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Autore: LimoneMenta    16/10/2015    3 recensioni
Federico sa cos’è l’Amore, quello con la A maiuscola: per lui ha un nome, e si chiama Edoardo. Il loro amore è fatto di menzogne, costruito sulle bugie dette ai genitori. Sì, perché oltre ad essere due ragazzi (che in realtà non è un problema) i due sono anche fratelli. Gemelli.
***
Mi piacerebbe intitolare almeno un capitolo (ma magari anche più di uno) per ogni lettera dell'alfabeto, perciò questa storia avrà (spero!) parecchi capitoli. E spero anche che vi piaccia.
P.S. Non sono solita inserire commenti o note per ogni capitolo, perciò per qualsiasi dubbio non esitate a chiedere (magari con una recensioncina :3 )
Se qualcuno avesse una richiesta particolare (magari un capitolo specifico che vorrebbe leggere) sono disponibilissima per qualsiasi proposta, anzi!
P.P.S. storia ispirata a persone realmente esistenti, (consapevoli dell'esistenza di questa storia) e con nomi e riferimenti completamente diversi dalla realtà :)
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Incest | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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21. LITIGIO

 

“Vai, vai, vai...” pensa Federico senza mai staccare gli occhi di dosso a suo fratello. Lo osserva correre nel campetto insieme agli altri giocatori, i capelli tenuti indietro da una fascia e la maglia ricoperta di sudore. Mancano pochi secondi alla fine della partita, ma Edoardo ha la palla in mezzo ai piedi e punta dritto verso la porta, i compagni intorno a lui a fargli da scudo. È solo un’amichevole fra polisportive, ma per il più piccolo è comunque importante, soprattutto ora che il gol decisivo è il suo. Fede si storce le dita, agitato, mentre guarda suo fratello avvicinarsi al limite dell’area di tiro, caricare e...    
«Sì!» Prima ancora di accorgersene è già in piedi a saltare, urlare ed esultare insieme a quella che crede sia la ragazza di un altro giocatore. Edo resta immobile davanti alla porta con le mani nei capelli, incredulo, finché la squadra al completo non gli salta addosso, seppellendolo sotto un ammasso di corpi sporchi e sudati. Fede prega che abbia abbastanza forze per riuscire ad rialzarsi, ma poi vede i suo compagni sollevarlo sopra le loro teste e trascinarlo negli spogliatoi, lanciandolo un paio di volte in aria. Con un sorriso ebete che non riesce a togliersi dalla faccia, Fede si dirige fuori dagli spalti, immergendosi nel buio della notte. C’è un leggero venticello un po’ più fresco del solito, così si toglie la sciarpa e se l’avvolge intorno al polso, pronto a sistemarla intorno al collo del fratello. Si appoggia ad un muretto e aspetta sereno, sperando che Edo non ci metta troppo. Qualche minuto dopo, una testolina bagnata sbuca dagli spogliatoi, scuotendosi e spargendo goccioline d’acqua a destra e sinistra   
«Se poi stai male, io non ti curo» ironizza Fede accennando ai capelli bagnati.                      
«Oh, ma cosa me ne importa! Ho fatto gol! Ho fatto il gol finale! Dio, non ci credo! Tu l’hai visto, vero? Eh?
Eh?» Edo saltella sul posto mentre lui gli sistema la sciarpa con un sospiro rassegnato. 
«Certo che ti ho visto, ero lì apposta! – fa un cenno ai compagni di Edo che stanno lasciando la polisportiva – Sei stato bravissimo» dice accarezzandogli una guancia. L’altro sorride e si strofina contro il palmo della sua mano. «Grazie».                 
«Tagliamo per il parco, vuoi?» propone lui.                                                                            
Edo storce i naso. «Ma è buio».                                                                                                       
«Sì, ma lì non c’è nessuno» ribatte strizzandogli l’occhio. Poi lo prende per mano, ignorando le sue deboli proteste, e lo trascina fra gli scivoli e le altalene. Camminano lentamente, nonostante l’aria fresca, cullati dalla voce entusiasta di Edo, che non la smette di parlare della partita. Poi, ad un tratto, si fa improvvisamente silenzioso e la sua presa diventa più stretta. Fede aggrotta le sopracciglia, in allerta.                                  
«Sai, stavo pensando...» inizia suo fratello agganciando lo sguardo a terra. Lui si ferma. 
«Che magari potremmo... sì, ecco, dire di noi... ai nostri genitori». 
Fede si sente mancare. Nel senso che il suo cuore ha smesso di battere e il suo cervello si è scollegato. Si rifiuta di assimilare ciò che ha appena detto il più piccolo. Si sente ghiacciare fino al midollo, e il freddo della notte non c’entra nulla. La testa gli gira come se li avessero appena colpo il cervelletto con una mazza da baseball rivestita in marmo.                                              
«Stai scherzando». Non è una domanda, non ha il coraggio di farla.                                        
«No, io... ho p-pensato c-che...» Edo balbetta e sicuramente non è un bene.                      
«Come puoi pensare una cosa del genere? – poco a poco, Fede sente la paura montargli dentro – Dopo tutto quello che abbiamo passato, dopo diciannove anni trascorsi a nasconderci, a proteggerci! Non hai imparato nulla?»                                                                                            
Edo stringe la mascella, gli occhi pieni di lacrime. «I-io credevo c-che... che tu avresti capito... c-che...»                                                                                          
«Capito? Capito cosa?» domanda confuso.                                                                                   
«Che sono stufo di nascondermi! Che non ne posso più!»                                                                                     
«Pensi che non lo sappia? Credi che non sia stufo anche io? Eh?» sibila furioso.                 
«No - è la risposta che arriva dura e sofferta – No. Se tu fossi stufo come dici, allora mi capiresti, sapresti di cosa sto parlando. E se tu mi amassi davvero, mi appoggeresti, faresti di tutto per supportarmi e aiutarmi. Ma per te io sono solo un giocattolo, vero? Un divertimento finché non sceglierai una di quelle sgualdrinette da quattro soldi che ti vengono dietro». Le sue parole sono tremanti e piene di terrore. Neppure lui crede a quello che sta dicendo, ma sta finalmente buttando fuori tutte le sue paure, tutto ciò che negli anni lo ha terrorizzato. 
Fede, però, non ci pensa, è troppo infuriato per fare anche un solo pensiero razionale. Così sferra il primo pugno. Forte, preciso e dritto verso lo zigomo destro di suo fratello. Lo schiocco delle sue nocche contro l’osso lo riempie di sensazioni, dall’immediato senso di colpa alla pura soddisfazione che solo una bella scazzottata sa dare. Edo lo guarda sbalordito, stupefatto dalla sua azione, ma lui non ci bada, carica di nuovo e colpisce una seconda volta, sempre nello stesso punto. «Io non ti amo, eh? Sei solo un giocattolo per me, uh? Brutto figlio di puttana!»                   
Quando meno se lo aspetta, un pugno veloce e deciso si abbatte contro il suo labbro , provocandogli un lungo taglio sul labbro inferiore. Fede avverte il gusto del sangue sulla punta della lingua e si passa una mano sulla bocca, sconvolto. In pochi secondi, i due fratelli danno il via ad una delle risse peggiori che si siano mai viste: si afferrano per i capelli, si tirano pugni nello stomaco e cadono a terra, rotolandosi fra le foglie secche cadute al suolo. Si ritrovano uno sdraiato davanti all’altro, tenendo entrambi le mani strette intorno al collo del fratello. Quando capiscono che non c’è alcun modo per continuare a darsele di santa ragione in quella posizione, si lasciano andare, all’unisono, respirando pesantemente. Fede guarda il petto di Edoardo alzarsi e abbassarsi velocemente, i vestiti sporchi e il sangue quasi rappreso fuori dal naso. Poi, ignorando il dolore lancinante che si espande allo stomaco, gli si siede a cavalcioni e si china su di lui, infilando la lingua nella sua bocca e tirandogli i capelli con forza. Edo risponde subito al bacio, gli infila le mani sotto la giacca e si aggrappa a lui.                                           
«Non provare mai più a dire che non ti amo – mormora Fede mordendogli a sangue un labbro – Chiaro?»                            
Edo annuisce lentamente e chiude gli occhi, due piccole lacrime che scorrono lungo le sue guance. «Mi dispiace – geme – Non dicevo sul serio, mi dispiace, mi dispiace...» 
Fede non lo lascia continuare, gli tappa la bocca con una mano e lo costringe a fissarlo negli occhi. «Ti amo. E te lo ripeterò ad ogni ora del giorno, se vorrai, ti sveglierò la notte per dirtelo e ti chiamerò a lezione per ricordartelo, se sarà necessario» dichiara solenne. L’altro nega convinto con il capo, poi afferra la sua mano e se la scosta dalla bocca. «Non serve. Lo so, so che mi ami. Come io amo te. Ma sarebbe carino se tu me lo dicessi qualche volta in più, in effetti. Non di notte, però. Di notte preferisco dormire e-» 
Fede lo zittisce di nuovo, stringendogli le labbra fra due dita. «Sei tutto sporco». Sorride.                  
«Anche tu». Lui ride ed è una risata liberatoria, triste e felice, leggera e pesante allo stesso tempo. Poi si alza in piedi, gli tende una mano e lo aiuta ad alzarsi. Lo aiuta, lo sostiene, come ha sempre fatto e come sempre farà. Edo dà uno scrollone ai vestiti, si toglie le foglie secche dai capelli guardandole con la sua solita aria da bambino. E Fede non resiste più: lo afferra per il colletto della felpa lo spinge indietro fino a sbattere contro un muretto, ignorando l’aria stupita dell’altro. Approfitta delle sue labbra aperte per la sorpresa e approfondisce immediatamente il bacio, accarezzandogli il palato e tracciando ogni dente con irruenza. Infila le mani sotto i vestiti del fratello, premendo i palmi sulla pelle calda del suo petto. Edo solleva le braccia e le posiziona dietro il suo collo, accostando la bocca al suo orecchio e gemendo senza ritegno. «Ti voglio». Le sue mani scivolano sul collo del maggiore, lungo gli avambracci e puntano dritto ai lacci della sua tuta. Dopo aver trafficato scoordinatamente con il nodo riesce finalmente a scioglierlo e ad intrufolarsi sotto la stoffa, afferrando le natiche del fratello, strizzandole forte. Fede boccheggia, soprattutto quando le mani si spostano pigramente in avanti a iniziano a sfregare con insistenza. Fede sta per sciogliersi sul posto, ma un barlume di lucidità lo attraversa e lui afferra il polso del minore, bloccandone il percorso dentro i suoi boxer. 
«Non qui» ansima sul collo del più piccolo tentando di riprende fiato e di non lasciarsi andare lì sul posto. 
«Perché?» chiede Edo con aria imbronciata – Non c’è nessuno, è troppo tardi» prova a dissuaderlo strofinandogli le labbra dietro l’orecchio. Fede non risponde, ma lo prende per i capelli e lo stacca da sé, appropriandosi della sua bocca per un profondo ma rapido bacio.                                   
«Non qui» ripete. Si riallaccia in fretta i pantaloni, evitando di sfiorare zone ora ipersensibili. Poi accarezza suo fratello lungo i fianchi, afferrandolo sotto le cosce e prendendoselo in braccio. Mentre si avviano verso casa gli massaggia vigorosamente il fondoschiena, premendo contemporaneamente il bacino contro il suo. Edo piagnucola per il piacere e si contorce fra le sue braccia.                                                                     
«Vediamo se resisti fino a casa». E mai quella parola è parsa più rassicurante. Casa.

Image and video hosting by TinyPic Angolo dell'autrice (se così si può ancora chiamare):
Vi prego, non seppellitemi  viva. Mea culpa, lo so benissimo. Aggiornare è stato davvero un casino tra la scuola, il lavoro e una nuova Shot  (andate a darle un'ochiata se vi va, si intitola il corpo umano - come il libro di Paolo Giordano. Infatti parla di due personaggi di quel romanzo).

Inoltre, per scrivere quell'intervista ci ho messo anima e corpo (e sangue), ma ad essere sincera sono arrivate molte meno recensioni di quelle che mi aspettavo, e questo mi ha demoralizzata un po'. Comunque, adesso sono tornata con un capitolo molto fluff e mooooolto angst (sigh). Spero vi sia piaciuto lo stesso, nonostante la massiccia dose di autolesionismo che mi sono inferta per scriverlo. Ascoltare quanto è successo in prima persona è stata un'esperienza davvero triste, ma fa comunque parte della loro storia.
Un enorme abbraccio a chi ancora segue questa storia - fatevi sentire se ci siete! - e ancora una valanga di scuse.  <3

P.S. Allora, per chi non l'avesse capito questo è il litigio di cui si parla nell'intervista.
  
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