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Autore: Tempie90    24/10/2015    4 recensioni
AU tradotta dal sito di FF fanfiction.net, è un'esperimento che abbiamo deciso di fare io e anitagaia.
La storia parla di una Beckett ancora novellina facente parte della Vice squad del 12° distretto, ovviamente le modalità in cui conosce Castle sono altre! XD
Speriamo vi piaccia e abbiate la pazienza di leggere i nostri aggiornamenti!
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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OK.... E' passato moooolto tempo, troppo forse XD Ma io e Anita speriamo che riprendere a leggere questa storia vi attiri. Chiediamo scusa per l'enorme ritardo ma entrambe abbiamo avuto poco tempo per tradurre. Stiamo cercando di completare questa storia il più presto possibile e ce la metteremo tutta anche perchè tra lavoro, università e impegni vari, le giornate sono piene e il tempo scarseggia. Ma le giornate da 36 ore non le hanno ancora inventate???
Speriamo che continuiate a leggere fino alla fine questa ff nonostante la saltuarità che la caratterizza. A me continua ad incuriosire, a voi?
Fateci sapere se vi va.
A presto e buona lettura!
=)

Capitolo 23
 

Qualcosa stava suonando. Da qualche parte.

Rick grugnì, e seppellì il viso ancora più profondamente nel cuscino.

No. Non si sarebbe alzato. Era troppo presto. Dormire. Si! Dormire.

Il suono stridulo terminò e sospirò di gratitudine, tutto il suo corpo che si rilassava nel materasso.

Mhhh. Dormire.



Kate stava ai piedi del letto, vestita e pronta; ma nonostante tutto indugiò. Normalmente se ne sarebbe andata senza un attimo di esitazione- lui sembrava così sereno, profondamente addormentato, solo un quarto del suo viso che emergeva dal cuscino. Non c'era nessun motivo per svegliarlo.

Ma non sembrava giusto lasciarlo senza dirgli  niente.

La notte che avevano passato, i segreti che si erano sussurrati sulla pelle dell'altro... l'ultima cosa di simile che riusciva a ricordare  era quando dormiva a casa delle amiche, il che significava non dormire affatto, ma molti sogghigni contro il cuscino, e quel piccolo traffico di segreti- 'te lo dirò se tu me lo dici.'

Soltanto che all'epoca non erano veramente segreti, solo delle ammissioni imbarazzanti di cotta su Tom o Danny. Confidenze innocenti e benigne.

Ciò che lei e Castle avevano condiviso.....  
Non riusciva a ricordare l'ultima volta che si era esposta così tanto. E lui l'avevo reso tranquillo, si era aperto anche lui, e si era sentita così speranzosa.

Così poco da lei.

Kate oltrepassò il letto e si inginocchiò al suo fianco, sentì la bocca alzarsi in un sorriso alla vista del suo viso assonato.

Passò il pollice sulla curva delle sue sopracciglia, si abbassò per lasciargli un bacio sulla guancia.

“Castle,” respirò.

Nessuna reazione.

Kate strinse le labbra, e poi passò una mano fra i suoi capelli, massaggiandogli gentilmente il cranio. Grugnì dolcemente, quasi le fusa di un gatto, la sua testa che si orientava verso il suo tocco. Il suo occhio si aprì lentamente, il colore indefinito nell'oscurità, e la sua bocca sorrise quando si accorse che lei era lì.

“Hey” biascicò, sembrava così felice.

Il cuore di Kate si fermò per un attimo. “Hey” rispose, sfiorando la sua guancia con le dita. “Devo andare, Castle, non voglio fare tardi a lavoro.”

Girò il suo collo, abbastanza affinchè potesse lasciarle un bacio sulle nocche, e il calore si riversò di nuovo dentro di lei, senza avvisarla, quel brivido leggero che subito la eccitava.

Non si mosse, rimase dov'era, lasciando che l'ondata di eccitazione passasse serrando i denti, pregando che lui non lo notasse. Gesù, era ridicola.

Grazie a Dio, era troppo sfasato per accorgersene, e la camera da letto troppo oscura per notare il suo rossore.

“Lavoro,” sospirò Castle contro la sua mano, la testa che si appoggiava di nuovo sul cuscino. “Ok. Vai. Falli a pezzi. Starò qui, a dormire.”

Rise divertita, la sua goffaggine che scaraventò via ogni briciolo di insicurezza, e si sentì abbastanza sicura da mordicchiargli la mascella.

“Ok, tu dormi,” sussurrò contro il suo orecchio, lasciandogli sentire il sorriso che le si allargava sulle labbra.

Si lamentò appena, e goffamente cercò di raggiungerla; ma nel momento in cui la sua mano raggiunse il posto in cui era stata, Beckett se n'era già andata.

“Ci vediamo, Castle,” si girò appena mentre oltrepassava la porta, dandogli un'ultima occhiata da sopra le spalle.

Vide la sua forma indistinta sotto le coperte, l'immobile picco che era la curva della sua spalla, e sorrise.

Non c'era alcun dubbio che stesse già dormendo di nuovo.



“Papà.” Un sussurro persistente raggiumse il suo orecchio.

“Papà, è tempo di andare a scuola”

Lentamente quelle parole iniziarono a penetrare nella sua mente assonnata e Rick si scosse appena, sentì la piccola mano che gli scuoteva la spalla.

Alexis.

“Papà,” ripetè, una traccia di impazienza nella voce, il ginocchio che scavava nella sua anca.

Scuola. Whoa- che ore erano?-

Scattò in avanti, gli occhi pieni di panico che cercavano la sveglia, il suo corpo che protestava contro il movimento repentino. Forse lui e Kate avrebbero dovuto dormire un po' di più, e fare un po' di meno...

Merda, erano davvero le otto del mattino?

“Alexis-”

“Devi vestirti” gli disse in quel tono serio e determinato che lui trovava semplicemente adorabile. Gesù, non sapeva da chi avesse preso tutta quella solennità, di certo non da lui.

Cacciò le gambe dalle coperte e rabbrividì, non tanto per il freddo quanto per l'esposizione all'aria fresca di prima mattina che gli toccava la pelle nuda. Oh, non aveva nemmeno i boxer, vero?

Guardò un attimo sua figlia, cercando di capire se fosse abbastanza grande per capirlo, ma Alexis stava già uscendo dalla porta, un sorriso che spezzava la sua maschera di serietà.

“Ti aspetterò in salotto” gli disse, gli occhi che trovarono i suoi, mantenne lo sguardo giusto per qualche secondo. “e non ti preoccupare, ho già fatto colazione e il mio zaino è pronto”

Annuì inebetitoe la guardò uscire con i suoi passi piccoli e svelti che la facevano sempre sembrare occupata come una persona importante; era passato un po' di tempo dall'ultima volta che aveva provato quell'imbarazzo che gli faceva arrossire le guance. Era passato un po' di tempo dall'ultima volta che sua figlia doveva trascinarlo giù dal letto.

Inciampò fuori dal suo studio, la sua idea di provare a camminare mentre allo stesso tempo cercava di indossare una scarpa si dimostrò disastrosa, e trovò sua madre nella cucina a bere una tazza di caffè.

Si fermò per un battito di secondo, avendo del tutto dimenticato che sua madre era a casa. Il suo sguardo indagatore si fermò su di lui, quella scintilla di consapevolezza che non tanto gli piaceva ma che non poteva farci nulla per toglierla; poi i suoi  occhi si spostarono, oltre le sue spalle, come se aspettasse qualcuno.

Diede un piccolo accenno di diniego, si sentì stranamente sollevato che Kate se n'era andata prima. Non riguardava lei, non da quando apparentemente era in grado di sedurre sia sua madre che sua figlia solo respirando.

No, era... lui.

Non si ricordava l'ultima volta che si era sentito così vulnerabile di fronte a una donna. E non si sentiva sicuro che era pronto per altra gente a vedere quella debolezza.

Certo, sarebbe successo prima o poi, e più prima che poi, chiaramente.

“Papààà,” lo chiamo Alexis, che lo sgridava impaziente, e lui corse verso la porta, afferrò le chiavi e pensò che per il momento era meglio tenere via Kate Beckett dai suoi pensieri.

Certo, era più facile a dirsi che a farsi.


Alexis era silenziosa per tutto il tragitto. All'inizio pensò che era arrabbiata con lui per averle fatto fare tardi a scuola ma ogni volta che lo guardava gli rivolgeva un sorriso distratto, dolce e sognante, e subito smise di preoccuparsi.

Forse gliel'avrebbe detto cosa pensava, forse no; sua figlia riusciva ad essere una persona davvero riservata a volte. A differenza sua, non era mai stata una grande chiacchierona; non sentiva l'esigenza di rendere ogni cosa che le accadeva pubblico, ogni pensiero che le passava per la testa.

Gli piaceva, a dire il vero. Gli piaceva che poteva essere così diversa da lui, con la sua piccola personalità, anche se lui era l'unico modello che aveva mai avuto. Ricordava com'era da piccola, così silenziosa e osservatrice, con i suoi grandi occhi blu che scoprivano il mondo; per un lungo tempo  aveva sorriso solo per lui, con quel sorriso senza denti che le apriva quel piccolo viso, gli occhi che le brillavano.

La sua piccola bambina che sorrideva silenziosamente.

Adesso era molto più grande, più matura e responsabile; la accompagnò fino all'ingresso della scuola, che praticamente era fin dove gli permetteva di portarla.
'I genitori non entrano più dentro, papà.'

Ai genitori, però, era ancora concesso baciare le figlie prima di lasciarle a scuola. Dato che c'erano ancora dozzine di bambini che giocavano nel cortile, Rick prese il suo tempo, strofinando le labbra su quella chioma rossa di capelli, capendo con una stretta al cuore che anche questo gesto presto gli sarebbe stato portato via. Prima o poi.

Non oggi, però. La mano di Alexis raggiunse il bavero della sua camicia, e lo guardò con quei occhi simili ai suoi.

“Papà?”

“Si, tesoro?”

“Perché non mi avevi detto di Kate?”

Il suo cuore smise di battere nel petto; il suo cervello che annaspava per una risposta.

“Dirti cosa?” rispose con stupidità poiché non sapeva cos'altro dire.

Alexis aveva quel suo sguardo da “non essere stupido” sul suo viso. E lui iniziò a preoccuparsi per il peggio.

“Beh, che è tua amica. E che è una poliziotta,” aggiunse sua figlia, l'eccitazione che si rendeva palese nella voce. “Voglio dire, non è bello? E aveva la sua uniforme e tutto il resto. È come se fosse una supereroina, solo senza i poteri e la tecnologia. Deve essere così coraggiosa”

Rick prese un respiro profondo, il sollievo che si espandeva nel suo petto.

“Lei è davvero coraggiosa. L'ho vista arrestare un brutto cattivo una volta, e te lo dico ora, era spaventosa”

Vide sua figlia rabbrividire, il piacere che scintillava nello sguardo.
“Le hai chiesto com'è?” le chiese incuriosito. “Essere un poliziotto?”

Alexis sorrise beata. “Volevo farlo ma non ho osato. Inoltre, la nonna voleva cantare e Kate conosceva tutte le canzoni disney...”

“Le conosceva tutte, eh?” sogghignò divertito all'idea della sua Beckett tosta che cantava cenerentola con sua figlia. Oh, tutti i modi con cui avrebbe potuto schernirla per questo.

La bellezza di tutto ciò gli era in qualche modo sfuggita la sera prima. Si. Molte cose tendevano a sfuggirgli quando aveva le labbra di Kate sulla sua pelle.

“Si,” Alexis rise, il suo viso raggiante. “A dire il vero sapeva alcune parole persino meglio della nonna- anche quelle recenti come Hercules che non sono molto famose. Era davvero brava, papà. Ha una così bella, bellissima voce.”

“Davvero?” continuò lui, sorpreso che non ne avesse neanche pensato. Kate Beckett che cantava. L'immagine mentale lo fermò per un attimo, un'immagine adorabile che la sua mente aveva prontamente costruito. Kate su un palco, i suoi capelli tirati indietro, con il suo trucco fumeggiante e un vestito nero. Il modo in cui la sua voce poteva scombussolare un uomo, delicata e seducente, con una intensa emozione in ogni nota...

“Oh, si,” continuò Alexis, e la sua attenzione ritornò a lei, la completa mancanza di gelosia che lo rendeva così orgoglioso. “Gliel'ho detto, ma lei ha riso e ha scosso la testa, e ha detto che ero solo molto gentile. Ma non lo ero, stavo dicendo la verità!”

La campanella suonò allora, chiamando dentro tutti i bambini che erano rimasti fuori, e Castle spinse sua figlia verso l'entrata. Lo abbracciò velocemente, le sue braccia che lo strinsero forte, e poi gli sorrise.

“Dovremmo invitarla a cena qualche volta” disse di fretta, e poi si distaccò da lui, e corse dentro. “Ti voglio bene, papà” disse lanciandogli un ultimo sguardo dalle spalle.

Rimase lì pieno di emozioni, non riusciva a smettere di avere un tuffo al cuore, anche se capiva che tutta quella conversazione era stata organizzata così intelligentemente così che poi potesse fare quell'ultima insinuazione.

Invitare Kate a cena.

Non era proprio contrario all'idea.


Kate Beckett era annoiata.

Con un discreto buffo, spostò lo sguardo sul libro aperto che teneva in mano, provò per la terza volta a raccogliere un minimo interesse per il terzo capitolo di “Guerra e pace”. Ma continuava a sfogliare le pagine a passo regolare, così che non sembrava sospetto che era stata seduta lì per più di due ore, leggendo, ed ora era completamente confusa sui personaggi. Perché non aveva davvero prestato attenzione a quello che leggeva.

Non avrebbe dovuto prestare attenzione. Avrebbe dovuto guardare il bar per qualche sorta di affare losco, a controllare se i soldi cambiavano mano senza alcuna ragione apparente.

Ma nulla accadeva; il posto era quasi vuoto. E i pochi presenti seduti agli angoli, bevendo qualche drinks, non sembravano essere pericolosi se non a loro stessi.

Davvero, “Guerra e pace”. Aveva dovuto tenere a freno il suo sbalordimento quando Osbourne le aveva dato il libro, e poi si era girato verso un altro poliziotto con il cappello di baseball. Doveva essere qualcuno che era un fan di Tolstoy al 12esimo distretto, pensò, mentre faceva scorrere le dita sull'immensa quantità di pagine che avrebbe “ancora” dovuto leggere.

Sua madre aveva letto “Guerra e pace” ma Beckett non riusciva a ricordare ora se a Johanna fosse piaciuto il libro. Riusciva a vederlo molto chiaramente se chiudeva gli occhi, il volume pesante che riposava sugli scaffali del salotto, in un angolo che rimaneva oscuro.

Come bambina, l'aveva trovato immenso e impossibile; come adolescente, aveva attaccato il libro come una montagna che poteva scalare con determinazione testarda, per poi arrendersi dopo una settimana o due.

Non aveva alcune pazienza allora, si ricordava di essere stata scoraggiata da tutti quei nomi stranieri che suonavano così uguali fra di loro, e dal passo lento e attento del libro. C'era sempre qualcosa di più interessante da fare; era più o meno in quel periodo che Tony, un musicista adolescente di un anno più grande di lei, aveva iniziato a mostrarle interesse. Dato che Jim Beckett si era del tutto opposto al giovane uomo, sua figlia ovviamente aveva reso la sua missione quella di sbattere Tony in faccia a suo padre ad ogni opportunità.

“Guerra e pace” aveva trovato il suo posto ancora una volta sugli scaffali, e forse non si era più mosso da allora.

Beckett marcò la pagina, posò il libro sul tavolo, prendendo un sorso della sua coca dietetica mentre si guardava attorno. Nessun cambiamento rilevante. Il barista stava pulendo alcuni bicchieri, prendendo il suo tempo, forse cercando di mantenersi occupato nell'unico modo che conosceva. Gli altri clienti si facevano i fatti loro, uno di loro leggeva un giornale locale, un altro dormiva, la sua faccia piatta contro il tavolo.

Gesù, erano le dieci del mattino. Era davvero così ubriaco.

Un ricordo si svegliò dentro di lei: era passata da suo padre senza avvertirlo una domenica mattina, pensando di invitarlo a un aperitivo da qualche parte, e l'aveva trovato inconscio sul divano, puzzando di whisky. Kate si era morsa le labbra e aveva sviato lo sguardo.

Aveva bisogno di chiamarlo, di assicurarsi che era tutto ok. Sembrava stare bene l'ultima volta che avevano parlato, ma era stato troppo tempo addietro. Aveva speso così tanto tempo da sola, proteggendosi contro il mondo esterno; era difficile ricordarsi com'era avere persone attorno ancora una volta.

Il museo era una buona idea, però. Ne aveva bisogno, di andare a un appuntamento, qualcosa che gli avrebbe mostrato che le importava. Che anche lei era presente in questa cosa.

Tutto era così silenzioso attorno a lei. Controllò il suo orologio, le sue dita strofinavano il cinturino di pelle automaticamente, come se fosse ancora sorpresa di trovarlo lì. Ancora un'ora. Poi Johnson l'avrebbe portata da qualche parte. Nessuno poteva rimanere in incognito per così tanto tempo, specialmente in un bar quasi vuoto.

Afferrò ancora una volta il libro, i pensieri che pigramente si espandevano nella sua mente mentre sfogliava le pagine del libro con il pollice. A Castle piaceva “Guerra e pace”?

Beh, forse non l'aveva letto. Era un'impresa che richiedeva estrema pazienza, e la pazienza non era proprio il forte di Castle. Ma glielo avrebbe chiesto la prossima volta.

Un piccolo sorriso le increspò le labbra; e nonostante sarebbe apparso a un osservatore sconosciuto come se lei avesse appena letto chissà quale passaggio divertente del libro, Kate Beckett sapeva bene a cosa pensava.
Alla prossima volta.
 
  
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