Ciao a tutti J
Eccomi ancora qui con un nuovo Capitolo. Qui la voce
narrante passa a Zaphil, il protettore della Nihaar’ì. E’ un esperimento, spero che possa piacervi!
A presto
Elendil
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“Siamo stati molto fortunati che il sommo Gunar Arvesti abbia
accettato di incontrarci. E’ cosa assai rara che egli abbia contatti con
chiunque non appartenga all’ordine dei Tintori” “Immagino a causa della Purezza
che egli deve conservare integra tanto nel corpo quanto nella mente” fece una
voce al suo fianco. Il giovane Kasir annuì una volta.
“Certamente” confermò “Ma anche per altre ragioni.
Sembra infatti che a differenza dei propri predecessori, questo Gunar Arvesti possieda
un’innaturale passione per il lavoro”
Tutt’attorno alla portantina si accalcavano le genti
di Hevnan k’ar, una marea
indecifrabile di visi e copricapi all’unisono immersi in un incessante e teso
mormorio.
Chinandosi appena in avanti, il giovane richiamò
l’attenzione di uno dei trasportatori “Allontaniamoci dal Mercato” ordinò col
ruvido accento dei mercanti “C’è troppa folla per poter proseguire a passo
spedito”.
Occhi celati da fasce e bende multicolori di tanto in
tanto si sollevavano dal mucchio per concedere loro un’occhiata incuriosita,
forse incerti se reputare o meno interessante la vista di due uomini, uno
giovane e l’altro affatto, rigidi sulle sedute di una portantina quasi che
sotto i loro paffuti cuscini vi fossero state pietre e sassi piuttosto che
piume e batuffoli di morbido cotone.
Eppure dall’espressione della Nihaar’ì
si sarebbe detto che quegli affari sballonzolanti non
fossero altro che paradiso per piedi e natiche....
In molti tuttavia conoscevano Kasir,
il primogenito di Mathias, motivo per cui non fu cosa
rara vedere questo o quell’ambulante chinarsi al loro passaggio o ancora
abbozzare un saluto formale. Altri invece lo chiamarono direttamente per nome
sventolando merci e mercanzie dalle più fantasiose origini.
Fu all’ennesimo venditore di scarabei fiutatesori lanciatosi in un rocambolesco inseguimento del
loro mezzo - Un autentico affare, parola mia! Sembrano piccoli, ma non ho mai
visto bestiole più energiche, provare per credere! - che Zaphil non potè proprio
risparmiarsi un sorriso beffardo.
“Evidentemente la passione per il lavoro non è
cosa atipica qui” dovette quasi urlare per farsi sentire dall’altro “Ovunque si
guardi non vedo che gente indaffarata, intenta nei propri affari o in cerca di
altri”.
Al suo fianco, il giovane Kasir
esibì un sorriso tutto denti “E’ così che la gente di Hevnan
k’ar affronta le proprie paure. Da che le Ombre sono
entrate nel Tempio non vi è stato un solo giorno di riposo fra commercianti,
bottegai, compratori e chiunque qui avesse affari da sbrigare.” Zaphil esalò una mezza risata lapidaria “Si affrettano ad
abbandonare la nave che affonda?” .
L’altro scosse la testa con un ghignetto “Si affrettano
a renderla ancora più forte e solida” la nota strafottente della sua voce
piacque all’altro “Non è cosa delle genti di qui arrendersi dinnanzi alle
avversità.” una pausa “E poi tutti sanno che lavoro e fatica allontanano le
paure e le tristezze meglio di qualunque medicina o anestetico”.
Anche se di poco, l’espressione di Zaphil
non potè che irrigidirsi. Voltò istantaneamente il
capo dall’altra parte, osservando senza in realtà vederlo un gruppo di giovani
che si contendevano un grosso serpente irto fra di loro e pronto ad attaccare.
L’animale aveva manto color sabbia e sfumature rosso vivo.
Avvertì gli occhi di Kasir
indugiare su lui qualche istante prima che anch’egli si voltasse dall’altra
parte. Sospirò.
Dunque le Volpi erano a conoscenza del motivo per cui
la Nihaar’ì ed il suo corteo si stavano trattenendo
ad Hevnan k’ar da alcune
settimane.
“Pensate che anche il nostro Gunar
Arvesti sia stato conquistato dalla febbricitante
atmosfera dilagante in città?” chiese dopo un attimo modulando la voce affinché
simulasse un tono calmo e rilassato. Solo un po’ goliardico.
Beh, c’era davvero poco di cui stupirsi. In
quell’amabile covo di serpi non esisteva muro, servo o sguattero sulla cui
testa non spiccassero grandi e pelose orecchie da “Volpe” diligentemente
utilizzate per udire e riferire ogni sillaba che venisse malauguratamente
proferita.
Il giovane Kasir ricambiò il
sorriso con uno decisamente più accattivamente “Spero
vivamente di no. Voci riferiscono che egli sia il primo a giungere e l’ultimo
ad andarsene quando si tratta di seguire le fasi più delicate della tintura”
Voci. Zaphil annuì una volta. Ovviamente.
“Ma non temete. Per voi farà di certo una pausa. Non
capita tutti i giorni di ricevere la visita del Naphil
più potente di Harryan” una lieve esitazione “Sebbene
per un’occasione così nefasta”.
Ancora una volta, Zaphil non
potè proprio trattenersi dal sorridere bonariamente
al suo giovane interlocutore.
Kasir, figlio di Mathias, il
Signore delle Miniere.
A dir poco brillante, in quella mattinata soleggiata.
Certamente destinato ad una durevole quanto promettente avvenenza, un domani.
Un giovanotto non del tutto disonesto eppure già troppo desideroso di seguire
le orme del padre per potersi conservare in tale stato ancora a lungo, fra
qualche anno.
Ma in sostanza, nulla più che un cucciolo di volpe,
ora.
Sospirò piano, quietamente, con la medesima flemmatica
indolenza che ci si riservi nell’osservare un’opera astratta, bella eppure di
difficile comprensione.
Curioso che il paparino e gli altri con lui si fossero
arrischiati ad usarlo a discapito di individui più esperti per tenere a bada
lui, lo scagnozzo della Veggente. Che avessero sperato in un cuore
tenero? Un mastino ben addestrato e tuttavia incapace di affondare i denti nei
primi, goffi, agguati, di quel volpacchiotto tutto sorrisi e moine?
Lentamente, Zaphil socchiuse
gli occhi, uno scorcio di luce che fendeva le sete della portantina inondandolo
per un attimo di un caldo bagliore ambrato.
Probabile. Anzi. Più che possibile.
”Ombre e morte non sono novità per coloro che non si
affrettano a dimenticarle” riprese dunque con voce ora più grave, una mano che
andava a sollevare i veli posti a protezione della seduta per meglio osservare
il paesaggio circostante “Rinnega una di queste, e con esse rinnegherai anche
l’uomo che sei divenuto affrontandole”
Volse lo sguardo in direzione di Kasir,
trovandolo ora nuovamente concentrato su di lui. Aveva labbra appena carnose,
accattivanti - immaginò - sul suo viso spigoloso.
“Non è dell’oblio che parlavo” obiettò questi dopo un
istante “Ma della forza di volontà. Della speranza”.
Zaphil si accigliò “Ma cos’è la forza di volontà se non
l’accanirsi contro l’ineluttabile profezia del destino?” scosse la testa con
noncuranza, il tremolio della portantina ad annunciare che il loro viaggio
fosse appena giunto al termine. L’altro tuttavia non si mosse, così il Naphil gli tese una mano in un invito benevolo.
“Perdonate la mia franchezza” si scusò “Non era mia
intenzione recarvi offesa con parole crudeli, ma sfortunatamente per voi la
signora Età ha spesso la cattiva abitudine di sottrarre cordialità e donare in
egual misura cupi pensieri e fosche parole ai suoi protetti.” ammiccò “E molti
dicono che io sia in assoluto uno dei suoi preferiti”
Nel mezzo sorriso che ne seguì - titubante come il Naphil sperava esattamente fosse - l’altro afferrò la sua
presa per poi abbozzare un mezzo inchino col capo.
Un piccolo trionfo, nulla più. Dovette suo malgrado
ammettere. Giacché piccoli trucchetti di oratoria a danno di un ragazzino non
potevano valere quale bottino di una guerra che i suoi antagonisti si stavano
ben guardando dal disputare contro di lui.
Tuttavia era fiducioso.
A breve il giovane erede avrebbe comunque trovato la
forza di sorridergli più ampiamente, scrollare le spalle e con una battuta
sagace fare in modo di dimenticare quel vago senso di imbarazzo che attanagli
l’animo di chi si ritrovi inaspettatamente manchevole in una situazione ben più
ardua delle previsioni.
Ma con una mano a poggiarsi improvvisamente sulla sua
spalla, il ragazzo lo stupì.
“Siete un uomo molto astuto, ve ne do atto” lo
apostrofò con piglio leggero “Eppure se fossi in voi mi guarderei bene dal
confidare troppo nelle vostre capacità. Assieme alla cordialità, potreste un
giorno ritrovarvi a scoprire che la Signora Età vi ha sottratto ben più di
quanto pensiate in questi lunghi anni di Veglia” tenue, il serrarsi delle sue
dita contro la nera stoffa “E se non voi, quanto sarebbe disposta a rischiare
Lei per la vostra supponenza?” poi improvvisamente eccolo mutare nuovamente
espressione mentre i suoi occhi si tingevano del profilo di due figure in
avvicinamento. Si chinò una volta, lungamente, lasciando solo allora che il
loro contatto si spezzasse.
“Spero con tutto il cuore che la Somma Nihaar’ì si possa riprendere in fretta. Uhe’yel
zysat”.
Guardarlo allontanarsi a passi leggeri nella polvere
fu un lusso che il Naphil potè
concedersi per pochi, fugaci, secondi prima che due donne di umili vesti ed ancor
più semplici tratti invadessero il suo campo visivo.
Rasate e vestite di nulla più che rossi tessuti
aderenti a busto e gambe, esse mimarono un sincrono inchino prima di alzare le
braccia e toccare in sequenza occhi, bocca e petto.
Naphil notò subito che spalle, piedi e polpacci di entrambe
erano di un candore quasi latteo, innaturale.
“Vor yersyel,
Sommo Zaphil” lo apostrofò dopo un attimo la più
minuta delle due. Aveva voce grigia e roca come di di
chi non avesse parlato da lungo tempo “E’ un onore ricevere la vostra visita”
Il Naphil ebbe cura di chinare appena il capo
replicando la formalità dimostrata dalle due “Vor yersyel. Mi è stato detto che il vostro Gunar
Arvesti avrebbe acconsentito a ricevermi” replicò in
un sorriso.
Nuovo inchino.
“Così è” fu la semplice replica “Il Maestro
Tintore è ansioso di incontrarvi”.
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Scesero a lungo per gli ampi canali che portavano alle
sale di filatura e tintura dei tessuti.
Le donne davanti ed il Naphil
subito dietro, tutti e tre avvolti dalla scura penombra di vie in lenta eppure
costante discesa nel sottosuolo, torce e lumi a rischiarare il pallore di
stanze e corridoi candidi come neve.
Pur simile a quella del Tempio della Veggente, questa
struttura appariva assai meno elegante e ricercata della prima, un andamento
spiraleggiante ad ispirare l’impressione di trovarsi in una gigantesca vite
arrotata all’interno del sottosuolo.
Frescura e silenzio divennero presto dei benvenuti
compagni di viaggio fino al momento in cui in lontananza presero a risuonare
sordi e costanti rumori meccanici, dapprima tenui come cicaleggio indefinito,
ma via via sempre più potenti fino a divenire insopportabili nell’istante in
cui tutti insieme i tre varcarono le soglie di una stanza immensa,
completamente gremita di Telai in movimento.
Il filato, completamente rosso, colmava di rubini
drappeggi aria e pavimento, spezzato solo dall’ordinato schieramento di Telai e
sagome umane al loro seguito, due o tre per macchina.
La donna più alta si volse verso di lui in un nuovo
silente inchino “Aspettate qui” esalò con la medesima voce gracchiante
dell’altra -che le costasse fatica o dolore parlare? “Presto il
Maestro giungerà ad accogliervi” e detto questo entrambe lo lasciarono solo,
libero finalmente di guardarsi intorno senza il riserbo che la sua condizione
di ospite gli imponeva.
Fu allora che notò l’acqua.
Raccolta in piccoli e grandi bacini. Condensata a
pareti e canali di raccolta artificiali. Convogliata in piccoli rigagnoli
scavati direttamente nel pavimento. Limpida. Scrosciante.
Abbondante.
Un miracoloso segreto che il Naphil
ricordò di aver scoperto per puro caso solo qualche anno prima quando, immerso
in infruttuose ricerche a proposito di Himnakan e
delle sue origini, aveva notato una frase di poco conto a margine di un librone
intitolato “Tempere e saline, il segreto dell’arte melodica”:
“Puro di intenti e manifestazioni, il Rosso Tessuto
trae la propria vita dalle medesime mani che tessono e danno origine alla sua
esistenza. Esso è il cuore, i pensieri e le parole dellatto stesso del Filare.
Ed è per questo che un solo pensiero impuro, una sola macchia basterebbe per
deturparne per sempre la finalità ultima. Così i Tessitori vivono in un regno
di pace e silenzio allontanando ogni attimo macchia e sudiciume da se stessi,
per l’eternità”.
“A vederla, non si direbbe che Himnakan
sia una terra di siccità e privazioni”
La voce del Gunar Arvasti lo sorprese mentre affondava una mano in un’ampia
bacinella colma fino all’orlo. Rabbrividì all’unisono per la freschezza del
liquido e per il tono usato: freddo e misurato come la punta di uno scalpello
ad inchiodarsi su pallido marmo. Alzò gli occhi e fu con una punta di sorpresa
che si ritrovò dinnanzi ad una donna sottile e asciutta, una corporatura
nervosa ad intravedersi appena fra ampi drappi color sangue.
“A vederla, chiunque faticherebbe perfino ad
indovinare di trovarsi su Himnakan” replicò dopo un
attimo il Naphil facendo per ritrarre la mano.
Tuttavia lei lo fermò con un’occhiata.
“Giacchè volete onorare le
nostre antiche tradizioni”
Una pausa. Fatelo fino in fondo.
“Lavate mani e piedi”
Una pausa. Poichè
così come siete insudiciate perfino l’aria che vi circonda.
Pur non udendole, fu come se quelle parole mute
fossero per davvero uscite dalle labbra della Gunar Arvasti. Zaphil le percepì in
quei silenzi modulati, pensosi, propri di chi sia abituato ad usare voce e
parole solo quando fosse strettamente necessario.
Quando ebbe portato a termine il “rituale”, il Maestro
delle Tinte lo invitò a seguirlo, i piedi nudi a seguire l’unico tracciato
percorribile in quella ragnatela di filati purpurei. A poca distanza, Zaphil si prese qualche istante per scrutare la sua nuca
glabra, le spalle tese e pallide ed infine le braccia affusolate, candide fino
all’avambraccio oltre il quale l’uomo intravide lo snodarsi di profonde e
diffuse cicatrici.
Si accigliò.
Parevano quasi corolle di fiori sbocciati sottopelle e
lì rimasti imprigionati come in attesa.
Schivò abbassandosi una serie di morbidi filamenti
sospesi all’altezza della testa.
Fiori carnosi, appena in rilievo sullo spessore della
muscolatura quasi che il fuoco vi avesse poggiato sopra le proprie labbra
incandescenti per disegnarli.
Bellissimi. Dovette suo malgrado ammettere per quanto fosse orribile
credere che una simile deformità potesse dare pregio ad un corpo di per sè avulso di qualunque imperfezione.
Eppure...
Scostò lo sguardo nell’esatto istante in cui la donna
si voltava per incontrare il suo ed indicare con un movimento leggero le canaline
d’acqua che ovunque in quella stanza percorrevano il pavimento.
“Osservate”
Ad intervalli regolari, tutte le figure radunate
attorno ai Telai si allontanavano dal proprio lavoro per intingere mani e piedi
nell’acqua. Alcune arrivavano a detergersi anche viso e collo. Poi, così
ripulite, tornavano al lavoro come se nulla fosse.
“Lavano via la Tinta dal corpo?” ipotizzò Zaphil voltandosi nuovamente verso la Gunar
Arvasti. Lei abbozzò un sorriso mesto, invitandolo al
contempo a procedere.
“Anche” gli concesse poi dopo un attimo “Ma non è
sull’atto in sé che dovreste concentrarvi”
Una pausa. Quanto più sul suo senso.
“Credete che l’acqua sia fonte di purezza?” ipotizzò
l’altro facendosi più vicino.
Senza più il costante cicaleggio dei Telai, il fruscio
delle vesti della donna era il solo rumore a frapporsi fra loro.
Lei annuì ancora.
“E che il corpo non lo sia affatto” continuò con un
sospiro mentre entrambi si inoltravano ora in una zona meno illuminata delle
altre, dominata se non dalla vita quanto più dai canali d’acqua che ovunque
confluivano come in una grande, foce artificiale.
Suo malgrado, Zaphil
rabbrividì.
“Non è quindi il corpo che difendete dalla Tinta...”
cominciò quindi col dire avvertendo un umido gelo sfiorargli improvvisamente il
viso ”Quanto più la Tinta medesima dagli influssi del Corpo..” Il rosso delle
torce si chiuse allora su di loro in uno sciabordio ovattato.
“Silenzio, ora”
La voce di lei lo fece sobbalzare.
Ed infine tutti e due sbucarono in una sala più ampia,
il soffitto a volta a riflettere riflessi cristallini d’acqua lì raccolta in un
bacino ampio e tranquillo. Piccole torce illuminavano tenuamente l’assenza di
ogni arredo o abbellimento dando ancora più suggestione a quello specchio
purpureo.
Al suo fianco, la Gunar Arvasti volse lo sguardo verso di lui scrutando per qualche
attimo il suo profilo ora teso di aspettativa. Poi, lentamente, abbassò il
capo.
“Pochi al mondo nascono con la Vocazione di essere
Tintori” la sua voce era poco più che un sussurro “Quasi nessuno riesce per
davvero a diventarlo venendo meno ai desideri del
corpo e dello spirito, alle aspirazioni dei sensi e delle sensazioni” sospirò
“Nessuno, infine, riesce ad esserlo senza provare in vita almeno un attimo di
debolezza. Un istante di esitazione. Noi qui lo chiamiamo Shunj
Kravy - Il sussurro del fuoco” sbattè le palpebre una volta.
Una pausa. E non finga di non averlo notato, sommo Zaphil.
“Chiamatelo pure Risveglio” esalò dopo un attimo “Giacchè per noi cui è vietato il Sogno esso rappresenta in
egual misura un’eventualità di rovina e degrado” la benda sottile lasciava
appena intravedere i suoi scuri occhi ossidiana “Così, nella speranza di
scongiurare il profetizzarsi dello Shunj Kravy è qui che i Tintori vengono per cedere alle acque le
proprie paure ed incertezze, i propri turbamenti e desideri più oscuri” una
pausa “Ed è qui che noi abbandoniamo infine i nostri morti così che il loro
Sognare non divenga mai il nostro futuro Risveglio” indicò con la mano le acque
cristalline nelle quali -solo ora- Zaphil notò
giacere degli scuri involucri di tessuto rosso sangue.
Istintivamente fece come un passo indietro. Al suo
fianco, tuttavia, la Gunar Arvasti
si inginocchiò alla riva compiendo un gesto di saluto rituale.
Alzò entrambe le braccia a coppa per poi passarle
chiuse sul viso, sul collo ed infine immergerle nell’acqua fino al gomito.
“Henv’ yeraz”
Riposo senza sogni.
“Qui troverete le vostre risposte, Sommo Zaphil” esalò alzando dopo un attimo lo sguardo verso di
lui “Giacché tutti coloro che hanno veduto qualcosa in quella terribile sera
hanno scelto di addormentarsi per sempre in queste acque piuttosto che vivere
nel peccato di ricordare”
Una pausa.
“Non ho potuto fermarli, giacché la Purezza è tutto
per un Tintore. Senza di essa, la Rossa Tela non sarà altro che uno straccio al
vento, imbevuto nel peccato come ogni altro fazzoletto di Himnakan”
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La voce, quella vera, tornò solo molto dopo.
Solo lontano dal freddo. Lontano dall’umido. Lontano
da quelle acque immote eppure in costante, instancabile, sciabordio.
Solo quando, con la medesima rapidità di chi abbandoni
una casa in fiamme, Zaphil fu in grado di uscire da
quella stanza e con essa fuggire lo sguardo vitreo della Gunar
Arvasti.
E da fuori riuscire allora a riprendere fiato.
E respirare. Respirare.
E suo malgrado chiedersi come fosse possibile che in
tutta quell’aria non vi fosse affatto spazio per la Sua, la Sua Aria, quella
destinata ad entrare nei polmoni e lì soffermarsi a lungo, docilmente,
consentendogli di sentirsi via via meno male, meno e terribilmente in trappola
in quella buia catacomba priva di finestre e vie d’uscita.
Prima di quell’istante, ricordò di aver avuto la forza
di dire ben poco.
“Mi state dicendo che tutti i testimoni dell’accaduto
si sono...suicidati?” sillabe immobili.
“Le sto dicendo che tutti i Tintori hanno già
dimenticato ciò che è successo”
Una pausa. E chi non l’ha fatto ha da molto posto
fine alle sue sofferenze.
A stento il Naphil si era
trattenuto dall’imprecare “E voi non li avete fermati?”
La donna non aveva nemmeno avuto la decenza di alzare
lo sguardo “Chi sono io per fermare la Volontà altrui? Perchè
dovrei condannare coloro che amo ad una vita di sofferenze e turbamenti?”
“Perché li amate”
Lei aveva allora sorriso piano, docilmente, come se
dinnanzi ai suoi occhi si fosse ora trovato un bambino e non un uomo fatto e
formato.
Una pausa. Dunque meglio una vita di sofferenze che
la morte.
“Mi deludete, Zaphi. lCredete davvero che potendo scegliere, questi Tintori
avrebbero cambiato la loro decisione? Per un Tintore non vi è vita al di fuori
della Purezza. Senza di essa è come vivere una finzione” esalò.
Una pausa. Una lunga, terribile, finzione.
“Avrebbero potuto dimenticare”
“Forse non desideravano farlo”
“Di certo ora non lo sapremo mai, dico bene?”
Lei era rimasta a lungo in silenzio, meditabonda
eppure combattiva nella propria postura rigida, compassata, come una fiera in
attesa del final tenzone per sgominare le sorti del
duello che l’aveva lì intrappolata.
Eppure non fu un balzo che ella osò in ultima battuta.
Né una zampata. E nemmeno un morso. Semplicemente la Gunar
Arvasti si alzò e con una nota amara aprì un braccio
in direzione del bacino d’acqua.
“Per i Morti non esiste alcuna voce se non il Silenzio. Per voi assai troppo
debole per avere importanza, immagino, ma per Noi, noi Tintori, la sola ed
unica Parola che valga la pena udire” nella penombra cangiante, la sua pelle
pareva ora costellata di simboli luminescenti.
“Cercate pure dove volete. L’Ordine dei Tintori vi
sosterrà ed asseconderà in tutto. Fate le vostre domande ed ascoltate le vostre
fantasiose risposte ma ricordate: la Memoria, così come la Coscienza, è un
tesoro assai prezioso ed assai volubile per coloro che ne conoscono il valore”
Probabilmente era stato allora che i suoi pensieri da
irosi si erano trasformati in minacciosi. Ed assai poco amichevoli. E fuori
dalle labbra essi erano parsi suonare addirittura più gravi di come
risultassero viceversa nella mente. Molti avrebbero certamente insinuato che
minacciare una Gunar Arvasti
non fosse stata una mossa assai saggia per uno nella sua posizione.
Eppure cosa importava? Potevano le cose andare assai
peggio di come stavano già andando?
Imprecò. E imprecò una seconda volta.
Tuttavia non riusciva a non pensare a quell’ultimo
sguardo di lei, della Gunar Arvasti,
nebuloso tralucere di fiammelle su una pelle deturpata di cicatrici. E quella
sua frase, insinuosa come solo i pensieri meglio
ponderati potevano essere:
“Chi sono io per fermare la Volontà altrui? Perchè dovrei condannare coloro che amo ad una vita di
sofferenze e turbamenti?”
Già, chi era lei? Nessuno. Non era nessuno. E lui? Lui
chi era?
Socchiuse appena le palpebre, l’abbacinante profilo di
Hevnan k’ar che prendeva
nuovamente forma dinnanzi ai suoi occhi allucinati. Trasse un profondo respiro,
grato di sentire nuovamente sulla lingua l’arido sentore di sabbia e sale.
Niente, a confronto delle forze con le quali si illudeva
di poter giocare. Nulla, se paragonato alla grandezza dì ciò che invano tentava
di controllare.
“Quali sono gli ordini, Sommo Zaphil?”
al suo fianco, Dzerrk’e si mosse a disagio da un
piede all’altro, evidentemente allarmato dalla tensione che ora crepitava
attorno a lui.
Eppure cosa poteva farci?
Con un gesto automatico Zaphil
abbassò la benda sugli occhi prima di rivolgersi al suo Guardiano.
Gli ordini...
Schioccò la lingua sul palato.
“Perquisite l’intero edificio” ordinò. L’altro parve
tuttavia accigliarsi “I Tintori non lo permetteranno, Sommo Zaphil.
Questo è un luogo sacro”. Questa volta fu il turno di Zaphil
di accigliarsi “Che ci maledicano tutti, allora” replicò lapidario “Non esiste
alcuna autorità che si possa opporre a quella della Veggente e ora” con un
movimento stizzito si strinse nel mantello, una portantina che già si
intravedeva risalire la marea di gente affollatasi fra le vie della città “Io
rappresento quell’autorità”.
Sospirò, la vaga sensazione di sollievo provata
poc’anzi che svaniva in quell’esatto istante con desolante rapidità “C’è
dell’altro?” aggiunse poco dopo.
L’altro si mosse nuovamente a disagio “Le Volpi
attendono ancora risposta circa la presenza vostra e della Nihaar’ì
al banchetto di questa sera”.
Il Naphil avvertì la propria
mascella irrigidirsi istantaneamente.
“Avete inviato comunicazione circa il precario stato
di salute della Veggente?” digrignò impassibile.
Ancora ben lungi dall’arrivare, proprio allora la
portantina parve arrestarsi del tutto nel mezzo della via, una mare di teste a
bloccarla nel viavai generale.
Il Naphil sospirò.
“Certamente” fece l’altro “Ma trattandosi di un
Banchetto proprio in onore della Nihaar’ì,
tutti sperano che ella possa trovare le forze per fare anche solo una breve
comparsa...” “Una breve comparsa?”
Dzerrk’e ammutolì istantaneamente dinnanzi allo sguardo
dell’altro.
Quanta impudenza. Zaphil
schioccò la lingua sul palato. Tanta spavalderia non sarebbe di certo stata
tollerata in altri tempi e circostanze. Mai. Ma ora le Volpi osavano
addirittura richiedere. Osavano perfino insinuare.
Fu un immenso sollievo notare la traballante sagoma
della portantina sbloccarsi finalmente dalla propria immobile degenza e
riprendere il suo faticoso avvicinamento.
Zaphil sospirò.
“Riferite alle Volpi che la Nihaar’ì
ama abbastanza i suoi fedeli da prendere in considerazione il loro gentile
invito”.