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Autore: effe_95    03/10/2015    5 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
27. Silenzio, Sogni d’oro e Palestra.


Dicembre
 
Beatrice adorava lasciare i piedi penzolare nel vuoto.
Le sembrava quasi che la forza di gravità facesse di tutto per tirarli giù, le piaceva percepire quella leggera pressione sulla punta dei piedi e il dolore leggero ai polpacci quando muoveva le gambe avanti e indietro ritmicamente, canticchiando una musichetta tra se e se.
Il muretto che divideva la scuola dal parcheggio era uno dei suoi preferiti, abbastanza alto da permetterle di non toccare il suolo, e abbastanza basso da poter scendere e salire senza alcun problema. Erano ancora le otto del mattino e il cielo era coperto di nuvole quel ventuno Dicembre, avrebbe nevicato ancora una volta nel giro di poche ore.
Il cortile deserto era immobilizzato in un regale silenzio, tinteggiato di un bianco sporco che ricopriva tutto come un doppio strato di pelle, Beatrice era l’unica macchia di colore intatta in quello scatto di fotografia mattiniera. Indossava un pesante giubbotto rosso come il fuoco chiuso bene fino alla gola, dove compariva una grossa sciarpa di lana nera avvolta intorno al collo per almeno tre volte. I lunghi capelli ricci e castani comparivano in ciocche disordinate da sotto il berretto nero, dai risvolti della sciarpa o se ne stavano imprigionati dentro il cappotto scaldandole la schiena e al contempo pizzicandole la pelle.
Le gambe erano fasciate in un paio di jeans scuri, gli stivali neri umidi e bagnati battevano ritmicamente contro il cemento del muretto, lasciando dei piccoli solchi quasi invisibili sulla superficie ruvida e zigrinata.
Beatrice avrebbe tanto voluto che il tempo si fermasse in quell’istante, esattamente alle 8 e 02 di quella fredda mattina, avrebbe dato tutto pur di non affrontare un’altra giornata di silenzi. Una giornata dove il suo vicino di banco avrebbe eretto un muro gigantesco tra entrambi, rappresentato da quella cartella di pezza maltrattata che appoggiava sempre sul banco tra lui e lei. Sei ore di silenzio assoluto, niente stuzzicamenti, niente risate maliziose, domande inopportune, richieste di copiare o di appunti all’ultimo minuto.
L’assoluto niente.
Beatrice sorrise tristemente e riprese a far oscillare le gambe come un pendolo estremamente arrugginito, lasciando che il movimento seguisse il flusso dei suoi pensieri.
Era colpa sua se alla fine erano arrivati a quel punto di non ritorno, aveva tirato troppo la corda e adesso si era spezzata.
Enea non era un tipo paziente, lui era impetuoso come la vita, lui aveva la sua Roma da costruire, mentre Beatrice sarebbe rimasta ancora per un po’ ferma dove si trovava in quel preciso momento, sarebbe stata il lontano miraggio di Troia, rimasta inesorabilmente indietro, sarebbe stata semplicemente quello.
Sospirò pesantemente, sollevò le mani dal muretto, le batté l’una contro l’altra nel tentativo di pulire i guanti dalla neve impigliata tra il tessuto e prese la ferma decisione di andare in classe, fece giusto in tempo ad afferrare la cartella e metterla a tracolla quando qualcuno le poggiò una mano sulla spalla.
<< Sei congelata Bea, perché stai ferma qui? >>
Beatrice trasalì inevitabilmente quando sentì la voce calda, roca e bassa di Lisandro,  spuntato magicamente dal parcheggio a cui stava dando le spalle, si diede della stupida per non essersi nemmeno accorta del rumore della moto all’entrata del cortile.
Lisandro la scrutava con gli occhi castani da cerbiatto un po’ stanchi a causa del sonno, le lentiggini quella mattina erano sbiadite sulla pelle pallida del volto, sembrava provato.
<< Io … cercavo solo un po’ di silenzio >> Si ritrovò a rispondere distogliendo lo sguardo, Lisandro sospirò pesantemente e si mise seduto a sua volta sul muretto, esattamente nella posizione inversa a quella di Beatrice, lei dava le spalle al parcheggio, lui alla scuola.
<< Sai … credo proprio che è nella nostra natura desiderarlo >> Commentò distrattamente Lisandro, sollevando le gambe ed incrociandole a farfalla sul muretto sporco di neve, rabbrividì non appena la neve gli macchiò i jeans penetrando nella pelle. << Ma quando lo troviamo non ne siamo più soddisfatti, vero? E ci accorgiamo di non desiderare nient’altro se non la voce di qualcuno che irrompi nelle nostre giornate. Siamo strani, eh? >>.
Quando Lisandro smise di parlare sollevarono contemporaneamente lo sguardo e i loro occhi si incrociarono, lui sorrise tristemente pizzicandole affettuosamente la mano, Beatrice trovò quel gesto caldo e accogliente, ricambiò il sorriso e rilassò nuovamente le spalle.
<< Sembri saperlo piuttosto bene >> Commentò Beatrice guardandolo negli occhi, Lisandro fece spallucce e sollevò gli angoli della bocca in una risata accennata.
<< In realtà ne so molto poco >> Beatrice trovò piuttosto modesta la risposta di Lisandro. Era un ragazzo taciturno, che solitamente si teneva tutto per se fino a scoppiare letteralmente, e questo aspetto del suo carattere Beatrice l’aveva scoperto piuttosto presto.
Era una piccola pietra grezza, un diamante ancora incastonato nella roccia, un diamante che ancora nessuno aveva scoperto e levigato.
<< Vuoi dirmi che tu non hai mai desiderato che qualcuno infrangesse il tuo silenzio? >>.
Lisandro sollevò un sopracciglio, sorrise nuovamente, distolse lo sguardo e sospirò.
<< Ogni tanto si >> Beatrice sorrise a sua volta e riprese a far penzolare i piedi nel vuoto.
<< Posso confessarti una cosa Lisandro? >> Nessuno dei due guardava l’altro, avevano entrambi un sorriso triste sulle labbra e lo sguardo rivolto davanti a se, fisso sulla strada. Lisandro stava aspettando quelle parole dall’inizio.
<< Sono innamorata di Enea >> Il ragazzo chiuse gli occhi e respirò profondamente << Che sciocca vero? Negarlo così pesantemente perché lui non mi ferisse. Alla fine però, a ferirmi non è stato lui, ma sono stata io >>. Lisandro percepì un forte rammarico nella voce di Beatrice, una tristezza che gli strinse il cuore.
<< E credi che sia davvero troppo tardi? Conosco Enea da tantissimo tempo Bea, anche se si comporta in questo modo, in realtà lui non ti ha lasciata andare. Non ti lascerà mai andare del tutto. Sarai sempre il suo più grande rimpianto.>> Beatrice fu completamente attraversata sa una forte pelle d’oca quando sentì quelle parole, si strinse inconsapevolmente le braccia al petto e una sensazione di vertigini le strinse lo stomaco. << E tu? Vuoi che sia così anche per te? Vuoi davvero trasformarlo nel tuo più grande rimpianto? >>.
Beatrice scosse la testa senza nemmeno rendersene contro, gli angoli degli occhi avevano cominciato a pizzicarle pericolosamente, cercò immediatamente di asciugarli ma poi ricordò di indossare i guanti. Si guardò le mani e una sola lacrima silenziosa le sfuggì sulla guancia.
<< Mi sembra che tu abbia trovato la risposta giusta, eh? >>
La voce di Lisandro era ridotta quasi ad un sussurro, ma lui continuava a sorridere.
Beatrice scese frettolosamente dal muretto, afferrò un lembo del giubbotto e si asciugò il viso. << Andiamo in classe? >>
Domandò aggiustandosi la cartella sulla spalla, Lisandro sollevò le spalle e scosse la testa.
<< Ti raggiungo tra un po’ >>.
Beatrice non replicò nulla, gli regalò solo un sorriso e fece alcuni passo verso la porta dell’atrio, poi si fermò nuovamente e si girò a guardarlo.
<< Ehi Lisandro … >> Il ragazzo era distratto quando Beatrice lo richiamò, così sollevò lo sguardo un po’ sorpreso << … spero che anche tu possa trovare presto qualcuno che interrompa il tuo silenzio >>.
Lisandro alzò una mano e la salutò, Beatrice gli fece un piccolo inchino e corse velocemente verso l’atrio, sparendo immediatamente dopo oltre le porte di vetro.
Lisandro la seguì finché la vista glielo permise, poi sospirò pesantemente e si grattò la nuca.
<< Va bene cosìsul serio, va bene così >>
 
<< Katerina, dobbiamo per forza preparare questa maledetta cheesecake?! >>
Katerina fece un respiro profondo quando l’ennesimo lamento raggiunse le sue orecchie, aveva sempre pensato di possedere una quantità tollerabile di pazienza con due fratelli maschi e un padre super geloso, ma evidentemente si era sbagliata.
Gabriele stava per farle perdere, totalmente, la calma.
Spinse con più forza del dovuto il carrello e si affrettò a prendere la busta di zucchero dallo scaffale del supermercato, Gabriele incrociò le braccia al petto e l’affiancò.
<< Che fai? Mi ignori? >> Brontolò con espressione imbronciata, Katerina gli lanciò uno sguardo si sbieco e cercò di non scoppiare a ridere alla vista del broncio spuntato sulle labbra del fidanzato. Quella sera Gabriele indossava un berretto nero sui capelli castani attraversati dai riflessi dorati provocati dalla luce innaturale e fatiscente del supermercato, alcune ciocche spuntavano disordinatamente da quest’ultimo e il viso spigoloso era ricoperto da uno strato non troppo spesso di barba.
<< Lo sai che mio padre ne va matto! Dobbiamo renderlo più mansueto prima di dirgli la verità >>. Commentò distrattamente Katerina, mentre infilava nel carrello due confezioni di mascarpone. Gabriele sospirò pesantemente, non era sicuro che stessero facendo la cosa giusta, ma avevano deciso di comunicare a tutta la famiglia che si amavano.
All’inizio a Gabriele era parsa la soluzione perfetta per tutti i problemi, ma poi aveva cominciato a pensare sul serio alle conseguenze di quel gesto e una strana sensazione si era impossessata della bocca dello stomaco.
La notte non riusciva più a dormire bene e non faceva altro che incubi su incubi, Aleksej che dichiarava di non voler essere più il suo migliore amico perché gli aveva mentito, Francesco e Iliana che gli urlavano contro con una tale forza da svegliarlo sempre di soprassalto, oppure suo padre che lo cacciava di casa a calci nel sedere.
<< Uhm … ma cosa mi dici di mio padre allora? Cosa facciamo per far stare buono lui? Se hai una soluzione fammela sapere, perché solo il pensiero mi … >>
Gabriele rabbrividì scuotendo la testa, avevano deciso di farlo la vigilia di Natale, occasione perfetta che vedeva riunita tutta la famiglia, Katerina era sicura che l’atmosfera allegra e festosa avrebbe contribuito positivamente , ma Gabriele non la pensava allo stesso modo.
<< Ehi Gab … hai paura? >> Katerina porse la domanda senza guardarlo in faccia, mentre contava con finta distrazione gli ingredienti ancora da prendere scritti sulla lista.
Gabriele la osservò di sottecchi, fino a quando non posò lo sguardo sul braccialetto scintillante che Katerina non toglieva mai, nemmeno sotto la doccia.
<< No >> Gabriele ringraziò il cielo che Katerina non lo stesse guardando, perché a discapito della voce sicura, l’espressione era proprio quella di una persona che stava mentendo.
<< Sarà come uno strappo di ceretta vedrai! All’inizio farà male, ma poi la pelle si abituerà e il dolore e l’irritazione passeranno >>. Spiegò lei regalandogli un sorriso, Gabriele provò una terribile stretta allo stomaco di fronte l’innocenza di quel viso, la purezza di quegli occhi limpidi. Katerina non aveva la minima idea di quello che sarebbe potuto succedere.
<< Che cosa romantica … paragonare la nostra storia ad uno strappo di ceretta >>.
Tuttavia non ebbe il coraggio di esternare le sue vere paure, era talmente combattuto che a volte aveva come la sensazione che il cervello potesse scoppiargli da un momento all’altro.
Era ovvio che anche lui desiderasse poter stare con lei senza doversi nascondere, fare le cose alla luce del giorno, senza menzogne che pesassero senza remore sulla coscienza, ma la paura che le cose andassero storte, la prospettiva che tutto cambiasse, a volte prendeva il sopravvento. << Ho preso tutto! >> Replicò allegramente Katerina, ignorando completamente l’ultimo commento di Gabriele, che camminava al suo fianco con aria afflitta da condannato al patibolo << Andiamo a pagare tutto >>.
Quando raggiunsero la cassa la trovarono libera, la cassiera stava armeggiando distrattamente con il cellulare e sembrava piuttosto annoiata, sollevò lo sguardo non appena sentì l’avvicinarsi del carrello, mise da parte il telefono e rivolse ad entrambi i ragazzi un radioso sorriso.
 << Buonasera >>.
Gabriele e Katerina ricambiarono il saluto e cominciarono a sistemare tutto l’occorrente sul nastro trasportatore, fino a quando Katerina non si schiaffò malamente la mano sulla fronte e imprecò a mezza voce.
<< Che succede? >> Mormorò Gabriele lanciandole uno sguardo accigliato.
<< Ho dimenticato i frutti di bosco, corro un attimo a prenderli >>.
E prima che lui o la cassiera potessero dire qualcosa era già sparita oltre il primo scaffale, Gabriele alzò gli occhi al cielo e continuò a sistemare le ultime cose rimaste sul fondo del carrello.
 << Che bella l’esuberanza di quegli anni, sono il periodo migliore della vita non trova? >>
Gabriele rimase piuttosto sorpreso di sentire quella domanda, sollevò lo sguardo e incrociò il sorriso gentile e affettuoso della donna, che passava quasi con gesti automatici i prodotti.
Era la prima volta che qualcuno gli si rivolgeva dandogli del “lei”.
<< Si … >> Commentò con una certa reticenza, ancora sconcertato.
<< Mi è sembrata una ragazzina così esuberante, piena di vita! >> Continuò imperterrita la cassiera, erano rimasti entrambi con le mani vuote nell’attesa che Katerina tornasse con il cestino dei frutti di bosco, Gabriele la trovava una situazione piuttosto bizzarra.
<< Lo è >> Si limitò a mormorare, mentre abbassava lo sguardo imbarazzato.
<< Sarà fortunato l’uomo che la sposerà! >> La commessa batté con felicità una mano contro l’altra, ridendo maliziosamente con una voce piuttosto acuta che infastidì Gabriele oltre ogni misura << Ma cosa dico, proprio di fronte al padre della ragazza! >>
Gabriele rischiò terribilmente di affogarsi quando sentì quelle parole, era talmente allibito che aprì la bocca per sbraitare, ma l’apparizione tempestiva di Katerina gli impedì di ritrovarsi in una brutta situazione.
<< Ecco fatto, ho trovato i frutti di bosco! >>
L’allegria di Katerina era l’esatto opposto dei sentimenti che stavano prendendo forma nel petto di Gabriele, quella cassiera doveva essere davvero matta per arrivare a pensare che lui fosse addirittura suo padre. Gabriele sapeva perfettamente di apparire più vecchio di quanto fosse in realtà, soprattutto quando lasciava crescere la barba, ma scambiarlo per un padre
Poteva tollerare al massimo di fare il fratello più grande!
Non appena realizzò quel pensiero, una fitta allo stomaco più forte delle altre gli fece contrarre le sopracciglia, passò automaticamente i soldi alla cassiera e si lasciò andare ad un sorriso ironico ed amaro, triste.
Era così che li vedevano gli altri?
Una bambina appena diventata donna ed un uomo già fatto e finito?
Gabriele provò talmente tanto disgusto per se stesso che pensò fosse sul punto di vomitare.
L’aria fredda della sera servì a rischiarargli un po’ le idee, aveva la fronte sudaticcia e doveva essere diventato piuttosto pallido, Katerina camminava al suo fianco canticchiando un motivetto allegro, spensierata e felice. I lunghi capelli biondi erano l’unica fonte di luce nell’oscurità del parcheggio, arrivarono velocemente alla macchina e Gabriele si affrettò ad aprire il cofano per infilare le buste, nel compiere quel gesto si rese conto le gli tremavano le mani. Le strinse forte a pugno e respirò profondamente, ringraziando mentalmente il cielo che Katerina fosse già entrata in macchina, Gabriele non avrebbe voluto che lei lo vedesse in quello stato. Sospirò profondamente per ritrovare la calma, e quando le mani smisero di tremare salì in macchina e mise in moto, il viaggio fin sotto casa di Katerina fu silenzioso.
Lei rimase tutto il tempo con la testa appoggiata al finestrino beandosi del calore che fuoriusciva dal riscaldamento, Gabriele provò più volte una fitta al cuore guardandola di sottecchi quando si fermavano per il traffico, piccola e bellissima.
<< Ti aspetto domani alle 11 a casa per fare il dolce, va bene? >>
Disse lei quando furono finalmente arrivati, Gabriele si limitò ad annuire distrattamente, guardandola mentre apriva la portiera, nel momento in cui Katerina poggiò il piede fuori dall’abitacolo Gabriele allungò il braccio senza nemmeno rendersene conto e la strinse in un abbraccio disperato, seppellendo la faccia nell’incavo tra il collo e la spalla sinistra.
<< Buona notte, fai tanti sogni d’oro >> Mormorò ad un centimetro dalla sua pelle, Katerina aveva ancora gli occhi spalancati per la sorpresa, ma quest’ultima andò piano piano sbiadendo. Scostò prima la testa per poterlo guardare in volto, poi automaticamente anche il corpo, rimise dentro la macchina il piede che aveva tirato fuori e facendo pressione si diede una piccola spinta premendo le labbra contro quelle di Gabriele.
Lui la strinse ancora più forte di quanto avesse fatto prima, schiudendo le labbra perché lei potesse baciarlo per bene, lasciandosi andare per la prima volta, senza mettere quei limiti che si imponeva ogni volta che la sfiorava.
Quando si separarono avevano entrambi il fiatone.
<< Fai tanti sogni d’oro anche tu >>
 
Giasone era piuttosto stanco quella sera.
Sentiva la testa attraversata da cerchi pesanti all’altezza delle tempie, come se l’avesse riempita di troppe informazioni contemporaneamente. Sospirò pesantemente, guardò con fare distratto la marasma di schemi che lui e Livia avevano messo appunto per le prossime partire e si passò distrattamente una mano dietro al collo.
Quella sera era rimasto fino a tardi in palestra per anticiparsi alcune cose prima delle vacanze natalizie, lanciò uno sguardo distratto all’orologio, raccolse i fogli sistemandoli in un unico blocchetto e li infilò senza cura nella cartella.
Lasciò vagare lo sguardo nella stanza buia, poi infilò sbrigativamente il cappotto, la sciarpa, la cartella a tracolla e uscì chiudendosi la porta alle spalle.
Era piuttosto sicuro di essere rimasto da solo, l’allenamento era terminato esattamente due ore prima e Livia l’aveva lasciato una mezz’oretta fa, così rimase piuttosto sorpreso quando vide uno spiraglio di luce fuoriuscire dalla porta semiaperta della palestra. Si accostò silenziosamente e sbirciò attraverso la fessura, aprendola maggiormente per poter osservare meglio, il rumore della palla che rimbalzava sul pavimento e lo stridio delle scarpe da ginnastica era amplificato dalla reverenziale assenza di voci umane.
Giasone era terribilmente curioso di scoprire chi fosse rimasto ad esercitarsi anche dopo gli allenamenti regolari, entrò in palestra senza farsi vedere e si nascose dietro le scale degli spalti, sporgendo la testa per scrutare senza disturbi l’agile figura che schiacciava una palla dietro l’altra nel canestro, il respiro gli si bloccò nel petto quando si rese conto che quella macchina da guerra era la sua cestista più forte.
Muriel era sudata dalla testa ai piedi, eppure non sembrava minimamente provata, Giasone osservava con occhi ammirati ogni suo singolo movimento, il guizzo muscolare nelle gambe e nelle braccia, i capelli scuri tirati indietro dalla fascia rossa, le gocce di sudore che cadevano seguendo il profilo spigoloso del suo viso, le sopracciglia contratte sugli occhi oscurati dalla luce artificiale, le gambe flessuose e atletiche, la maglietta eccessivamente larga che lasciava intravedere la fascia che le nascondeva il seno poco accennato, i soliti orecchini a forma di coccinella e il piccolo tatuaggio a forma di palla da basket poco sotto l’ascella destra.
Quando si rese conto dei pensieri che stava avendo su di lei, Giasone scosse frettolosamente la testa e contrasse le sopracciglia, da quando la settimana precedente avevano litigato durante la partita, non si erano più rivolti la parola se non per informazioni di poco conto assolutamente necessarie. Tutte le mattine prendevano lo stesso pullman ma facevano finta di non vedersi, quando arrivava alla fermata dove saliva la ragazza, Giasone fingeva di ascoltare la musica ad alto volume con lo sguardo perso fuori dal finestrino, mentre Muriel gli passava accanto senza degnarlo di uno sguardo.
Giasone non sopportava più quella situazione, ma non aveva potuto fare a meno di scappare come un codardo non appena aveva capito un po’ più del necessario. Aveva passato ore al telefono con Ivan, sentendosi chiamare idiota almeno una decina di volte, ma solamente per uscirne ancora più confuso di prima.
Giasone non aveva mai visto Muriel in quel senso, e prima che lei gli urlasse contro di essere una donna, lui davvero non se n’era mai reso conto.
Era stata sempre la petulante ragazzina infantile e allegra.
Giasone fu bruscamente risvegliato dai suoi pensieri a causa di un tonfo fortissimo, Muriel era pericolosamente capitombolata a terra scivolando sul suo stesso sudore, che aveva macchiato la zona del pitturato dove si stava allenando. Giasone sentiva il cuore battergli freneticamente nel petto, aveva già un piede posizionato per scattare verso di lei, che se ne stava stesa a terra con le braccia e le gambe spalancata a stella.
Quando passò un minuto buono e Muriel non accennò a muoversi, Giasone uscì dal nascondiglio e andò verso di lei con passo spedito, per poi bloccarsi di colpo quando dalla gola della ragazza fuoriuscì un suono strozzato.
Muriel aveva gli occhi chiusi e non poteva vederlo, Giasone scorse sul suo viso un sorriso beffardo, la vide stringere i pugni, soffocare le lacrime tra i denti, e poi la sentì urlare con tutto il fiato che aveva in gola, con disperazione, fino a quando il grido non si trasformò in un pianto disperato, Giasone contrasse le sopracciglia, un po’ imbarazzato, mentre Muriel si metteva seduta, restando con le gambe spalancate, seppellendo il volto nei pugni chiusi.
Gli stava dando le spalle, non si era accorta di lui bloccato a metà strada, ma vedendola in quello stato, piccola e indifesa, Giasone provò una strana stretta al cuore e il suo corpo si sbloccò da solo, colmando quei pochi metri che li separavano.
<< Muriel?! Muriel stai bene? >>
La ragazza tolse velocemente i pugni dal viso e spalancò gli occhi quando si sentì afferrare per le spalle, aveva la vista leggermente appannata a causa delle lacrime, ma il volto di Giasone era piuttosto vivido, soprattutto i suoi intensi occhi azzurri colmi d’ansia.
<< Tu … tu cosa ci fai qui? >> Si ritrovò a balbettare, asciugando frettolosamente il viso completamente bagnato di lacrime e sudore.
<< Sono rimasto a preparare degli schemi con Livia … >> Rispose Giasone senza nemmeno rendersene conto, come un riflesso incondizionato, Muriel si irrigidì non appena sentì il nome della coach, scostò lo sguardo e contrasse le sopracciglia.
Giasone se ne accorse, e non accennò a toglierle le mani dalle spalle.
<< Muriel, ascoltami …. >> Continuò lui, scuotendola perché lo guardasse << … per caso … per caso ti hanno detto qualcosa su … su un bacio tra me e Livia? >>. Giasone pronunciò quella domanda con un certo imbarazzo, sforzandosi di combattere contro la voglia di scappare che gli faceva prudere le gambe. Muriel non rispose a quella domanda, ma il rossore che le comparve sulle guance spigolose fu una risposta più che sufficiente.
<< E’ per questo che eri così distratta alla partita? E’ per questo che non mi rivolgi la parola, vero? >> Adesso che finalmente la verità si stava facendo chiara strada nella sua mente, Giasone aveva ritrovato nuova forza e incalzava con le domande, scuotendola per le spalle.
<< No, non è così! >> Si affrettò a replicare Muriel, agitandosi, cercò in tutti i modi di liberarsi dalla stretta di Giasone, tentò di alzarsi da terra, ma fu inutile.
<< Ascoltami! Non c’è stato nessun bacio, sapevo che avrebbero facilmente frainteso, ma speravo, evidentemente sbagliandomi, che non lo raccontassero! Non ci siamo baciati >>
Muriel aggrottò le sopracciglia quando sentì quelle parole, sollevò i lucidi e arrossati occhi verdi e li puntò solo per un momento in quelli di Giasone, troppo sinceri perché potesse dubitare di lui, si ricompose, scosse furiosamente la testa e spostò con malagrazia le mani del ragazzo dalle sue spalle.
<< Perché ti stai giustificando con me? Ti ho detto che non è per questo! >>
Già, perché si stava giustificando?
Giasone non lo sapeva con certezza, sentiva solamente la necessità di farlo.
Una necessità pressante ed incalzante.
<< Sei innamorata di me Muriel? >>
La domanda gli uscì dalle labbra senza nessun controllo, ma non appena si rese conto che era quello che avrebbe sempre voluto chiederle in quei lunghi giorni di silenzio e sguardi mancati, afferrò nuovamente Muriel per le spalle e cominciò a fremere per una risposta.
<< Smettila! >> Sbottò la ragazzina in preda al panico, con il volto arrossato, Giasone non accennava a lasciarle le spalle, così Muriel prese a colpirlo violentemente sul petto, voleva scappare da quella situazione, voleva che lui la lasciasse andare.
Giasone tollerò quei colpi per pochi minuti, sperando che si calmasse da sola, ma Muriel sembrava una furia umana, le bloccò i polsi con un movimento fulmineo, la spinse all’indietro inchiodandola sul pavimento e si mise a cavalcioni su di lei.
Muriel lo guardava con gli occhi spalancati, il petto si abbassava ed alzava ritmicamente a causa del respiro accelerato, aveva le lacrime represse ancora intrappolate negli angoli degli occhi, lucidi e arrossati, fissi su di lui.
<< Ti sei calmata? >> Domandò Giasone, osservandola con serietà e un po’ di rabbia nella voce << Non credere di avere a che fare con un ragazzino Muriel, perché non lo sono >>.
Lei non replicò nulla, aveva ancora il respiro irregolare e gli occhi sgranati dalla sorpresa.
<< E tu? Tu non hai detto di essere una donna? Allora perché non me lo dimostri? >>
Mentre pronunciava quella frase, Giasone si era chinato verso il suo viso, e l’ultima domanda la formulò ad un centimetro dalla sua bocca, Muriel strinse inconsciamente le labbra e strizzò gli occhi, per poi spalancarli all’improvviso quando le labbra di Giasone attraversarono il millimetro di distanza dalle sue.
Fu un bacio casto, uno sfiorarsi che sapeva di innocenza, ma che di innocente non aveva nulla per entrambi. Quando si separarono, Giasone si lasciò scappare un sorriso.
<< Si … sei decisamente una donna >>
Muriel non capì il senso di quelle parole, si limitò a restare stesa sul quel pavimento, e non abbandonò quella posizione nemmeno quando Giasone se ne fu andato, lasciandola da sola in quella palestra.



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Effe_95

Buongiorno a tutti :)
Questo capitolo è stato piuttosto faticoso da scrivere, quando l'ho finito ho tirato un sospiro di sollievo xD Non ho molto da dire, spero vivamente che vi sia piaciuto e che non sia stato troppo deludente dopo la fatica che ho fatto. Fatemi sapere cosa ne pensate :)
Grazie mille come sempre, alla prossima spero.
  
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