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Autore: Water_wolf    05/10/2015    6 recensioni
ATTENZIONE: seguito di "Sangue del Nord", "Venti del Nord" e "Dispersi nel Nord".
Evitare la guerra tra Campo Giove e Campo Nord, impedire il risveglio di Gea, fermare l'avanzata di Ymir: normale routine per i semidei Alex, Astrid ed Einar. Eppure, è davvero così? La posta in gioco è sempre più alta. L'unica soluzione è una triplice allenza tra Greci, Nordici e Romani. Ma il compito è tutt'altro che semplice se braccati da quelli che pensavi alleati. E Roma nasconde molti più segreti di quanto si creda...
«Molto bene. In bocca al lupo, Lars. Mi fido di te. Che gli Dèi siano con te» mi augurò, sorridendomi. «Anche io mi fido di te… ma dubito che gli Dèi saranno con noi, visto quel che dobbiamo fare.» || «Perché sai che cosa succede ai personaggi secondari che provano a diventare degli eroi?» Non attese risposta. «Muoiono, Einar Larsen. Ecco, che cosa succede.»
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Annabeth Chase, Gli Dèi, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Cross-over, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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Alla deriva in un mare di ottimismo

♦Astrid♦
 
L’idea che mi ero fatta di Reyna non corrispondeva alla realtà. Jason ne aveva parlato all’intero equipaggio, assicurandoci che, se la figlia di Bellona era ancora un pretore, avremmo ricevuto un’accoglienza adeguata – invece che un’orda di mezzosangue romani pronti a trucidarci tutti ad aspettarci.
Si era sforzato di non cantarne le lodi, soprattutto per il bene di Piper, ma non ci era riuscito molto. Il tono che assumeva quando descriveva il suo temperamento, la persona meravigliosa che era, portava con sé un’amara nostalgia.
Essendo curiosa, gli avevo poi domandato in privato se l’avesse amata. I suoi occhi si erano scuriti e aveva voltato il viso da un’altra parte, la mascella serrata. Era quasi ora di cena e il sole stava tramontando, ma i suoi ultimi raggi illuminavano ancora la punta dei suoi capelli, facendoli diventare quasi color rame.
«Può darsi» mi aveva risposto infine, dopo un lungo silenzio. «Ogni volta che penso a lei, mi si stringe in cuore in una morsa, come se avessi lasciato qualcosa di incompiuto. Però, Era mi ha cancellato la memoria, e non mi resta che questa sensazione fantasma. Sono innamorato di Piper, ora, e non posso cambiarlo.»
Avevo annuito. Dopodiché, gli avevo dato un colpetto sulla spalla e avevo cercato di sdrammatizzare: «Be’, se è una delle ex assetate di vendetta che ti sei lasciato dietro, non ti preoccupare: ci sarò io a proteggerti.»
Non ce n’era stato bisogno. Reyna decisamente non voleva veder sanguinare il figlio di Giove lentamente. Non sembrava nemmeno un forte e rispettato pretore in carriera, destinato a grandi imprese. Appariva stanca. Un leader solo che doveva far fronte a troppi problemi tutti in una volta, sfiancato dalle responsabilità eppure sempre all’erta. Sicuramente non me l’ero immaginata così.
Nonostante ciò, indossava una maschera che nascondeva a quasi tutti le emozioni che provava e i pensieri che formulava. Quasi. Io ed Annabeth, forse perché era capitato a entrambe di indossare quella stessa maschera, intuivamo i suoi problemi. Persino Piper non era così cieca da non capire che, a ogni effusione che scambiava con Jason, la figlia di Bellona si irrigidiva.
Di certo lei lo amava, pensai. Oh, Dèi. Non solo. Lo ama ancora.
Considerato il suo punto di vista, la situazione era a dir poco deprimente. Il ragazzo di cui era innamorata scompariva – e io, già a questo punto, avrei iniziato a crollare –, non riceveva notizie su di lui fino al momento in cui “ehi, è vivo!”, poi lo vedeva tornare da lei – apice della felicità – e, infine, notava che stava con un’altra – parte in cui si discuteva l’opzione suicidio. Ma non solo: Jason non si ricordava di lei, soprattutto in quel modo. Tutti i ricordi di quel tipo legato a lei si erano volatilizzati grazie ai poteri della dea.
Non sapevo come facesse a trattenersi dallo strillare, ridere istericamente o piangere abbuffandosi di gelato. Il suo odio per Era doveva essere pari solo a quello di Annabeth, e il suo amore per Piper profondo quanto il mio.
Questo non era uno dei giorni migliori di Reyna, no di sicuro.
Scossi la testa un paio di volte, scacciando le riflessioni deprimenti sulla vita del pretore, e mi concentrai sul cibo. Fu facile. Sulla tavolata comparivano pietanze di tutti i generi, dalle patatine a biscotti appena sfornati, serviti da spiriti del vento di cui non mi sovveniva il nome.
Percy era già a buon punto della sua seconda pizza, fatto che mi fece sorridere. Quell’amorevole idiota mi era mancato, così come mi erano mancate le sue abbuffate di cibo blu.
Jason stava terminando il racconto dell’impresa cui aveva preso parte con Leo e Piper. «È stato alla Casa del Lupo che abbiamo saputo di Gea. Non si è ancora del tutto risvegliata, ma è lei la causa delle difficoltà che abbiamo a rispedire nel Tartaro i mostri che uccidiamo.»
«Già» intervenne la figlia di Afrodite. «È lei che sta facendo risorgere i giganti.»
Jason annuì. «Il loro re Porfirio, contro il quale ci siamo battuti, ha detto si stava si ritirando nelle antiche terre, in Grecia. Conta di risvegliare Gea e distruggere gli Dèi “estirpandoli alle radici”. Ha usato queste parole, mi pare.»
Percy smise di mangiare e annuì, serio. «Gea non si è data da fare solo con voi. Anche noi abbiamo avuto un piacevole incontro con lei.»
Attaccò a raccontare la sua storia, dal risveglio senza memoria alla Casa del Lupo al viaggio in Alaska con Hazel e Frank. Quando parlò di come non si ricordasse nulla eccetto un nome, Annabeth, la figlia di Atena dovette sbattere le palpebre alcune volte per evitare di piangere.
Trattenni un versetto che esprimeva il mio affetto per loro e strinsi la mano di Alex sotto il tavolo. Se Frig avesse provato a cancellare i ricordi del mio figlio di Odino, giurai che l’avrei legata, imbavagliata e cotta al forno fino a farla diventare bella dorata e croccante, come una patatina fritta.
Percy terminò il racconto narrando di come avessero liberato Thanatos, sconfitto Alcione, riportato l’aquila d’oro a Nuova Roma e respinto l’offensiva dell’esercito di giganti.
Alex fischiò. «Te la sei spassata anche senza di noi, vedo!» scherzò.
Percy ammiccò.  
«Wow, non c’è da stupirsi che ti abbiamo eletto pretore» fece Jason, ammirato.
Octavian, il biondino slavato con gli occhi da invasato e il collo da gallina, sbuffò. «E adesso abbiamo ben tre pretori. Le regole stabiliscono che possiamo averne soltanto due.»
«Considera il lato positivo» replicò Percy, rivolgendosi al figlio di Apollo. «Io e Jason adesso siamo entrambi tuoi superiori. Perciò, possiamo ordinarti in due di chiudere il becco.»
Mi misi una mano davanti alla bocca per non scoppiare a ridere, mentre i due semidei si davano il cinque e Octavian diventava viola. Einar stava sorridendo così tanto che non dubitavo gli stessero facendo male le guance, e persino Reyna si lasciò sfuggire un fugace sorriso.
«Dovremo affrontare in un altro momento questa questione del pretore in esubero» suggerì. «Adesso dobbiamo occuparci di problemi più importanti.»
L’augure dallo sguardo di un drogato ci riservò un’occhiata schifata. Già, perché eravamo noi il problema, secondo lui. Scommettevo che, in tutto il Campo Giove, non c’era nessuno desideroso di un pugno in faccia quanto lui.
«Io mi faccio tranquillamente da parte» disse Percy, appoggiandosi allo schienale della sedia, rilassato. «Non è questa gran cosa.»
«Non è questa gran cosa?» Octavian parve strozzarsi con le parole, tanto era sconvolto. «La carica di pretore di Roma “non è questa gran cosa”?»
Mi sporsi in avanti, appoggiando i gomiti sul tavolo. «Senti, Ciccio, “non è questa gran cosa” perché, mentre Gea è ancora per metà nel mondo dei sogni, il Padre dei Giganti dei Ghiaccio norreno è già sveglio, pimpante e molto, molto interessato a ucciderci tutti. Chiaro? O preferisci che ti faccia un disegnino?»
Octavian sarebbe balzato in piedi e mi avrebbe insultata pesantemente, se Reyna non l’avesse trattenuto per una spalla e Percy per l’altra, rispendendolo a sedere. La risata roboante di Johannes non contribuì certo a calmare le acque.
Alex mi stritolò la mano e forzò un sorriso rappacificatore. «Sì, il nostro problema è questo, più o meno. Astrid avrebbe potuto scegliere delle parole migliori, ovviamente. Non voleva urtare i sentimenti di nessuno. Certe volte è solo» ingoiò il “maledettamente” «impulsiva. Non è così, Astrid?»
Immediatamente, spuntò un sorriso anche sul mio viso. Ops. Forse avrei dovuto essere un tantino più delicata.
«Ma certo» chiosai. «Non fate caso al mio lessico inadeguato. Parlare non è il mio forte.»
L’intervento di Alex contribuì a far sbollire la rabbia di Octavian, anche se il romano continuava a borbottare cose in latino che non comprendevo. Se solo avessi potuto, gli avrei spezzato quel collo da gallina.
«Comunque» riprese il figlio di Odino, «credo sia opportuno chiarire chi è Ymir.»
L’apprensione di Percy crebbe visibilmente man mano che Alex raccontava, i suoi occhi erano solo per Annabeth che, invece, evitava di incrociare troppo a lungo il suo sguardo. Avevano molto da dirsi e questo non era il modo adatto a scoprire com’erano trascorsi i nove mesi di blackout.
«Questa è la nostra delegazione di pace» spiegò Alex, indicando velocemente tutti noi nordici. «Come non è difficile immaginare, con ben due giganti di cui occuparsi, una guerra tra Campi basata su meri rancori storici non è negli interessi né vostri né nostri. La tensione che c’è tra gli Dèi basta e avanza.»
«La storia dovrebbe insegnare a evitare di commettere gli errori passati» disse Octavian.
Mi rimangiai una rispostaccia, lasciando che fosse Lars a prendere parola. «Concorderai con me, allora, che ogni tipo di discriminazione, inclusa quella delle proprie origini, non è da ripetere. Giusto?»
Il figlio di Apollo serrò le labbra. «Giusto» sibilò, ritornando a concentrarsi sul contenuto del suo piatto.
Rivolsi a Lars, seduto al fianco destro di Alex, un ampio sorriso. Probabilmente, lui era l’unico veramente in grado di trattare con i Romani senza il minimo timore che dicesse qualcosa di errato.
Reyna era assorta nei suoi pensieri. «Scegliere se fidarci o meno di voi non è una decisione da prendere su due piedi. Credo sarebbe opportuno rimandare questa questione a più tardi» rifletté. «Per il momento, siete nostri ospiti.»
Alex chinò il capo in segno di riconoscenza. «Ti ringrazio a nome di tutto il Campo Nord.»
«Bene» disse il pretore, accennando un piccolo sorriso. «Ora possiamo passare alla Profezia dei Sette.»
«Noi la chiamiamo “la Grande Profezia”» precisò Annabeth. «In ogni caso, la conoscete anche voi.»
«Certamente. Octavian, l’hai imparata a memoria?»
«Naturalmente. Ma, Reyna…»
La figlia di Bellona non badò alla sua reticenza. «Recitala, per favore. Ed evita il latino.»
Octavian sospirò. Dopodiché, si schiarì la voce e intonò: «Sette mezzosangue alla chiamata risponderanno. Fuoco o tempesta il mondo cader faranno. Con l’ultimo fiato un giuramento si dovrà mantenere. E alle Porte della Morte i nemici armati si dovran temere
«Impressionante» commentò Einar con un ghigno, battendo piano le mani.
Il figlio di Apollo l’avrebbe volentieri incenerito. Farlo infuriare era troppo divertente, era impossibile trattenersi.
Alex tossicchiò. «Comunque, una parte della profezia si sta facendo più chiara. I nemici alle Porte della Morte sono i Greci e i Romani, o i Romani e i Nordici.»
«Già. Qui si vede l’importanza di un’alleanza tra Campi» confermò Annabeth. «Se vogliamo trovarle, dobbiamo unire le forze.»
Hazel, una dei nuovi amici di Percy, prese parola. Avrei sborsato un sacco di soldi per fare a cambio con la sua carnagione scura, invece che il mio pallore costante.
«Mio fratello Nico è andato a cercarle» esordì.
Il figlio di Loki si bloccò di colpo, quasi sputacchiando la Coca-Cola che stava bevendo. «Nico Di Angelo?» balbettò, ripulendosi il mento con il dorso della mano. «Capelli neri, occhi scuri, aria incazzosa? Lui è andato a cercare le Porte della Morte?»
Hazel annuì come se fosse ovvio. C’era qualcosa che non mi quadrava, ma decisi di non approfondire e lasciarla continuare.
«Sì. Lui è… scomparso.» La ragazza si inumidì le labbra. «Non ne sono sicura, ma ho paura che...»
«… gli sia successo qualcosa di male» completò Einar al posto suo, mortalmente serio.
Stringeva il bicchiere così forte che mi chiesi chi, tra lui e l’oggetto, sarebbe andato in pezzi per primo.
«Lo cercheremo» promise Percy. «In ogni caso, dobbiamo trovare le Porte della Morte. Thanatos ci ha detto che avremmo avuto entrambe le risposte a Roma. Quella vera, intendo. Così ci avvicineremo anche alla Grecia, no?»
«Ve l’ha detto Thanatos?»
Annabeth sembrava dover metabolizzare il concetto. Dopotutto, gli Dèi non erano proprio collaborativi.
Percy addentò l’ultima fetta di pizza. «Ora è di nuovo libero, e i mostri torneranno nel Tartaro normalmente. Però, finché le Porte restano aperte, continueranno a tornare indietro.»
«Quindi, dobbiamo trovarle e richiuderle prima di dirigerci in Grecia, se vogliamo essere in grado di sconfiggere i giganti e farli rimanere tali» ricapitolò Alex, facendo il punto.
Reyna prese una mela da un vassoio e se la rigirò tra le mani. Le sue unghie incidevano piccoli solchi a forma di mezzaluna sulla buccia rossa. «State ideando una spedizione suicida a bordo della vostra nave da guerra? Avete un’idea di quanto siano pericolose le acque del Mare Nostrum?»
«Il Mare che?» domandò Leo.
«Il Mare Nostrum» chiarì Jason, «è il nome che gli antichi Romani avevano dato al Mar Mediterraneo.»
«Ci saranno anche là mostri grandi e grossi che ci vogliono uccidere. E allora? Non li combattiamo da sempre?» intervenne Johannes.
Reyna si irrigidì. «Quella è la casa ancestrale dei nostri nemici più temibili. Per quanto sia pericoloso per ogni semidio viaggiare per l’America o la Norvegia, là lo è dieci volte di più.»
«Più sono grossi, più fanno rumore quando cadono» ribatté il figlio di Thor. «Per me non fa alcuna differenza. Non sono una femminuccia.»
Dritt. Gli avrei lanciato qualcosa addosso, pur di farlo stare zitto. Per fortuna, Nora, affianco a lui, lo trattenne dal lanciare frecciatine peggiori con un bel calcio negli stinchi.
«Ci avevi detto che anche l’Alaska era molto pericolosa» notò Percy.«Eppure, siamo sopravvissuti.»
Reyna scosse la testa. «Il livello di pericolo del Mediterraneo è su tutta un’altra scala.»
«Per i semidei romani è un territorio proibito da secoli» ricordò Jason.
«Nessun eroe sano di mente ci si avventurerebbe» concluse la figlia di Bellona.
Non sapevo se la loro sintonia mi desse sui nervi o mi affascinasse.
«Allora noi siamo perfetti!» esclamò Leo. «Siamo tutti pazzi, giusto?»
Sorrise in cerca del supporto di Einar, il suo compagno di scherzi preferito, ma il figlio di Loki era immerso in ben altri pensieri e non aveva l’aria di uno che vuole fare qualche battuta. La notizia della scomparsa di Nico l’aveva rattristato più di quanto mi sarei aspettata.
«Non importa. Per quanto pericolosa sarà l’impresa, dobbiamo sbrigarci» proseguì il figlio di Odino. «Il risveglio di Gea è imminente, e Ymir si sta dando parecchio da fare.»
«La Profezia parla di sette mezzosangue, però» intervenne Piper. «Dobbiamo mischiare tre progenie di semidei e scegliere quelli giusti. Non sarà facile.»
Corrugai la fronte. «Facendo mente locale, noi nordici non abbiamo una versione della Profezia dei Sette o Grande Profezia. Forse, per noi le cose sono diverse.»
«Può darsi» ammise Alex. «Quando troveremo la Corona di Odino, magari la situazione sarà più chiara. Ma partiremo comunque insieme a Greci e Romani.»
Su questo punto non c’era da discutere.
«Okay.» Annabeth sospirò. «Io, Piper, Jason e Leo siamo in quattro.»
«Poi ci siamo io, Frank ed Hazel» continuò Percy. «Insieme, siamo in sette.»
«Cosa?» scattò Octavian, alzandosi in piedi di botto. «E noi dovremmo accettarlo così, senza averne discusso accuratamente?»
Reyna lo zittì con un gesto della mano, come a voler scacciare via una mosca. La sua attenzione si era focalizzata su ben altro. «La Corona di Odino» ripeté, enfatizzando ogni sillaba. «Ho la sensazione che questa faccenda ci riguardi da molto vicino, Alex.»
Il figlio di Odino deglutì, incerto sulle parole da usare in quel frangente. Non poteva uscirsene con “esatto, Reyna! Secoli fa alcuni dei vostri soldati hanno rubato la corona di mio padre, che ora sta dando di matto. Ho già fatto notare che è tutta colpa vostra?”
Lars lo salvò prima che il silenzio si prolungasse troppo a lungo. «È un manufatto estremamente importante per Odino. Purtroppo, la sua corona è andata perduta all’epoca dei conflitti tra i nostri due popoli. Non essendocene traccia nell’area di controllo dei nostri Dèi, supponiamo possa essere nascosta da qualche parte qui in America.»
Gli occhi di Reyna brillarono colpiti da un raggio di luce. Ero sicura che avesse compreso tutti i sottointesi di quella conversazione. Peccato che l’avesse fatto anche Octavian.
«Ladri!» strepitò. «Ci state accusando di essere dei ladri! Noi, il fior fiore del popolo romano, dei criminali!»
«Octavian…» cercò di fermarlo Jason, in vano.
«Traditore!» gli sputò addosso. «Come puoi acconsentire a tutto questo? In che cosa ti hanno trasformato questi barbari?» aggiunse, rovesciando il suo bicchiere d’acqua sulla tovaglia.
La sua voce aveva raggiunto un tono troppo alto per le sue corde vocali, era così stridula che mi provocava dolore fisico. Mi massaggiai le tempie.
«Dèi» invocai, alzando gli occhi al cielo. «Puoi finirla di strillare come un maiale condotto al macello?»
Gli cadde la mascella. La sua bocca, ora, assomigliava a una D capovolta. Non si riprese abbastanza in fretta, però, perché Tyson piombò da noi.
«Percy!»
Stritolò il fratellastro in un abbraccio ciclopico. Dietro di loro seguiva la Signora O’Leary, sulla cui groppa si trovava un’arpia dall’aria malaticcia, con radi capelli rossi e il piumaggio dello stesso colore.
Terminata la calorosa riunione famigliare, Tyson fece un passo indietro ed annunciò: «Ella ha paura!»
«Ba-ba-basta barche» borbottò l’arpia sulla groppa del segugio infernale, prima di mettersi a elencare una serie di navi affondate, tra cui il Titanic.
Leo socchiuse gli occhi, guardando storto Ella. «Sbaglio o questa specie di pollo ha appena paragonato la mia nave al Titanic
«Non è un pollo» replicò Hazel, distogliendo lo sguardo dal figlio di Efesto, quasi avesse paura di lui. «È un’arpia. È solo un po’ ipersensibile, ma non fa del male a nessuno.»
«Ella è carina» aggiunse Tyson. «Dobbiamo portarla via, ma lei non vuole prendere una nave. Ha paura.»
«Niente navi» ribadì Ella. Il suo sguardo vagò sui presenti, scrutandoci tutti, prima di soffermarsi su Annabeth. «Sfortuna. Eccola qui. La figlia della Saggezza cammina da sola…»
«Ella!» Frank si alzò di scatto, un movimento parecchio fluido per uno della sua stazza. «Non credo sia il momento di…»
«Il marchio di Atena su Roma brucerà» continuò lei imperterrita, tappandosi le orecchie e alzando la voce. «Il respiro dell’angelo che ha la chiave dell’eterna morte, i gemelli soffocheranno, se lo vorrà la sorte. La rovina dei giganti si erge pallida e dorata, e sarà vinta col dolore in una prigione intricata.»
Le sue parole ottennero lo stesso effetto che aveva Hermdor sui semidei appena arrivati al Campo Nord: gettava su ogni loro conversazione una coltre di silenzio così fitta che la si poteva tagliare a fette, mentre ogni capello ti si rizzava in testa. La nostra tavolata era immersa in quello stato, sebbene i rumori del banchetto continuassero attorno a noi.
Percy fu il primo a riscuotersi. Prese il fratellastro per un braccio ed esclamò, fingendo entusiasmo: «So io cosa fare!» Iniziò ad allontanarsi. «Tyson, perché non porti Ella a prendere un po’ d’aria fresca? Magari anche con la Signora O’Leary…»
«Aspetta un attimo» lo fermò l’augure. «Sembrava stesse recitando una profezia.»
Già. Ella aveva decisamente pronunciato una profezia. Riguardante Annabeth. Cosa diamine stava succedendo?
«Ella legge moltissimo» si affrettò a dire Frank. «L’abbiamo appunto trovata in una biblioteca.»
«Sì!» confermò la figlia di Plutone di slancio. «Probabilmente era solo qualche testo estrapolato da un libro.»
Sì, certo, come no. E il secondo nome di Alex era Carciofo.
«Libri» borbottò l’arpia, adesso stranamente più rilassata. «A Ella piacciono i libri.»
Nonostante l’uscita felice di Ella, nessuno sembrava convinto di quella scusa.
«Quella era una profezia» insistette Octavian, dando voce al cruccio comune.
Annabeth scoppiò a ridere. «Davvero, Octavian? Forse le arpie sono diverse, qui da voi Romani. Le nostre hanno un cervello appena sufficiente per fare le pulizie e cucinare. Le vostre predicono il futuro? Le consulti per i tuoi auguri?»
Le sue parole ottennero l’effetto sperato sul figlio di Apollo, mentre il suo sguardo supplicante trattenne noialtri dall’indagare oltre. Incrociai le braccia. Quando saremmo state di nuovo sole, avrei preteso di venire messa a conoscenza di ogni dettaglio di quella storia e del perché me l’aveva tenuta nascosta.
«Percy ha ragione» intervenne Frank, con un tono di voce che mal si accordava alla sua figura da grosso panda. «Tyson, perché non porti Ella da qualche parte attraversando le tenebre con la Signora O’Leary? Ella che dice?»
«I cani grossi sono bravi cagnoni» mormorò l’arpia, cominciando a sciorinare una lista di libri riguardanti cani di grossa taglia.
Percy sorrise come se il problema fosse risolto ed esclamò: «Fantastico! Vi manderemo un messaggio Iride quando avremo finito. Ci vediamo dopo!»
Prima che Octavian potesse mettere becco anche in questa decisione, Reyna approvò con un semplice “va bene. Andate” che provocò la gioia di Tyson, il quale fece il giro dei divanetti e abbracciò tutti i presenti compreso Octavian, che sembrava più felice di me del pensiero carino.
«Bene.» La figlia di Bellona posò la mela sul tavolo, decisa a risolvere ogni problema rimasto. «Octavian ha ragione su un punto. Dobbiamo avere l’approvazione del Senato per inviare dei nostri legionari in missione, soprattutto per una missione pericolosa come quella che suggerite voi.»
L’augure, che purtroppo non era morto di accesso di dolcezza causa abbracci ciclopici, brontolò: «Tutta questa faccenda mi puzza. Quella trireme, poi, non è certo una nave pacifica…»
«Allora sali a bordo, amico» propose Leo. «Ti farò fare il giro. Potrai anche guidarla. E, se sarai bravo, ti regalerò un cappellino da capitano.»
Octavian dilatò le narici, sdegnato. «Come osi…?»
«Ottima idea» approvò Reyna. «Octavian, va’ con lui a controllare la nave. Convocheremo la seduta del Senato tra un’ora.»
Leo si alzò e fece un fischiò, e il figlio di Apollo fu costretto a seguirlo. Il sollievo che provammo dopo che se ne fu andato fu immenso.
Alex si schiarì la voce, attirando l’attenzione di Reyna. «Per la Corona di Odino… Non avete una biblioteca che possiamo consultare, per caso? Io e Astrid potremmo fare qualche ricerca a riguardo e poi visitare Nuova Roma, se è possibile.»
Il pretore annuì. «Certamente. Frank e Hazel possono indicarvi la strada.» Non li guardò neanche per assicurarsi che fossero d’accordo con lei, perché quelli erano ordini nascosti dietro una frase innocua. «Spero possiate trovare ciò che cercate.»
«Grazie» replicammo io e Alex in coro.
E quindi si prospettava un’uscita romantica a base di tomi antichi e semidei romani che ci odiavano a pelle. Irripetibile.
«Ehm… Reyna, se non ti dispiace, anche io vorrei portare Piper a fare un giro» disse Jason.
L’espressione della ragazza si indurì e Piper ebbe la decenza di guardare da un’altra parte. Mi chiesi come facesse il figlio di Giove a non accorgersi di ciò che provava Reyna. Gli avrei dato uno scappellotto solo per il suo sfoggio di stupidità.
«Ma certo» acconsentì Reyna, freddamente.
Percy prese la mano di Annabeth. «Be’, allora…»
«No» disse Reyna.
I due si accigliarono. «Come, scusa?» fece il figlio di Poseidone.
«Vorrei scambiare due parole con Annabeth» chiarì lei. «Da sola. Se non ti dà fastidio, Percy.»
Ma era evidente che non gli stava chiedendo alcun permesso. Annabeth era riluttante all’idea di passare del tempo con Reyna invece che col suo fidanzato, però non poteva rifiutarsi, così si alzò e la seguì.
Alex batté le mani. «Bene!» esclamò con forzato entusiasmo. «Lars, Nora, mentre io e Astrid indaghiamo, vi affido il comando. Controllate che tutto vada bene.» Sottointeso: che Johannes non scateni risse.
«Perfetto» annuì il figlio di Eir. «Va’ pure, Alex.»
Alex gli diede una pacca sulla spalla, dopodiché si alzò e mi prese per mano. Via alle ricerche!
 
 
∆Reyna∆

 
«Questo è il mio angolo preferito» dissi. «Il giardino di Bacco.»
Conoscevo quel posto a memoria. Tralci di vite formavano una tettoia ombrosa, perfetta per rilassarsi negli afosi pomeriggi estivi che, a volte, soffocavano il Campo Giove. Le api ronzavano tra i gelsomini e i caprifogli, che riempivano l’aria con i loro profumi inebrianti. Al centro della terrazza c’era una statua di Bacco in una posa di danza classica, cosa che, quando ero più piccola, mi faceva sorridere.
Mi fermai con Annabeth sul bordo della terrazza. Osservandola, seppi che pensava che la vista ricompensava ampiamente la fatica della salita.
La città che si stendeva sotto i nostri occhi appariva come un mosaico in tre dimensioni: le acque calme del lago splendeva sotto i raggi del Sole, più in là si notavano i templi dedicati agli Dèi e l’acquedotto, dove i nostri operai riparavano il tratto danneggiatosi durante lo scontro coi giganti.
La gioia della figlia di Atena nell’ammirare il panorama mi rendeva una madre orgogliosa della propria figlia. Ma c’erano questioni più importanti di cui discutere.
«Volevo saperla da te» esordii.
Annabeth si voltò. «Sapere cosa?» domandò.
«La verità» spiegai. «Convincimi che non sto commettendo un errore a fidarmi di voi, di tutti voi. Parlami di te, del Campo Mezzosangue e di come hai conosciuto i semidei del Campo Nord. Le parole della tua amica Piper sono intrise di stregoneria, dopotutto, ho trascorso abbastanza tempo con Circe per riconoscere una lingua ammaliatrice, quando la sento. Di certo non posso chiedere ad Alex, sebbene mi sembri a posto. E Jason…» Non pensarci, Reyna. Spingili via, quegli aghi. Scacciali, i ricordi. Non te ne fai niente. «E Jason è cambiato» ripresi. «Sembra distante, come se non fosse più tanto romano.»
Come se non fosse più tanto mio. No, no, non adesso. Non era il momento adatto. C’era tanto altro da fare, da programmare, per la sicurezza di Nuova Roma, tutte cose molto più importanti di Jason Grace. Respira. Così. Avanti. Sempre avanti.
Per fortuna, Annabeth iniziò a raccontare e io potei concentrarmi sulle sue parole. Mi parlò della sua famiglia, della sua infanzia, di come era scappata di casa a sette anni ed era arrivata al Campo Mezzosangue. Mi descrisse la bellezza di quel luogo che non avrei mai visto. Narrò di Percy e delle loro avventure e disavventure, e poi dell’arrivo inaspettato dei semidei norreni e della guerra contro Crono, vista dalla prospettiva greca.
Ah, la guerra. Cercai il tempio di mia madre all’orizzonte e, quando lo individuai, lo indicai alla figlia di Atena.
«Vedi quel tempietto rosso? Là, a nord? Quello è il tempio di Bellona.» Mi girai verso di lei. «A differenza di tua madre, Bellona non ha un equivalente greco. È totalmente, autenticamente romana. È la dea che protegge la nostra patria.»
Probabilmente, Annabeth si stava chiedendo perché le stessi facendo un corso accelerato di storia romana.
«Quando noi Romani iniziamo una guerra, andiamo per prima cosa al tempio di Bellona» continuai. «Al suo interno, c’è una piccola porzione di terra che rappresenta il suolo nemico. Vi conficchiamo una lancia, per indicare lo stato del nostro popolo. I Romani hanno sempre creduto che la miglior difesa fosse l’attacco. Nell’antichità, ogni volta che i nostri antenati si sentivano minacciati dai popoli vicini, li invadevano proteggere se stessi.»
«Conquistarono chiunque avessero intorno» osservò Annabeth, omettendo di citare il popolo che non eravamo riusciti a sottomettere. «I Cartaginesi, i Galli…»
«E i Greci.» Lasciai aleggiare l’aggiunta nell’aria prima di procedere. «Non è nella natura di Roma collaborare con altre potenze. Ogni volta che i semidei greci e romani si sono incontrati, hanno combattuto tra loro e hanno acceso scintille delle peggiori guerre dell’umanità, soprattutto quelle civili. Per non parlare dei nostri trascorsi con Asgard…»
Parlare di collaborazione con i Greci era più fattibile che fare la stessa cosa con i Nordici. Ogni loro parola era una bomba ad orologeria che bisognava disinnescare con attenzione.
«Non deve essere per forza così» obiettò Annabeth. «Dobbiamo lavorare insieme. Non possiamo permettere che Gea e Ymir ci distruggano perché non siamo in grado di cooperare.»
«Sono d’accordo» concessi. «Ma la cooperazione è possibile? E se il piano di Giunone avesse delle falde? Anche le dee commettono degli errori.»
La figlia di Atena mi guardò come se si aspettasse che venissi incenerita a causa della mia ultima affermazione. Effettivamente, non era mio uso affermare sentenze del genere, ma ora bisogna parlare chiaro, non fare sfoggio di retorica.
«Non mi fido di Era, o Giunone» ammise la bionda. «Ma mi fido di tutti i miei amici. Non stiamo fingendo, Reyna. Possiamo davvero lavorare insieme.»
Lo speravo con tutto il mio cuore. Come pretore e come semidea romana, non potevo permettere che la mia città venisse danneggiata. Non volevo guardarla stendersi sotto i miei occhi e immaginarci linee di battaglia. Bevvi gli ultimi sorsi di cioccolata calda e posai il bicchiere sul parapetto della terrazza.
«Credo che tu sia sincera. Ma, se andrete nelle antiche terre, e soprattutto a Roma, devi sapere una cosa che riguarda tua madre.»
Annabeth si irrigidì e mi guardò intensamente. «Mia madre?» ripeté.
Annuii. «Quando vivevo sull’isola di Circe, avevamo parecchi visitatori. Una volta, forse un anno prima che arrivaste tu e Percy, approdò un giovane. Aveva viaggiato in balia delle correnti per giorni, ed era quasi impazzito per la sete e il caldo. Non parlava in modo sensato, ma disse di essere un figlio di Atena.»
Annabeth si aggrappò al parapetto, visibilmente a disagio. Aveva già intuito come avrei continuato, esattamente come mi sarei aspettata da una figlia di sua madre.
«Sì» confermai i suoi sospetti. «Farneticava di un figlio della saggezza, di un marchio di Atena, e così via… Le stesse parole che ha usato Ella poco fa. Sicura di non averle mai sentite prima d’ora?»
«Non… non in quella forma» disse la bionda con un filo di voce. «Questo semidio vi spiegò mai i dettagli della sua missione?»
Scossi la testa. «All’epoca non capivo di cosa stesse parlando. Molto più tardi, quando ero diventata pretore al Campo Giove, ho cominciato a sospettare. E il racconto sulla Corona di Odino mi ha dato qualche altro indizio.»
«Cosa sospetti?» mi domandò Annabeth.
«C’è una vecchia leggenda che i pretori si tramandano da secoli. Se fosse vera, potrebbe spiegare come mai i nostri due gruppi di semidei non sono mai stati capaci di collaborare. Vuole la leggenda che, finché l’antico torto non sarà raddrizzato, Greci e Romani non vivranno mai in pace.»
«E la leggenda è incentrata su Atena» intuì.
«Gi–»
Un suono acuto lacerò l’aria. Un suono di qualcosa che si schiantava. Che si schiantava sul suolo romano. Sentii la rabbia pulsare all’interno del mio corpo.
«Giganti?» chiese Annabeth, allarmata. «Pensavo che il loro esercito fosse stato sconfitto.»
«Non sono i giganti» ringhiai, sentendo sulla lingua un sapore come di veleno. «Avete tradito la nostra fiducia.»
«Cosa? No!»
Ma non poté aggiungere altro, perché la sua nave lanciò un secondo attacco. Un arpione incendiario attraversò lo squarcio sul tetto del Senato ed esplose, illuminando l’edificio dall’interno. Contai le decine di persone che si erano riunite lì per la seduta che io avevo chiamato e mi sentii ribollire dentro come il magma nel ventre del Vesuvio. Se solo avessi potuto…
«Santi numi, no!» Annabeth sembrava sinceramente costernata e questo non mi era di consolazione. Niente mi era di consolazione. «Reyna, non è possibile! Non faremmo mai una cosa del genere!»
Aurum e Argentum erano al mio fianco e ringhiavano contro di lei, ma non perché stava mentendo. Strinsi i pugni per ritrovare la calma.
«Stai dicendo la verità» stabilii. «Forse non eri a conoscenza del tradimento, ma qualcuno ne è responsabile e dovrà pagare.»
Nel Foro, si stava scatenando il caos. La mia gente scappava in ogni direzione, completamente nel panico. E il panico portava sempre ad azioni pericolose. Per una frazione di secondo, la rabbia venne meno e mi girò la testa.
«Rischiamo un massacro» dissi piano, come se la voce non fosse mia.
«Dobbiamo impedirlo, andiamo!»
Io e Annabeth corremmo giù dalla collina, verso il fuoco e il sangue.

 
koala's corner.
Buonsera, semidei! Quest'anno abbiamo stabilito che il giorno di pubblicazione cadrà di lunedì. Proveremo a rispettare la tabella di marcia, lo promettiamo. In ogni caso, seguite la nostra pagina fb per monitorarci → https://www.facebook.com/Cronache-del-Nord-714709385281830/timeline/
Il tuo capitolo è figo perché parla di Reyna e nessuno può dire che Reyna non sia figa.
Già :))) A parte la magnifica presenza di Reyna Avila Ramirez-Arellano, vediamo i nordici alle prese con lo psicopatico che è Octavian che vuole ucciderli tutti perché 1) è un idiota, 2) è un idiota e 3) è un idiota.
Ma tanto Alex gli ficcherà la sua spada su per le chiappe :P
E noi sappiamo tutti che fine farà quel sociopatico. Intanto, Einar apprende la notizia della scomparsa di Nico...
... e questo si traduce in: EINICO ANGST!
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, al prossimo lunedì!

Soon on Vendetta del Nord: POV Alex/Einar/Lars in cui Nuova Roma salta in aria e tutti gli altri si saltano alla gola. Jattone is the way.
 
  
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