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Autore: Ninfea Blu    04/10/2015    11 recensioni
Oscar ha delle sorelle, lo sappiamo. Questa storia parla di una di queste sorelle, una che non conosciamo, perchè la Ikeda non ha pensato a una possibilità del genere. Danielle ha davvero molto in comune con Oscar... stessi capelli, stessi occhi. Qui parlerò dei suoi sentimenti, del suo rapporto con Oscar e inevitabilmente con l'amico Andrè che potrebbe, in qualche modo, mettersi fra loro. Perchè Danielle, gemella identica ma più femminile della nostra madamigella, potrebbe avere il coraggio di essere tutto quello che non è Oscar...
Aggiunte fan art cap. 7 - cap. 12
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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30 – Libera

30 – Finalmente libera

 

 

 

 

 

Un vento fastidioso e insolitamente freddo soffiava sull’ altopiano.

Faceva ondeggiare le chiome degli alberi e accarezzava i fili d’erba sul terreno, stropicciando le pieghe delle vesti nere femminili. A intervalli, una raffica più forte gonfiava i mantelli degli uomini presenti, nobili signori di Etretat che abitavano nella zona, conoscenti della famiglia di Recamier.

Anche Tristan De Laundes era presente, ma più defilato verso l’esterno del gruppo. L’espressione sul viso seria e concentrata, in realtà era più vigile e attento di quanto non sembrasse, all’ambiente che lo circondava, con le gambe leggermente divaricate, e l’atteggiamento composto con le mani foderate dai guanti, soprapposte davanti al busto.

I suoi occhi avevano già colto una presenza sfuggita a tutti gli altri, qualcuno che era deciso ad incontrare.

 

La contessa di Recamier, giovane vedova dall’incarnato niveo, celava il volto e i turbamenti dietro un’impalpabile veletta di tulle trasparente.

Vestita di prezioso cangiante raso nero dai riflessi blu, era davanti a tutti, al cospetto del sacerdote che recitava l’omelia di dolore, affiancata dal suo affascinante segretario e dalla fedele Ninette che accompagnava i due figli.

Era bellissima, con i capelli che risaltavano come oro liquido contro l’abito a lutto, altera e inaccessibile, dignitosa e padrona di sè. Se fosse affranta, serena o indifferente, restava un mistero custodito dietro una maschera immota di emozioni indecifrabili. Con un gesto lento e calmo della mano, posò una rosa legata da un nastro nero sulla bara, e non rivelò alcun sintomo di commozione.

Non ci furono singhiozzi sommessi, né lacrime. A vederla così fredda e inespressiva, qualcuno dubitò del suo effettivo dispiacere, ma restò un pensiero inespresso.

Nelle file più indietro, il personale di servizio della villa, le cameriere, la cuoca, un cocchiere e gli stallieri erano riconoscibili dall’abbigliamento modesto, le gonne di tela grezza delle donne, gli scialli di lana pesante sulle spalle, e gli uomini, composti e umili, con i cappelli di feltro e lana grezza stretti tra le mani, in segno di rispetto per il defunto. C’era chi tra loro era sinceramente commosso.

Non c’erano cappelle di famiglia, lì a Etretat, solo un piccolo cimitero esterno al grande giardino della villa, una linea retta di croci latine e tombe di marmo e pietra, che custodivano le spoglie di antichi padroni e discendenti.

 

Oscar seguiva le esequie a distanza, lontana e al riparo ai margini del bosco che delimitava i possedimenti della villa.

Dal punto in cui osservava la scena, il gruppo delle figure disposte a semicerchio, le suggeriva un’immagine grottesca: le parevano enormi corvi neri disposti attorno alla fossa, dove stavano per deporre le spoglie mortali del cognato. Li immaginava avventarsi come avvoltoi su una carcassa, pronti a spolparne le carni e lasciare solo le ossa bianche. Tra qualche giorno, alla lettura annunciata del testamento del Conte di Recamier, si aspettava sarebbe accaduto esattamente questo.

Chiuse gli occhi, tentando di scacciare quell’idea malsana e inquietante.

Aveva lasciato il suo cavallo poco lontano, preferendo avvicinarsi al cimitero a piedi. Non voleva essere vista, né rivelare tanto presto la sua presenza lì, soprattutto alla sorella Danielle, neppure in quella drammatica circostanza.

 

E altro c’era in gioco. Troppo per rischiare di uscire allo scoperto. Meglio aspettare tempi più opportuni e favorevoli, anche se le sorgeva il dubbio se sarebbero mai arrivati. Stava per scoprire che il suo scrupolo era inutile.

 

La morte di Leopold, improvvisa e drammatica, si rivelò un evento funesto oltre ogni previsione. Il presunto attacco di cuore fu smentito dal medico di fiducia che aveva esaminato il corpo il giorno stesso del decesso, riscontrando sulla lingua viola e gonfia, quelle che erano le tracce evidenti di un avvelenamento.

All’apprendere la notizia, Danielle aveva manifestato una profonda costernazione, così le aveva detto André. All’inizio, la contessa reagì alla tesi del medico con scetticismo e sincera incredulità, poi si era dovuta arrendere all’evidenza dei fatti, che parlavano da soli. La camera era stata esaminata da cima a fondo, e la brocca dell’acqua sul comò, era stata trovata vuota per metà.

Era presumibile che il veleno fosse stato assunto così.

I nemici del conte di Recamier potevano essere tanti, e tutti insospettabili, ma si doveva restringere il campo dei colpevoli alle persone vicine a lui, o almeno ai residenti alla villa, compresi i domestici, tra i quali c’era anche André. La tranquillizzava un po’ il pensiero che per quella sera maledetta, lui aveva un alibi perfetto, che avrebbe confermato lei stessa, senza esitazione, se fosse stato necessario. Ma l’angoscia restava. Chi aveva ucciso il cognato, e perché? Oscar aveva tutta l’intenzione di andare a fondo della faccenda, un po’ per il suo spiccato senso di giustizia, e un po’ per il bene di Danielle, che forse stava riponendo la sua fiducia in una persona sbagliata. L’assassino aveva usato il veleno, dunque era necessario trovare lo speziale che l’aveva procurato e magari prodotto.

E Oscar sapeva dove trovarne uno, lì a Etretat.

 

Senza fretta, stava tornando verso il suo cavallo, lasciato all’interno della boscaglia. Il piede infilato in una staffa, si era già issata sulla sella, quando sentì una voce sconosciuta chiamarla per nome. Si bloccò sorpresa.

“Oscar François De Jarjayes!!’’

Si volse alle sue spalle e vide il giovane Tristan De Laundes, l’amico di Danielle di cui André le aveva parlato, avvicinarsi velocemente. Sgranò gli occhi contrariata e diffidente, rendendosi conto di essere stata scoperta.

L’uomo fu davanti a lei, e Oscar lo accolse con l’espressione più distaccata che riuscì a trovare.

“Madamigella Oscar…” la chiamò di nuovo. L’espressione dell’uomo che ora la fissava, rivelava un sincero stupore, ma si ricompose quasi subito, tornando distesa.

Lei si prese qualche secondo per osservarlo con attenzione: l’uomo che aveva davanti era di bella presenza, alto quanto André, un fisico armonioso e proporzionato, lineamenti marcati ma eleganti, capelli mossi biondo/cenere legati da un nastro, e occhi grigi come freddo metallo. Un uomo d’indiscutibile fascino, capace di far palpitare il cuore di una donna. Un cuore come quello di Danielle, pensò Oscar.

“Mi conoscete, vedo…” fu il solo commento, espresso con voce neutra.

“La contessa mi ha parlato di voi; nonostante l’abbigliamento maschile, Comandante, non ci si può ingannare sulla vostra natura. Siete identica a Madame Recamier, in maniera direi sorprendente. E siete bellissima…”

“Lasciate stare i complimenti, non servono. Cosa volete, Messieur De Laundes?” chiese asciutta, dimostrando di sapere benissimo con chi stava parlando. Tristan assottigliò lo sguardo, per nulla in soggezione, fissandola con maggior insistenza. Chi altri, se non André, poteva averle parlato di lui?

“Volevo conoscervi, Comandante. Sapere cosa vi porta in Normandia… e perché non rivelate a Danielle la vostra presenza. A maggior ragione ora, dopo quanto accaduto a vostro cognato.”

“Non è cosa che vi riguardi.”

Altra risposta asciutta, che avrebbe scoraggiato chiunque dal porle nuove domande. Ma Oscar non conosceva l’ostinazione caparbia del giovane gentiluomo che aveva davanti.

“Forse potrei fare la stessa domanda ad André, magari lui mi risponderebbe diversamente…”

Osò provocarla.

Fu il turno di Oscar di assottigliare lo sguardo che si fece tagliente, quanto l’acciaio freddo di una lama. Uno sguardo, pensò Tristan, che non aveva nulla in comune con quello più dolce della gemella. Due donne identiche nell’aspetto, profondamente diverse per animo e temperamento, eppure mosse da comuni sentimenti. Lo colse inaspettato un brivido lungo la schiena e gli fu facile immaginare quegli stessi occhi color cielo estivo, bruciare d’altrettanta passione amorosa. Ne fu affascinato, suo malgrado, e intuì la forza sovraumana dei sentimenti che muovevano André, un rivale che non era tale, un uomo totalmente avvinto, che apparteneva corpo e anima a quell’amazzone bionda e fatale che osava sfidarlo senza paura, abituata a lottare per difendere chi amava. Non poteva dire di conoscerla, ma Oscar François De Jarjayes gli ispirava forza, determinazione, coraggio indomito e onestà d’intelletto. Sentì di poter provare vera profonda ammirazione per una donna tanto straordinaria. Notò la spada al fianco, quasi un’estensione naturale di lei, e immaginò che fosse maestra nell’usarla.

“Non voglio insistere, Comandante. Sono certo che avremo occasione di riparlarne. - Si voltò per allontanarsi di pochi passi, poi tornò a puntare l’attenzione su di lei. Sorrise con decisione, e Oscar spalancò gli occhi, cedendo le armi. – Spero un giorno di potermi misurare con voi, madamigella Oscar; sono sicuro che siete abilissima con la spada. Sarà un’esperienza interessante, mi auguro non troppo umiliante per me.”

La salutò con un gesto della mano prima di allontanarsi nella direzione da cui era giunto, e non si accorse della piega ironica che assunsero le labbra di Oscar. Nessun uomo, a parte André, aveva mai osato parlarle in maniera tanto schietta, e questo era un punto a suo favore. Pur senza alcuna conferma diretta, Tristan fu sicuro di una cosa: i sentimenti d’amore che Danielle nutriva per il suo avvenente segretario, erano destinati a non essere mai corrisposti. Per quanto il pensiero fosse miserabile, e gli procurasse un sottile cruccio, lui non poteva fare a meno di gioirne.

 

 

 

§§§§§§§§

 

 

 

 

Il lutto che mi aveva colpita, imponeva all’esterno la mia afflizione di vedova inconsolabile, ma in realtà non potevo fare a meno di pensare con profondo sollievo che ero una donna finalmente libera!

Non potevo mostralo apertamente, senza risultare scandalosa, addirittura volgare nei sentimenti, ma superate le primissime ore di confusione e sbigottimento, in cui avevo realizzato l’effettiva portata dall’evento, per me non esisteva gioia più grande. La morte di mio marito, per quanto tragica e preoccupante, non mi procurava nessuna pena intollerabile. Inutile fingere sentimenti inesistenti nel mio cuore.

La vaga tristezza che provavo era riguardo ai miei figli e alla loro sofferenza. Subito dopo il funerale, decisi di mandare Monique e Bastien per qualche tempo da mia sorella Orthense, che soggiornava col marito e i tre figli nel Nord della Francia. Sarebbe stato solo un bene per loro cambiare ambiente e allontanarsi da Etretat per un po’, in un momento delicato come quello.

Probabilmente del padre avrebbero sentito la mancanza, per quanto i contatti tra loro erano sempre stati sporadici e chiusi in una forma obsoleta di rispetto senza slanci d’autentico affetto paterno. Leopold non era mai stato un padre particolarmente presente, semmai si era maggiormente interessato al suo erede maschio per una questione d’orgoglio patriarcale, riponendo il lui le aspettative tipiche del lignaggio: onore, discendenza, prestigio della famiglia Recamier fedelissima alla Corona e trarne così tutti i privilegi possibili.

 

Però non potevo trascurare la gravità di ciò che era accaduto. Avevo chiesto al dottor Morisot di mantenere il più assoluto riserbo sui fatti e lo avevo vincolato al segreto. Ufficialmente, per amici, conoscenti, famigliari diretti e indiretti, Leopold era morto per un malore improvviso.

Ma tutti quelli che vivevano alla villa, sapevano la verità.

Mio marito era stato avvelenato nella mia casa, da qualcuno che forse mi viveva accanto, e io non sapevo su chi puntare i miei sospetti, di chi fidarmi e di chi no, né potevo credere che l’assassino si fosse introdotto dall’esterno, furtivo e in piena notte, per compiere il suo delitto. Le modalità non lo lasciavano supporre.

André quella notte non era rientrato. Questo solo sapevo.

Questo dettaglio inquietante mi metteva in ansia, ma non volevo credere che fosse stato lui.

E perché poi? Per risentimento? Vendetta? Paura?

No, André non avrebbe mai fatto una cosa tanto ignobile, neppure al peggiore dei suoi nemici. Era un ragazzo di buon cuore, corretto e leale, onesto e integro. E io lo amavo. Per quanto la cosa mi ripugnasse, come se mi macchiassi di un vergognoso tradimento, dovevo affrontarlo e chiedergli quelle spiegazioni che temevo di ricevere.  Cosa o chi, lo aveva tenuto lontano dalla villa, quella notte?

 

Già… Chi.

 

Questa era la domanda che più mi atterriva; implicava ciò che mi rifiutavo di considerare, ma accanto, avevo chi mi avrebbe costretto a farlo.

Le persone che erano al mio servizio le conoscevo da anni; era gente scrupolosa e fidata, in qualche caso affezionata alla famiglia Recamier da più di una generazione, tra padri e figli. Si trattava di persone semplici, che conoscevano solo una vita fatta di sacrifici e lavoro duro. Fra loro non poteva esserci qualcuno pronto a uccidere.

Per quale motivo, poi?

L’uso del veleno, un mezzo discreto in uso perfino a Versailles, che finiva nei cibi e nelle bevande delle vittime, implicava una strategia precisa e molto ben calcolata; una tattica da aristocratico. Così con un senso acuto di nausea, avevo sospettato anche di Tristan; che fosse innamorato di me al punto di uccidere per avermi? Per la stessa ragione, avrebbe potuto far del male anche ad André?

L’idea in sé, mi parve intollerabile. Non pretendevo di comprendere ogni lato della personalità di Tristan, ma potevo escludere sarebbe mai arrivato a tanto, anche travolto dalla gelosia più nera. E con Leopold non c’era stato alcun contrasto, lo avrei saputo.

 

Alcuni giorni dopo, ci fu la lettura del testamento davanti ad un notaio, che non presentò grosse sorprese; i due figli legittimi del Conte Leopold Remy di Recamier erano gli eredi diretti delle sue fortune, che io avrei gestito fino alla maggior età. A me restavano possedimenti, terreni da cui ricavare profitti e beni patrimoniali di valore considerevole, come la villa a Etretat, Palazzo Recamier a Parigi e la villa in campagna. Come sospettavo, Leopold aveva previsto un discreto vitalizio anche per Margot, frutto di una relazione adultera, riconosciuta come figlia legittima a tutti gli effetti. Madame Lisette De Marchard non era presente alla lettura del documento, e probabilmente tuttora ignorava la morte di Leopold, ma c’era una lettera del notaio pronta per lei; zia della bambina, era stata nominata tutrice legale della piccola, e in quanto tale, era affidata a lei la gestione dell’eredità di Margot. In quel frangente, trovai inutile oppormi alla questione, e oramai non aveva alcuna importanza per me. Inaspettatamente, la situazione di Madame Marchard suscitò in me sincero compatimento; dopo tutte le strategie adottate per garantirsi una posizione sicura accanto a Leopold, si ritrovava sola, con una nipote da allevare, orfana di entrambi i genitori. Questi sono gli imprevisti dell’esistenza, che arrivano a scombinare ogni progetto umano.

 

 

Io rispettai i giorni consueti del lutto, e per un po’ non lasciai la villa, ma Tristan non sospese le sue visite, che si intensificarono. Mi faceva piacere averlo accanto in un momento come quello; purtroppo André mi trascurava lasciandomi sola di frequente, e quando insistevo perché mi rimanesse vicino, lo faceva dissimulando un certo sforzo, un’impazienza che mi allarmava.

“Ti prego André, sono giorni che ti allontani senza dirmi nulla; sono preoccupata. Che cosa ti accade? C’è qualcosa che non va? È per quello che è successo a Leopold?”

“No, Danielle, non è per quello. Sì, la morte di Leopold ha gettato un po’ tutti nel panico, ma io sono lo stesso uomo di sempre. Vedi, è che a volte ho bisogno di restare solo…”

“Solo? Perché?” chiesi con un tremito sorpreso nella voce.

“Mi aiuta a pensare.”

“A cosa pensi, quando non sei con me? Posso saperlo, André?”

“Al futuro, Danielle.” Mi rispose socchiudendo gli occhi, restituendomi l’espressione malinconica che da qualche tempo leggevo sul suo volto. Era appoggiato con le mani al davanzale e la schiena rivolta verso il vetro di una delle grandi finestre del corridoio che correva sul lato sinistro, io ero in piedi di fronte a lui. C’era una nota triste nella sua voce, e l’espressione distante lo portava in altri luoghi, accanto a ricordi che non mi appartenevano.

In quell’istante, con violenza realizzai la realtà con sgomento: Oscar era ancora fra noi, e io mi ero cullata nell’illusione che l’avesse dimenticata. Le mie labbra tremarono. Non sapevo se era sdegno o delusione quello che mi fece parlare con durezza.

“Un futuro che non comprende me…” dissi amara e André non risposte. E quel silenzio, quasi una conferma, mi costrinse a fare la domanda che poteva sconvolgere la mia vita.

“Ho bisogno di saperlo: dov’eri quella notte, quando Leopold è morto? Sei rientrato alla villa solo la mattina dopo. Non ti sto accusando, ma voglio sapere la verità. Dove vai, che cosa fai, quando non sei con me? Hai incontrato qualcuno quella notte? Ti prego André, quest’incertezza mi sta uccidendo!”

Per quanto avessi provato a nasconderla, André percepì la mia rabbia. E si affrettò a placarla nell’unico modo che avrebbe funzionato in quel momento. Mentendo. Non ero ancora pronta ad accettare la verità, anche se il mio inconscio già la conosceva.

Si alzò in piedi di fronte a me, come se volesse dare maggior forza alle sue parole.

“Mi vergogno quasi a dirtelo Danielle, ma… quella notte mi sono ubriacato così tanto, che non sono stato capace di rimontare in sella per tornare a casa. Sono crollato svenuto su un cumulo di sacchi, sul retro della locanda dove ero andato a bere. – Esitò impacciato. - Era da tempo che non mi capitava una cosa del genere… l’ultima volta che è accaduto… ero con Oscar in una stamberga di Parigi…”

Il nome di mia sorella mi esplose nella testa come un boato.

André pareva averla nominata casualmente, e io volli credere che fosse così.

Avevo dei ricordi confusi di quella mattina; sgomenta e impressionata, tutta la mia attenzione in quelle ore concitate era stata assorbita dalla tragedia, dalle parole del medico che pronunciava la sua sentenza. C’erano state lettere da scrivere, decisioni repentine da prendere, i funerali da organizzare. Non ricordavo se André avesse i postumi di una sbornia, ma era possibile che non mi fossi accorta di nulla, e lui si era prodigato ad aiutarmi come poteva.

Se ciò che mi aveva appena raccontato, fosse una bugia pietosa detta per non ferirmi, io l’accolsi con estrema gratitudine. Presi per buone le sue parole, perché non c’era altro che io volessi sentire o sapere. Non c’erano verità dolorose che volevo scoprire in quel momento.

Gli sorrisi rasserenata, tranquillizzata da una giustificazione che allontanava il mio terrore più grande: essere abbandonata dall’uomo che amavo.

 

Ninette venne ad interromperci per annunciarmi la presenza di un ospite; Tristan era in salotto e attendeva che lo incontrassi. Salutai André che prima di allontanarsi con discrezione, si accomiatò con una frase che mi lasciò di stucco.

“Ti lascio in buona compagnia. Quell’uomo meriterebbe un po’ della tua considerazione, lo sai, Danielle? Dovresti dargli una chance.”

Io raggiunsi Tristan ripensando alla strana affermazione di André. Sembrava buttata lì, ma non lo era affatto. Non era la prima volta che André pareva volermi spingere tra le braccia di Tristan. Mi incoraggiava, ma non volevo accogliere i suoi inviti, né comprenderli veramente per ciò che erano. In realtà, non potevo farlo: ero chiusa ad ogni altro slancio del cuore che non fosse il palpito sottile e ostinato che sentivo per lui.

Al mio ingresso nella stanza, Tristan mi prese le mani e mi salutò con un gran sorriso, e il fatto che fossi ancora in lutto non pareva interessarlo granché.

“Contessa, vi trovo affascinante come sempre, anche se questo triste aspetto da corvo non è degno della vostra bellezza.” Disse, indicando il mio lucido abito nero. Io trattenni a stento un risolino che affiorò spontaneo alle mie labbra. Il suo fare dissacrante mi disarmava sempre e mi metteva di buonumore.

“Voi proprio non credete che io possa essere sinceramente dispiaciuta per la morte di mio marito, vero? Mi credete così insensibile e superficiale? Era pur sempre il padre dei miei figli, Tristan…” lo rimproverai bonariamente.

“Sì, ed è questa l’unica cosa che davvero vi rattrista, e in tal senso, non dico che il vostro cordoglio non sia sincero. Dico solo che il lutto non vi si addice, ed è falso se non lo portate nel cuore. Levatevi quell’abito nero, e senza timore, fate vedere al mondo ipocrita chi è la vera Danielle, la donna solare amante della vita che siete, Madame. Inutile chiudersi in casa per un dolore che non si sente. O devo credere che non avete il coraggio di sfidare delle stupide convenzioni formali?” domandò, appoggiando un gomito alla cornice di marmo di Carrara del camino, e incrociando le lunghe gambe fasciate in pantaloni blu notte.

“Di coraggio ne ho da vendere, Tristan, e da domani tornerò ad indossare i miei abiti di seta color pastello che mi piacciono tanto!” dissi risoluta, e con un certo entusiasmo.

“Oh, questa è la Danielle che mi piace… - esclamò convinto - la Danielle che amo di più.”

“Avete proprio ragione Tristan, – dissi accomodandomi su una sedia. – Sono stanca di recitare la parte della vedova addolorata. La mia vita continua, e forse ora mi trovo nella condizione insperata di poterla realizzare completamente. Sapete anche voi, quanto il mio matrimonio fosse per me fonte d’insoddisfazione, ma ora sono una donna libera, e voglio trarne il massimo vantaggio.”

“Libera e spregiudicata. Cosa farete adesso?”

Il suo sorriso era incoraggiante e mi lasciai trascinare dai miei sogni ad occhi aperti, quasi dimenticando le terribili preoccupazioni che avevano scandito le mie ultime giornate.

“Oh, ci sono tante cose che mi piacerebbe fare: viaggiare, vedere posti sconosciuti, fare letture interessanti e istruttive che non siano i soliti romanzi femminili che parlano di eroine indifese e cavalieri senza macchia. Ampliare la mia mente e il mio cuore, amare, vivere con passione ed entusiasmo la vita. E sarà ancora più bello fare tutte queste cose con la persona giusta con cui poterle condividere. In tal senso io credo di essere molto fortunata.”

Mi ero alzata dalla sedia, trasportata dalla mie fantasie. Avevo fatto un giro su me stessa in un turbinio di sottane, e mi ero fermata con le mani incrociate dinanzi a lui. Tristan mi guardava serio e rapito, lo sguardo attraversato da una luce calda e intensa, che m’inchiodò dov’ero. Si avvicinò a me in silenzio.

“Danielle…”

Il mio nome pronunciato in un sospiro, all’improvviso mi fece tremare il cuore.

“Io vorrei tanto poter essere quella persona giusta di cui parlate… - Quando sentii il suo braccio saldo circondare con trasporto la mia vita era ormai troppo tardi per fermarsi e tornare indietro. - Sarei la vostra ombra, Danielle… - bisbigliò roco a pochi centimetri dal mio viso - un’ombra innamorata e felice di seguirvi ovunque…”

Prima che potessi fermarlo, o rendermi conto di ciò che stava per accadere, sentii il suo alito caldo e dolce contro le mie labbra. La sua bocca era esigente, ma non aggressiva. Mi accarezzò con delicatezza, inducendomi ad arrendermi al suo assalto, e le nostre bocche si fusero naturalmente in un bacio perfetto, morbido ed eccitante da togliere il respiro e annebbiare la ragione. Un bacio dolce, profondo e disperato. Un bacio che solo l’amore sa donare. Mi ritrovai stretta a lui, le mani arrese, inerti contro il suo petto che mi racchiudeva tutta, mentre percepivo le sue mani scivolare sulla mia schiena teneramente. Persi la cognizione del tempo, con la mente preda delle sensazioni di quel bacio che mi sembrò eterno. Quando lentamente ci separammo i nostri sguardi si incrociarono. Il mio doveva essere stupefatto, quello di Tristan era ancora offuscato dalla luce di un potente desiderio, che mi sconvolse oltre misura. Mi scostai brusca da lui, respingendo il suo abbraccio. Imbarazzata, il petto ansante, mi girai per non guardarlo, e portai le mani al volto: sentivo le guance arrossate e calde.

“Perdonatemi Tristan, io non…”

“No Danielle, perdonatemi voi per la mia audacia… non volevo turbarvi…” si affrettò a dire, cercando di tornare padrone di sé. Ma dal tremito convulso della sua voce percepivo che fosse sconvolto, forse più di me.

“No… no, Tristan, scusatemi voi… scusatemi, vi prego. Io non posso ricambiarvi… lo sapete, io…”

“Non dite niente, Danielle. Vi prego, ascoltatemi solamente. Io so che siete innamorata di un altro uomo, ma questo non cambia quello che sento per voi. Io vi amo con un trasporto tale che non riesco più a resistervi… e non ho mai provato nulla di simile per nessuna, prima d’ora.”

Mai avevo sentito prima, dichiarazione d’amore più appassionata: era autentica, struggente e piena di tormento. Arrivava dritta al cuore.

“Tristan, io…”

“Lasciatemi finire, vi prego. Perdonatemi se sono costretto ad essere brutale, e dirvi quello che non vi piacerà, ma questo amore mi spinge a proteggervi, prepararvi ad una pena che sarà più grande; se potete, non concedete troppo ad un’illusione, perché alla fine vi farete solo male Danielle. Una donna come voi, non dovrebbe mai elemosinare l’amore di un uomo. [1] Chi non vi vuole non vi merita, in nessun caso. André non può ricambiare quello che sentite per lui, perché il suo cuore appartiene ad un’altra, e voi sapete che è così, anche se vi sforzate di ignorare la cosa.”

“Cosa dite?”

Abbassai le mani e alzai lo sguardo su di lui sgomenta.

“La verità, Danielle. Non chiedetemi come lo so… Lo so e basta. È stato sufficiente guardare André negli occhi, e lo sguardo non mente. André è sinceramente affezionato a voi, ma non può amarvi, non come voi vorreste. E un giorno, neppure troppo lontano, sentirete questa verità dalle sue stesse labbra.”

“Oh…”

Come poteva sapere? E cosa sapeva Tristan?

Percepii qualcosa che si strappava dentro di me, come se la tela che ricopriva il mio cuore si lacerasse. Non trovai la forza di obbiettare alcunché. Restai in silenzio, schiacciata da un’emozione che era un languore straziante. Non c’era nulla che potevo dire, senza offendere con la menzogna più povera, la forza di quel suo amore che mi stava rivelando senza difese o riserve.

Un amore capace di gridare la verità più impietosa.

Glielo dovevo, per rispetto, e lo ascoltai fino alla fine, seppur con gran difficoltà, perché l’amore che sembra non corrisposto fa sempre male, anche per chi lo riceve.

“Io non so se voi ricambierete mai quello che sento, ma ve lo offro lo stesso, perché altro non posso fare. Se voi mi chiamerete, io verrò Danielle. Se avrete bisogno di me, io sarò al vostro fianco. E se arriverà il giorno meraviglioso in cui scoprirete di amarmi, come io vi amo, con passione e tenerezza infinite, ringrazierò il Cielo di avervi messa sulla mia strada, quel giorno che spaventaste il mio cavallo.”

Non aggiunse altro.

Tristan si piegò in un lieve inchinò, prima di allontanarsi con una mestizia che scoprivo nuova in lui. Quanto doveva essergli costato quello sfogo supremo; aveva svuotato il suo cuore e doveva sentirsi più leggero. Ero io che mi sentivo pesante. Portai una mano al seno come se dovessi fermare il tumulto che mi possedeva, e mi abbandonai sulla sedia vicina, stremata. Il gomito appoggiato al bracciolo, portai la stessa mano alla tempia, ancora incredula e sconvolta, mentre sentivo inumidirsi i miei occhi.

Mi dispiace tanto, Tristan, pensai. E piansi di sincera e profonda pena per lui, e lacrime amare e salate, mai versate così per nessun amore felice o infelice, bagnarono le mie guance.

 

 

 

§§§§§§

 

 

 

 

Le lenzuola sfatte di cotone un po’ ruvido accoglievano i corpi mollemente abbandonati contro i cuscini. La luce di quel tardo pomeriggio filtrava dalle imposte accostate, e lasciava la stanza umile e spoglia in penombra.

Oscar sedeva appoggiata contro il petto di Andrè, la camicia ancora addosso slacciata sullo scollo profondo che rivelava l’incavo delicato dei seni. Nella foga dell’assalto amoroso, si erano presi con una tale urgenza che non aveva fatto in tempo neppure a toglierla. Le gambe erano nude, una piegata, e l’altra abbandonata sul materasso parallela a quella di Andrè.

Lui ogni tanto giocherellava con i suoi capelli, che spostava di lato per baciarle e lambirle la linea sinuosa del collo, per scendere sulla spalla lasciata seminuda della manica della camicia che scivolava maliziosa su un braccio.

“Sei pensierosa…” disse sfiorandole la vita sotto i lembi della stoffa di lino, per interrompere un silenzio che perdurava da diversi minuti.

Lei annuì, senza replicare, mentre lui spostava l’altra mano e intrecciava le dita con quelle di lei.

“Prova a dirmi a cosa pensi, o vuoi che gioco ad indovinare?”

Lei sospirò e appoggiò le loro mani intrecciate sul ginocchio della gamba piegata. Non pareva avesse voglia di parlare, forse perché quello che doveva dirgli non era bello.

“Avevo chiesto una breve licenza a Sua Maestà, ma è oltre un mese che sono qui. Devo tornare, e riprendere il mio servizio a corte. Non posso lasciare tutte le incombenze a Girodelle.”

André sospirò, consapevole del reale motivo per cui glielo stava dicendo; era il suo modo di dirgli che non avevano più tempo. C’era dell’altro, ne era sicuro, e doveva essere ben più grave.

“Vuoi parlarmi delle tue indagini?” le chiese, infatti. Lei non si sorprese.

“Ho rintracciato lo speziale. Ho parlato con lui, André. All’inizio non voleva sbottonarsi, ma quando gli ho prospettato un’accusa d’omicidio e la conseguente pena capitale, ha cantato subito.”

Lui trattenne il respiro, senza quasi accorgersene.

“Davvero Oscar? E cosa hai scoperto? Sai chi è stato a commissionare il veleno?” chiese André, apparentemente tranquillo, ma l’ansia divorava anche lui.

“Sì, ma questo non ci sarà d’alcun aiuto; - Oscar fece una pausa prima di proseguire emettendo un sospiro prolungato. - È stato Leopold in persona a procurarsi il veleno, per uno scopo preciso. E ha pagato profumatamente il silenzio dello speziale che doveva mantenere il segreto.”

Alla rivelazione, per alcuni secondi, André fu quasi incapace di ribattere.

“Che cosa? Ma questo significa che…”

“Significa che Leopold è morto per un tragico errore, e il veleno, in realtà, era destinato ad un’altra persona…” sentenziò, con una freddezza che era ben lungi dal provare.

Oscar si era voltata verso di lui e lo guardava da sopra una spalla. Lui la ricambiava ad occhi sbarrati, mentre una terribile intuizione si faceva largo nella sua mente.

“Ho quasi paura a chiedertelo, Oscar…”

“Non so cosa sia successo, non riesco davvero ad immaginarlo; l’unica spiegazione plausibile è che Leopold sia caduto vittima del suo stesso piano. - Ma c’era una verità ben più terribile che Oscar era restia a rivelare, come se le parole potessero concretizzarla. - André, credo che in realtà, fossi tu, la persona che egli volesse uccidere… per fortuna, quella notte l’hai passata con me…”

Lo disse come se fosse una liberazione, uno strazio da cui sgravarsi l’anima.

Lesse un guizzo improvviso animare i suoi occhi verdi e indovinò cosa gli stesse passando per la testa; lui aveva tentato di resisterle, di fare ritorno alla villa, e adesso restava il sollievo per lo scampato pericolo, una strana paura confusa con la passione che tornava ad accendersi. Accostarono le loro fronti in un muto sostegno. Restarono così per un po’, sfiorandosi ogni tanto le labbra.

Quando Oscar parlò fu con un sussurro delicato, ma intriso di tristezza.

“Lo so che non vorresti, ma non possiamo rimandare ancora; dobbiamo parlare con Danielle e provare a capire cosa è accaduto davvero quella notte…”

André si arrese a ciò che era inevitabile.

“Come vuoi tu, Oscar, ma non pensiamoci adesso, ti prego…”

La strinse forte, circondandola con le sue braccia, prima di riprendere a baciarla di nuovo.

La trascinò accanto a sé sui cuscini, facendo aderire i loro corpi, e finalmente, le sfilò la camicia bianca che finì per terra accanto al bordo del letto. Restava ancora da vivere qualche ora d’amore, prima di un risveglio che sarebbe stato brusco e amaro per tutti.

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

Eccomi!!

Capitolo un po’ inaspettato nello sviluppo, ma non troppo. La morte di Leopold si tinge di giallo, anche se è un’idea fulminante partorita proprio all’ultimo momento. Avevo pensato di liquidarlo con un malore, e via… invece… la mia testolina si è messa pericolosamente in moto, e ammetto che un po’ sono stata influenzata dal commento di Emerald77, e tutte le sue domande mi hanno fatto riflettere e immaginare uno sviluppo diverso da quello iniziale. La ringrazio anche per avermi concesso di usare la sua frase che trovo perfetta in bocca a Tristan.

Io credo che questo sviluppo sia migliore, almeno spero. Mi direte se vi è piaciuto.

Anche il bacio tra Tristan e Danielle non era previsto, ma mentre scrivevo l’immagine si è imposta e ho seguito l’istinto. Spero mi abbia suggerito bene.

Grazie sempre per tutto il sostegno che mi date con i vostri commenti, per me preziosi e stimolanti. Siamo davvero in dirittura d’arrivo, ormai… forse un paio di capitoli o tre, non so ancora, e questa storia sarà davvero conclusa. Un saluto, Ninfea.

 

 

 

 



[1] Questa frase che sintetizza i sentimenti di Danielle, mi è stata suggerita da un commento di Emerald77 che ringrazio. Credo sia perfetta, e io ho deciso di utilizzarla, dopo averle chiesto il permesso naturalmente.

   
 
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