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Autore: Whatadaph    14/10/2015    5 recensioni
Nel centro di Londra, un clamoroso furto di opere d’arte dal valore inestimabile avviene in circostanze misteriose. Gli Auror brancolano nel buio e Scorpius Malfoy c’è dentro con tutte le scarpe.
Nel frattempo, a Hogwarts, Lizzie Dursley è alle prese con una cotta impossibile e Fred Weasley ne combina una dopo l’altra.
Sono passati sei anni e i nostri eroi si muovono nelle loro nuove vite, tra il Ministero della Magia, l’ospedale San Mungo, il Caffè Nero di Trafalgar Square e un certo castello in Scozia.
Come sempre, se i Potter-Weasley e compagnia non vogliono guai… Sono i guai che li vanno a cercare!
Con la partecipazione straordinaria di quattro squadre di Quidditch, alcune vecchie conoscenze e un grosso gatto peloso.
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Hugo Weasley, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Metamorphosis'
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CAPITOLO TERZO
Euan Abercrombie
 
 
 
19 settembre 2027
Nocturn Alley, Londra
 
 
 
Gentile professor Bulstrode,
siamo lieti di informarLa che la Sua proposta di un seminario di Arte Magica Rinascimentale presso la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts è stata accolta con entusiasmo dal neo-Preside Filius Vitious.
Pertanto La invitiamo a recarsi il prima possibile presso l’Istituto, dove è stato predisposto un alloggio per Lei. La Scuola di Magia e Stregoneria si dichiara lieta di ospitarLa e ansiosa del Suo arrivo.
Attendiamo una Sua risposta via gufo.
Cortesi Saluti
Hemerick Blade, Responsabile dell’Ufficio Relazioni con l’Esterno dell’Università Magica Britannica
PS: Da Hogwarts ci comunicano che saranno lieti di ospitare anche il Suo assistente, il signor Anthony Menley. Ancora cortesi saluti.
 
Tony abbandonò le spalle contro lo schienale della poltrona del salotto, socchiudendo gli occhi. La stanza era immersa nella penombra, gli spessi tendaggi accostati; i mobili antichi e imponenti erano tutti ammassati in uno spazio decisamente troppo angusto: grosse sagome dai molti spigoli che incombevano da ogni angolo.
Cinque anni prima, uscito dal maledetto orfanotrofio in cui l’avevano rinchiuso per due mesi dopo che la sua famiglia era stata condannata in blocco – quegli unici, patetici due mesi che lo separavano dalla maggiore età – si era ritrovato da solo, unico erede di tutti i loro averi. Che si erano notevolmente ridotti: tutti i beni immobili erano stati sequestrati e Tony era stato condotto in un deposito ministeriale per riprendersi pezzi di arredamento e qualche anticaglia. Li aveva visti lì, malamente imballati e ammucchiati l’uno sull’altro: il letto dei suoi genitori, il grosso baule che aveva contenuto i giochi della sua infanzia, i candelieri e le argenterie.
Aveva preso tutto quello che era riuscito a infilare nel piccolo appartamento che aveva trovato a Nocturn Alley. Aveva concluso gli studi a Hogwarts, si era iscritto all’università e da allora viveva lì.
“Brutte notizie?” parlò una voce melodiosa alle sue spalle.
Tony non si voltò. Le sue dita si strinsero spasmodicamente attorno ad un angolo della pergamena che gli aveva girato il professor Bulstrode, stropicciandone un angolo.
Facendosi strada quasi veleggiando tra i mobili affollati, sua sorella lo raggiunse e si acciambellò su di una poltrona gemella, foderata di velluto ricamato ad un motivo di foglie, con i piedi a zampa di leone. Gli gettò un lungo sguardo da sotto qualche ciuffo scuro e scompigliato, sorridendo vagamente con le labbra carnose, identiche alle sue. Tony la osservò di sottecchi: il suo sguardo cadde automaticamente sui suoi piedi nudi, la caviglia destra carica di uno spesso bracciale di cuoio rossastro, su cui erano incise delle rune e che mandava bagliori a intervalli regolari.
Lui sapeva che se Georgia avesse violato la libertà vigilata anche solo di un minuto la cavigliera avrebbe cominciato a brillare a intervalli sempre più vicini e che da qualche parte, all’ufficio Auror, sarebbe suonato un allarme: in men che non si dica un gruppo di agenti si sarebbe Smaterializzato dove si trovava lei e l’avrebbe circondata a bacchette puntate.
Le avevano anche messo addosso una Traccia: poteva usare la bacchetta solo per incantesimi di bassa e lieve potenza. Era pesante, ma almeno non erano più costretti a vivere circondati da Auror.
“Tony?”
Sollevò di nuovo lo sguardo sul suo viso: i suoi occhi lo guardavano fisso, indagatori, ma lei non disse altro.
Così fu costretto a schiarirsi la voce. “Che cosa c’è?”
Georgia sospirò leggermente. “Mi chiedo cosa ti turbi così tanto di quella lettera che hai appena letto.”
Senza una parola, Tony le porse la pergamena. Tornò a fissare il nulla di fronte a sé mentre lei la leggeva in silenzio… Pensava a Hogwarts, a come sarebbe stato tornarvi. Per sei anni era stato felice lì, finché non era iniziato quell’anno infernale in cui la gente si sforzava di essere gentile con lui, ma lui non era così stupido da non accorgersi che lo evitavano, che la sua presenza li metteva a disagio…
“Allora te ne vai.”
Quasi sobbalzò quando Georgia parlò. “Così pare,” disse cauto, studiando le sue reazioni: appariva impassibile. “In realtà penso sia per via della rapina al Museo,” gli scappò detto. “Sai, con i precedenti della nostra famiglia…”
Georgia inarcò le sopracciglia. “Pensi che ti credano coinvolto?” domandò flautata, ma a Tony non sfuggì lo scetticismo del suo tono di voce.
Scosse la testa. “Non credo, no, o mi avrebbero già interrogato ormai.” Sbuffò. “Penso che stiano cercando di allontanarmi dal fronte, non so se mi spiego.”
Non voleva guardare Georgia, quindi rivolse gli occhi al caminetto pieno di cenere e polvere, chiedendosi come sarebbe stato essere uno sbuffo di fumo che sbuca fuori dal comignolo e viene trascinato via dal vento: finalmente puro, finalmente libero…
Non voleva guardarla, no, perché sapeva cosa avrebbe letto nei suoi occhi scuri e brillanti: esasperazione, già, e qualcosa di simile ad uno sgradevole compatimento. Tutte cose che Tony non sopportava: lo facevano sentire umiliato e morire d’invidia, paradossalmente, nei confronti di sua sorella, che anche dopo un pubblico processo e cinque anni di carcere era più sicura di sé di quanto lui non fosse mai stato.
Sospirò brevemente.
Non era un idiota. Si rendeva perfettamente conto di quanto il suo atteggiamento, dall’esterno, potesse apparire quello di un ragazzino egocentrico con manie di persecuzione, di quanto le sue ipotesi fossero assolutamente improbabili, eppure… Eppure non riusciva a liberarsi della sensazione che davvero lui c’entrasse qualcosa con l’assegnazione di quel seminario al professor Bulstrode, che qualcuno ce l’avesse con lui, che fosse sospettato, ancora, chiacchierato… Era un tarlo di cui non riusciva a liberarsi.
Si sforzò di ricacciarlo in un angolo del cervello abbastanza recondito perché riuscisse a ignorarlo.
“Ma magari mi sbaglio,” buttò lì, mentre Georgia continuava a guardarlo in modo strano. “Il professor Bulstrode mi ha detto che partiremo già domani mattina.”
Lei annuì. “Mi lasci sola, quindi…”
“Fai la brava,” scherzò lui infelicemente, ma Georgia emise lo stesso una risatina tetra. “Davvero, mi spiace di lasciarti sola. Spero che non sia per molto…”
Lei si sporse verso di lui, gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte con le dita tiepide. “Me la caverò, non preoccuparti.” Tornò a scostarsi, a mettersi comoda contro lo schienale della poltrona. “Non dovresti fare i bagagli?”
Tony annuì, passandosi nervosamente una mano sulla nuca mentre si alzava e si avviava verso la propria stanza, pronto a riadoperare il suo vecchio baule per tornare alla sua vecchia scuola.
Chissà perché, il grumo d’ansia nel suo stomaco parve annodarsi più strettamente.
 
*
 
19 settembre 2027
Hogwarts, Scozia
Mattina
 
Il lunedì mattina il cielo era annuvolato solo appena, ma prometteva di schiarirsi in quella che probabilmente sarebbe stata l’ultima giornata di bel tempo della stagione.
Sulla sommità di un crinale erboso una figura si ergeva solitaria: Fred Weasley stirò le braccia verso l’alto nella pallida luce del mattino, respirando a pieni polmoni l’aria fresca e umida. La giornata era cominciata nel miglior modo possibile – e non era solo la sua indole da inguaribile ottimista a farglielo dire, nossignore: il clima era perfetto per volare e per giunta aveva due ore libere fino alle undici…
Così si avviò di buon passo alla volta del campo da Quidditch, scopa in spalla e un gran sorriso sulle labbra. Louie Anderson, un ragazzino del Terzo Anno che voleva tentare l’ammissione alla squadra come Portiere, aveva promesso di allenarsi con lui quella mattina, in vista delle selezioni, ma alla fine aveva dato forfait per un test di Trasfigurazione. Fred aveva fatto spallucce e pensato che questo di certo non gli avrebbe impedito di volare.
Aveva provato a coinvolgere Darren in quella prova mattutina – dopotutto anche lui avrebbe partecipato alle selezioni per la squadra, quel sabato – ma l’amico aveva declinato dicendo di avere Aritmanzia.
Fred proprio non lo capiva, questo bisogno di frequentare tutte le lezioni.
E poi gli sarebbe piaciuto passare quelle due ore con Darren, specialmente perché l’aveva visto volare solo raramente e desiderava che si allenasse prima di tentare la prova del sabato. Perché Fred voleva che Darren fosse in squadra con lui: ci sperava da quando avevano dodici anni e ogni maledettissimo anno provava e riprovava a insistere, ma l’altro era sempre stato irremovibile.
Almeno fino a poche settimane prima. “Non mi perdonerai mai se non proverò neanche quest’anno, vero, Freddie?” gli aveva detto l’amico in una sera di agosto, sorridendo appena, i denti bianchissimi che spiccavano sulla pelle scura.
Fred, che avrebbe perdonato a Darren qualunque cosa, davvero qualunque, aveva colto la palla al balzo. “Diciamo che ci resterei molto ma molto male,” aveva borbottato, mettendo su un’aria triste e derelitta.
E così l’aveva convinto.
Prese a fischiettare allegramente mentre scendeva l’ultimo crinale che l’avrebbe condotto al campo da Quidditch. Il sole aveva finalmente fatto capolino tra le nuvole e come previsto la luminosità era trionfante e faceva brillare il prato di rugiada a seconda di come lo inclinava il vento.
Tuttavia facendo ingresso in campo Fred si accorse subito che qualcosa non andava. La prima cosa strana furono le voci che raggiunsero le sue orecchie: grida indistinte, in lontananza, mangiate dal vento. Non capiva cosa dicessero ma andavano e venivano, come se i proprietari di quelle voci stessero…
Stavano volando. Li vide non appena fu entrato nell’ovale erboso del campo ed ebbe guardato in alto, attratto dal rumore: l’intera squadra di Quidditch di Serpeverde sfrecciava a mezz’aria a gran velocità, lanciandosi rapidamente la Pluffa mentre i bolidi scattavano da una parte all’altra cercando di disarcionare i giocatori, tenuti a bada da Norman e Nolan Gamp, i Battitori.
Fred rimase a bocca aperta: era chiaro che i Serpeverde si allenassero già da un po’. Erano in splendida forma e lui non ricordava di averli mai visti tanto agguerriti.
Si accorse troppo tardi di una piccola figura smeraldina che scendeva in picchiata dritta verso di lui, gli abiti al vento e la mano tesa a pochi centimetri da una minuscola pallina dorata…
Candida Flint prese il Boccino e lo travolse in pieno.
Più tardi, Fred avrebbe dichiarato di non essere del tutto certo di quanto fosse accaduto dopo. L’impatto a quella velocità l’aveva stordito: ricordava solo un groviglio confuso di braccia e gambe, diversi colpi piuttosto dolorosi e la propria voce che gridava.
Poi qualcosa gli si era incuneato nel fianco, provocandogli una dolorosa fitta: era il gomito della Flint, che riuscì a liberarsi, il Boccino ancora stretto in mano, e si allontanò da lui.
Weasley!” sibilò, e lui rabbrividì.
Candida Flint – minuta, pallida, con lunghi capelli rossi e un viso da bambola – aveva assottigliato gli occhi in due fessure e gli stava lanciando uno sguardo che avrebbe trasformato chiunque in una statua di ghiaccio. Era il Capitano di Serpeverde e riusciva ad essere spaventosa anche così, semidistesa al suolo e completamente ricoperta di terriccio ed erba.
Tu,” proseguì Candida, “essere spregevole!”
“Buona!” fece Fred in tono allarmato, andando subito sulla difensiva. “Stai buona! Sei stata tu a volarmi addosso!”
Nel frattempo il resto della squadra era atterrato e stava scendendo dalle scope, avvicinandosi per vedere che cosa stesse accadendo.
Fred si alzò reggendosi alla scopa e offrì una mano a Candida, che gli rivolse lo sguardo disgustato che avrebbe potuto dedicare a un Vermicolo e si tirò in piedi senza accettare il suo aiuto. “Stavo inseguendo il Boccino, razza di mentecatto. Avresti dovuto spostarti.”
“Non ti ho vista arrivare!” tentò di difendersi Fred.
La ragazza inarcò brevemente le sopracciglia, mentre il suo labbro superiore si arricciava in un’espressione sprezzante. “Mi chiedo come tu faccia a giocare a Quidditch, visto che i tuoi riflessi fanno pena.”
Fred si passò una mano tra i capelli scuri, che scoprì pieni di fango e terriccio, osservando cauto gli altri membri della squadra di Serpeverde, che avevano formato un piccolo semicerchio attorno a loro e lo scrutavano torvi. Si schiarì la voce, a disagio, mentre istintivamente faceva mente locale su dove diamine avesse messo la bacchetta.
Io li odio, i Serpeverde…
Li guardò uno per uno e si accorse che erano solo in sei… Mancava un Cacciatore. “Vi stavate allenando?” domandò brusco. “Prima delle selezioni?”
Candida, che stava raddrizzando la fascia argentata da Capitano che aveva sul braccio, sorrise leziosa e agghiacciante al tempo stesso. “Naturalmente,” replicò cristallina, come se stesse sottolineando l’ovvio. “Siamo una squadra forte ed è assai probabile che tutti i giocatori già presenti saranno confermati in squadra. Perché perdere due settimane di vantaggio sul resto della scuola solo perché abbiamo un Cacciatore in meno?”
Non aveva tutti i torti… Fred la detestò: fin dalla prima volta in cui si erano scontrati in campo, Candida aveva sempre avuto questa capacità di farlo sentire un vero stupido.
“E tu cosa ci fai qui, Weasley?” intervenne Norman Gamp, il robusto battitore del Sesto Anno.
“Cercavi di ricordarti come si sale su un manico di scopa?” rincarò Nolan, che invece era del Quarto e prometteva di diventare anche più grosso del fratello maggiore.
Marcel Buckley, il Portiere, ridacchiò. Al suo fianco, Stanley Warrington assisteva alla scena con aria annoiata, i capelli castani scompigliati dal vento e il viso pallido appena arrossato dall’aria fredda.
Candida Flint sbuffò leggermente. “Già, Weasley. Perché sei venuto a disturbare il nostro allenamento?” disse aggressiva.
Fred non si lasciò intimidire. “Volevo allenarmi anche io. Per questo sono–”
“Allenarti? Senza la tua squadra? Senza il tuo capitano?”
“Che cosa sta succedendo qui?” si intromise improvvisamente una voce familiare. Fred si voltò di scatto nella direzione da cui era provenuta e i suoi occhi incontrarono la sagoma slanciata di Bastien, che sorrideva sfacciato con il solito ciuffo di capelli a piovergli in mezzo al viso, il distintivo da Capitano dei Grifondoro a brillargli sul petto.
“È arrivata la cavalleria,” il borbottio sarcastico di uno dei fratelli Gamp raggiunse le sue orecchie.
Candida, nel frattempo, sorrideva deliziata. “Leclerc, quale gioia.”
“Il piacere è tutto mio, Flint.” Bastien ammiccò sornione. “Che cosa sta succedendo?” ripeté, rivolgendo a Fred uno sguardo d’intesa. Lui ricambiò con uno sguardo esasperato.
“Sono venuto ad allenarmi ma ho trovato loro.” Rispose seccamente. “Flint mi è finita addosso con la scopa e ha pensato bene di prendersela al posto mio.”
Bastien sbuffò. “Che pensiero gentile, Candida.” Sollevò lo sguardo verso di lei, che gli lanciò uno sguardo gelido da sotto le sopracciglia leggermente sollevate. “Vi stavate allenando voi serpi?”
La ragazza improvvisamente sorrise. “Proprio così,” modulò angelica. “E a giudicare dall’espressione stupefatta di questo idiota, direi che abbiamo buone probabilità di vittoria.”
“Ehi–” cominciò Fred, sentendosi dare dell’idiota, ma si azzittì quando vide l’altro scrollare le spalle e stamparsi in faccia un sorriso smagliante. Bastien era davvero bello, specie quando sorrideva così, la testa sollevata e lo sguardo fiero negli occhi assottigliati, ma Fred non ebbe difficoltà a riconoscere qualcosa di strano nel suo sorriso.
“Questo è tutto da vedere, Flint,” disse in tono leggermente forzato. “Chi ti dice che anche noi non abbiamo un asso nella manica?” Ammiccò nuovamente alla volta della Serpeverde, per poi rivolgersi a Fred. “Andiamo?”
Assieme si avviarono su per le colline che conducevano al castello, ignorando le voci dei Gamp che gridavano: “Battete in ritirata, eh?!”
Una volta che furono fuori dalla portata di occhi e orecchie dei Serpeverde, l’espressione sorridente e impavida di Bastien sembrò appassire e ripiegarsi su se stessa per un attimo, salvo poi ricomporsi in un’aria concentrata e aggressiva, come quella di una belva che si prepara ad attaccare. I suoi pugni si strinsero mentre restava un attimo in silenzio, la bocca socchiusa e lo sguardo fisso da qualche parte; si lasciò sfuggire un lieve sbuffo dal naso nello sciogliere i pugni, per poi dire: “D’accordo, Fred. Dobbiamo fare qualcosa per la squadra. Dobbiamo assolutamente fare qualcosa.”
“Sei tu il capitano,” obiettò lui. “Tu ordini. Noi ci alleniamo. È così che funziona.”
“Freddie…” Bastien si fermò improvvisamente a metà di una collina. Chiuse gli occhi per un attimo, poi sollevò di scatto la testa con un largo sorriso di nuovo impresso sulle labbra. “Ce la faremo, lo so. Adesso vado a prenotare il campo per più giorni possibile e inizieremo un nuovo regime di allenamento. E dobbiamo trovare dei buoni elementi per completare la squadra.”
Fred penso a Darren e sperò. Sperò con tutte le sue forze. “Aye, Capitano!” si portò la mano alla fronte nella perfetta imitazione di un saluto militare.
Bastien scoppiò a ridere, posandogli una mano sulla spalla e scuotendo la testa, prima di avviarsi di nuovo alla volta del castello. Fred lo seguì.
 
*
 
Ancora 19 settembre
… e ancora Hogwarts, Scozia. Biblioteca
 
 
 “Tutti i giorni!” sbottò Bastien, dando un robusto pugno contro il piano del tavolo, facendo volare pergamene ovunque.
Nel corridoio della biblioteca parecchie teste si voltarono verso di loro. Viola Tremlett sospirò appena, prima di posare la penna d’oca accanto al lungo e difficile tema di Aritmanzia che stava finendo di scrivere, sollevare lo sguardo e iniziare a raccattare le pergamene che l’altro le aveva fatto spargere su tutto il tavolo.
“Di cosa stai parlando, Bastien?” sussurrò nel silenzio della sala.
Le nocche del ragazzo sbiancarono, serrate attorno al bordo del tavolo. Viola era sempre più perplessa: conosceva Bastien da sette anni e non l’aveva mai visto così fuori di sé; di solito erano Fred e Laurie quelli che perdevano la testa e si mettevano a fare a pugni con i Serpeverde…
La testa di Bastien era china, i capelli discesi a coprire la fronte e gli occhi. “Candida Flint,” disse semplicemente, in un mugugno.
“Ah, già,” replicò Viola in tono inespressivo. “Che cosa ha combinato questa volta?”
Scaramucce con i Serpeverde erano all’ordine del giorno, tra quelli del loro anno. Non avrebbe saputo dire come mai, dato che il resto degli studenti di Grifondoro convivevano pacificamente con quelli che erano i loro storici avversari, salvo che per una sottesa, sottile rivalità che emergeva quasi essenzialmente sul campo da Quidditch. Tuttavia, per quanto riguardava loro, le cose erano diverse fin dal primo anno, da quando quell’imbecille razzista di Bernice Hessler aveva iniziato le prime scaramucce con Winifred, e Lizzie Dursley aveva deciso di non essere amica di Fred.
Da quando poi, da un paio d’anni a quella parte, Bastien e la Flint erano diventati capitani delle squadre di Quidditch delle rispettive case, le cose avevano potuto solo peggiorare.
Bastien era quello che perdeva meno facilmente la calma, tra i loro compagni di classe – esclusa Tessie che viveva fuori dal mondo e Viola stessa, abbastanza disciplinata da saper esercitare su se stessa un forte autocontrollo – eppure quando si trattava di Quidditch, quando si trattava della Flint, tendeva a innervosirsi parecchio.
In quel caso, tuttavia, doveva trattarsi di una cosa grossa, e non delle solite scaramucce con Candida per cui Bastien correva subito da Viola a leccarsi le ferite, dal momento che la ragazza non lo aveva mai visto in quelle condizioni.
“Ha prenotato il campo da Quidditch!” fece infatti Bastien digrignando i denti e faticando a controllare il proprio tono di voce. “Per tutti i giorni di questa settimana! Mattina e sera!”
“Mattina e sera?” replicò Viola automaticamente. “Probabilmente la sua squadra l’accopperà prima di sabato e avremo un problema in meno.” Al di là degli scherzi, non poteva negare che la cosa la preoccupasse non poco. Dopotutto faceva anche lei parte della squadra e ne aveva a cuore le sorti…
“E non è finita qui.” Da Bastien, che aveva nascosto la faccia tra le mani per lo sconforto, giunse un mugugno soffocato. “Fred li ha visti volare e ha detto che hanno messo su una squadra fortissima, quest’anno.”
Viola aggrottò le sopracciglia e gli assestò una lieve pacca sulla spalla. “Suvvia Bastien,” disse cauta. “Anche noi siamo una squadra niente male.”
Bastien alzò la testa improvvisamente, puntando su di lei gli occhi chiari, dalla forma allungata. Il cervello di Viola registrò il proprio stomaco fare una capriola. “Abbiamo una formazione solo a metà, Vi. E se non riuscissimo a trovare nuovi giocatori in grado di tenere testa ai Serpeverde? O ai Corvonero? Da quel che so Omega è parecchio agguerrito quest’anno.”
Viola sbuffò. “Adesso basta,” mormorò perentoria. “Tu sei un bravo Cercatore e noi Cacciatori siamo ben affiatati. Del resto della squadra ci preoccuperemo quando saremo al completo… È inutile abbattersi prima del tempo. Sabato ci sono i provini… E se ci saranno problemi li affronteremo. Senza disperarci.” Strinse le labbra. “E piantala di farti spaventare dalla Flint, d’accordo?” aggiunse, cercando di non far trapelare il fastidio dal suo tono di voce. “Non capisco come mai vi faccia diventare tutti dei rammolliti.”
Bastien fece spallucce e la guardò chinando la testa, di sotto in su. “È semplice, Vi. Quella ti guarda come un Basilisco. Come se potesse farti fuori da un momento all’altro.” Fece una breve pausa, fissando il nulla. “Un po’ come la Dursley, solo più carina.”
Viola si sforzò di ignorare l’ultimo commento e per un po’ calò il silenzio, rotto solamente dal fruscio di pagine e dal saltuario raschiare delle penne d’oca su qualche pergamena. Ozzie Omega Ramkin, il capitano dei Corvonero, qualche metro più in là, era chino su un compito, le sopracciglia corrugate in un’espressione concentrata, come estraniato da tutto ciò che lo circondava.
Parlando di cose che non riguardassero strettamente il Quidditch, Bastien sembrava essersi rilassato: aveva incrociato le braccia dietro la testa e sorrideva pigramente, osservando Viola di sottecchi. “Ehi, Vi,” disse dopo un po’. “Sai cosa mi ha detto Laurie qualche giorno fa?”
Lei scosse la testa.
Il ragazzo sogghignò: “Mi ha detto,” proseguì guardandola fisso, “che sabato, per far alzare dal letto la squadra, la Flint ha scagliato una fattura urticante sui loro letti.”
“Ah, sì?” replicò Viola in tono piatto, sollevando la pergamena su cui aveva quasi finito di scrivere il suo tema. Bastien allungò il braccio e abbassò il rotolo che lei stringeva tra le mani, per continuare a guardarla in faccia.
“C’è dell’altro,” fece il ragazzo abbassando la voce di un tono, in un mormorio divertito. “A quanto pare ha affatturato anche il letto di Harvey Higgs.”
“Higgs?” ripeté Viola, dimentica del tema. “Ma lui non fa parte della squadra.”
“Sì, lo so,” Bastien fece spallucce. “Immagino che non abbia resistito all’idea di vedere Higgs correre per tutti i sotterranei con il fondoschiena che andava a fuoco.”
Viola lo guardò. “Beh, le probabilità che i Serpeverde ammazzino Candida prima di sabato stanno salendo, allora,” commentò, e Bastien scoppiò a ridere, tirandosi finalmente indietro i capelli che gli coprivano la faccia e attirandosi sguardi infastiditi da mezza Biblioteca.
“Max e Freddie volevano scriverci una canzone,” disse una volta che si fu calmato. “Il didietro ardente o qualcosa del genere…”
“Pensateci su,” fece Viola, roteando gli occhi. “Ora vuoi lasciarmi studiare oppure no?”
 
*
 
Ospedale San Mungo per Malattie e Ferite Magiche
Pomeriggio
 
La stanzetta riservata del San Mungo aveva un’aria impersonale, asettica, ed era al tempo stesso curiosamente tiepida, per mantenere la temperatura ideale per il paziente.
Gli Auror entrarono uno dopo l’altro, in silenzio, seguendo il Medimago di mezz’età che li condusse nel piccolo ambiente e poi si defilò discretamente, chiudendosi la porta alle spalle con un lieve tonfo.
Scorpius sollevò gli occhi, che fino a quel momento aveva tenuto dritti davanti a sé, e osservò l’ambiente, registrando il contenuto e la conformazione della stanza. Era piccola, rettangolare, con il soffitto alto e le solite sfere luminescenti che fluttuavano a ridosso delle pareti; c’erano due armadietti e al centro un lettino dalle tendine verdi tirate, al fianco del quale sostava un carrello carico di flaconi. Accanto attendevano due figure in piedi: una donna minuta, dalla pelle scura e capelli ricci che sfuggivano ai fermagli dietro la testa, vestita del camice verde da Psicomaga e un giovane dall’aria vigile, con un viso dai tratti regolari e morbidi riccioli scuri sulla fronte.
… Ber?
I loro occhi si incrociarono e Bernie sorrise quasi impercettibilmente, chinando leggermente la testa in segno di saluto verso Scorpius e Gwyneth.
Subito dopo, la sua espressione tornò a farsi grave. Dopotutto, erano lì per una faccenda seria.
“Sono il Tenente Weasley,” si presentò Louis in tono formale, facendosi avanti in direzione della Psicomaga. “E loro sono l’agente Parkinson e l’agente Malfoy,” proseguì, indicando Gwyneth e poi lui.
La donna gli strinse la mano in una presa dall’aria salda. “Hannah Roberts,” si presentò. “Vi presento lo Psicomago Boot, il mio tirocinante. Sarà lui ad assistervi mentre vi occupate del signor Abercrombie.” A Scorpius parve di percepire una certa vena di rimprovero frammisto ad avvertimento nel suo tono di voce, come se la Psicomaga Roberts temesse che quei brutti e cattivi Auror potessero far del male al suo paziente e avesse quindi lasciato Bernie a fare la guardia. “Non siate troppo… duri, con lui,” aggiunse infatti la Roberts prima di uscire dalla stanza. “Ha subito un grave shock ed è in uno stato di forte instabilità. È fragile, fragile come un ramoscello…” pronunciò le ultime parole quasi tra sé e sé, pensierosa, mentre la porta si chiudeva alle sue spalle.
Non appena fu uscita, l’atmosfera si fece più rilassata. Si scambiarono sguardi d’intesa con Bernie, che sorrise loro mestamente prima di agitare la bacchetta per Evocare tre sobrie sedie di legno chiaro, senza cuscini ma dall’aria confortevole.
Proprio nel suo stile.
I tre Auror si accomodarono, mentre Bernie rimase in piedi accanto al lettino, posando lievemente una mano sulla tendina verde con fare protettivo.
“Siete pronti?” disse, parlando per la prima volta da quando erano entrati in quella stanza, con voce sommessa e seria.
Louis diede in un cenno d’assenso e allora Bernie aprì le tende.
Sulle prime, Scorpius ebbe qualche difficoltà nell’accomunare il paziente smagrito che aveva di fronte con il guardiano notturno, l’uomo longilineo dall’aria dignitosa che aveva potuto osservare nei video delle Magicamere di sicurezza mentre percorreva i corridoi del Museo con fare da sonnambulo.
Davanti a sé vedeva un essere in sofferenza. Non aveva avuto torto la Roberts nel definirlo fragile, perché quella era proprio la prima sensazione che trasmetteva: l’immagine di un’anima in tormento, come un filo teso allo spasimo, sempre più sottile, sempre più vicino a spezzarsi… Sedeva tutto rannicchiato, tutto ingobbito, la testa incassata nelle spalle, dita lunghe e magre che serravano convulsamente il bordo delle lenzuola; i suoi occhi vagavano scattanti da una parte all’altra: guardinghi, spaventati, atterriti.
Scorpius deglutì: sentì il cuore sprofondare e la testa girargli, perché Euan Abercrombie – o quel che restava di lui – gli aveva ricordato un altro uomo, in un altro luogo. Nella mente rivide la sagoma scheletrica di Otto Murray pararglisi di fronte, avanzare verso di lui, pronunciare le sue ultime, spezzate parole prima che la vita abbandonasse per sempre i suoi occhi…
“Non è stato lui.”
Dovette vedere i volti degli altri tre puntati su di sé con aria vagamente perplessa prima di realizzare di aver dato voce tra i denti al proprio pensiero. Bernie lo fissava in volto con il suo solito sguardo fermo, limpido e imperscrutabile; Gwyneth lo stava osservando con occhi assottigliati.
Louis semplicemente lo guardò. “Spiegati,” lo esortò placidamente, ma con aria concentrata.
Scorpius si schiarì la voce. “È troppo stupida come cosa, no?” borbottò automaticamente. “Se davvero era un complice del ladro allora perché se n’è rimasto buono al Museo invece di scappare? Perché si è fatto arrestare?” le parole gli uscivano spontanee come le rimuginava dal giorno precedente. “Dev’essere stato stregato. Avete visto anche voi le riprese, ieri… Non era normale. Camminava in modo strano. E guardatelo…” Nel frattempo Abercrombie, che probabilmente aveva intuito che si stesse parlando di lui, aveva rifugiato la testa tra le braccia, rannicchiandosi il più possibile nell’angolo del letto più lontano da loro. “Non è solamente sotto shock. Si vede benissimo che c’è un incantesimo di mezzo.”
L’espressione di Gwyneth non cambiò affatto, ma Scorpius avrebbe giurato che fosse d’accordo con lui.
“Non fa una piega,” convenne Louis secco. “E sono d’accordo con te. Ma dobbiamo interrogarlo lo stesso… Se c’è qualcuno che può darci qualche informazione su chi sia il ladro, quello è lui.” Si rivolse a Bernie. “Possiamo parlargli?”
Lo Psicomago annuì. “Aspettate solo un attimo.” Si voltò verso il paziente. “Signor Abercrombie,” disse con voce calma, rispettosa e rassicurante. “Signor Abercrombie, ci sono delle persone che vorrebbero parlare con lei.”
“Sono degli Auror…” Un mormorio esile giunse dall’angolo in cui l’uomo si era rifugiato.
“Proprio così,” convenne Bernie, sempre in tono molto calmo. “Ti vogliono parlare perché hanno bisogno di capire chi sia stato a farti del male.”
“Vogliono arrestarmi?”
Bernie poggiò un mano sul materasso. “Non vogliono arrestarti,” disse. “Vogliono solo aiutarti. Ma anche loro hanno bisogno del tuo aiuto.”
Ci fu qualche istante di silenzio. Poi, lentamente, Abercrombie sollevò la testa che teneva nascosta tra le braccia. “Va bene,” mormorò, senza guardarli.
 
*
 
19 settembre 2027
Londra
Più tardi
 
“Alice?” chiamò Bernie, chiudendosi alle spalle la porta dell’appartamento. “Sei in casa?”
“Sono qui!” rispose una voce, proveniente da qualche parte in fondo al corridoio.
Lui sospirò leggermente e si tolse il cappotto per appenderlo all’attaccapanni, lasciò la borsa da Guaritore nell’ingresso e si sfilò le scarpe.
Allora si rassestò i riccioli scuri sulla fronte e si incamminò lungo il corridoio dalle pareti chiare, in calzini contro la moquette. Voltò alla prima porta a destra, in una stanza piccola che tuttavia ospitava una grande scrivania, ingombra di fogli e libri tutti ammucchiati. Davanti ad essa c’era Alice, appollaiata sulla sedia girevole, con addosso dei lifting o come si chiamavano – quei pantaloni Babbani estremamente attillati, simili a calze, che Bernie trovava estremamente sexy – e qualcosa di simile a tre maglioni uno sopra l’altro.
In effetti nell’appartamento faceva piuttosto freddo. “Perché non hai acceso il riscaldamento?” chiese Bernie divertito, rabbrividendo.
Alice sollevò la testa dal foglio su cui stava scrivendo degli appunti e gli rivolse un sorriso luminoso. Aveva i capelli biondi raccolti in cima alla testa e gli occhiali da lettura indosso. Se li sfilò mentre rispondeva in tono allegro: “Non volevo interrompere il lavoro, quindi ho Appellato un maglione.”
“E poi un altro e un altro ancora?” rise Bernie, provando un improvviso moto di tenerezza nei suoi confronti.
Alice era adorabile e buffa. Ed era bella, ma in un modo che si notava solo alla seconda occhiata, quando lo sguardo si soffermava sulla vivacità dei suoi occhi e la bellezza del suo sorriso. La vide scrollare le spalle. “Avevo freddo,” replicò, come se questo spiegasse tutto. “Invece adesso ho fame,” aggiunse. “E tu?”
Bernie sorrise ancora.  “Andiamo a preparare la cena?” le propose.
Alice saltò giù dalla sedia con aria soddisfatta e insieme si avviarono in cucina, dove Bernie accese il riscaldamento e lei piroettò verso i fornelli appellando qualche pentola, del pollo e delle verdure, che si misero a tagliare insieme, seduti al tavolo, alla Babbana. Era come una specie di rituale.
“Allora, com’è andata oggi?” domandò Alice dopo un po’, sfilandosi un primo maglione visto che la stanza stava cominciando a scaldarsi.
“Stressante,” rispose Bernie. “E a te? La tua ricerca?”
Lei si mordicchiò il labbro. “Non c’è male. Mi sto impegnando e spero che i risultati si vedranno,” disse con la solita modestia da Tassorosso. Bernie sapeva benissimo che i risultati si sarebbero visti eccome, visto che Alice era veramente brava. “E quel paziente che mi dicevi ieri?”
Bernie aggrottò le sopracciglia. “Il signor Abercrombie, dici?” sospirò. “Oggi sono venuti a interrogarlo, sai.”
Alice socchiuse gli occhi e inclinò appena la testa, osservandolo. “Gli Auror?”
“La squadra di Scorpius e Gwyneth,” confermò, osservando la ragazza sfilarsi anche il secondo maglione e spedirli entrambi in direzione della camera da letto con un colpo di bacchetta.
Per qualche istante ci fu silenzio: si udiva solo il suono dei coltelli che battevano sui taglieri.
“E com’è andata?” lo esortò a continuare Alice.
Bernie poggiò il coltello sul tavolo e abbandonò la testa sulla mano. “In realtà non male. Hanno riconosciuto che è assai improbabile che abbia agito di sua spontanea volontà.”
Lei sollevò le sopracciglia. “Ma… ?”
“Ma non hanno abbastanza materiale per scagionarlo, dal momento che non ha fornito informazioni sull’incantesimo subito… Ne ha ammesso di averne subito uno,” sbuffò. “Quindi dovrà andare sotto processo.”
Alice parve indignata. “Nelle sue condizioni? Come possono pensare di fargli una cosa del genere?!” Con gesti stizziti, si alzò e con la bacchetta spedi i pezzi di pollo e di verdure dritti nelle pentole. Quelli atterrarono violentemente, con un certo fracasso.
Bernie scrollò le spalle. “Non dipende da loro, purtroppo.” Sollevò gli occhi, incontrando quelli di Alice, così carichi di bontà. “Dovrò affiancare nel processo il MagiAvvocato che si occuperà della difesa,” aggiunse in un mormorio.
La ragazza gli gettò uno sguardo consapevole. Non era la prima volta che Bernie doveva testimoniare in un processo, e l’ultima era ancora impressa a fuoco nella sua mente, così gravida di incubi, di paura e tensione…
Non sarà come l’altra volta, si disse. Non lo sarà.
 
*
 
20 settembre 2027
King’s Cross, Londra
Quasi le undici
 
Hugo Weasley si lasciò sfuggire un sospiro tra i denti prima di chinare appena il capo e incamminarsi risoluto verso la barriera tra i binari nove e dieci.
Fu un istante: la oltrepassò e si ritrovò sulla banchina fumosa, stranamente silenziosa, con la rossa locomotiva sbuffante ad attenderlo. Hugo si incamminò un po’ a caso lungo il binario, spingendo il suo carrello carico di bagagli – libri, essenzialmente – indeciso su dove sedersi.
Era felice di tornare a Hogwarts, ma chissà perché si sentiva assalito da una curiosa mestizia, come se gli mancasse un pezzo o avesse dimenticato qualcosa. Un tempo si sarebbe mosso tra vapore e grida di famigli assieme a sua sorella e ai suoi cugini, alla ricerca di uno scompartimento libero, ma adesso le carrozze del treno erano tutte vuote e lui era solo.
L’appuntamento del giorno precedente con il Responsabile dell’Ufficio Collocamento era stato breve e conciso. Aveva solo dovuto sbrigare qualche formalità, mettere un paio di firme e poi tornare a casa per fare i bagagli.
Stava per decidersi a salire su di una carrozza a caso quando dietro di sé udì l’inconfondibile rullio delle ruote di un carrello bagagli contro la superficie, macchiata di fuliggine, della pavimentazione del binario. Udì anche due voci concitate che parlavano tra di loro; una sconosciuta e l’altra terribilmente familiare, anche se apparteneva ad un altro tempo, ad un’altra vita.
Si voltò di scatto: due figure emergevano dal vapore che ammantava l’intero ambiente. Uno dei due era un uomo di mezz’età dall’aria placida e vagamente distratta, l’altro una figura più snella e slanciata, che Hugo conosceva benissimo. Lo conosceva per avervi soffermato lo sguardo così tante volte, prima con l’ammirazione dedicata alla sua primissima cotta, poi con sospetto e rabbia, e infine… Infine aveva semplicemente evitato di guardarlo.
“… Professore, ma non capisco…”
“Basta così, Anthony. Non sono stato io a richiedere la tua presenza, te l’ho già detto, ma è perfettamente normale che abbiano invitato anche te in qualità di mio assistente. Dovresti esserne contento.”
“Ma lo sono, professore. So bene che è un’occasione unica, ma…”
Ma poi fu come se Anthony Menley si fosse accorto di essere udito, perché alzò la testa di scatto e lo vide.
Hugo si sentì mortalmente a disagio. Non ce l’aveva con l’altro, non più, ma di certo non desiderava d’incontrarlo. Deglutì e sollevò automaticamente la mano a sollevare una ciocca di capelli lisci, che adesso portava lunghi fino alle spalle e raccolti in un codino bruno-rossiccio. In qualche modo finivano sempre per sfuggire all’elastico.
L’altro non era cambiato granché. Faceva uno strano effetto vederlo vestito con abiti Babbani e non con la sua divisa da Corvonero, ma era sempre bello, con gli occhi un po’ infossati e la mascella squadrata. Sembrava sorpreso, poi parve incupirsi.
Hugo si domandò cosa per le mutande di Merlino ci facesse lì.
“Ma cosa, Anthony?” lo esortò a continuare il professore di mezza età, che evidentemente non si era reso conto del loro scambio di sguardi.
Tony aggrottò le sopracciglia brevemente, senza smettere di guardare Hugo. “Niente, professore,” disse in tono neutro. “Ha ragione: dovrei essere contento ed è stato sciocco da parte mia protestare.”
Finalmente, il professore si accorse della direzione dello sguardo di Tony e posò gli occhi su di lui.
“Ma c’è un giovanotto lì?” lo udì dire. “Bene, allora viaggeremo in compagnia!”
Hugo deglutì e iniziò a spingere il carrello verso di loro; sapeva di non poter fare altro: era troppo tardi per ignorare la loro presenza e sgattaiolare non visto in qualche scompartimento.
A volte vorrei tanto essere un Serpeverde.
Riescono sempre a tirarsi fuori dalle situazioni scomode…
Perciò continuò a spingere il suo carrello fino ad affiancarli, cercò di assumere un’aria educata e affabile e strinse la mano del professore.
“Sono Heribert Bulstrode,” si presentò questi. “Mi reco a Hogwarts per un seminario di Storia dell’Arte Magica.”
Hugo si schiarì la voce. “Hugo Weasley,” disse. “Ho un tirocinio con il professor Fortebraccio.”
Il professor Bulstrode sorrise. “Aritmanzia, eh, ragazzo? Devi essere un mago di talento.” Hugo non fece in tempo a sorridere imbarazzato e a schernirsi con finta modestia – So perfettamente di essere un mago di talento, grazie – perché il professore posò una mano sulla spalla di Tony, il quale a giudicare dalla sua espressione avrebbe preferito trovarsi in una fogna intasata anziché lì. “Ti presento il mio assistente, Anthony Menley. Anche se magari vi conoscerete dai tempi di Hogwarts, eh?”
“In effetti sì,” disse Tony, in tono compassato e vagamente pomposo. Gli strinse comunque la mano, evitando di guardarlo in faccia, e lo stomaco di Hugo sembrò fare un salto e andare a piazzarsi da qualche parte all’altezza dell’ugola. Si sentiva a disagio, spaventosamente a disagio. “Eravamo entrambi in Corvonero.”
Suo malgrado, Hugo dovette seguirli a bordo del treno e poi sedersi nel loro stesso scompartimento, sforzandosi di sostenere un’amabile conversazione con il professor Bulstrode; per tutto il tempo, Tony rimase sprofondato in un tetro silenzio, senza curarsi di nascondere un’espressione rancorosa e decisamente scontenta, come se stesse continuando a rimuginare su qualcosa. Alle undici in punto il treno uscì dalla stazione con un fischio e uno sbuffo di vapore più consistente, lasciandosi poi alle spalle le città per addentrarsi nella campagna circostante.
Il professore sembrava aver una grande voglia di chiacchierare; di tanto in tanto Hugo gettava un’occhiata guardinga a Tony e lo trovava sempre nella stessa posizione, con una gamba poggiata traversalmente sull’altra – si vedeva un pezzo di caviglia in un calzino a righe – un gomito sul bracciolo della poltrona e il mento sul pugno. Il suo sguardo era fisso sul paesaggio fuori dal finestrino e non si schiodava mai da lì, con le palpebre socchiuse, volontariamente estraniato dagli altri occupanti dello scompartimento.
All’ora di pranzo passò il solito carrello carico di dolciumi. Hugo ne acquistò parecchi con soddisfazione, godendosi quel momento che non poteva vivere da anni.
“Un pacchetto di piume di zucchero, grazie,” fece Tony flemmatico, e quelle furono le uniche parole che pronunciò per tutto il viaggio.
Il pomeriggio proseguì con pochi cambiamenti: erano appena entrati in Scozia quando il professore si addormentò e iniziò a russare; Hugo non tentò neanche di fare conversazione, ma si limitò a tirare fuori un grosso libro dal baule con un incantesimo di Appello e sprofondare nella lettura.
Ad un certo punto dovette addormentarsi anche lui, perché si ritrovò con indosso la sua vecchia divisa di scuola, ad aggirarsi per i corridoi di Hogwarts senza una meta, con un mazzo di carte francesi tra le mani, quasi tutte con i bordi recanti eleganti messaggi in inchiostro di un blu stinto*. Solo che le carte cominciavano a scivolare giù dalle sue mani: Hugo cercava di raccoglierle freneticamente ma quelle continuavano a cadere, a cadere…
“Weasley! Weasley, svegliati.”
Qualcuno lo stava scuotendo. Spalancò gli occhi e si ritrovò di nuovo nello scompartimento dell’Espresso per Hogwarts. Il professor Bulstrode russava e davanti a sé vide il volto di Tony Menley, chino su di lui, che lo osservava con espressione indecifrabile tra le palpebre socchiuse.
Si accorse di avere il fiatone e che sudori freddi gli scivolavano sul volto e lungo la schiena.
“Ti stavi agitando nel sonno,” lo informò Tony, che ad un secondo sguardo gli parve leggermente stranito. “Va tutto bene?”
Hugo aggrottò le palpebre e si lasciò sfuggire un sospiro, tirando su gli occhiali che nel sonno gli erano scivolati sin quasi alla punta del naso. “Tutto bene,” replicò in tono leggermente incerto. “Solo un brutto sogno.”
Tony continuò a guardarlo ancora per un lungo istante con aria indagatrice, prima di tirarsi su e tornare al proprio posto vicino al finestrino.
Ormai era calato il buio.
Passata un’altra manciata di minuti, il treno girò attorno ad un’altura e finalmente lo videro: il profilo del castello in lontananza, con le innumerevoli finestre illuminate, le sue torri e torrette illuminate dalla luna. Era una notte serena, e nel posare gli occhi sulla sua vecchia scuola Hugo ebbe la sua sensazione che qualcosa di caldo e vivo battesse le ali nel suo stomaco.
Poi posò gli occhi su Tony, sul suo volto corrucciato, chiedendosi cosa avesse fatto di tanto terribile nella propria vita precedente perché il karma ce l’avesse così tanto con lui.
… Possibile che a Hogwarts non si possa mai stare tranquilli?
Tuttavia, era contento di essere tornato a casa.
 
 
 


 
Note dell’Autrice
Ed eccoci qui al terzo capitolo!
Come vedete ancora bisogna entrare nel vivo della vicenda, ma intanto ne ho approfittato per presentarvi un po’ di personaggi (specialmente quelli “nuovi nuovi”, che in Sulla tua pelle comparivano solo di sfuggita) e Alice, che spero non venga odiata dai vecchi lettori perché la adoro e mi sento in colpa ad averla messa in un ruolo così scomodo.
Per i nuovi lettori: Otto Murray è un uomo che aveva subito una maledizione e che Scorpius ha visto morire. Per ulteriori chiarimenti sono qui!
Risponderò alle recensioni appena avrò un momento, ma ne approfitto per chiarire (probabilmente l’avrete capito benissimo ma mi è venuto il dubbio) che le rapine sono due: una è quella alla realmente esistente National Gallery nel prologo, l’altra quella al Museo Magico Britannico. Spero che fosse chiaro :)
Grazie a tutti!
Bacioni, Daph
 
(a proposito, che ne dite del cambio di nickname? Ho voluto una specie di ritorno alle origini!)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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