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Autore: SagaFrirry    25/10/2015    1 recensioni
Terzo ed ultimo capitolo della trilogia. Ormai è trascorso molto tempo dall'ultima battaglia. I pianeti e gli universi si spengono, gli Dei si addormentano. Che sia la fine? E quel ragazzo con un teschio tatuato sul volto che ruolo avrà? Vecchie conoscenze, nuovi personaggi, profezie dimenticate e divinità risvegliate. L'inizio della fine!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La città degli Dei'
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 IV

INCONTRO

 

Kevihang, giunto fino al palazzo di Mihael, se ne restava sulla porta della biblioteca, fissando quello strano individuo altissimo e dalla pelle verde che la occupava. Nessuno dei due parlava ma si scrutavano di soppiatto, con fare sospettoso.

“E tu da dove sei entrato?” domandò, infine, Kuetzalikay.

“Dalla porta” rispose, semplicemente, il bambino.

L’Alto si stupì. Si trovavano nel palazzo di Mihael, il Principe dei Demoni! Sarebbe dovuto essere sorvegliato e protetto per bene, invece quel bambino era entrato come se niente fosse.

“Come sarebbe a dire?! Non puoi essere entrato dalla porta!”.

“A te che importa, lucertolone anoressico? Non c’era nessuno all’ingresso e sono entrato!”.

Kuetzalikay dedusse che, evidentemente, le guardie eran tutte a fare altro.

“Come ti chiami, ragazzino impertinente?” sbottò.

“Io sono Kevihang. E mi serve un libro”.

“Quanta fretta…immagino che tu sappia chi sono io…”.

“Sicuramente un pezzo grosso, data la tua spocchia e la tua superbia. Ma per il resto non saprei collocarti se non sotto l’insieme degli esseri strani…ma di quelli ne conosco tanti…”.

“Non hai paura di me?”.

“No. Dovrei?”.

“E non hai paura di trovarti qui, da solo, in mezzo a sconosciuti potenzialmente pericolosi?”.

“No…”.

“Sei molto coraggioso” ammise l’Alto, riponendo il libro che teneva fra le mani ed avvicinandosi al piccolo “O estremamente stupido!”.

Si inginocchiò per osservarlo meglio e gli sorrise: “Da dove vieni, piccolo esserino con uno splendido disegno sul viso?” domandò.

“Vengo dall’orfanotrofio di Baumtien e sono qui per poter trovare delle risposte”.

“La famosa storia che tutte le risposte degli Universi sono racchiuse in questa biblioteca? Vorrei aiutarti, ma sono nella tua stessa situazione. Cerco un libro da tempo ma, senza aiuto, non so se mai sarò in grado di trovarlo”.

“Possiamo darci una mano a vicenda. Io sono piccolo e tu sei alto, possiamo dividerci gli scaffali. Io controllo tutti quelli in basso…”.

“Ma che carino che sei…ma, dimmi…che cosa vai cercando? Che risposte ti servono?”.

“Voglio sapere chi sono i miei genitori”.

“E perché?” borbottò l’Alto, con una smorfia.

“Tu sei il figlio di Krì?” volle sapere Kevihang, ricordando una delle lezioni dell’orfanotrofio.

“Sì, esatto…” ammise Kuetzalikay, con fastidio “…anche se preferirei non esserlo!”.

“Sei fortunato, invece. Io darei qualunque cosa per avere anche solo uno dei miei genitori”.

“Avere una famiglia non è poi così bello come dicono, sai piccolo?”.

“Ma non averla per niente ti assicuro che è molto brutto”.

Rassegnato, e ancora stupito, l’Alto si accordò col piccolo per un aiuto reciproco. Iniziarono a cercare fra gli scaffali con cura, consapevoli dell’immensità della biblioteca.

“Com’è essere un Alto?” chiese, ad un tratto, Kevihang.

“Com’è essere un semplice mortale?”.

“Io non sono un semplice mortale!”.

“Non sei un Dio! Perciò, per me, sei un semplice mortale”.

“Ah…capisco…”.

“Ad ogni modo è divertente. Essere un Alto, intendo! Anche se spesso la gente si aspetta chissà che cosa da te e tu non puoi aiutarla”.

“Ma non è il vostro compito aiutare la gente?”.

“Sì, certo, ma il nostro potere è proporzionale a ciò che la gente crede. Se i mortalucci sono scarsi in numero e fede…anche noi siamo più scarsi in forza magica. Ed è ovvio che per noi è più importante pensare in grande, guardare oltre, verso l’equilibrio e la continuità degli Universi, piuttosto che ai capricci di un gruppetto di insignificanti esserucoli”.

“Però la continuità degli Universi non sarebbe più semplice se il Tempo ricominciasse a scorrere normalmente e se il gelo se ne andasse almeno per un po’?”.

“Fai il saputello, eh?” sghignazzò l’Alto, aprendo l’ennesimo libro per lui inutile.

“No. Non è vero!”.

“Sì che è vero ma sta tranquillo…è normale! Tutti i nostri sottoposti parlano come te! Questo perché tutti quanti voi, Dèi minori e mortali, considerate il mestiere di chi vi comanda più semplice. In realtà non siete in grado di guardare oltre al vostro naso e perciò è ovvio che non sapete comprendere le nostre azioni, compiute pensando alle Ere a venire”.

“Per me, in realtà, state tutto il giorno a girarvi i pollici e perciò va tutto in malora…”.

“Senti un po’…microbo…” iniziò Kuetzalikay, agitando la coda, quando vide che il piccolo Kevihang teneva fra le mani un libro molto interessante.

Aveva la copertina rossa, brillante, con i bordi consumati e scoloriti. Le pagine, ingiallite e incurvate dall’umidità, presentavano numerose pieghe, strappi ed orecchie. Non aveva titolo e profumava d’antico. Il bambino lo aprì, senza pensarci, e ne osservò i caratteri blu scuro. Interamente scritto a mano, completo di illustrazioni e miniature, non veniva aperto da secoli.

“Questo libro risulterà utile ad entrambi, mio giovane amico” affermò l’Alto, abbassandosi e sfiorando le spalle del bambino con le mani sottili.

“Questo volume…” spiegò “…apparteneva a Luciherus. Era un dono di Madama Lilim e del suo compagno, divenuto poi Dio dell’Equilibrio e Alto”.

“Questo libro è stato scritto da Kasday?”.

“Da Kasday in persona! Ti parlo di Ere ed Ere fa. Fammi dare un’occhiata…”.

Detto questo l’Alto allungò la mano verso il libro ma questi si richiuse, da solo, e lo respinse con una potente barriera dorata. Kuetzalikay ritrasse la mano, gonfiando i capelli.

“Che storia è mai questa?! Perché tu lo puoi aprire ed io no?”.

“Forse Kasday ci ha fatto un incantesimo per far sì che gli Alti non lo tocchino…”.

“Quando Kasday ha scritto questo libro, sono sicuro che non avesse nemmeno idea di cosa fosse un Alto. Al tempo era una specie di demone mingherlino e deboluccio che si manteneva facendo lo scriba. Dubito perfino che sapesse usare la magia…”.

Kuetzalikay provò ad afferrare altri due libri, uno nero ed uno blu, posti accanto a dove aveva riposato per Ere il libro rosso. Anche questi lo respinsero. Avvicinandosi notò che, sul dorso di ognuno di essi, era stato inciso un piccolo simbolo.

“Devono essere libri speciali” commentò Kevihang, riuscendo ad afferrare quello blu e leggendone il titolo ad alta voce, rigirandolo fra le mani.

“La città degli Dèi…La luce dei Celesti…ed infine questo libro rosso senza nome. Perché solo loro tre hanno un sigillo disegnato sopra?” pensò ad alta voce.

“Non te lo so dire…” gli rispose l’Alto “…ma quel sigillo è stato fatto da Vereheveil e, interpretandolo, prevede che solo lui, Luciherus e Kasday possano aprirli e sfogliarli”.

“Cioè nessuno, oggigiorno, tranne Vereheveil. Luciherus e Kasday non sono quei due Dèi morti secoli fa? O mi sbaglio?”.

“Non sbagli, piccoletto. Luciherus e Kasday sono morti prima della mia nascita e questo significa che è passato un bel po’ di tempo…forse il sigillo va letto in un altro modo o forse la barriera non si alza se a sfogliarlo è una creatura insignificante come te”.

Kevihang si accigliò leggermente per essere stato definito insignificante, per poi riaprire il libro rosso. Kuetzalikay si accorse che non solo non poteva afferrare fra le mani il volume, ma nemmeno avvicinarsi in modo da leggerlo. Esso, infatti, si richiudeva all’istante. Infastidito, giunse alla conclusione che, se voleva utilizzare le parole scritte su quel prezioso tomo, doveva farlo grazie al ragazzino che aveva accanto. La cosa non gli piaceva, anche perché vide che il bambino aveva un certo potenziale magico ma insufficiente a pronunciare gli incantesimi contenuti sul manuale color del sangue. Lo fece notare al piccolo, che si avvilì.

“Qui c’è la formula che mi permetterebbe di scoprire chi sono i miei veri genitori ma, visto che io sono un essere inutile, non sono abbastanza forte per pronunciarla” singhiozzò.

L’Alto, spiazzato dalla reazione del bambino, tentò di calmarlo come poteva pur non avendo la minima esperienza con creaturine simili: “Non piangere, Kevihang! In realtà sei molto bravo per l’età che hai! E poi…io posso aiutarti!”.

“Davvero?” mormorò il piccolo, tirando su la testa.

“Certo! Non piangere più! Asciugati le lacrime e stringi i denti, giovanotto!”.

Kevihang annuì, stringendo i pugni, e si avvicinò all’Alto.

“Come?” domandò il bambino.

“Come cosa?”.

“Come puoi aiutarmi, lucertolone?”.

“Posso portarti in un posto speciale, dove imparerai a fare ciò che necessario. Fidati!”.

“Bene! Andiamo!”.

“Adesso?”.

“Ovvio!! Prima andiamo e meglio è! Forza!”.

Kevihang prese per mano l’Alto, stringendola forte e non lasciandolo rialzare se non con il bambino aggrappato e sollevato da terra.

“Ok, ok! Però lasciami!”.

L’Alto, una volta libero, prese in prestito l’enorme drago rosso di Mihael e fece salire il piccolo dietro di sé, raccomandandogli di tenersi forte. Kevihang lo strinse, sentendo come avesse la pelle viscida ed inquietante. Non fece commenti e guardò giù, sospeso nell’aria sul dorso dell’animale del Principe dei Demoni. L’Alto sussurrò qualcosa nell’orecchio della creatura rossa e questa si librò nel cielo, nascosta fra le nuvole. Oltre quella coltre grigia e bianca, il Sole splendeva ed il bambino sorrise. Non aveva vissuto un solo giorno sereno in tutta la sua vita!

“Dove andiamo?” domandò, gridando per farsi udire nel vento.

“In un piccolo villaggio oltre il palazzo della Principessa Nera. Lì troverai delle persone in grado di aiutarti e dove sarai al sicuro”.

“Al sicuro da cosa?”.

“Da quello che sei”.

“Io non sono niente…”.

“Appunto”.

Kuetzalikay fece scendere di quota il destriero, permettendo al bambino di vedere il palazzo della Principessa che si stagliava nel cielo, immenso e tetro. Poco oltre il perimetro nero di quell’edificio, Kevihang vide mille e più luci colorate.

“Cosa c’è laggiù?” volle sapere.

“Quella è la foresta dei cristalli. Un tempo era una vera foresta, piena d’alberi e rigogliosa. Ora le piante si sono cristallizzate. Quel luogo è dove è stata concepita Luciheday, la Dea della Morte, ed è proprietà della Principessa. Chi vi si addentra lo fa a suo rischio e pericolo”.

“Capito…” annunciò Kevihang, continuando ad osservarne i colori con un sorriso.

Proseguirono ancora oltre, per parecchio tempo, sorvolando distese di roccia, neve, luoghi inospitali e deserti. Solo dopo parecchie ore, e diversi problemi con le situazioni atmosferiche che il drago odiava, come il gelo e la tempesta, i due videro in lontananza un piccolo villaggio. Accuratamente nascosto fra le rocce, in un’insenatura della montagna, pareva disabitato, ma l’Alto fece un larghissimo sorriso per rassicurare Kevihang.

“Non è deserto, piccolino! Adesso atterriamo e vedrai…conoscerai un sacco di gente interessante!”.

Sussurrando un’altra volta degli ordini al drago, Kuetzalikay cominciò a fargli perdere quota mentre il bambino, aggrappandosi più forte, si preparò all’atterraggio.

   
 
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