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Autore: eugeal    08/10/2015    1 recensioni
Regina aveva creduto di aver trovato il suo lieto fine con Robin Hood, ma lo ha visto dissolversi quando Emma ha salvato Marian, riunendola al marito.
Guy di Gisborne è tormentato dai sensi di colpa dopo aver ucciso Marian, l'unico amore della sua vita.
Cosa avranno in comune questi cuori oscuri?
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lady Marian, Regina Mills, Robin Hood, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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La porta del bagno si chiuse alle spalle di Regina con uno scatto e, rimasto solo, Guy vi si appoggiò, chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, cercando di calmarsi.
Erano successe troppe cose assurde nel giro di pochi minuti e doveva ancora convincersi del tutto che quello non fosse un incubo particolarmente elaborato.
Un attimo prima stava per lottare a morte contro Robin Hood e quello dopo si era ritrovato in un mondo completamente sconosciuto, trascinato lì da una donna che poteva usare la magia, ma che non somigliava affatto alle streghe di cui aveva sentito parlare.
Regina, quello era il suo nome, gli aveva detto che quel luogo, Storybrooke era in un tempo futuro rispetto a quello da cui proveniva lui, oltre otto secoli più avanti.
Era un pensiero terrificante se pensava a quante generazioni potevano essere nate e morte in oltre ottocento anni: se Regina non lo avesse portato lì, il suo corpo sarebbe stato polvere da molti anni ormai e, morendo senza eredi, nessuno si sarebbe ricordato più del nome dei Gisborne.
Eppure era lì, ancora vivo oltre ogni previsione, e respirava l'aria di un mondo e un tempo che non gli appartenevano.
Era semplicemente terrorizzato, eppure non poteva fare a meno di pensare che per lui quella poteva essere l'unica possibilità che aveva di ricominciare una nuova vita, un'occasione non cercata e non desiderata, ma sempre un'occasione.
Sapeva che i demoni che tormentavano la sua mente non lo avrebbero lasciato andare, che la sua colpa era indelebile come un marchio d'infamia, ma Guy si rese conto all'improvviso che non voleva morire, nonostante tutto voleva continuare a vivere.
Si sforzò di allontanare l'angoscia dalla propria mente e si concentrò su qualcosa di più pratico: se aveva intenzione di restare a Storybrooke come aveva chiesto a Regina, doveva imparare a conoscere quel mondo così diverso dal suo.
Si staccò dalla porta e fece qualche passo nella stanza, guardandosi intorno: in un angolo c'era una vasca candida con varie bottiglie e flaconi disposti sul bordo, sulla parete opposta invece uno specchio enorme e molto più nitido di quelli a cui era abituato sovrastava quello che sembrava essere una specie di catino mentre in un angolo c'era un sedile, bianco come tutto il resto, che, secondo le spiegazioni di Regina, doveva essere la versione moderna e molto più pratica di una latrina.
La donna gli aveva fatto vedere come, semplicemente muovendo delle manopole metalliche, l'acqua calda oppure fredda iniziasse a uscire da quei tubi di metallo lucido. Le aveva chiesto se fosse magia anche quella, ma Regina si era limitata a sorridere e gli aveva detto che era semplice progresso tecnologico rispetto al suo tempo.
Guy aveva annuito, era plausibile che in così tanti secoli il mondo fosse andato avanti evolvendosi e facendo nuove scoperte.
Per la prima volta da quando Marian era morta, Gisborne si ritrovò a pensare a qualcosa che non fosse la sua colpa: quel mondo nuovo lo affascinava e desiderava conoscerlo.
Si guardò allo specchio e distolse subito lo sguardo, vergognandosi del proprio aspetto. Regina lo aveva guardato arricciando il naso e Guy si rese conto che aveva avuto tutte le ragioni per farlo.
Dal giorno del suo delitto, aveva smesso di curarsi. Prima aveva sempre tenuto molto a essere pulito e in ordine e a volte i suoi uomini avevano riso di lui per quel motivo, ma ora assomigliava di più a uno dei mendicanti che affollavano le strade di Nottingham.
I suoi capelli erano cresciuti in quei mesi di disperazione e le ciocche sporche e arruffate gli circondavano il viso dandogli un aspetto disordinato e quasi folle, mentre i suoi abiti, un tempo di buona qualità, sembravano stracci luridi e stropicciati e ormai erano diventati troppo larghi.
Guy se ne liberò, disgustato, lasciandoli cadere a terra e aprì il rubinetto, lasciando scorrere l'acqua per riempire la vasca.
Mise una mano sotto il getto e si sorprese nel constatare che era davvero calda.
Mentre attendeva che la vasca si riempisse, continuò a guardarsi intorno, esplorando quella stanza.
Accanto alla vasca erano piegati ordinatamente dei teli morbidi fatti di un materiale che non conosceva e che servivano chiaramente ad asciugarsi dopo il bagno, mentre le lampadine intorno allo specchio illuminavano la stanza con una luce brillante.
Guy aprì le boccette e i flaconi disposti sul bordo della vasca, annusandone il contenuto. Quasi tutti odoravano di fiori o di frutta e Guy pensò che a Nottingham solo una persona molto ricca avrebbe potuto permettersi di usare una varietà così ampia di unguenti profumati. Di solito i nobili si limitavano ad aggiungere petali di fiori all'acqua del loro bagno e già quella a volte era considerata una stravaganza.
Quando la vasca fu piena, Guy chiuse il rubinetto e si immerse nell'acqua calda, concedendo al suo corpo di rilassarsi per la prima volta dopo tanto tempo.
Era stanco, oppresso da una stanchezza profonda che non era soltanto fisica.
Per una volta avrebbe solo voluto abbandonarsi a essa e lasciare che il sonno portasse via ogni pensiero, ma aveva paura di farlo. Col sonno arrivavano gli incubi e i ricordi, i demoni che gli azzannavano l'anima e la mente, torturandolo.
Guy si abbracciò le ginocchia, rabbrividendo nonostante l'acqua bollente: poteva essere fuggito dal suo mondo, ma i demoni lo avrebbero seguito sempre perché si annidavano nel suo cuore.

Henry bussò alla porta e sospirò quando non ottenne alcuna risposta.
Era preoccupato per sua madre: quando finalmente le cose sembravano andare bene per lei, Marian era arrivata a Storybrooke all'improvviso e Regina si era ritrovata col cuore spezzato.
Il ragazzino aveva paura che il dolore potesse spingerla a tornare dalla parte del male e non voleva che accadesse: lui le voleva bene e desiderava che anche lei potesse essere felice.
Bilanciò meglio il cestino che aveva tra le mani e provò a bussare di nuovo. Non si sarebbe arreso: aveva cercato su internet i metodi migliori per consolare qualcuno che soffriva per amore e aveva riempito il cestino con biscotti al cioccolato, qualche fetta della torta di mele di Granny, una bottiglia di vino, patatine, dolci vari e qualche film divertente da guardare insieme.
Ora doveva solo convincere sua madre ad accettare la sua compagnia.
Regina non venne ad aprirgli ed Henry decise di entrare con la propria chiave: se era in casa l'avrebbe convinta a passare un po' di tempo con lui, se invece era uscita l'avrebbe aspettata e nel frattempo avrebbe disposto tutte le sue provviste sul tavolino davanti al divano.
Entrò in casa e notò subito un biglietto appoggiato su un mobile.
Tornerò tra qualche ora, fai come se fossi a casa tua, ma non fare danni.
Henry fissò il foglietto con aria perplessa.
- Questa è casa mia. E quando mai ho fatto danni?
Si chiese anche perché la madre avesse lasciato il biglietto in quel punto anziché attaccarlo alla porta del frigorifero come faceva di solito.
Un gemito proveniente dal salotto lo fece sussultare: quella non era la voce di sua madre, ma si trattava chiaramente di un uomo.
Henry appoggiò a terra il cestino e si affacciò alla porta, cautamente.
Sul divano c'era uno sconosciuto addormentato. L'uomo doveva essere chiaramente tormentato da qualche incubo perché continuava ad agitarsi e gemere nel sonno.
- Ehi! - Disse Henry, senza avvicinarsi e l'uomo aprì gli occhi con un sobbalzo che lo fece rotolare giù dal divano.
Lo sconosciuto si guardò intorno con aria confusa, come se non si rendesse conto di dove si trovava, poi vide il ragazzino fermo sulla porta.
- Chi sei? - Chiese.
- No, tu chi sei? Cosa ci fai in casa mia e dov'è mia madre?
L'altro scosse appena il capo, massaggiandosi la base del naso come per alleviare un mal di testa fastidioso.
- La strega ha un figlio? - Chiese Guy, stupito, poi notò l'aria sospettosa del ragazzino e decise di rispondere alla sua domanda. - Non so dove sia andata, ha lasciato un biglietto dicendo che sarebbe tornata tra qualche ora.
Henry lo fissò. Allora il messaggio era destinato a quell'uomo e non a lui, capì all'improvviso, e di nuovo si chiese chi fosse.
- Sei nuovo a Storybrooke? Da quale favola provieni?
Guy lo guardò, perplesso.
- Favola? Mi chiamo Guy di Gisborne e vengo da Nottingham.
Il ragazzino sorrise e annuì.
- Ah, ora capisco, aspetta un attimo!
Corse al piano di sopra e ne tornò con un grosso libro che appoggiò sul tavolino davanti al divano, iniziando a sfogliarlo.
- Ecco! Mi pareva di aver sentito il tuo nome! - Esclamò, indicando una pagina. Guy guardò l'illustrazione che accompagnava il testo e sussultò nel riconoscere il suo rivale.
- Sei un nemico di Robin Hood. Qui dice che… - Disse il ragazzino, iniziando con entusiasmo e interrompendosi poco dopo.
- Cosa? - Chiese Guy, chinandosi a leggere il libro. Arrivato alla fine della pagina, guardò Henry, accigliato. - Qui dice che Robin Hood mi ha ucciso e ha portato la mia testa allo sceriffo di Nottingham. Che razza di sciocchezze sono queste?
Henry scosse la testa.
- Non lo so. Qui ci sono le storie di tutti gli abitanti della foresta incantata.
- Cos'è la foresta incantata?
- Non provieni da lì come tutti gli altri?
- No.
Si guardarono senza dire nulla per qualche secondo, poi Henry fece un piccolo sorriso.
- Probabilmente mia madre avrà una spiegazione. Glielo chiederemo quando tornerà.
Gisborne annuì, soffermandosi a osservare i vestiti che indossava. Quando era uscito dalla vasca da bagno, gli abiti che aveva lasciato sul pavimento erano spariti e li aveva ritrovati piegati e perfettamente puliti accanto alla pila di asciugamani. Anche lo strappo che c'era su una della maniche era stato riparato alla perfezione: erano i suoi vestiti, ma sembravano essere tornati nuovi senza che lui si accorgesse di niente.
Non c'era altra spiegazione se non la magia, anche se gli sembrava ancora difficile da credere.
- Avevi un incubo, prima? - Chiese Henry. - Non negarlo, so come ci si sente, è successo anche a me dopo un incantesimo del sonno.
- Siete tutti così… Usate tutti la magia in questo posto?
- No, non tutti. Ma nessuno se ne stupisce se capita di imbattersi in un incantesimo o in un oggetto magico. Se resterai qui abbastanza a lungo ti ci abituerai. Allora, cosa hai sognato? A me capitava di vedere una stanza in fiamme.
Guy rabbrividì. In passato gli era capitato di sognare l'incendio che aveva ucciso i suoi genitori, ma negli ultimi tempi quando sognava c'era solo Marian. A volte era viva e lo accusava di tutti i suoi peccati, mentre a volte era stesa sulla terra sabbiosa di Imuiz e il sangue si allargava sul suo vestito bianco. Ogni volta, comunque, Guy sentiva il peso della sua colpa che tentava di trascinarlo all'inferno.
- Non voglio parlarne. - Disse, cupo, ma il ragazzino non si scoraggiò.
- Non importa. Ma so cosa potrebbe farti sentire meglio.
Guy stava per rispondergli che forse lui non voleva sentirsi meglio, che non lo meritava, ma Henry era già uscito dalla stanza per tornarne con un cestino tra le mani.
- Questa roba l'avevo portata per mamma, ma ho l'impressione che ne abbia bisogno anche tu. - Disse, spostando il libro di favole dal tavolino per fare posto a biscotti, patatine e fette di torta di mele.
- Serviti pure, io torno subito.
Sparì in cucina per qualche minuto e tornò con due tazze fumanti. Ne mise una sul tavolino davanti a Guy e notò che l'altro non aveva toccato niente.
- Non hai fame? - Chiese, impossessandosi di una fetta di torta. - Almeno assaggia qualcosa. Guarda, non sono avvelenati. - Concluse, staccando un pezzo di torta con un morso.
Gisborne gli lanciò uno sguardo esitante e lo imitò. In effetti aveva fame, più di quanta non ne avesse avuta da molti mesi e l'odore che proveniva da quei cibi era invitante.
Finì la fetta di torta e si lasciò sfuggire un sorriso.
- È buona. - Disse a Henry. - Ti ringrazio.
Il ragazzino indicò il piatto dei biscotti e la tazza.
- Prova anche quelli.
Guy bevve un sorso della bevanda calda: quel liquido era più denso del latte e aveva un sapore che non conosceva, dolce e leggermente amaro allo stesso tempo. Assaggiò anche un biscotto e scoprì che la sostanza scura che lo ricopriva aveva un sapore simile a quello della bevanda.
Alzò lo sguardo verso il ragazzino e vide che Henry lo stava fissando con un sorriso divertito.
- È cioccolata. Non l'avevi mai mangiata, vero? Quando ti senti giù non c'è nulla di meglio.
A Gisborne venne quasi da ridere. Qualunque cosa fosse quella cioccolata, e per quanto potesse essere miracolosa per l'umore, di certo non avrebbe potuto aiutare lui.
Però era buona. Pensò, prendendo un altro biscotto.
   
 
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