
“Ciao, Jake,” fece lei melodiosa. “Dove hai lasciato la piccola Potter?”
Jake sbuffò appena. “Alla fine è rimasta con Clara, sia Grace che James sono in missione stasera.”
“I vostri spavaldi eroi,” commentò Christine roteando gli occhi, senza nascondere il sarcasmo.
Decise di soprassedere sul fatto che avesse appena velatamente schernito i suoi futuri parenti. “Vado a prendermi una Burrobirra, d'accordo?”
Lei annuì appena e neanche due minuti più tardi Jake fu di nuovo di ritorno, con una Burrobirra fumante tra le mani; tornò a sedersi di fronte a lei.
“Allora?” le domandò, dopo aver sorbito una sorsata bollente. “Come vanno le cose?”
Christine scrollò le spalle mentre beveva un po' del suo Firewhiskey. “Vanno bene, come sempre. Gwyneth è sempre in missione e anche io lavoro molto, quindi praticamente parlo solo con Rose. Come puoi immaginare, ultimamente non ho avuto occasione di fare grandi conversazioni,” ironizzò.
Jake alzò gli occhi al cielo. “Immagino che il tuo ego ne stia risentendo molto.”
“Non ti affliggere, ci vuole ben altro per scalfirlo,” replicò lei in un'alzata di spalle.
Scoppiò a ridere. Erano passati quasi sei anni da quando lui e Christine avevano messo in piedi quella stramba amicizia tra di loro. Nel frattempo erano cambiate molte cose e altre dopo lunghi giri avevano finito per tornare come prima – come il fatto che Christine, Gwyneth e Rose Weasley fossero diventate coinquiline dopo svariate peripezie, tornando paradossalmente alla situazione del dormitorio femminile di Serpeverde – ma le dinamiche tra di loro non erano cambiate granché, fuorché che Christine aveva meno scheletri nell'armadio e questo, oltre che farla sembrare lievemente meno una pazza con manie di protagonismo, la rendeva molto più simpatica.
“E tu?” gli disse, scoccandogli uno sguardo. “Come va?”
Jake sorrise leggermente. “Direi che non va male... Ho dovuto di nuovo aggiustare Scorpius.”
“Che cosa gli è successo questa volta?”
Roteò gli occhi. “Ha pensato bene di abbracciare un edificio che stava per esplodere. Ustioni su tutto il corpo. E dopo neanche ventiquattr'ore è tornato al lavoro.” Sbuffò teatralmente. “Temo che lo abbiamo perso definitivamente, Christine.”
Lei fece una smorfia. “È impazzito, eh?” convenne, prima che il suo sguardo si facesse meditabondo e le sue dita tornassero a sfiorare il bordo del boccale. La sua espressione si fece di colpo distante, come se si fosse distratta.
Ma Jake la conosceva bene ed era consapevole che fosse tutta una farsa: sapeva cosa stava per accadere perché quel momento veniva a verificarsi ogni volta che si incontravano, lo sapeva perché per una cosa, una sola, Christine era diventata prevedibile.
Dunque come sempre attese alcuni istanti per permetterle di fingere che fosse una domanda posta così, tanto per fare, così da poter fingere di crederle e lasciare il suo orgoglio intatto.
“E Bernard?” lasciò cadere poi Christine in tono leggero, ma Jake sapeva che non vedeva l'ora di chiederglielo da quando l'aveva raggiunta al Cluricauno. “Come sta?”
Come sempre, ebbe un istante di esitazione prima di rispondere. “Sta bene,” mormorò, cauto.
Christine incurvò le labbra in un sorrisetto dei suoi. “Bene,” commentò. “Cosa dicevi del lavoro di Scorpius?” fece dopo una pausa, come se nulla fosse.
Jake sospirò interiormente di un sollievo vigliacco, prima di rispondere e riprendere a chiacchierare come se nulla fosse. Christine sorrideva e beveva il suo Firewhiskey e insieme si ritrovarono a ridere complici, a scambiarsi chiacchiere sul passato e sul presente, sempre punzecchiandosi appena, così come era sempre stato.
Erano passati sei anni, ma loro non erano cambiati poi così tanto.
 
 
1Cluricauno: personaggio del folklore irlandese. Sono dei folletti piuttosto brutti che vivono nelle cantine sotto i pub e detengono il segreto della creazione del whiskey.
 
 
 
Note dell’Autrice
 
Dopo questo capitolone interminabile (davvero, devo farvi i complimenti per essere arrivati fino alla fine e cercare di essere un po’ meno prolissa la prossima volta) vi ringrazio prima di tutto per le recensioni e per aver inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate.
Spero che vi sia piaciuto. Sono cosciente che da qui inizia ad essere forse difficile seguire certe dinamiche, per chi non ha letto Gossip Witch ma soprattutto Sulla tua pelle, ma sono disponibile per qualsiasi chiarimento!
Vi mando un bacio. Sarei molto contenta se mi lasciaste un parere sul capitolo.
Daph
   
 
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