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Autore: Felix_Felicis00    04/10/2015    5 recensioni
INTERATTIVA - ISCRIZIONI CHIUSE!
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***
Dalla storia:
Tutto era pronto ormai.
Le telecamere erano state inviate ai distretti, con gli accompagnatori e la troupe televisiva.
I nomi, scritti su foglietti di carta, erano nelle bocce.
Le piazze erano state abbellite da stendardi colorati.
I ragazzi dai dodici ai diciotto anni erano stati radunati all’interno di zone delimitate da funi e contrassegnate a seconda dell’età, i più grandi davanti e i più piccoli dietro.
Ogni cosa era preparata, i trentesimi Hunger Games stavano, finalmente, per iniziare.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Strateghi, Tributi di Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Desideri e speranze

Alvin Lorcan Theroux – distretto 1


Alvin stava aspettando di essere chiamato dagli strateghi per la sessione privata. Sarebbe stato il primo e doveva fare buona impressione se voleva che si ricordassero di lui.
Strinse tra le mani il suo portafortuna: era un medaglione che sua madre, Elith, e suo padre, Caleb, avevano creato insieme, erano infatti due orafi. All’interno dell’involucro d’oro c’erano quattro gemme , una per ogni membro della famiglia, una ametista per la madre, un topazio per il padre, un rubino per Alvin e un topazio per il fratellino, Lowell.
Al pensiero di Elith, dovette stringere i pugni per evitare che una lacrima gli rigasse il viso. La madre li aveva infatti lasciati e si era trasferita a Capitol City, quando non si era più sentita in grado di reggere il peso delle malelingue. La famiglia Theroux era infatti soggetta alle prese in giro e alle risate di scherno dell’intero distretto, poiché Caleb, al tempo della sua mietitura, non si era offerto volontario per nessuno dei due fratelli minori che erano stati estratti. Da allora l’immagine della famiglia era stata macchiata e lui soprannominato “il codardo”. Alla donna questo all’inizio non importava, ma dopo anni di pettegolezzi contro di loro, decise, malgrado li amasse, di andarsene. Erano questi i due motivi per cui Alvin si era offerto volontario: riscattare il nome della famiglia e rendere orgogliosa la madre, così che forse sarebbe tornata a casa.
Fu chiamato ed entrò nella stanza dove, sul fondo, c’erano gli strateghi, che guardavano scettici. Alvin prese un respiro profondo, si fece coraggio  e iniziò la dimostrazione chiamando tre istruttori per combattere contro di loro. Erano alti e muscolosi, ma il ragazzo non si spaventò. Cominciò a sferrare una serie di pugni al primo, colpendolo ripetutamente sull’addome, mentre quello cercava inutilmente di difendersi. Alvin riuscì a colpirlo sul viso e un fiotto di sangue gli sgorgò dal naso, approfittando della distrazione, lo colpì ancora una volta in faccia e poi lo buttò a terra. Il secondo era più forte, ma lento nei movimenti e il ragazzo si sbarazzò di lui in poco tempo e venendo colpito solo un paio di volte. Con il terzo fu più difficile: era veloce, ma non abbastanza. Alvin gli tirò un calcio, colpendolo alla coscia, ma l’uomo gli sferrò un pugno sulla guancia, facendogli voltare la testa di lato. Il ragazzo attaccò nuovamente colpendolo sul mento e facendogli perdere leggermente l’equilibrio. Approfittando di questo gli rifilò un calcio in pancia e poi un pugno sulla guancia e l’uomo cadde a terra.
Gli strateghi lo fissarono sorpresi, ma poi lo congedarono senza tante cerimonie e il ragazzo se ne andò con un sorriso soddisfatto sul volto.


Allison Thomas – distretto 7

Allison entrò nella stanza riservata alle sessioni private un po’ titubante. Attorno a lei c’era ogni arma possibile e immaginabile, c’erano anche bersagli e manichini che si potevano colpire. Lanciò un’occhiata agli strateghi, che la stavano guardando con un ghigno. Suo padre l’aveva avvertita che l’avrebbero osservata più degli altri, in quanto figlia di un mentore e  avrebbero voluto vedere cosa era in grado di fare. L’avrebbero senz’altro paragonata al padre e sarebbero stati più severi con lei. Anche se questo non glielo aveva detto, lei sapeva che non l’avrebbero fatta uscire facilmente dall’arena: era raro vedere due vincitori della stessa famiglia.
Allison, però, non era spaventata: lei ci avrebbe messo tutta se stessa per uscire da lì e per tornare a casa.
Quando Jane, una sua carissima amica, morì nei ventottesimi Hunger Games, lei, la sua migliore amica e il suo fidanzato iniziarono ad allenarsi di nascosto in caso uno di loro fosse stato estratto. Si erano infatti promessi che nessun altro dei loro cari avrebbe perso la vita in quei giochi. Rimpiangeva di non avere avuto prima quell’idea, forse Jane, allenata, sarebbe potuta tornare a casa. Ora però lei era lì, allenata e pronta a vendicare la morte della sua amica.  
Ricambiò il ghigno degli strateghi con uno sguardo determinato, poi afferrò qualche coltello dalla lama appuntita e, da una decina di metri di distanza, lo scagliò verso il bersaglio, colpendolo esattamente nel centro. Ne lanciò uno verso un manichino e lo trafisse dove ci sarebbe dovuto essere il cuore, poi colpì uno sulla testa e infine in mezzo alla gola. Constatò che questo era ancora troppo poco e allora si bendò con uno straccio nero trovato nella stanza, ora non poteva vedere niente, ma aveva memorizzato dove fosse il manichino. Prese un respiro e, dopo qualche attimo, tirò cinque coltelli.
Si tolse la benda ansiosa e non poté fare a meno di sorridere ammirando il risultato: aveva creato una “A” sulla pancia del manichino. Lo voltò verso gli strateghi e notò che qualcuno stava sorridendo. La congedarono e uscì dalla stanza: sapeva di averli sorpresi.
Non voleva sembrare arrogante, ma voleva solo dimostrar loro che non si sarebbero sbarazzati facilmente di lei, che avrebbe combattuto e che era coraggiosa, proprio come suo padre.  


Cornelia Banks – distretto 1

Cornelia era in salotto con il compagno di distretto, i mentori, gli stilisti e l’accompagnatrice. Erano tutti sul divano in attesa che mostrassero alla televisione i punteggi delle sessioni private.
Alvin si stava torturando le mani, probabilmente era agitato. Lei, invece, era tranquilla, non le importava del suo punteggio, né di tutte le cose prima dell’arena. Per lei erano tutte sciocchezze che Capitol City faceva solo per mostrare i tributi alla gente e agli sponsor, così da attirare più pubblico e guadagnare più soldi. Ma a nessuno importava veramente di loro. Ognuno sceglieva una persona per cui tifare e se vinceva bene, se no avrebbe sperato di indovinare il vincitore nell’edizione successiva.
A Cornelia non interessava tutto ciò, non le interessava di avere degli sponsor, di piacere alla gente, che qualcuno tifasse per lei. La ragazza voleva solo entrare nell’arena e uccidere. Uccidere legalmente. Quanto le piaceva torturare le sue vittime, vederle implorarla di smettere, vederle piangere, pregare e morire lentamente e dolorosamente. Aveva ucciso tre volte in tutta la sua vita: la prima vittima era stata un ragazzo. Avevano avuto un combattimento non autorizzato nell’accademia, ma finì male e lei perse il suo occhio sinistro, che dovette sostituire con uno di vetro. Avere i segni di una sconfitta sulla faccia le portavano grande rancore e allora lo uccise, ma non riuscì a placarlo nemmeno con la vendetta. Le sue altre due vittime furono due ragazze che erano entrate in competizione con lei. Le autorità del distretto chiusero i casi, ma Cornelia era sicura che ci fosse ancora qualcuno che sospettasse di lei, ma nessuno aveva il coraggio di dirlo.
La ragazza non aspettava altro che entrare nell’arena e poter uccidere di nuovo. Poco le importava di vivere o morire, lei voleva solo uccidere.
Aveva anche un altro motivo per cui si era offerta volontaria: dimenticare i suoi problemi. Aveva una malattia genetica alle ossa, per questo era alta due metri e sette e aveva una speranza di vita attorno ai trentacinque anni. Inoltre, fin da piccola era infatti sempre stata presa in giro per il suo aspetto, che non rispettava certamente i canoni di bellezza del distretto 1, aveva sviluppato rabbia repressa per anni e, da bambina timida e remissiva, era diventata egoista, sadica, irascibile, crudele e persino folle. L’avevano cambiata. Era solo colpa del mondo crudele in cui viveva.
A riscuoterla dai suoi pensieri fu l’accompagnatrice, Helena Wilson, che le comunicò che stavano trasmettendo i punteggi.

Distretto 1
Alvin Lorcan Theorux: 10
Cornelia Banks: 9
Distretto 2
Merian Oleg: 10
Isabelle Hadlington: 8
Distretto 3
Riven Cole: 2
Kathleen Vince: 3
Distretto 4
Michael Waves: 8
Elaine Claythorne: 9
Distretto 5
Nigel Collins: 4
Alexia Black: 6
Distretto 6
Jace Eaton: 5
Kaya Patel: 7
Distretto 7
Mark Roberts: 2
Allison Thomas: 9
Distretto 8
Vegas Ghellow: 7
Reylen Sheed: 8
Distretto 9
Jake Sander:7
April Joyce: 5
Distretto 10
Jack:9
Felicity Morrison:4
Distretto 11
Matthew White:6
Alexandra Green:5
Distretto 12
Blake Dawnson:7
Shanti Koyle:6



Michal Waves – distretto 4

Michael ed Elaine si erano divisi per la preparazione delle interviste: lui era in camera con la sorella, una dei due mentori, che gli avrebbe insegnato come sedersi, come camminare, persino come sorridere. La sua compagna di distretto, invece, si trovava in salotto con l’altro mentore, ovvero il padre di Michael.
Aveva una famiglia di vincitori e tutti si aspettavano che lui vincesse e ottenesse altra gloria, per questo il padre lo aveva obbligato ad offrirsi volontario, nonostante lui non volesse. Aveva perso una sorella, Coral, e anche una fidanzata, Mary, in quei giochi.
- Allora, Michael, quando starai seduto davanti al pubblico, dovrai cercare di stare diritto e di sorridere sempre, anche se. . . –
- Skye – la interruppe lui – lo so quello che devo fare e non voglio che me lo racconti adesso, visto che potrebbe essere l’ultima volta che parliamo da soli! –
- Non dire così! –
- Non negare la realtà: potrei non uscire da quell’arena. –
- Michael, ho già perso una sorella, non voglio perdere anche te! Non voglio avere un’altra persona sulla coscienza, non resisterei! – - Skye, se morissi, non sarebbe colpa tua – la rassicurò il fratello, mettendole una mano sulla spalla. Lei lo abbracciò e lui la strinse forte a sé.
- Ho paura – confessò lei, con il viso appoggiato sulla spalla del ragazzo.
- Anche io – ammise  - Ma ci proverò, proverò a vincere. Promettimi solo che, se non ci riuscissi, te ne andrai di casa e la smetterai di farti comandare da nostro padre. Non voglio che lui influenzi più le nostre vite. Lui non deciderà più per nessuno. Promettimelo, Skye! – le disse, staccandosi dall’abbraccio.
- Te lo prometto – rispose la ragazza senza esitazioni. – È colpa mia, se mi fossi rifiutata per prima di offrirmi volontaria, forse né tu né Coral lo avreste fatto. Sarei dovuta andarmene e portarvi con me da qualche parte, al sicuro! –
- Non è colpa tua, non voglio che tu abbia sensi di colpa! Io ti voglio bene e te ne voleva anche Coral, nessuno ti ha incolpato della sua morte e, se accadesse, nessuno ti incolperà mai della mia! Le uniche colpe le ha nostro padre, non dimenticarlo! –
- Ti voglio bene, Michael! – disse, mentre le lacrime le bagnavano il volto.
- Anche io, Skye – le rispose, asciugandole con il pollice le guance.


Nigel Collins – distretto 5

La sera seguente ci sarebbero state le interviste e lui non aveva idea di cosa avrebbe parlato, ma soprattutto se ci sarebbe riuscito. Sarebbe riuscito a parlare della sua famiglia senza piangere? No. Sarebbe riuscito a parlare di Ashley, la sua fidanzata che era morta nei giochi senza che le lacrime gli bagnassero il viso? No. E di Peter? Avrebbe parlato di lui, l’amico che aveva perso sempre per colpa degli Hunger Games? No. Come avrebbe potuto? Sarebbe scoppiato in lacrime, lo sapeva.  Era sempre stato una persona emotiva, ma dopo la perdita di due delle persone più importanti della sua vita, aveva perso il sorriso. Raramente lo si vedeva allegro e felice.  
Diceva di essersi offerto volontario per loro, per vendicare le loro morti e per portare un po’ di soldi a casa. Ma ora si chiedeva se fosse davvero quello il motivo. Con una possibilità su ventiquattro di sopravvivere, si domandava se non si fosse offerto per la bassa probabilità di vincere. Forse desiderava smettere di soffrire. Non sarebbe stato così male in fondo.  No, a che cosa diavolo stava pensando? Lui doveva vincere, doveva uscire dall’arena e portare un po’ di soldi alla sua famiglia numerosa.
C’era un problema: per vincere bisognava uccidere. Ne sarebbe stato in grado? No. Il solo pensiero lo faceva rabbrividire, ma avrebbe dovuto farlo. Non voleva avere nessuno sulla coscienza, per questo lo avrebbe fatto solo nei casi di necessità estrema.
Alle interviste avrebbe sorriso, doveva farlo, per la sua famiglia. Desiderava che loro si ricordassero di lui come il ragazzo allegro che era prima. Quello che sorrideva sempre, che pensava positivo, che scherzava e  si divertiva. Non come il ragazzo triste e pensieroso. Voleva dimostrare loro che stava combattendo per tornare a casa, che non si sarebbe arreso facilmente. Per questo non poteva morire subito, doveva dare una speranza alla sua famiglia.
Chissà cosa stavano facendo ora? Magari suo fratello Frank era andato a trovarli con la moglie e stavano mangiando tutti insieme sul grande tavolo in cucina. Sperava che fosse così, non voleva nemmeno immaginare che in questo momento fossero chiusi in casa a piangere e a deprimersi. Non voleva che fossero tristi, non per lui.


Santhi Koyle – distretto 12

Santhi e suo padre, nonché suo mentore, si trovavano in salotto, dove avrebbero dovuto discutere sull’argomento di cui la ragazza avrebbe parlato nell’intervista di come l’avrebbe fatto, ma nessuno dei due aveva ancora aperto bocca. Erano seduti sul divano, a guardarsi semplicemente negli occhi.
- Papà, voglio che tu sappia che qualunque cosa succeda nell’arena non sarà colpa tua – iniziò la ragazza, con voce bassa.
- Santhi, farò il possibile per farti uscire da lì! – disse e poi continuò: - È così difficile vederti qui per me! Ci sono stato anche io e so quello che si prova. So che non è facile, ma sei una ragazza coraggiosa e in gamba, ce la puoi fare.  Solo una cosa: non arrenderti, se ti arrendi è finita! –
- Non mi arrenderò. Se morirò, lo farò combattendo. Se c’è una cosa che non voglio è che Capitol City e gli Hunger Games mi cambino. Voglio rimanere me stessa fino alla fine – disse e indicò la collana che portava al collo con la scritta “Always Myself”. – Voglio che tutti mi ricordino per quello che sono! –
- Non è certo facile rimanere se stessi, né dentro l’arena, né quando ne esci. Cambi, è praticamente impossibile evitarlo. Ogni anno sono costretto a venire qua e fare da mentore a due ragazzini, di cui so che almeno uno non ce la farà. Ogni sera gli incubi mi perseguitano, le facce dei ragazzi che ho ucciso o di quelli che non sono riuscito a salvare mi appaiono in sogno. Non puoi rimanere te stesso, ma puoi evitare di diventare ciò che Capitol City vuole.  -
Santhi annuì, incapace di pronunciare nessuna parola, mentre le lacrime le pulsavano agli angoli degli occhi, chiedendo di uscire. Lei però non voleva piangere, non davanti a suo papà. Doveva essere forte per lui e sembrava che anche l’uomo stesse pensando la stessa cosa, era facile capire che fosse sul punto di scoppiare.
- Promettimi solo che non mi dimenticherete – sussurrò la ragazza, mentre una lacrima le rigava una guancia.
- Mai. Non lo faremo mai, te lo prometto – rispose lui, ormai piangendo.
La figlia lo strinse in un abbraccio che il padre ricambiò. Santhi si ritrovò a cercare di imprimere ogni singola sensazione di quel momento nella memoria.
- Ci proverò, papà. Se non dovessi farcela, ricordati che ti voglio bene! – disse, ancora stretta a lui.
- Anche io, piccola. Anche io! –


April Joyce – distretto 9

Si guardò allo specchio: era davvero stupenda nel suo vestito verde. Era corto davanti e lungo dietro, aveva le spalline e una leggera scollatura. Dopo una giornata con lo staff preparatori, era finalmente pronta per l’intervista. Era agitata, sapeva che l’impressione che avrebbe fatto sarebbe stata molto importante per ottenere sponsor. Aveva ottenuto un misero cinque come punteggio e perciò, se voleva avere qualcuno a sostenerla, doveva fare una bella intervista.
Adesso April desidererebbe tanto avere un po’ della calma e della saggezza che caratterizzava la sua famiglia. Le sue sorelle e i suoi genitori erano infatti persone serie e disciplinate con una visione malinconica della vita, mentre lei era considerata la pecora nera. Era sempre stata una ragazza allegra, sorridente, esuberante ed energica, ma ora era solamente tesa e agitata.
Sarebbe riuscita a parlare senza fare brutte figure? No. Le brutte figure e lei andavano a braccetto. Quanto desiderava in questo momento assomigliare un po’ a sua sorella maggiore, Maurene. Era senza dubbio la sua sorella preferita, era riservata, ma avrebbe fatto di tutto per April. Le mancava così tanto! Desiderava parlarle e farsi consigliare da lei, ma non era lì e forse non l’avrebbe nemmeno più rivista. Solo il pensiero la fece rabbrividire.
Forse avrebbe dovuto stare più vicina alla sua famiglia, aiutarli di più nel lavoro, invece di andarsene in giro a procurarsi guai. Forse non sarebbe nemmeno mancata alla sua famiglia se fosse morta. Era un uragano vivente, ovunque andasse portava disordine e problemi vari. Quante volte si era cacciata nei pasticci con i Pacificatori? Forse sarebbero stati meglio senza di lei. Ma no, a che cosa pensava? Loro le volevano bene, nonostante si arrabbiassero spesso con lei, le erano affezionati e lei pure. Certo, capitava che li incitasse a lasciarsi andare un po’ e a divertirsi di più, ma voleva loro bene e le mancavano, uno per uno. Sperava solo che si sarebbero ricordati di lei, anche dopo la sua morte, che riteneva ormai certa.
Sospirò e poi sorrise allo specchio, ma il suo non era il solito sorriso allegro che aveva, era spento e quasi triste, esattamente come si sentiva lei in questo momento.
“April triste. Suona quasi come una barzelletta!” si disse, prima di entrare nella stanza con gli altri tributi che aspettavano di salire sul palco e essere intervistati.




SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutti!
No, non è un miraggio. Ho aggiornato davvero e sì, è passata solo una settimana e mezza. Fatemi un applauso, me lo merito!
Comunque, parlando del capitolo, spero che vi sia piaciuto e di aver rappresentato bene i vostri personaggi. Riguardo ai punteggi ho cercato di dare un voto in base a quello che mi avete scritto in abilità, al loro distretto di provenienza e al loro carattere, spero che siate più o meno d’accordo.
Il prossimo capitolo sarà sulle interviste e ancora non so bene come farlo, ma ci penserò. Spero di aggiornare presto, anche perché il capitolo dopo sarà sull’arena e io non vedo l’ora! A proposito, oggi ho riguardato i tributi che avevo scelto di far morire nel bagno di sangue e mi sono sentita troppo triste perché mi ero affezionata a ciascuno di loro :’(
Ho delle domande per voi e sarei felice se mi rispondeste in una recensione:
  1. Qual è il tuo tributo maschio  preferito (escluso il tuo)?
  2. Qual è il tuo tributo femmina preferito (escluso il tuo)?
  3. Qual è il tuo tributo preferito in assoluto (sempre escluso il tuo)?
  4. Qual è la tua alleanza preferita?
  5. Quali sono i tributi che ti piacciono di meno e che quindi vorresti morissero nel bagno di sangue? (so che è difficile questa)
Probabilmente ogni tanto vi farò ancora delle domande, quindi preparatevi, ma non siete obbligati a rispondere, solo se vi va :)
Okay, ho finito!
Un bacione a tutti,
Felix
  
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