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Autore: Edith Edison    03/10/2015    3 recensioni
Newtmas||Long||AU!HighSchool
« Newt! » Newt roteò gli occhi e sbuffò scocciato, osservando Thomas che correva nella sua direzione. [...]
Era un tipo solitario, lui: non gli piaceva stare in compagnia, specie dei suoi coetanei. [...]
Eppure Thomas non si era mai lasciato intimorire, sembrava voler diventare suo amico a tutti i costi.
***
Il fatto che avesse lasciato entrare quel ragazzo sempre troppo pimpante e curioso nella sua vita non significava che improvvisamente fosse diventato socievole. Continuavano a piacergli la solitudine e la tranquillità, però adesso parlava con qualche compagno a scuola, persino con qualche femmina.
Eppure l'unico a cui faceva vedere i suoi disegni era Tommy. L'unico che avesse mai invitato a casa sua era Tommy.
L'unico a cui avesse mai fatto un regalo era Tommy.
***
Quando Thomas se n'era ormai andato da venticinque minuti esatti, Newt si accorse di sentire ancora la sensazione delle sue braccia intorno al proprio esile corpo; ce l'aveva marchiato sulla pelle, quell'abbraccio.
***
« Speravo... » Intervenne Thomas e Newt riconobbe un leggero accento americano. « ...che potessi chiudere un occhio per un tuo vecchio amico. » Concluse posando lo sguardo sul biondo.
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Minho, Newt, Teresa, Thomas, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Remember how we were, shuckface?



Capitolo 4: There’s an energy and, when you touch me, it’s so powerful


10 anni prima

Thomas suonò il campanello ed aspettò pazientemente che qualcuno gli aprisse la porta, sperando che fosse Newt, perché non vedeva davvero l’ora di fargli vedere come aveva imparato a risolvere il cubo di Rubik.
Prima che potesse premere nuovamente il pulsante bianco, Madison gli si parò davanti con un dolce sorriso sulle labbra.
« Ciao, Thomas. » Si fece da parte per farlo entrare e il moretto saltellò dentro quella casa che ormai aveva imparato a conoscere come le sue tasche.
« Sai che so completare questo? » La informò dondolando sul posto e mostrandole soddisfatto il cubo stretto in mano.
« Davvero? » Lei si mostrò sorpresa. « Sei bravissimo, Thomas. Nemmeno io saprei riuscirci! »
Il bambino ridacchiò deliziato dal complimento e si guardò rapidamente intorno, cercando il suo migliore amico, aspettandosi di trovarlo a disegnare sul divano.
« Sei qua per mostrarlo a Newt? »
Thomas annuì. « E’ nella sua stanza? Posso andare? »
Madison si inginocchiò per essere alla sua altezza e fissò i suoi occhi azzurri in quelli ambrati e brillanti del moro. « Ascoltami, Thomas. Newt non è di buon umore oggi. »
Lui stava per domandarle quando Newt fosse di buon umore, ma la donna non gli lasciò il tempo d’interromperla che subito continuò a parlare. « E’ molto triste, ha litigato con il suo papà. Non offenderti se dovesse trattarti male. Non è arrabbiato con te, okay? »
« Okay. » Rispose semplicemente. Il suo migliore amico, in realtà, non andava parecchio d’accordo con suo padre: litigavano spesso e altrettante volte si era sfogato con lui su quanto non sopportasse l’atteggiamento che teneva nei suoi confronti.
Madison gli sorrise e gli fece cenno col capo di andare, perciò Thomas non se lo fece ripetere due volte e salì veloce come un raggio le scale, impaziente di parlare con il biondino e, magari, di tirargli su il morale.
Bussò piano; quella era forse la prima volta che aveva timore di dargli seriamente fastidio. Di fatti, non gli rispose nessuno.
Decise, allora, di aprire gradualmente la porta ed osservare attentamente l’interno della cameretta con l’intenzione di individuare la figura del bambino e farsi notare.
Solo dopo essere entrato notò la testa bionda di Newt: era seduto a terra, la schiena poggiata contro il letto e lo sguardo rivolto fuori dalla larga finestra.
« Vattene. » Aveva gli occhi gonfi e rossi, il volto ancora umido e rigato dalle lacrime, i capelli tutti scompigliati e le labbra screpolate, probabilmente a causa dei morsi con cui tendeva ad aggredirle nei momenti in cui era nervoso.
Il moro si avvicinò ulteriormente.
« Ti ho detto di andare via, Thomas. » E Thomas sul serio non riuscì a spiegarselo quella fitta all’altezza del petto, quel battito mancato del suo cuore, perché Newt spesse volte lo aveva trattato male, ma nulla gli aveva provocato del dolore quanto quel Thomas – non Tommy – pronunciato con freddezza e distacco.
Così deglutì tutta la sua amarezza e si fece coraggio, ripetendosi le parole di Madison in mente quasi si fosse trattato di un mantra, aspettandosi un altro rifiuto che, però, non udì.
« Sei così testardo, Thomas. » Gli disse, invece. E anche quella frase fece inspiegabilmente un male del diavolo, sembrava quasi intrisa di disprezzo. « Non mi ascolti mai. »
Il fatto era che Newt non dimostrava la sua età, dava l’impressione di essere più grande; era il modo in cui parlava, i termini che utilizzava, quell’aria di austerità che lo circondava come se fosse parte integrante del proprio essere, quel cipiglio attento che era ormai divenuto una sorta di marchio di fabbrica.
E Thomas spesso e volentieri si era ritrovato a pensare di non esserne all’altezza. In realtà, forse era proprio a causa di quel motivo che era voluto diventare suo amico a tutti i costi: era stato curioso di scoprire se quel biondino imbronciato fosse davvero intelligente come sembrava, se fosse capace di provare qualsiasi altro sentimento a parte la rabbia. Aveva desiderato sapere perché covasse quella stessa rabbia.
Il fatto che fossero diventati migliori amici, poi, era un altro discorso; il moro non l’aveva programmato, non aveva nemmeno valutato la possibilità che Newt avesse potuto piacergli tanto, che fosse persino più intelligente di quello che dimostrava e che, in fondo in fondo, avesse solo il disperato bisogno di fidarsi di qualcuno.
Si sedette accanto a lui in rigoroso silenzio.
« Lo odio. »
« Non lo odi. »
« Hai ragione. Ma lui odia me. »
Thomas sapeva che non sarebbe servito a niente rassicurarlo, affermare che suo padre non avrebbe mai e poi mai potuto odiarlo, perché Newton probabilmente lo avrebbe cacciato a calci dalla sua stanza.
« Che è successo? »
« A scuola un amico della maestra ha visto un mio disegno e mi ha fatto i complimenti. Dice che ho ‘un tratto da artista’ o qualcosa del genere. Lui è un pittore e ha una scuola d’arte, mi aveva detto di andare a trovarlo. » Newt tirò su col naso e Thomas sbuffò, recuperò un pacco di fazzoletti sulla scrivania e glielo porse. Il biondo roteò gli occhi, ma lo accettò di buon grado. « Io mi sarei voluto iscrivere. »
« Ѐ fantastico, Newt. »
« Ma papà non vuole. Dice che l’arte è stupida e che devo smetterla di sognare. » Sospirò affranto. « Ha detto che è una perdita di tempo. »  Gli occhi gli si riempirono nuovamente di lacrime salate. « Io amo dipingere e disegnare. Perché dice così? »
« Perché è una testa di caspio. »
Fu in quell’esatto momento che Newton finalmente alzò lo sguardo ed incontrò le iridi nocciola del bambino, che brillavano di convinzione e determinazione. Gli rivolse un’espressione confusa, perché Thomas non aveva mai usato un termine del genere.
« Che significa che è una “testa di caspio”? »
Posò le mani sui fianchi. « Che è stupido e non capisce niente. Sai dov’è questa scuola? » Gli chiese. Non poteva sopportare di vedere il suo migliore amico così abbattuto. Non era giusto che suo padre dovesse sempre distruggere il suo sorriso – già di per sé non comune – e le sue speranze con le sue convinzioni da uomo razionale e disilluso qual era. Maledizione, Newt era suo figlio, non avrebbe dovuto appoggiare la sua creatività ed aiutarlo a coltivare le sue passioni piuttosto che demoralizzarlo?!
Il biondino annuì lentamente stranito.
« Bene, allora alzati. » Gli tese una mano. « Ci andiamo adesso. »

***

Presente

« Secondo me, è semplicemente troia. »
« Minho, tu e Newt non avete speranze in matematica. Non c’entra niente la professoressa Tonkin. » Teresa gli rivolse uno sguardo di sufficienza e poi dedicò l’attenzione alle proprie unghie.
« Mi scusi tanto, signorina “organizziamo un funerale, ho preso una B”. Non tutti sono dei geni come lei. » La ragazza fece una smorfia. « E come quest’altra sploff qua. » Concluse Minho indicando con un cenno del capo Thomas.
« Non sono un genio. » Lo contraddisse il moro divertito.
« Per favore, Thomas, sta’ zitto. » L’asiatico intinse una patatina nel ketchup e la mangiucchiò lentamente. « Secchioni di merda. » Borbottò.
« Se vuoi posso darvi ripetizioni. » Si propose ignorando volontariamente l’ultimo insulto. « Tanto casa mia è sempre libera. »
Erano seduti tutti e tre in uno dei numerosi tavoli rotondi sparsi per la spaziosa mensa della scuola. Era passata esattamente una settimana e due giorni dal momento in cui Thomas aveva rivelato a Newton e Madison che sua madre fosse morta da due mesi, da quando il biondo gli aveva assicurato – in una tacita e solenne promessa – che lo avrebbe aiutato e non solo a sistemare la nuova casa.
Lo avrebbe sorretto e riportato a galla quando avrebbe toccato il fondo, sarebbe stato il migliore amico che aveva perso nove anni prima, Thomas ne era certo.
Fatto sta che si erano visti tutti i giorni, in particolar modo durante il weekend; domenica avevano guardato stravaccati sul divano di casa del moro, finalmente sistemato appropriatamente al centro della salone, tutti i film di Star Wars, dal primo all’ultimo e dopo avevano ordinato qualcosa alla pizzeria di fiducia di Newt, mentre commentavano entusiasti e con le iridi brillanti quella saga che aveva rubato il cuore ad entrambi molto tempo prima.
Così Thomas era finito per conoscere meglio anche Teresa e Minho, amici inseparabili del biondino, pranzando insieme a loro e sedendosi vicini durante le lezioni che avevano in comune.
« No, Tom. » S’intromise la ragazza dagli occhi azzurri, arricciando le labbra rosa. « Non puoi immaginare quanto sia esasperante studiare con Minho e Newt. »
L’asiatico scoppiò  a ridere. « Andiamo, Tess. »
« “Andiamo, Tess” un corno. E poi smettila, mi fai impressione quando mi chiami in questa maniera. » Aggiunse con tono apparentemente disgustato. « Minho è completamente senza speranze- »
« Ehi! »
Teresa finse di non udire la lamentela. « Newt all’inizio cerca di seguire e di capire ciò che dico, ma tempo mezzora ed ha cominciato a ridere con Minho. »
Thomas si lasciò andare ad una risata.
« Ridiamo per disperazione. » Puntualizzò l’asiatico dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua fresca tutto ad un fiato. « La matematica semplicemente non fa per noi. »
« Chi è che sta pronunciando il mio nome invano? » Newt si avvicinò a loro velocemente e si sedette tra Teresa e Minho. La ragazza con uno slancio gli gettò le braccia al collo e lo strinse forte a sé.
« Anch’io sono felice di vederti, Tess. » Ridacchiò divertito. Lei gli mollò un pugno sulla spalla e poi gli sussurrò qualcosa che Thomas non riuscì ad udire all’orecchio.
Lo facevano spesso. Non parlarsi nell’orecchio, s’intende, ma comunicare fra di loro ignorando il mondo circostante ed escludendolo come se non avesse alcuna importanza. La mente del moro corse subito ad Aris e forse quella fu la prima volta che ne percepì realmente la mancanza, talmente tanto da sentirsi lo stomaco stringere in una morsa dispettosa che gli fece passare completamente la fame.
Abbandonò la forchetta sul piatto e si appuntò di chiamarlo e farlo esasperare come solo lui era capace.
Quando si separarono Newt lasciò un tenero bacio sulla fronte a Teresa, poi gettò un’occhiata a Minho, il quale parve porgergli una tacita domanda con il solo sguardo, dato che il biondino annuì cautamente e stendendo le labbra in un sorriso.
« Tommy. » Irruppe poi e quegli occhi marrone scuro furono subito sul proprio viso, curiosi. « Scommetto che questi due ti hanno annoiato a morte. »
« Ehi! » Esclamarono offesi all’unisono.
« Tom è stato bene con noi, giusto? » La ragazza dai grandi occhi azzurri lo scrutò gentile. Teresa era sempre stata particolarmente gentile con lui, avevano legato facilmente: Thomas si sentiva a proprio agio al suo fianco.
« Certo. » Rispose, infine. « Non screditarli in questo modo, Newt. »
« Non li scredito affatto. » Gli diede corda l’amico. « Solo che non è che siano poi questo pozzo di simpati- »
Minho sbuffò e con molta gentilezza gli tappò la bocca con un patatina intinta nella maionese, sporcandogli la faccia in più punti. Lui e Teresa si guardarono a vicenda e scoppiarono a ridere, incoraggiati anche da Newt che, rosso come un peperone, stava tentando di rendergli pampa e focaccia, mentre l’asiatico gli stava goffamente bloccando le braccia.
Quando la campanella suonò, Thomas aveva le lacrime agli occhi e gli faceva male la pancia. Non rideva così tanto da troppo tempo; a dire la verità, non credeva nemmeno sarebbe tornato a ridere in quel modo.
E, beh, se stare con Newt, Minho e Teresa significava divertirsi a tal punto, ridere spensierati senza percepire il peso opprimente della vita sulle spalle, allora credeva che avrebbe fatto di tutto per tenersi stretta quell’amicizia.

***

Quella sera lui, Newt e Teresa erano stati invitati a casa di Minho; il biondino gli aveva raccontato che almeno una volta a settimana tendevano a ritrovarsi a casa di uno dei tre per trascorrere del tempo insieme, così, dato che ‘ormai sei ufficialmente parte del nostro gruppo di rincaspiati’, l’asiatico aveva dato a Thomas il suo indirizzo.
In ogni caso, alla fine lui e Newt avevano deciso che sarebbe stato più conveniente andare insieme visto che abitavano a dieci minuti scarsi l’uno dall’altro ed il moro avrebbe dovuto raccattare la sua bicicletta perché avevano una macchina sola ed era suo padre ad utilizzarla.
« Ti dico che stava praticamente dando i numeri perché Clint aveva comprato degli striscioni rossi e non arancioni. Sembrava impazzita! »
A quanto pareva, Newton faceva parte del comitato studentesco, il quale, insieme ad un piccolo gruppo di volontari, in quel periodo si stava occupando dell’organizzazione di una festa di Halloween, che si sarebbe tenuta una settimana dopo.
Nonostante ciò, quando il coach era tornato ed aveva saputo dai pivelli stessi quello che il biondo avesse fatto durante la sua assenza, gli aveva proposto di continuare ad allenarli in giorni alterni, ovviamente sotto la sua supervisione.
Thomas aveva pensato di non aver mai visto Newt così felice come in quel momento dal giorno in cui lo aveva incontrato dopo nove anni a scuola. Aveva comunque deciso di non abbandonare il comitato studentesco, sostenendo che non lo impegnasse poi così tanto e che, tutto sommato, si divertiva.
Il moro ridacchiò, mentre l’altro ragazzo girava la chiave nella toppa. « Davvero, Tommy, se avessi visto la scena saresti morto dalle risate. Io ed Alby eravamo piegati in due. » Rise. « Non posso proprio pensarci, aveva gli occhi fuori dalle orbite! »
Ecco, poi c’era quell’Alby; Thomas non aveva ben capito quanto esattamente fossero amici, ma ricordava come lo avesse guardato male quando lo aveva apostrofato come ‘scorbutico ed arrogante’, quindi supponeva ci tenesse parecchio.
Il fatto era che non lo convinceva, forse era l’aura di saggezza che lo circondava sebbene fosse all’ultimo anno come loro, forse quell’aria da ‘ehy-sono-io-il-capo-qui-pive’, forse quel sorrisetto che tentava di apparire rassicurante, ma a Thomas dava solo l’impressione di essere di sfida. Insomma, non gli piaceva.
Newt spalancò la porta ed il moro vide le sue spalle letteralmente abbassarsi dallo sconforto; sospirò e sussurrò un non troppo silenzioso: “Dio, no.”
Solo quando Thomas entrò in casa comprese a cosa il suo amico si stesse riferendo: il padre del biondo era in piedi nell’entrata impegnato a sfogliare una cartellina dall’aria piuttosto importante.
Alzò lo sguardo, eppure non sorrise a suo figlio. « Ciao. »
Il suo amico poggiò le chiavi sul tavolino in vetro accanto alla porta e si tolse il giubbotto, poi fece un cenno a Thomas per invitarlo a fare lo stesso.
« Ciao. Felice di vedere che vivi ancora in questa casa. » Rispose con un’ironia tale da attirare particolarmente l’attenzione del moro.
Era stato abituato ad un Newt accondiscendente ed infinitamente triste quando si trattava del signor Richardson, un filino combattivo, certo, perché dopotutto quello era il carattere del biondo e non è che si volatilizzasse completamente in certe situazioni.
Solo non lo aveva mai visto così sarcastico e strafottente con quell’uomo troppo simile al ragazzo stesso, con gli stessi occhi marrone scuro e le labbra sottili; anni prima non avrebbe nemmeno pensato che un giorno Newt sarebbe stato capace di parlare in quella maniera a suo padre, l’unica persona sulla faccia della Terra che fosse sempre riuscito a distruggerlo con una sola occhiata, con una sola esclamazione inaspettata.
« In realtà, sei tu ad essere sempre fuori. Vorrei proprio sapere dove vai. »
« Nah, non lo vuoi davvero sapere: so che non ti interessa. »
L’uomo scosse la testa e chiuse con uno scatto la cartellina turchese, poi si sporse verso sinistra e puntò lo sguardo serio ed autoritario su Thomas.
« Ciao, Thomas. Sono felice di vedere che stai bene. »
Il ragazzo abbozzò un sorriso e si fece avanti per stringergli la mano, la quale il signor Richardson accettò di buon grado. La stretta era ferma e possente, così come il suo aspetto ed il suo atteggiamento: tutto in lui trasudava sicurezza ed autorevolezza.
« E’ un piacere, signore. » Sobbalzarono tutti e tre nel momento in cui la suoneria del cellulare dell’uomo rimbombò improvvisamente nel piccolo spazio.
Newton gli sfiorò distrattamente il gomito per attirare la sua attenzione e poi con un segno lo invitò a spostarsi in cucina, stanza in cui Thomas lo seguì, approfittando del fatto che il padre del ragazzo fosse impegnato in non sapeva quale discussione al telefono, immaginava una particolarmente noiosa e frustrante a giudicare dall’espressione contrariata e scocciata allo stesso tempo.
« Vuoi un succo? » Gli offrì il biondo, assorto in chissà quale pensiero.
Lui semplicemente annuì; l’amico sembrava essere stato prosciugato di ogni goccia di gioia ed entusiasmo che aveva dimostrato di possedere per tutto il tragitto da scuola a casa sua. Rimasero in silenzio per almeno cinque minuti, il moro a corto di parole, l’altro totalmente assente.
« Stanotte sarò bloccato all’ospedale e la mamma ritornerà a casa tardi visto che è a cena con quella sua amica spagnola. » Il signor Richardson irruppe in cucina con quell’informazione, digitando distrattamente qualcosa sul suo smartphone.
« Buona a sapersi. Tommy vuoi altro succo? »
« No, grazie. » La voce gli uscì un po’ roca, ma la verità era che quella situazione lo stava mettendo leggermente in soggezione: la tensione fra il suo amico e suo padre era palpabile ed incredibilmente presente, se ne poteva percepire il peso.
« Comunque stasera sono a casa di Minho. Non so a che ora torno. » Ripose la bottiglia in frigorifero con tutta la tranquillità del mondo, come se stessero discorrendo dell’esito delle proprie giornate.
L’uomo incrociò le braccia sul petto ampio ed inarcò un sopracciglio, sembrava star sentenziando di avere avuto ragione nell’affermare che fosse il figlio a non trovarsi mai in casa e non viceversa. A Newt parve non importare minimamente.
« A dire la verità, dovresti essere in punizione. »
Newt rise e pure quella risata sprizzava sarcasmo da ogni poro. « E perché? »
« Un’altra F in matematica dovrebbe essere un buon motivo, giusto? »
« Ah, non ne ho idea, dovresti essere tu a saperlo. Ma dopotutto non hai mai saputo fare il padre. » E se fino a quel punto le frecciatine che si erano mandati a vicenda avevano dato l’impressione di non sortire alcun effetto da entrambe le parti, quella volta Thomas studiò distintamente il modo in cui la mascella del signor Richardson scattò alla severa accusa del figlio. Avrebbe giurato di aver visto i suoi muscoli fremere dal desiderio di tirargli uno schiaffo, eppure quello non si scompose.
Che fosse avvezzo a comportamenti del genere?
« Devi prendere ripetizioni di matematica e fisica, hai una media da far pena. » Un sorriso soddisfatto si dipinse sulle labbra del biondino, quasi non stesse aspettando di udire altro.
« Sono negato, mi dispiace. » Ma non sembrava dispiacergli per niente.
« Rischi di perdere l’anno. »
« E allora? » Le risposte di Newt erano sempre repentine, non lasciavano quasi il tempo a Thomas di riprendere il respiro che a volte si ritrovava a trattenere; era che quella discussione si era trasformata in un rapido scambio di battute, un dialogo in cui entrambi gli interlocutori si lanciavano occhiate di fuoco e scoccavano dardi dalla cavità orale, intenzionati ad attaccare e ferire l’altro.
« La tua ammissione al college ne risentirebbe e non credo sia il caso. »
Il biondo si sporse sul ripiano in granito della penisola e abbracciò il volto con le dita pallide ed affusolate, poggiando il mento tra i palmi delle proprie mani.
« Non andrò al college, papà. » Sebbene quella fosse la prima volta in cui Newt lo avesse chiamato ‘papà’, quella semplice parola composta da quattro lettere sembrava non nascondere alcuna forma di affetto. Era vuota; forse derisoria.
« Tu andrai al college. E prenderai ripetizioni. » Il tono dell’uomo variò impercettibilmente; divenne più grave, mentre anche la sua espressione acquisì maggiore austerità. Non ammetteva repliche. « Thomas come vai in matematica ed in fisica? »
Thomas quasi rabbrividì nel sentirsi nominare. Non aveva riflettuto sulla possibilità che potesse essere lo stesso signor Richardson ad intrometterlo in un discorso del genere.
Ma, alla fine dei conti, non si erano fatti troppi scrupoli ad affrontare un botta e risposta dalla simile intimità davanti a lui, perciò non vedeva il motivo per il quale dovesse essere proprio lui a crearsi dei problemi.
« Bene. » Disse in maniera più schietta possibile; non è che amasse vantarsi dei suoi buoni voti a scuola ed, inoltre, non sapeva nemmeno se a Newt avesse fatto piacere nel caso in cui avesse deciso di nominare la sfilza di ‘A’ ed ‘A+’ che solitamente riceveva.
Il biondo sbuffò. « E’ nella classe avanzata. Ed è il migliore del corso insieme a Teresa. »
« Cosa vuoi fare al college? » Il moro cominciò a pensare di trovarsi sotto lo sguardo indagatore di un detective, il quale era intento a studiare ogni sua reazione ed a soppesare qualsiasi parola decidesse di pronunciare.
« Neuroscienze. » 
Le sopracciglia dell'uomo schizzarono verso l'alto, in una palese dimostrazione di stupore - pensò di non averlo mai visto così emotivamente coinvolto -, sgranò gli occhi e si grattò sovrappensiero il mento ricoperto da uno strato di barba rada.
« In quale college vorresti entrare? »
« California Institute of Technology. » Thomas non ebbe bisogno di rifletterci sopra per rispondere a quella domanda. Aveva accarezzato più volte l'idea di se stesso nel campus del MIT, ma, infine, aveva deciso che il Caltech sarebbe stato sicuramente la soluzione migliore.
Non avrebbe dovuto organizzare trasferimenti impossibili, in quanto il campus a Pasadena non era troppo lontano dal quartiere nel quale viveva - beh, questo prima che si spostasse a Londra. 
« Impressionante. » Fece quello. « Ha una delle migliori facoltà di neuroscienze. »
« Lo so. » Aggiunse il moro sicuro, con una sfacciataggine che raramente si permetteva. « Altrimenti non l'avrei preso in considerazione. »
Il signor Richardson, contro ogni sua possibile aspettativa, sbuffò una breve e sinceramente divertita risata, tant'è che fu Thomas a sgranare gli occhi, quella volta. 
« Mi piaci, ragazzo. Darai tu ripetizioni a Newton. » Indossò con eleganza il cappotto grigio scuro che fino ad allora aveva tenuto poggiato sull'avambraccio. Si ritrovò a calcolare quanto l'ossatura di quell'uomo fosse differente da quella del suo amico; probabilmente era l'unico aspetto che li contraddistingueva veramente l'uno dall'altro - insieme al colore dei capelli, s'intende -, perché per il resto erano due gocce d'acqua. 
« Non ho bisogno di prendere ripetizioni. » Lo prese in contropiede il figlio, perdendo quell'ironia che lo aveva accompagnato per tutta la durata del discorso. « E ti ho detto che non voglio andare al college. » Concluse perentorio.
Suo padre infilò l'ultimo bottone nel corrispondente occhiello e, quando alzò il capo per incontrare gli occhi identici ai suoi del figlio, Thomas si chiese come Newt riuscisse a non sudare freddo sotto quello sguardo furioso. Ed era una furia controllata, per questo rabbrividì; prima o poi sarebbe scoppiato e quel pensiero lo terrorizzò più del dovuto: lo sapeva che i sentimenti controllati e repressi per tanto tempo erano i peggiori. Deleteri e pericolosi, sarebbe stato difficile arginarne i danni. 
Poi l'uomo distese le labbra, gli angoli della bocca che puntavano verso l'alto senza, però, nascondere alcuna gioia. « Davvero? E cosa farai nella tua vita, Newton? » Lo stava prendendo in giro.
Il biondo se ne accorse e digrignò i denti, tornando in posizione eretta. Una scintilla che il moro non seppe definire gli attraversò le iridi, mentre gonfiava il petto e rispondeva: « Imparerò a suonare uno strumento o a recitare, magari. Gli artisti di strada hanno un che di affascinante. »
« Tu non sei un artista. »
E forse fu quell’affermazione ad infastidire Newt più di ogni altra. « Perché non riesco più a dipingere? O a disegnare? » Si passò una mano fra i capelli e ne tirò qualche ciocca. « Cosa so fare, papà? Non mi è rimasto nulla. La matematica non mi aiuterà di certo. »
‘Non gli è rimasto nulla?’, ripeté Thomas fra sé e sé. ‘Che significa?’ e poi ‘Non posso credere che Newt non riesca più a dipingere’.
Per un attimo credette che il signor Richardson si sarebbe lasciato andare ad una qualche dimostrazione di affetto, che lo avrebbe guardato con apprensione, oppure che si sarebbe sporto per prendere il figlio fra le proprie braccia.
Invece, non accadde nulla. Rimase impassibile, freddo ed invalicabile come un iceberg.
« Prenderai ripetizioni da Thomas. »  Lo liquidò così, con tono disinteressato.
« Smettila di dirmi cosa devo fare. » Sibilò con rabbia. « Ѐ la mia vita! » Esclamò subito dopo, alzando il tono della voce.
« Ed io sono tuo padre. » Si voltò nuovamente in direzione del moro. « Ti pagherò. »
« Non è neces- »
« Adesso devo andare. » Lo interruppe, senza neanche ascoltarlo o dare peso alle occhiate truci che il figlio continuava a lanciargli. Semplicemente verificò che ore fossero sul suo cellulare e diede le spalle ad entrambi, scomparendo dalla loro vista.
Si riscossero solamente quando sentirono il rumore della porta di casa sbattere.

« Non voglio i vostri soldi. » Fu la prima cosa intelligente che gli venne in mente di dire.
« Prenditeli pure. Sono i suoi soldi; non mi interessa. »
‘Perfetto’, pensò Thomas. ‘Sono un idiota’.
« Newt non ti darò ripetizioni se non vuo- »
« Non c’entra niente questo, Thomas! » Sbottò Newt, scattando in piedi dallo sgabello sul quale era rimasto seduto per un po’. « Tu non c’entri niente. »
Il moro si sentì inspiegabilmente ferito dalle parole del moro, non perché lo avesse praticamente accusato di pensare solamente a se stesso o perché lo avesse chiamato Thomas – che poi, perché mai dovrebbe offendersi per una cosa del genere?! -, piuttosto perché sembrava lo stesse incolpando di qualcosa.
« E allora cosa c’è, Newt? Spiegamelo. » Lo osservò camminare avanti e indietro per la luminosa stanza, continuando a torturarsi il viso ed i capelli biondi, nervoso.
« Lasciami in pace. » Bisbigliò alla fine ed i pensieri di Thomas furono attraversati da un ennesimo vivido ricordo di parecchi anni prima.

***

11 anni prima

Thomas pedalava felice, un sorrisone ad incorniciargli il volto: quel giorno era riuscito a convincere Newt a giocare con lui.
Certo, il bambino aveva fatto non poche storie, sbuffato e roteato gli occhi come sua abitudine, ma alla fine aveva ceduto. E, ovviamente, non era rilevante il fatto che lo avesse corrotto informandolo di avere una vaschetta di gelato alla vaniglia nel freezer che aspettava solo di essere aperta.
Così stavano pedalando sulle loro biciclette in giro per il quartiere e notare che Newt non stesse tenendo il broncio rendeva Thomas doppiamente soddisfatto.
Non è che non sapesse che, in fondo in fondo, il biondino si divertisse in sua compagnia. Si faceva desiderare, era riservato e scontroso.
Spesso, quando gli rispondeva davvero male, aveva pensato di andarsene, lasciarlo da solo e non tornare a trovarlo mai più. Eppure sapeva che sarebbe stato impossibile.
Lui e Newt erano legati. Thomas non aveva idea di come e quando fosse accaduto, ma era successo e non gli sarebbe stato possibile tornare indietro e pretendere di comportarsi come se nulla fosse.
Girarono intorno alla casa dei Wilde e successivamente a quella di Thomas, ma fu proprio in quel momento che il bambino udì un forte rumore che lo spinse a frenare inaspettatamente.
Si guardò indietro e lasciò andare con un gesto secco il manubrio della bicicletta, facendola cadere a terra quando si alzò per precipitarsi sul biondino.
Su Newt che era appena caduto.
« Stai bene? »
Lo aiutò nel mettersi a sedere e con gli occhi da cerbiatto spalancati lo scandagliò tutto, per cogliere ogni eventuale ferita. Si era sbucciato le ginocchia - quello sinistro stava sanguinando - e le mani, un lungo graffio gli marcava la pelle nivea dell'avambraccio destro. 
Gli scrutò gli occhi, aspettandosi di vederlo piangere o quantomeno di trovarli lucidi, ma non si stupì più di tanto quando si rese conto che nessuna delle sue due ipotesi si era rivelata veritiera; Newt era forte, aveva la pellaccia dura.
« Sì. » Si schiarì la voce, un po' roca ed impastata. « Vai a casa, Tommy. »
« No. » S'impuntò lui. « Rimango con te. »
Il biondino sbuffò scocciato. « Lasciami in pace, Thomas. » 
Il moro si immobilizzò; il suo migliore amico era arrabbiato con lui e voleva che se ne andasse - effettivamente non era neanche la prima volta che esprimeva ad alta voce quel suo premente desiderio -, lo stava istintivamente accusando per essersi fatto male.
Così il grande peso del senso di colpa cadde violentemente su Thomas, il quale si diede dello stupido ripetutamente, perché se non fosse stato così capriccioso, Newt non sarebbe mai caduto dalla bicicletta.
Era colpa sua.
Gli occhi che si colmarono di lacrime furono i suoi, era mortificato, non voleva che si ferisse.
Thomas non voleva fargli del male.
Era il suo migliore amico, come avrebbe potuto?
Sebbene tali pensieri lo stessero abbattendo ogni secondo che trascorreva sempre di più, il moro ritornò in se stesso ed osservò acutamente che piangere sul latte versato era inutile: non poteva tornare indietro, doveva affrontare le conseguenze delle proprie azioni.
Fu allora che il bambino si alzò, pulendosi i pantaloni blu scuro con le mani ed entrò correndo in camera sua. 
Scomparve per qualche minuto, giusto il tempo di recuperare del disinfettante, del cotone e la scatola dei cerotti. 
Quando tornò fuori, sorrise nel vedere che Newton non si era mosso di un millimetro e che, a dispetto dell'antipatia che ancora si ostinava ad utilizzare nei confronti del moretto, appariva più triste e deluso che mai.
Per questo parve illuminarsi nell'istante in cui scorse la piccola figura dell'amico avvicinarsi nella sua direzione: socchiuse la bocca e spalancò gli occhietti scintillanti. 
Thomas sentiva lo sguardo vigile di Newt su di sé mentre bagnava un batuffolo di cotone con un'abbondante quantità di disinfettante e si dedicava alle sue ferite.
Sebbene il bambino non avesse fiatato, aveva percepito chiaramente ogni flessione improvvisa dei suoi muscoli ed i pesanti sospiri nei momenti in cui il disinfettante sfrigolava sulla sbucciatura e sui graffi. 
« La mamma fa sempre così quando cado e mi faccio male. » Gli sussurrò come per giustificarsi, mentre premeva con delicatezza un cerotto color carne sul ginocchio dell'amico. « Dopo qualche giorno passa tutto, ma devi mettere questo anche stasera. » Gli raccomandò indicandogli la boccetta di disinfettante verde. Newt annuì.
Thomas si premurò di raccogliere entrambe le biciclette dal vialetto retrostante e di sistemarle una accanto all'altra davanti la porta del suo garage.
Poi diede una mano al biondo ad alzarsi e lo invitò silenziosamente ad entrare in casa propria.  
Il loro era un rapporto particolare; Thomas parlava così tanto e Newton così poco che la maggior parte delle volte davano l'impressione di compensarsi a vicenda; nonostante ciò, la loro amicizia - perché ormai sarebbe stato da stupidi non considerarla tale - era fatta soprattutto da gesti: sguardi d'intesa, sguardi che discutevano al posto delle loro bocche, sguardi significativi e carichi di un qualcosa che solo loro erano capaci di identificare; espressioni stupite, espressioni di rabbia, espressioni di gioia e di dolore, espressioni che dicevano tutto, anche ciò che non avrebbero saputo esprimere a parole; mani che comunicavano, mani che erano pronte ad aiutare l'altro in un momento di difficoltà, mani che si articolavano frasi semplici o complesse, mani che si cercavano.
Era tutto un loro sistema, un linguaggio del corpo che condividevano solo ed esclusivamente insieme.
Per questo non fu difficile cogliere il 'grazie, Tommy' che Newt gli stava riferendo con gli occhi marrone scuro ed una sincerità disarmante addosso.
Thomas gli sorrise.

« Sai, Tommy? » Gli disse con la bocca piena di gelato alla vaniglia - a quanto pareva, era il suo preferito - ed il cucchiaino già pronto vicino alle labbra. « Il dolore è già passato. Sei un bravo amico. »

***

Presente 

Era sempre stato il suo compito prendersi cura di Newt, a prescindere da quanto quest'ultimo lo avesse trattato male o quante volte lo avesse rifiutato, intimandogli di andarsene e lasciarlo da solo. Thomas non lo aveva mai abbandonato; Thomas era rimasto.
« Perché non vuoi andare al college? » 
Newton sospirò ed il moro sapeva bene che quello non era altro che un sospiro di rassegnazione; non sarebbe potuto sfuggire alle sue domande.
« Non è che non voglio andarci. Più che altro lo dico per farlo arrabbiare. » Si appoggiò con il fondoschiena al piano cottura della cucina. « Solo che non so davvero cosa fare. Non sono bravo in nulla. »
« Stai scherzando, vero? » Iniziò il moro con evidente scetticismo. « Hai una media invidiabile, il tuo unico problema sono matematica e fisica. » 
« Sì, lo so, è che... » Si osservò le dita delle mani, una ad una. « Non c'è niente che mi piaccia abbastanza da dedicarci la vita, capisci? »
Thomas si morse il labbro inferiore; porgli quella domanda o non porgli quella domanda? « Non dipingi più? » Infine, decise di sganciare la bomba. Dopotutto non poteva di certo vivere nell'incertezza per il resto della sua vita. 
« E non disegno più. Solo... » Prese una lunga boccata d'aria. « Non ci riesco, Tommy. » Non si dissero nulla per una manciata di secondi. Fu di nuovo il biondino a prendere parola. « Ero entrato nella squadra di atletica tempo fa, sai? Poi le...circostanze non mi hanno permesso di continuare. Credo tu sappia anche il perché, non sei cieco. »
E Thomas era certo che si stesse riferendo al motivo per il quale zoppicava. Decise comunque di non insistere sull'argomento, Newt si era aperto fin troppo per i suoi standard in così poco tempo e non aveva intenzione di forzare la mano. Gli avrebbe raccontato quello che desiderava venisse a sapere, poteva fare qualsiasi cosa lo facesse sentire meglio.
« In che senso non ci riesci più? » 
Forse la domanda alle orecchie di chiunque altro sarebbe potuta sembrare sciocca, infantile, eppure Newton parve intenderla alla perfezione.
« Seguimi. » 

La camera di Newton era cambiata da cima a fondo, sia nella disposizione dei mobili, che nel colore dei muri.
Il giallo spento che il biondo aveva sempre dichiarato di odiare era stato sostituito da un blu notte che infondeva una calda sensazione di raccoglimento e pace. Parte della parete al di sopra la scrivania in legno di faggio era stata occupata da foto di Newt in compagnia dei suoi amici - in particolar modo, di lui insieme a Minho e Teresa, ma a Thomas non era di certo passata inosservata una sua fotografia con Alby - o di semplici paesaggi, per lo più nordici. 
Si ripromise di domandargli se avesse in programma di viaggiare in futuro.
La seconda cosa che aveva irrimediabilmente attirato l'attenzione del moro era stata la libreria. Una grande libreria, estesa per gran parte della parete antistante al letto, piena zeppa di libri.
Si avvicinò e notò che ve ne erano di qualunque genere: dai classici, ai gialli, ai filosofici, agli scientifici. Era sbalorditiva una varietà simile, tanto quanto l'idea che l'amico li avesse letti tutti o, comunque, la maggior parte.
Nel frattempo Newton aveva tirato fuori una grande scatola bordeaux da sotto il letto che si era rivelata contenere quel cavalletto che a Thomas da piccolo era sembrato fin troppo alto per dei bambini come loro, ma che adesso appariva addirittura un tantino basso. 
Il biondino lo montò con gesti meccanici, come se avesse ripetuto lo stesso ed identico processo così tante volte da averlo ormai stampato in mente ed impresso nei polpastrelli: sistemò con accuratezza una tela bianca, poi spremette qualche tubetto di colore - nero, rosso, blu e giallo - sulla vecchia e macchiata tavolozza e pose accanto a sé il barattolo in vetro che conteneva i pennelli dalle setole pulite e lucenti. Ricordava con quanta cura li lavasse dopo averli utilizzati con uno shampoo particolare che Madison gli aveva regalato. Lei, a differenza del signor Richardson, aveva sempre incoraggiato la passione del figlio, adorando la maniera in cui la sua vena artistica si palesava nel corso della giornata: perché non vi era un giorno che Newt trascorresse con le mani in mano.
Afferrò un pennello piccolo - l'attenzione che dedicava ai particolari non era mai stata un segreto; probabilmente era la caratteristica più interessante del suo tratto, così delicato e preciso - e lo intinse nel blu - Thomas ci avrebbe giurato.
Sebbene tutto in quella situazione promettesse bene - la postura del corpo del biondo, il capo leggermente inclinato che ricordava Newton avesse solo quando rifletteva sul soggetto da rappresentare -, vi erano delle differenze che non poté fare a meno di notare.
La verità era che al moro era sempre piaciuto osservare l'amico dedicarsi alla sua più grande passione: gli sarebbe stato impossibile staccargli gli occhi di dosso, era semplicemente intrigante.
Un piacere per la vista, tanto risultava ammaliante; ogni suo movimento era armonioso, si sposava con quello precedente e quello successivo come in una danza leggiadra ed ipnotizzante.
Perciò fu piuttosto semplice identificare lo sguardo tormentato - no, era letteralmente oppresso, come se fosse stato imprigionato in una gabbia - del ragazzo, l'insicurezza con cui stringeva il pennello tra le dita, emozione che non gli era mai appartenuta quando si trattava di arte, della sua arte.
Tracciò una semplice linea orizzontale poco sotto metà della tela, poi si bloccò. Provò nuovamente; tracciò un'altra linea, stavolta ondulata. Allontanò bruscamente il pennello dalla superficie ormai irrimediabilmente tinta e lo gettò sulla tavolozza con un sospiro frustrato. 
« Non posso. » Boccheggiò un paio di volte, Thomas ebbe quasi l'impressione che stesse per soffocare, tanto sembrava bisognoso d'aria. « Non ci riesco. »
« Qual è il problema? » Si ostinò a continuare il moro. 
« Sento di avere così tanto da esprimere, così tanto, Tommy, non puoi immaginare. » Si massaggiò le palpebre con l'indice e il pollice. « Eppure quando sto finalmente per rappresentare qualcosa, la mia mente si svuota del tutto. Ogni idea svanisce ed io ritorno uno stupido con un pennello in mano. » Gettò un'occhiata malinconica al cavalletto e Thomas sentì come un pugno allo stomaco colpirlo ad un tratto, fu incredibile la violenza con cui percepì la sofferenza di Newt, quasi fosse stata la propria, quasi gli stesse scorrendo nelle vene. 
Era allucinante e destabilizzante, una sensazione tanto potente da consumarlo fin nelle viscere - un mare in tempesta -, affondò nella sua pelle con ferocia e ne prese il possesso come non avesse bisogno di reclamarne la proprietà. Perché le apparteneva incondizionatamente. 
E allora fu tutto naturale.
« Riprova. » Scandì con una serietà che dimostrava di rado. 
« Tommy, è inutil- »
« Riprova, Newt. » Dopo si addolcì. « Per favore. »
Quello lo scandagliò negli occhi per un minuto buono, pareva stesse cercando le spiegazioni a quell'atteggiamento inconsueto nel mare d'oro del ragazzo.
Infine si arrese; scosse la testa con un lieve sorrisetto a tendergli le labbra e prese il pennello fra le dita una seconda volta e lo intinse nel colore, scaricandolo subito dopo quanto necessario sul legno della tavolozza.
Ma prima che potesse poggiare la setola macchiata di blu sulla tela, Thomas fu dietro di lui. Mise la propria mano su quella di Newt e strinse.
Il biondino sobbalzò e: « Che cosa stai facendo? » 
« Chiudi gli occhi. »
« Starai scherzando, spero. »
« Chiudi gli occhi, testa di caspio. » 
L'amico ridacchiò. « Non se ne parla. Qualsiasi cosa tu stia pensando, non funzionerà. » Per tutta risposta, il moro intensificò la presa sulla sua mano. « L'unica testa di caspio qui sei tu, se pensi che ci sia ancora speranza. » 
Il ragazzo sbuffò; possibile che dovesse essere così ostinato?! « Ti piace ancora il gelato alla vaniglia? »
« Che cosa?! » Newt si voltò e i loro visi si ritrovarono più vicini di quanto entrambi si aspettassero. In ogni caso, Thomas avrebbe negato fino alla morte di aver abbassato lo sguardo sulle labbra rosa e sottili del biondo e di aver deglutito un fastidioso pensiero che gli suggeriva di avvicinarsi ulteriormente. Perché chiaramente non lo aveva fatto. « Sì, è il mio preferito. » Aggiunse, ma la sua voce era quasi un sussurro, perfino l'accento inglese si era ammorbidito.
« Bene. » Sentenziò Thomas, anch'egli senza alzare il tono - più che altro non pensava ne sarebbe stato capace, vista e considerata quella vicinanza. Non capiva proprio perché il suo corpo si fosse irrigidito a tal punto e come potesse fremere allo stesso tempo; non aveva mai provato una sensazione del genere. « Adesso facciamo a modo mio. Se non otterremo alcun risultato, ti comprerò due vaschette di gelato alla vaniglia. »
« Quattro. »
« Tre. »
« Affare fatto. » Si girò borbottando qualcosa sul fatto che tanto non aveva nulla da perdere e che il moro avrebbe solamente speso soldi.
"Soldi tuoi, problemi tuoi, io voglio solo il gelato." Thomas era scoppiato a ridere e, in quel preciso momento, si era accorto di avere parte del petto a contatto con la schiena di Newt. 
Quando si era avvicinato così tanto?
« Ho chiuso gli occhi, Tommy. Ti sbrighi o dobbiamo stare qui tutta la dannata giornata? »
« Zitto e concentrati. » Prese un bel respiro e raccolse le idee rapidamente. « Allora ispira ed espira lentamente. » 
« Vuoi ipnotizzarmi? No, perché lo sai che ho una cacchio di paura per queste cos- »
« La smetti? » Thomas gonfiò le guance e fu grato che Newt non potesse vederlo in quel momento. « Il patto non vale niente se non mi ascolti. »
« Okay, okay. Solo per il gelato. » 
Sorrise quando lo sentì inspirare ed espirare adagio, proprio come gli aveva detto di fare. « Adesso figura i tuoi sentimenti, riconoscili e non lasciarli scappare da te. » Thomas avvicinò le loro mani alla tela. « Una volta mi hai detto che dipingere per te era uno sfogo; permetti alle tue emozioni di uscire fuori. » Tracciarono un'altra linea, lontana dalle altre due, ma pur sempre in orizzontale.
« Cosa vedi, Newt? »
Lo sentì rabbrividire ed una strana ondata di calore lo attraversò da capo a piedi, stordendolo. 
« C'è un'immagine. » Si umettò le labbra screpolate. « Ma non riesco ad afferrarla. Non ce la faccio, Thomas. » 
« Ce la fai. » Tentò di rassicurarlo lui. « Concentrati. Non c'è posto per l'ansia, Newt. » Udì il suo respiro accelerare e poi rallentare cautamente. 
Non aveva mai notato quanto fosse particolare l'odore di Newt fino a quel momento: gli arrivava alle narici speziato, quasi fosse cannella. Eppure quella nota esclusiva era pressoché nascosta da un profumo più forte, tipicamente da uomo, probabilmente al muschio bianco. Non si capacitò nemmeno di come avesse potuto distinguere le due essenze.
« Cosa vedi? » Domandò di nuovo, quando si riscosse. 
« Un mare di emozioni. » E cominciò a muovere il pennello sulla tela con agilità, sorprendendo lo stesso Thomas, spiazzandolo a tal punto dal lasciarlo senza parole ad osservare i movimenti della sua mano - che continuava ad essere abbracciata dalla propria. 
Non seppe quando Newt sollevò le palpebre, fissando le proprie iridi sul quadro che stava prendendo forma piano piano; non fece caso al proprio braccio che, infine, gli era scivolato lungo il fianco, facilitando il lavoro al biondino, il quale ormai si era isolato nella sua bolla personale; non notò il ticchettio delle lancette dell’orologio che normalmente lo avrebbe infastidito: il suo mondo iniziava con Newt che pasticciava con il bianco e l’azzurro per ottenere nuove sfumature del colore e finiva ugualmente con lui che si asciugava il sudore sulla fronte col braccio.
Thomas, quel giorno, si perse in Newt.
E non se ne pentì nemmeno per un istante.

Il sorriso che gli regalò a quadro ultimato, comunque, fu la cosa più bella che avesse mai visto.

***

« Dov’è la birra? » Domandò Newt, lasciando un bacio sulla guancia a Teresa che aveva aperto la porta ad entrambi e sorpassandola per raggiungere Minho senza troppe cerimonie.
La ragazza rivolse a Thomas uno sguardo interrogativo e lui fece spallucce, non sapendo cosa risponderle; la verità era che probabilmente conosceva bene il motivo per il quale il biondino si era nuovamente rabbuiato nei suoi pensieri.
Lei era bellissima come sempre: aveva stirato i capelli neri e voluminosi, che ora le ricadevano lisci sulle spalle, ed indossava un maglioncino azzurro che risaltava ulteriormente il colore intenso e sbalorditivo dei suoi occhi.
In ogni caso, non godette a pieno di quella celestiale visione, poiché la sua mente era occupata dagli occhi di un’altra persona, delle iridi totalmente diverse, scure e profonde.
Non che fosse successo poi chissà cosa: Newton, un grosso sorriso stampato sul volto, aveva in pratica trascinato Thomas al supermercato più vicino a casa sua per comprare ugualmente il gelato alla vaniglia. Ne avevano preso quattro vaschette perché il biondo aveva messo su il broncio e l’amico davvero non ce la faceva a smontare i suoi desideri, non quando era così felice. Avevano comprato anche delle patatine e dei biscotti di pastafrolla con le gocce di cioccolato per quella sera e, quando alla fine Thomas aveva insistito per dividere il prezzo totale, Newt gli aveva riservato uno sguardo truce da far accapponare la pelle, ma lo aveva lasciato vincere.
Il fatto era che quando erano tornati a casa del ragazzo, il moro aveva afferrato la vaschetta di gelato che avevano deciso di mangiare ed era corso via, con un cucchiaino in mano e l’altro che lo seguiva ad un passo da lui.
Poi tutto gli era sfuggito dalle mani.

***

Pochi minuti prima…

« Tommy se ti azzardi a mangiare il mio gelato da solo, giuro che ti faccio ingoiare anche il cucchiaio. » Lo minacciò e lui rise forte, così forte che gli occhi gli diventarono lucidi.
« Tommy!» Lo chiamò di nuovo, mentre Thomas stava cercando un posto sicuro in cui nascondersi per qualche minuto.
Peccato che Newt conoscesse ovviamente meglio dell’amico casa propria e lo sorprese alle spalle, gettandosi con uno scatto felino sopra di lui.
Caddero ridicolmente a terra, simili più a due sacchi di patate che a delle persone, tant’è che loro stessi non poterono fare a meno di scoppiare a ridere.
« Ti ho preso! » Esclamò vittorioso Newton, sorridendo sornione.
« Potresti alzarti? Pesi. » Già, perché il biondo era letteralmente spalmato sulla schiena di Thomas, il quale era bloccato tra il pavimento e il corpo dell’altro.
Fece per prendergli il gelato dalle mani – non ci aveva pensato a mollare il tanto ambito bottino! -, eppure si ritrovò ad osservare l’amico ritirare il braccio, come scottato.
Avevano preso entrambi la scossa.
E fu inverosimile rivivere ogni contatto fisico che i due si erano concessi in quei giorni, a partire dal momento in cui si era incontrati dopo nove anni; un unico flash attraversò la mente di Thomas e non c’era istante in cui lui non fosse presente: Newt che gli prendeva la mano e gli prometteva di aiutarlo, Newt che gli dava una gomitata scherzosa, Newt che lo sfiorava per sbaglio, Newt che si lasciava guidare dalla sua mano quel pomeriggio stesso, Newt sopra di lui.
Poi, quasi lo avesse letto nel pensiero, il biondo si mise in piedi ad.un tratto e si schiarì la voce, mentre Thomas aggrottava le sopracciglia e lo imitava: si sentiva come se fosse appena stato investito da un treno.
C’era questa energia che – non riusciva a spiegarselo -, quando le loro pelli entravano in contatto, era incredibilmente potente.   
Ed il non sapere se avesse dovuto averne timore, lo spaventava anche di più.

***
 
Presente
 
Quell’elettricità statica fra di loro, quella scossa aveva ridestato entrambi, ma allo stesso tempo aveva fatto in modo che si creasse un’asfissiante atmosfera di imbarazzo che gli  fece consumare il gelato tanto desiderato in silenzio.
Teresa si chiuse la porta alle spalle e gli passò un braccio intorno alle spalle, poi lo guidò in direzione della cucina che era collegata ad un vasto salone arredato da un chilometrico divano grigio ed un televisore immenso.
Thomas sgranò gli occhi perché era veramente fantastico.
« Minho è schifosamente ricco. »
« Ti ho sentito bella bionda. » Ribattè l’asiatico mentre armeggiava con uno shaker in alluminio. Il ripiano in granito era pieno zeppo di frutta – tantissime arance spremute facevano bella vista di sé -, ghiaccio, alcolici e stuzzichini di ogni tipo.
Newt era seduto di fronte all’asiatico e stava sorseggiando la sua tanto agognata birra, mentre osservava l’amico spostare il frullatore per fare spazio ad un bicchiere in vetro.
« Non sono bionda. » Si oppose la ragazza, accigliata.
« Dettagli, bambolina. »
« Ti spacco la faccia, Minho. » Sibilò il biondino, lanciandogli uno sguardo truce.
« E chi te la tocca, la tua Teresina. » L’asiatico si lasciò andare ad una smorfia sarcastica; nel frattempo, Teresa sospirò rassegnata – e forse anche abituata a quelle scene – e spinse Thomas ad avvicinarsi con quale colpetto sulla schiena. « Piuttosto, prova questo, brontolone. » E gli passò un cocktail dal colore rossastro e vagamente invitante.
« Minho adora provare sempre nuove combinazioni di gusti e Newt è praticamente dipendente dai suoi cocktail, perciò…gli fa da cavia. » Gli spiegò con premura la ragazza dagli occhi azzurri.
« E’ pazzesco. » Sentenziò quello, dopo averlo sorseggiato avidamente.
« Questo è il mio ragazzo! » Applaudì Minho, soddisfatto. Poi riempì altri due bicchieri e li offrì a Teresa e Thomas.
« Cos’è questo retrogusto acidulo? » Chiese lei, dopo averne bevuto un sorso.
Il ragazzo fece scoccare la lingua sul palato, deliziato dalla domanda. « Ribes rossi. Non sai quanto ci ho messo a trovarli, li cercavo da una vita. »
« Geniale, amico. » Newt e Minho si batterono il pugno e Thomas ridacchiò, prima di ingoiare un altro po’ di quella bevanda rinfrescante. Doveva ammettere che era davvero buona.
« La chiameremo ‘Bloody’, in onore di Newt. » Se ne uscì Teresa suscitando le risate ilari degli altri due ragazzi. Nel frattempo il biondino li osservò circospetto ed inarcò un sopracciglio.
« Con questo cosa vorresti dire? »
« Nulla, nulla. Assolutamente nulla. » Newt ne bevve un altro bicchiere tutto in un sorso, raggiunse la ragazza -  la quale aveva provato a scappare da lui senza successo – e cominciò a farle il solletico senza pietà.
« Sono felice che tu sia venuto questa sera, Thomas. » Il moro distolse l’attenzione dalla scena divertente e puntò i propri occhi su Minho.
« Felice che tu mi abbia invitato. » Ribadì con un cenno di ringraziamento.
L’asiatico fece spallucce. « Sei simpatico. Teresa ti adora e Newt è più felice da quando ci sei tu. »
Per poco non si affogò o sputò la il cocktail. « Ma-ma-ma…ma che cosa stai dicendo? » Balbettò come un ragazzetto timido di seconda media.
« Sì. » Continuò l’asiatico tranquillo, mentre grattugiava la buccia verde di un lime all’interno del frullatore. « Gli ha fatto bene ritrovare un vecchio amico. »
Thomas sospirò di sollievo; un vecchio amico, certo, si riferiva all’amicizia che avevano condiviso lui e Newton tempo prima. Perché avrebbe dovuto essere altrimenti?
« Ha fatto bene anche a me. » E non c’era frase più vera che potesse dire. Newt gli aveva fatto bene, Newt tuttora gli faceva bene.
Ormai non era più solo lui a prendersi cura del biondino, erano entrambi che vegliavano sull’altro a vicenda, in un solido rapporto che non avevano mai del tutto lasciato da parte. Perché erano ancora legati.
Perché non si erano mai veramente lasciati.

Quella sera si erano divertiti da matti.
Avevano guardato un film che aveva fatto schifo a tutti e quattro, eppure non era realmente importato a nessuno di loro, visto e considerato che lo avevano interrotto spesso e volentieri con battutine stupide e parodie improvvisate.
Poi c’era Newt che chiedeva a Minho di lanciargli i pop-corn dalla poltrona direttamente in bocca – ed era sbalorditivo, perché era riuscito a prenderne la maggior parte – e Teresa che si lamentava a gran voce quando ne faceva cadere qualcuno che le andava a finire in faccia, dato che si era sdraiata sul divano e aveva sistemato la testa sulle cosce del biondino.
Thomas era sicuro che dovessero essere un po’ brilli quando avevano brindato con i bicchieri colmi di un liquido dall’acceso colore verde foglia, il cocktail che Minho aveva ideato dopo aver saputo che il moro andava pazzo per la menta e che avevano battezzato come ‘Greenbean’ proprio in onore del nuovo arrivato, per suggellarne ufficialmente l’appartenenza al loro gruppo. Era, invece, certo di essere decisamente brillo quando avevano messo su a tutto volume quella canzone dall’accenno tropicale ed avevano improvvisato un balletto hawaiano, con tanto di fianchi e braccia ondeggianti. Mentre doveva senza alcun dubbio essere irrimediabilmente ubriaco nel momento in cui aveva inviato un messaggio a suo padre, per avvertirlo che sarebbe rimasto a dormire da Minho, trattenendosi a stento dal non scrivere qualcosa di sconveniente con Teresa che ridacchiava vicina al suo padiglione auricolare.
Avevano deciso di rimanere tutti a casa dell’asiatico visto che nessuno era nelle condizioni di guidare senza essere coinvolto in un incidente stradale potenzialmente mortale e i genitori di Minho erano partiti per un viaggio in onore del venticinquesimo anniversario di matrimonio. Così si erano sistemati alla bell’è meglio su quel tappeto che – Thomas ci scommetteva – in altre circostanze non sarebbe potuto risultargli più comodo e mormorarono qualche altra frase disconnessa prima di crollare uno dopo l’altro.

« Sei un bravo amico, Tommy. » Strascicò Newt prima che Thomas si abbandonasse inerme tra le braccia di Morfeo con un marcato accento inglese che gli fece salire un brivido lungo la spina dorsale. « Sei proprio un bravo amico. »
Poi si perse nei suoi sogni.








Okay, questo capitolo è la bellezza di 9o60 parole, mi sono superata, penso di non avere
mai pubblicato un capitolo così lungo. 
Che poi probabilmente avrei dovuto chiamarlo "Vanilla ice cream" visto il mezzo di 
corruzione utilizzato da Thomas dal 1953 - ed approvato dagli specialisti!
Alla fine, però, non ho potuto fare a meno di prendere il prestito parte del lyrics
di una canzone che mi ha letteralmente rapito il cuore questa settimana perché,
bloody hell, era perfetta per loro! (se non avete capito di che brano si tratta
e avete qualche minuto, cliccate
qua). Grazie Major Lazer e anche a te,

Ellie Goulding, che hai una voce pazzesca.
Anyway, i parallelismi fra il primo flash-back e l'intero capitolo non sono frutto
della mia testa bacata - okay che sono rimbambita, ma non fino a questo punto -, 
sono completamente voluti, volevo sottolineare come il rapporto fra Newt e Thomas
non fosse morto con lo scorrere del tempo e, anzi, fosse rimasto intatto. 
Anche se in questo capitolo forse i due baldi giovani cominciano a rendersi conto
che forse fra di loro c'è qualcosa di più, qualcosa che li destabilizza.
Ah...ne vedremo delle belle!
Ho pensato che sarebbe stato piuttosto sensato far studiare 'Neuroscienze' al college 
a Thomas, in quanto - come sappiamo bene -, prima di entrare nel labirinto, aveva 
lavorato parecchi anni alla WCKD, osservando gli altri insieme a Teresa, Aris e Rachel.
A proposito, prometto che nel prossimo capitolo P.O.V. Thomas inserirò una 
telefonata tra lui ed Aris ed un flash-back in cui spiegherò meglio il rapporto tra Rachel 
ed Aris - giusto perché nel libro mi si era spezzato il cuore nel leggere la parte in cui lui
raccontava di aver perso la sua migliore amica, perciò sento di dover dare loro una 
possibilità. 
Comunque non vedevo l'ora di scrivere questo capitolo, lo avevo in mente sin dal momento
in cui avevo cominciato a scrivere il primo capitolo, in particolar modo la scena di Thomas
e Newt di fronte alla tela. Era ora che Newt ritornasse a dipingere!
E Thomas non sa neanche che Newt non è più riuscito a farlo giusto da quando lui si era trasferito!
Glielo dirà mai? Chissà. Forse. Probabilmente sì. Boh.
La parte di Minho che lancia i pop-corn  a Newt è ispirata ad un'intervista che Ki Hong Lee e 
Thomas Brodie-Sangster hanno fatto in Korea e che mi ha fatta piegare in due dalle risate. 
Quei due insieme sono spassosi e non vedo l'ora di vedere The Scorch Trials al cinema.

In ogni caso, ringrazio tutti coloro che l'hanno recensita (avevo letteralmente gli occhi che brillavano
per le recensioni dello scorso capitolo, grazie per avermi dato la possibilità di sapere cosa ne pensate
della storia!), che l'hanno inserita fra le preferite/ricordate/seguite e anche i lettori silenziosi!
Spero che il capitolo sia stato all'altezza delle vostre aspettative, ci tengo molto e spero davvero
che mi farete sapere se vi è piaciuto o no!
A presto! :)




 
   
 
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