21.
LITIGIO
“Vai,
vai, vai...” pensa Federico senza mai staccare gli occhi di
dosso a suo
fratello. Lo osserva correre nel campetto insieme agli altri giocatori,
i
capelli tenuti indietro da una fascia e la maglia ricoperta di sudore.
Mancano
pochi secondi alla fine della partita, ma Edoardo ha la palla in mezzo
ai piedi
e punta dritto verso la porta, i compagni intorno a lui a fargli da
scudo. È
solo un’amichevole fra polisportive, ma per il più
piccolo è comunque
importante, soprattutto ora che il gol decisivo è il suo.
Fede si storce le
dita, agitato, mentre guarda suo fratello avvicinarsi al limite
dell’area di
tiro, caricare e...
«Sì!» Prima ancora
di accorgersene è già in piedi a saltare, urlare
ed esultare insieme a quella
che crede sia la ragazza di un altro giocatore. Edo resta immobile
davanti alla
porta con le mani nei capelli, incredulo, finché la squadra
al completo non gli
salta addosso, seppellendolo sotto un ammasso di corpi sporchi e
sudati. Fede
prega che abbia abbastanza forze per riuscire ad rialzarsi, ma poi vede
i suo
compagni sollevarlo sopra le loro teste e trascinarlo negli spogliatoi,
lanciandolo un paio di volte in aria. Con un sorriso ebete che non
riesce a
togliersi dalla faccia, Fede si dirige fuori dagli spalti, immergendosi
nel
buio della notte. C’è un leggero venticello un
po’ più fresco del solito, così
si toglie la sciarpa e se l’avvolge intorno al polso, pronto
a sistemarla
intorno al collo del fratello. Si appoggia ad un muretto e aspetta
sereno,
sperando che Edo non ci metta troppo. Qualche minuto dopo, una
testolina
bagnata sbuca dagli spogliatoi, scuotendosi e spargendo goccioline
d’acqua a
destra e sinistra.
«Se poi stai male, io non ti curo»
ironizza Fede accennando ai capelli
bagnati.
«Oh, ma
cosa me ne importa! Ho fatto gol! Ho fatto il gol finale! Dio, non ci
credo! Tu
l’hai visto, vero? Eh? Eh?» Edo
saltella
sul posto mentre lui gli sistema la sciarpa con un sospiro
rassegnato.
«Certo
che ti ho visto, ero lì apposta! – fa un cenno ai
compagni di Edo che stanno
lasciando la polisportiva – Sei stato bravissimo»
dice accarezzandogli una
guancia. L’altro sorride e si strofina contro il palmo della
sua mano.
«Grazie».
«Tagliamo per il parco, vuoi?»
propone lui.
Edo storce i naso. «Ma è buio».
«Sì, ma lì non c’è
nessuno»
ribatte strizzandogli l’occhio. Poi lo prende per mano,
ignorando le sue deboli
proteste, e lo trascina fra gli scivoli e le altalene. Camminano
lentamente,
nonostante l’aria fresca, cullati dalla voce entusiasta di
Edo, che non la
smette di parlare della partita. Poi, ad un tratto, si fa
improvvisamente
silenzioso e la sua presa diventa più stretta. Fede aggrotta
le sopracciglia,
in allerta.
«Sai, stavo pensando...» inizia suo fratello
agganciando lo sguardo a
terra. Lui si ferma.
«Che magari potremmo... sì, ecco, dire di noi...
ai nostri
genitori».
Fede si sente mancare. Nel senso che il suo cuore ha smesso di
battere e il suo cervello si è scollegato. Si rifiuta di
assimilare ciò che ha
appena detto il più piccolo. Si sente ghiacciare fino al
midollo, e il freddo
della notte non c’entra nulla. La testa gli gira come se li
avessero appena colpo
il cervelletto con una mazza da baseball rivestita in marmo.
«Stai scherzando». Non è
una domanda, non ha il coraggio di farla.
«No,
io... ho p-pensato c-che...» Edo balbetta e sicuramente non
è un bene.
«Come puoi pensare una cosa del genere? –
poco a poco, Fede sente la paura montargli dentro – Dopo
tutto quello che
abbiamo passato, dopo diciannove anni trascorsi a nasconderci, a proteggerci! Non hai imparato
nulla?»
Edo
stringe la mascella, gli occhi pieni di lacrime. «I-io
credevo c-che... che tu
avresti capito... c-che...»
«Capito? Capito
cosa?» domanda confuso.
«Che sono stufo di nascondermi! Che non ne posso
più!»
«Pensi che
non lo sappia? Credi che non sia stufo anche io? Eh?» sibila
furioso.
«No - è la risposta che
arriva dura e sofferta – No. Se tu fossi stufo come dici,
allora mi capiresti,
sapresti di cosa sto parlando. E se tu mi amassi davvero, mi
appoggeresti,
faresti di tutto per supportarmi e aiutarmi. Ma per te io sono solo un
giocattolo, vero? Un divertimento finché non sceglierai una
di quelle sgualdrinette
da quattro soldi che ti vengono dietro». Le sue parole sono
tremanti e piene di
terrore. Neppure lui crede a quello che sta dicendo, ma sta finalmente
buttando
fuori tutte le sue paure, tutto ciò che negli anni lo ha
terrorizzato.
Fede,
però, non ci pensa, è troppo infuriato per fare
anche un solo pensiero
razionale. Così sferra il primo pugno. Forte, preciso e
dritto verso lo zigomo
destro di suo fratello. Lo schiocco delle sue nocche contro
l’osso lo riempie
di sensazioni, dall’immediato senso di colpa alla pura
soddisfazione che solo
una bella scazzottata sa dare. Edo lo guarda sbalordito, stupefatto
dalla sua
azione, ma lui non ci bada, carica di nuovo e colpisce una seconda
volta, sempre
nello stesso punto. «Io non ti amo, eh? Sei solo un
giocattolo per me, uh?
Brutto figlio di puttana!»
Quando meno se lo aspetta, un pugno
veloce e deciso si abbatte contro il suo labbro , provocandogli un
lungo taglio
sul labbro inferiore. Fede avverte il gusto del sangue sulla punta
della lingua
e si passa una mano sulla bocca, sconvolto. In pochi secondi, i due
fratelli
danno il via ad una delle risse peggiori che si siano mai viste: si
afferrano
per i capelli, si tirano pugni nello stomaco e cadono a terra,
rotolandosi fra
le foglie secche cadute al suolo. Si ritrovano uno sdraiato davanti
all’altro,
tenendo entrambi le mani strette intorno al collo del fratello. Quando
capiscono che non c’è alcun modo per continuare a
darsele di santa ragione in
quella posizione, si lasciano andare, all’unisono, respirando
pesantemente.
Fede guarda il petto di Edoardo alzarsi e abbassarsi velocemente, i
vestiti
sporchi e il sangue quasi rappreso fuori dal naso. Poi, ignorando il
dolore
lancinante che si espande allo stomaco, gli si siede a cavalcioni e si
china su
di lui, infilando la lingua nella sua bocca e tirandogli i capelli con
forza.
Edo risponde subito al bacio, gli infila le mani sotto la giacca e si
aggrappa
a lui.
«Non provare mai più a dire che non
ti amo – mormora Fede mordendogli a
sangue un labbro – Chiaro?»
Edo annuisce lentamente e chiude gli occhi, due piccole
lacrime che
scorrono lungo le sue guance. «Mi dispiace – geme
– Non dicevo sul serio, mi
dispiace, mi dispiace...»
Fede non lo lascia
continuare, gli tappa la bocca con una mano e lo costringe a fissarlo
negli
occhi. «Ti amo. E te lo ripeterò ad ogni ora del
giorno, se vorrai, ti
sveglierò la notte per dirtelo e ti chiamerò a
lezione per ricordartelo, se
sarà necessario» dichiara solenne.
L’altro nega convinto con il capo, poi
afferra la sua mano e se la scosta dalla bocca. «Non serve.
Lo so, so che mi
ami. Come io amo te. Ma sarebbe carino se tu me lo dicessi qualche
volta in
più, in effetti. Non di notte, però. Di notte
preferisco dormire e-»
Fede lo
zittisce di nuovo, stringendogli le labbra fra due dita. «Sei
tutto sporco».
Sorride.
«Anche tu».
Lui ride ed è una risata liberatoria, triste e felice,
leggera e pesante allo
stesso tempo. Poi si alza in piedi, gli tende una mano e lo aiuta ad
alzarsi.
Lo aiuta, lo sostiene, come ha sempre fatto e come sempre
farà. Edo dà uno
scrollone ai vestiti, si toglie le foglie secche dai capelli
guardandole con la
sua solita aria da bambino. E Fede non resiste più: lo
afferra per il colletto della
felpa lo spinge indietro fino a sbattere contro un muretto, ignorando
l’aria
stupita dell’altro. Approfitta delle sue labbra aperte per la
sorpresa e approfondisce
immediatamente il bacio, accarezzandogli il palato e tracciando ogni
dente con
irruenza. Infila le mani sotto i vestiti del fratello, premendo i palmi
sulla
pelle calda del suo petto. Edo solleva le braccia e le posiziona dietro
il suo
collo, accostando la bocca al suo orecchio e gemendo senza ritegno.
«Ti
voglio». Le sue mani scivolano sul collo del maggiore, lungo
gli avambracci e
puntano dritto ai lacci della sua tuta. Dopo aver trafficato
scoordinatamente con
il nodo riesce finalmente a scioglierlo e ad intrufolarsi sotto la
stoffa,
afferrando le natiche del fratello, strizzandole forte. Fede
boccheggia,
soprattutto quando le mani si spostano pigramente in avanti a iniziano
a
sfregare con insistenza. Fede sta per sciogliersi sul posto, ma un
barlume di lucidità
lo attraversa e lui afferra il polso del minore, bloccandone il
percorso dentro
i suoi boxer.
«Non qui» ansima sul collo del più
piccolo tentando di riprende
fiato e di non lasciarsi andare lì sul posto.
«Perché?» chiede Edo con aria
imbronciata – Non c’è nessuno,
è troppo tardi» prova a dissuaderlo
strofinandogli le labbra dietro l’orecchio. Fede non
risponde, ma lo prende per
i capelli e lo stacca da sé, appropriandosi della sua bocca
per un profondo ma
rapido bacio.
«Non
qui» ripete. Si riallaccia in fretta i pantaloni, evitando di
sfiorare zone ora
ipersensibili. Poi accarezza suo fratello lungo i fianchi, afferrandolo
sotto
le cosce e prendendoselo in braccio. Mentre si avviano verso casa gli
massaggia
vigorosamente il fondoschiena, premendo contemporaneamente il bacino
contro il
suo. Edo piagnucola per il piacere e si contorce fra le sue braccia.
«Vediamo se resisti
fino a casa». E mai quella parola è parsa
più rassicurante. Casa.
Vi prego, non seppellitemi viva. Mea culpa, lo so benissimo. Aggiornare è stato davvero un casino tra la scuola, il lavoro e una nuova Shot (andate a darle un'ochiata se vi va, si intitola il corpo umano - come il libro di Paolo Giordano. Infatti parla di due personaggi di quel romanzo).
Inoltre, per scrivere
quell'intervista ci ho messo anima e corpo (e sangue), ma ad essere
sincera sono arrivate molte meno recensioni di quelle che mi aspettavo,
e questo mi ha demoralizzata un po'. Comunque, adesso sono
tornata con un capitolo molto fluff e mooooolto angst (sigh). Spero vi
sia piaciuto lo stesso, nonostante la massiccia dose di autolesionismo
che mi sono inferta per scriverlo. Ascoltare quanto è
successo in prima persona è stata un'esperienza davvero
triste, ma fa comunque parte della loro storia.
Un enorme abbraccio a chi ancora segue questa storia - fatevi sentire
se ci siete! - e ancora una valanga di scuse. <3