Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: Water_wolf    26/10/2015    3 recensioni
ATTENZIONE: seguito di "Sangue del Nord", "Venti del Nord" e "Dispersi nel Nord".
Evitare la guerra tra Campo Giove e Campo Nord, impedire il risveglio di Gea, fermare l'avanzata di Ymir: normale routine per i semidei Alex, Astrid ed Einar. Eppure, è davvero così? La posta in gioco è sempre più alta. L'unica soluzione è una triplice allenza tra Greci, Nordici e Romani. Ma il compito è tutt'altro che semplice se braccati da quelli che pensavi alleati. E Roma nasconde molti più segreti di quanto si creda...
«Molto bene. In bocca al lupo, Lars. Mi fido di te. Che gli Dèi siano con te» mi augurò, sorridendomi. «Anche io mi fido di te… ma dubito che gli Dèi saranno con noi, visto quel che dobbiamo fare.» || «Perché sai che cosa succede ai personaggi secondari che provano a diventare degli eroi?» Non attese risposta. «Muoiono, Einar Larsen. Ecco, che cosa succede.»
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Annabeth Chase, Gli Dèi, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Cross-over, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ricordate sempre che le donne sono importanti, ma soprattutto pericolose

∫ Einar ∫
 
Dovevo ammettere una cosa: Leo poteva anche aver avuto un’idea folle, ma la stava trattando in modo geniale.
La scritta Gran Figaccione, Team Leo e Bomba di Sexaggine scritte sulle braccia con dei pastelli neri per simulare i tatuaggi erano fantastici. Anche gli occhialini da saldatore usati come occhiali da sole erano forti, anche se li trovavo molto strani.
«Ok, è il tuo momento» annunciò lui, rivolgendosi a me. «Fammi diventare ancora migliore.»
«Ai tuoi ordini… Gran Figaccione» scherzai, sfiorando occhiali e tatuaggi.
Avvolsi il suo corpo in una leggera illusione che lo avrebbe reso più accettabile. Era palese che era la caricatura di un vero macho, ma Leo era troppo ossuto per poter apparire bello come voleva. Feci in modo che sembrasse più proporzionato e muscoloso, mentre resi i suoi tatuaggi più realistici ed i suoi occhiali veri occhiali da sole di marca.
«Perfetto» osservai la mia opera. «Sei semplicemente perfetto, amico mio.»
«In effetti… non sei male» confermò Hazel, con sguardo critico e leggermente rossa in viso. Probabilmente non era abituata a vedere uomini conciati in quel modo.
«Non sei male» ripeté Eco, ancora semitrasparente.
«Grazie, tesoro» rispose Leo, sorridendole furbo.
«Tesoro» sibilò lei, cercando di non farsi sentire.
«Vuoi uscire con me?» chiese il figlio di Efesto.
«Me» rispose semplicemente la ninfa, guardandolo male.
Ridacchiai alle spalle del mio amico, mentre Hazel alzava gli occhi al cielo, ormai arresa al fatto che io e Leo fossimo le persone più lontane dalla serietà.
«Allora, ci muoviamo?» ci riprese, brusca.
«Ci muoviamo?» rincarò Eco, sollevata che le parole che doveva ripetere fossero sensate.
«Ok, ok… io non dico più nulla» dissi, alzando le mani in segno di resa.
«Nulla!» sentenziò la ninfa piazzandosi davanti a me, prima di tornare al fianco di Leo.
«Ok, va bene. Avete capito?» chiese il figlio di Efesto, guardandoci entrambi. «Appena è distratto, tirate via quella lastra di Bronzo Celeste e portatela via da qui.»
«Ma sarà pesantissima»protestò Hazel, accigliata.
«Tranquilla» la rassicurai, cercando di cingerle le spalle. «Ci penserò io.»
Lei si scostò rapidamente e mi guardò male. «Vedrò di fidarmi di voi due.» Disse quelle parole come se fosse una cosa tremendamente pericolosa… Cosa che in effetti era. Ma che altra scelta potevamo avere: quel bronzo celeste ci serviva e, se non lo avessimo preso, ci saremmo ritrovati un’orda di Romani incazzati neri alle costole.
«Molto bene. Ci vediamo!» ci salutò Leo, con un sorriso, prima di sfoggiare la sua migliore aria da macho e avviarsi verso le ninfe sospiranti e urlanti che attorniavano Narciso.
«Ci vediamo!» ripeté Eco, seguendolo.
«Be’, sono una bella coppia» commentai con un sorrisetto, mentre scendevano dalla collina. «Sono perfetti.»
«Mah… Siete ben strani, in quest’epoca» brontolò Hazel, sedendosi aspettando il momento giusto.
«Siamo tutti strani per le epoche in cui viviamo» replicai, girandomi i pollici, in attesa.
Leo fece il suo ingresso tra il gruppo di ninfe adoranti urlando un sonoro “TEAM LEO!!!” A cui Eco aggiunse la sua voce chiara e decisa.
«Sta iniziando la festa» annunciai, facendo cenno ad Hazel di stare pronta, mentre acuivo la vista per non perdermi Narciso che era ancora fissato sul suo dannato specchio d’acqua.
Leo iniziò a colpirlo con le sue frecciatine. La figlia di Plutone, intanto, aspettava che io le dessi il via libera per procedere. Vidi Leo iniziare a sbeffeggiare il povero Narciso – povero, sì, come no –  imperversando tra le ninfe dandosi l’aria da gran figo. Sentii l’illusione iniziare a risucchiarmi un po’ di energia. Sperai che il figlio di Efesto non ci mettesse troppo, altrimenti non sarei nemmeno riuscito a correre. Fortunatamente non ci volle molto perché il belloccio staccasse gli occhi dallo specchio d’acqua.
«Magnifico, Leo sta facendo la parte del rivale con stile» commentai con un ghigno, mentre le acclamazione di Leo arrivavano fin qui.
«Che dice?» chiese Hazel, che, essendo dietro di me, non sentiva bene.
«Oh, nulla… Sta solo facendo apprezzamenti sessuali alle ninfe» mentii senza ritegno, prevedendo la sue reazione.
Infatti non mi deluse: sulle guance di Hazel andò a disegnarsi un colore intenso rossastro. «COSA!?»
«Stavo scherzando!» ridacchiai, tornando a concentrarmi su Narciso che, nonostante la presenza di Leo, l’aveva solo degnato di qualche occhiata. Doveva avere un bel po’ d’autocontrollo.
«Sii serio, siamo in missione» sibilò la figlia di Plutone, irritata.
«Ok, ok…» mi scusai, tutt’altro che dispiaciuto. «Romani, siete tutti troppo seri» aggiunsi a voce bassissima, per non farmi sentire.
Di colpo, però, la mia attenzione fu catturata da un improvviso movimento di Narciso che, dopo una battutina parecchio stuzzicante di Leo riguardo al fatto che fosse un perdente, aveva alzato completamente la testa e si era quasi messo seduto. Com’è che non si era paralizzato in quella posizione, tanto ci era stato?
«Vai» dissi velocemente alla mia compagna, facendole capire che era il momento.
Lei non rispose, si limitò a chiudere gli occhi e sfiorare il terreno con le dita. Sentii una sorta di leggerissima vibrazione, ma, a parte questo, nulla sembrò cambiare. I suoi lineamenti si contorsero in una smorfia concentrata, mentre percepivo una chiara energia che accresceva intorno a lei. Alle mie spalle, Leo continuava a tenere impegnato Narciso.
Dopo meno di un minuto, dal terreno emerse qualcosa. Inizialmente sentii come se mi fossi ritrovato su un tappeto piegato male e stessi poggiando le gambe proprio sulle pieghe, poi, però, la terra accanto a me si aprì rivelando una liscia lastra di bronzo celeste tanto lucida che avrei potuto specchiarmici – e a dirla tutta era anche più figo di Narciso.
«Ecco qua. Secondo i miei calcoli dovrebbero essere venti chilogrammi di Bronzo Celeste» mi informò Hazel, che prese uno dei bordi.
Mi chinai per aiutarla e sollevai l’altro bordo. Stavamo per iniziare a muoverci quando qualcosa accadde di sotto, dove stava Leo.
Mi voltai e capii: era Narciso.
Il ragazzo aveva appena scoperto che il suo adorato riflesso e specchio era sparito e ci aveva individuati – complimenti per la vista! Con un gemito di dolore e rabbia ci aveva puntato contro il dito, promettendo una ricompensa alla ninfa che gli avesse restituito lo specchio, aggiungendoci un bonus per quella che avrebbe decretato la fine dei nostri giorni, affermando che nessuno era meglio di lui – arrogante!
«Direi che è ora di togliere il disturbo!» annunciai, iniziando a spingere la lastra, incoraggiando Hazel ad andare più veloce.
Leo, dal canto suo, fu rapidissimo. Ci raggiunse in poche falcate, distanziando il gruppo di ninfe che si stava organizzando. Be’, era avvantaggiato, dato che non si portava dietro venti chili di metallo, ma, una volta raggiunti, prese anche lui uno dei bordi e ci aiutò.
Tutti insieme correvamo velocissimi, nonostante il peso e, sebbene le ninfe fossero veloci, noi avevamo un paio di vantaggi interessanti: il primo era che loro non giocavano di squadra, ma continuavano ad intralciarsi a vicenda, cercando di ottenere ciascuna il loro ambito, quanto impossibile premio; in secondo luogo, Eco continuava ad aiutarci, facendo inciampare le ninfe e placcandole, spesso facendone cadere anche una dozzina alla volta.
Al centro dello schieramento Narciso che incoraggiava le sue pazze fangirls. Impugnò l’arco ed estrasse una freccia, probabilmente nel tentativo di colpirci, ma, appena lo incoccò, il dardo gli si disintegrò in mano tanto era antico.
Nonostante tutto, non eravamo abbastanza veloci e stavano recuperando il vantaggio.
«Chiama Arion!» urlammo io e Leo, in coro, con il fiato corto.
«Già fatto!» replicò Hazel, prontamente.
Arrivammo sul bagnasciuga immediatamente dopo, stanchissimi e gravati dal peso del metallo. Dall’altra parte del lago intravedemmo la Argo II, ma era impossibile da raggiungere, nemmeno se avessimo abbandonato il Bronzo Celeste.
«Siamo in trappola» commentai.  
Alle nostre spalle, Narciso superò le dune usando l’arco come fosse un bastone e non un’arma da tiro, seguito dal suo piccolo esercito di ninfe pazze che si erano armate alla bell’e meglio. Quelle dell’erba avevano preso dei sassi, quelle dei boschi avevano grossi rami e quelle degli stagni e ruscelli avevano un simpatico assortimento di fruste e pistole ad acqua, tutt’altro che minacciose, ma che non diminuivano la loro aria assassina.
«Stai dietro di noi» disse Hazel, mollando il Bronzo Celeste a Leo, prima di estrarre la sua spada.
Io feci altrettanti ed impugnai l’arco, piazzandomi alla destra del figlio di Efesto, mentre Eco si sistemava alla sua sinistra, creando una sorta di schermo semidivino intorno a lui. Incoccai la freccia e mi tenni pronto a tirare a qualsiasi ninfa che si avvicinasse. Avrei preferito infilzarle con altro, ma, anche se erano ragazze, non mi sarei mai fatto scrupolo colpirle. Legittima difesa, non maschilismo!
Leo, alle mie spalle, evocò una palla di fuoco dalle mani, ma il suo sguardo vagò sulla figura semitrasparente di Eco.
«Sei una ninfa coraggiosa» ammise in tono sincero.
«Una ninfa coraggiosa?» ripeté lei, perplessa.
«Già. Sono fiero di averti in squadra con me» aggiunse, preparandosi a combattere. «Se ne usciamo vivi, dovresti pensare di mollare Narciso.»
«Mollare Narciso?» domandò ancora lei, confusa.
«Esatto, non fa per te» spiegò Leo con un sorriso.
«Volete tè e pasticcini?» chiesi, mentre le ninfe ci accerchiavano. «Perché se vi fa piacere, vi do tutta l’intimità che cercate.»
Il figlio di Efesto, indispettito dalle mie battute, mi tirò contro la palla di fuoco che aveva in mano. La evitai abbassando la testa, facendola esplodere davanti a me, facendo indietreggiare alcune ninfe, ma Narciso si fece avanti senza esitare.
«Impostori!» urlò, indicandoci. «Loro non mi amano! Voi, invece, mi amate quanto io amo me stesso, vero?»
Le ninfe annuirono eccitate e speranzose, guardandoci maligne, prima di attaccarci in massa. Avrei tirato contro la più vicina, se la sabbia non mi fosse esplosa davanti, bloccandomi la visuale.
Arion era apparso a mezz’aria, colpendo la calce alla velocità del suono, facendola saltare addosso alle ninfe. L’arrivo del nostro amatissimo cavallo supersonico le lasciò disorientate e lui iniziò a correre velocissimo intorno a loro, sollevando una tempesta di sabbia che avvolse Narciso e le pazze che stavano con lui. Quando Arion si fermò, tutti erano pieni di sabbia.
Quasi tutte erano a terra e, quelle in piedi, andavano in giro alla cieca, tendendo le mani in avanti per non urtarsi a vicenda. Narciso, da parte sua, aveva una spessa calotta di sabbia sul viso e sventolava il bastone dell’arco cercando di colpire quella che sembrava una grossa pentolaccia invisibile.
«Adoro questo cavallo» esclamò Hazel.
«Anch’io» convenni, sollevato, mentre Arion si bloccava a pochi metri da noi.
«Andiamo!» ci incitò la figlia di Plutone, saltando in groppa alla sua cavalcatura, mentre io issavo sul dorso anche il Bronzo Celeste.
«Ma non possiamo abbandonare Eco!» protestò Leo, guardando verso la nostra amica ninfa che, però, scosse il capo.
«Abbandonare Eco» disse lei, decisa.
Al figlio di Efesto sembrò fosse caduta una mascella dallo stupore. «Perché?» chiese stupefatto. «Non penserai davvero di poter aiutare Narciso!»
«Aiutare Narciso» ripeté lei, sempre decisa.
Avrei voluto tapparmi le orecchie: quella era una cosa abbastanza personale tra Leo ed Eco e, sinceramente, avrei voluto che avessero più tempo per chiarirsi, ma il fatto era che non ne avevano. Le ninfe, infatti, stavano iniziando a riprendersi, pulendosi la sabbia dagli occhi che erano rossi di lacrime e rabbia. Anche Narciso si stava riprendendo a poco a poco.
«Leo, muoviti!» lo incitò Hazel, preoccupata, vedendo i nostri nemici che si riprendevano.
Mi voltai un attimo verso la Argo II, che sembrava un miraggio lontano, poi tornai a concentrarmi sul figlio di Efesto… Il tempo di vedere Eco che gli dava un leggero bacio sulla guancia e gli sorrideva, prima di sparire nel vento.
Leo rimase imbambolato per un istante ma, subito dopo, si riprese e saltò in groppa ad Arion dietro di me, poco prima che Narciso lo attaccasse con il bastone.
«Ridatemi me stesso!» urlò il ragazzo al nostro indirizzo, agitando l’arco disperato.
Ma non lo ascoltammo, allontanandoci veloci dalla spiaggia, diretti alla nave. Durante il tragitto Leo  fu molto silenzioso e mi parve persino, che si stesse asciugando gli occhi velocemente per nascondere le lacrime. Avrei voluto consolarlo, ma capii che non era il momento adatto per parlargli.
Osservai affranto il ragazzo innamorato di sé stesso e riflettei che, forse, Nemesi non voleva riferirsi a Narciso con le sue parole, ma a Eco, che aveva scelto la sua seconda possibilità per salvare la persona che amava. Gli Dèi, raramente davano buon consigli, però. E di certo non mi sarei piegato al volere di quella tipa lì.
Se dovevo combattere per qualcosa, avrei combattuto per i miei amici e non per salvare gli Dèi.
Questo era chiaro.
 
☼Frank☼

 
Fui molto felice, quando atterrammo sul ponte della Argo II. Il volo sotto forma di drago non era stato particolarmente turbolento. In città eravamo riusciti a trovare tutto quello che cercavamo, in particolare il catrame, ma, una volta fuori, un grosso mostro melmoso ci aveva attaccati, rendendo i nostri vestiti stracci e i nostri aspetti ancora peggiori.
Arrivati a bordo, aiutai Percy ed Annabeth a trascinare i secchi di catrame in sala macchine, in attesa che Leo tornasse con Hazel e Einar. Non erano ancora qui, cosa che mi preoccupò, dato che avrebbero dovuto essere i più veloci, essendo nelle vicinanze.
Quando chiesi a Percy se avremmo dovuto controllare, lui rispose semplicemente: «Forse hanno incontrato un mostro, ma sLeo ed Einar sono fortissimi ed anche Hazel sa difendersi. Sono certo che torneranno presto.»
Me lo feci bastare, nonostante la preoccupazione.
Passando accanto alla dispensa, ne vedemmo uscire Alex ed Astrid, che si apprestarono ad aiutarci. Apparentemente stavano pattugliando la nave per evitare che qualche mostro vagante vi si introducesse.
Al ritorno, intravidi Piper accanto al letto di Jason, che si stava riprendendo. La figlia di Afrodite era seduta al suo capezzale con aria afflitta, ma non per questo era meno energica. Ammirai la sua fedeltà, avrei voluto poterle dimostrare anche io la stessa cosa.
Ok, lo ammetto: Leo non mi piaceva affatto. Senza contare che aveva bombardato Nuova Roma, che, pur non essendo stato accolto in modo particolarmente caloroso, era stata una casa, per me, non mi piaceva il modo in cui Hazel e lui si guardavano. Sembravano legati da una strana sorta di empatia che non comprendeva anche me e questo mi spaventava: non volevo che Hazel mi ignorasse, io ero pazzo di lei e non volevo che mi lasciasse per Leo Valdez.
Proprio mentre pensavo a loro, sentii il botto di Arion che atterrava sul duro legno della nave. Salii di sopra insieme ad Alex ed Astrid, ritrovandomi davanti Leo, Einar e la mia ragazza messi non proprio benissimo, come se fossero stati attaccati da un gruppo di spiriti della natura. Oltretutto, Leo era vestito in modo strano e sulle braccia aveva alcuni tatuaggi che sembravano sbiaditi, ma su uno era ancora leggibile Team Leo e Gran Figaccione.
«Bei tatuaggi» commentò Astrid, al mio fianco, trattenendo una risata.
«Divertente» replicò tetro il figlio di Efesto, smontando da Arion. «Avete trovato tutto?» chiese, guardando verso di me.
«Sì, è tutto di sotto» risposi, indicendo le scale.
«Bene. È il momento che il maestro Valdez vi mostri come si aggiusta una nave» affermò lui, saltellando di sotto con l’energia di una trottola caricata al massimo.
Alex prese di nuovo Einar ed Astrid da parte e si misero a confabulare qualcosa, mentre io mi avvicinavo ad Hazel.
«Tutto bene?» le chiesi, apprensivo.
«Sì… sì, sto bene» rispose piano, osservando i tre nordici. «Sono solo un po’ scossa.»
«Lo credo bene» dissi, comprensivo. «Forse dovresti riposare, così, per la riunione, sei tranquilla.»
«Già, credo…»
«Aspetta!» ci bloccò Astrid, accostandosi alla figlia di Plutone.
Non capii cosa volesse e, senza volerlo, misi una mano sulla spada pronto a combattere, ma lei si limitò ad avvicinarsi e squadrare Hazel con curiosità, venendo ricambiata dai nostri sguardi perplessi, dopodiché scosse il capo.
«Nulla» concluse, quasi tra sé e sé. «Mi sono sbagliata.»
Tornò da Einar ed Alex e si rimisero a parlottare. Mi accigliai: per quanto i nordici non mi stessero antipatici, la loro presenza non mi faceva molto piacere se dovevano sospettare di Hazel.
«Be’, io vado a riposarmi» disse lei, dubbiosa.
Appena scese le scale mi avvicinai ai tre, nonostante il mio timore. Einar era il meno inquietante tra loro, mentre, a mettermi più timore, era Alex, che mi superava in altezza e aveva sempre quella sorta di aura di comando che lo circondava, quasi dovesse mettersi ad urlare ordini come il Sergente Maggiore Hartman. Cosa che, per precisare, non aveva mai fatto, ma, ciò nonostante, ero sempre preoccupato.
«Scusate, vorrei parlarvi» dissi, prendendo coraggio.
Alex mi fissò un attimo. «Certo, dimmi pure.»
Esitai un attimo: anche se non gliene avevo mai dato motivo, non volevo che lui pensasse che stessi insinuando che aveva pregiudizi.
«Ecco… So che non vi fidate di me o Hazel perché siamo Romani, ma noi non vogliamo metterci contro di voi. Siamo qui tutti per lo stesso motivo, no? Salvare i nostri amici e le nostre case» cominciai, sentendomi vagamente in imbarazzo. «Se, per qualche ragione non vi fidate di lei, posso assicurare che è dalla nostra parte.»
«Intendi per poco fa?» chiese il figlio di Odino, inarcando un sopracciglio, prima di sbuffare divertito. «Non era perché siete romani, tranquillo. È altro a preoccuparci.»
«Cosa, allora?» domandai, sorpreso.
«Ehm…» Di colpo fu lui a sembrare imbarazzato. Dondolò il peso del corpo da una gamba all’altra e riprese. «A Nuova Roma, la mia ragazza…» fece un cenno ad Astrid Jensen. «… ha percepito qualcosa: crediamo siano spiriti, forse spie di Gea. Pensavamo di capire se era Hazel ad interferire con i sensi di Astrid, ma non è lei il problema.»
«Credevate che fosse una spia?» domandai accigliato.
«No!» risposero subito il figlio di Odino e la sua fidanzata, in coro. «Intendevamo dire che volevamo assicurarci di non esserci presi un abbaglio. Non vogliamo accusare nessuno.»
«Inoltre, se fosse stata davvero al soldo di Gea, avrebbe potuto benissimo catturare me e Leo un centinaio di volte» aggiunse Einar, pensieroso. «Senza contare che tu e Percy ci avete viaggiato insieme, quindi non è lei ad aver messo in allarme i sensori di Miss Morte.»
Mi accigliai: se una presenza sinistra li aveva messi in guardia e avevano appurato che non era Hazel, significava che c’era qualcos’altro su questa nave. Qualcosa che non eravamo noi.
«Mi state dicendo che c’è qualcosa su questa nave?»
«Sì… qualcosa di morto» precisò Astrid.
«Ho anche usato i miei poteri runici, ma non riusciamo ad individuarlo» aggiunse Alex.
«Ma Hazel non è morta» obiettai, anche se, lo sapevo, non era proprio tutta la verità.
Tecnicamente Hazel era morta quasi cinquant’anni fa ed era tornata in vita con l’aiuto di suo fratello Nico, attraversando le Porte della Morte, ma non sarei certo stato io a dirlo a loro.
«Be’, fingi bene, ma lo so già che è morta e risorta» replicò Astrid di colpo, ridendo. «Figlia di Hell, ricordi?»
Arrossii, sentendomi un idiota per via della mia ingenuità: era ovvio che lei l’avesse percepito, ed era per quello che si era confusa.
«Comunque sia» dissi, più per cambiare discorso che altro, «dobbiamo scoprire dove si nasconde questa… spia
«Per questo eravamo di sotto» spiegò Alex, guardingo, come se temesse di essere sotto osservazione. «Stavamo cercando questo spirito per allontanarlo dalla nave, ma non l’abbiamo trovato.»
Stavo per dire qualcosa, ma, in quel momento, la nave iniziò a vibrare e a scuotersi, mentre i remi si rimettevano in moto per sollevarla da terra.
«Direi che stiamo ripartendo!» constatò Astrid che, per non crollare come me, Alex e Einar si era appoggiata al parapetto.
«Ve l’avevo detto» ci canzonò Einar, con un sorriso furbo. «Leo Valdez saprebbe aggiustare qualsiasi cosa.»
Ma Alex non lo stava ascoltando. Il suo unico, inquietante occhio era concentrato su qualcosa alle mie spalle, come se avesse visto, di colpo, qualcosa di preoccupante. Quando mi voltai, capii anche di cosa si trattava.
«Un’aquila da ricognizione Romana!» esclamai, vedendola. In un primo momento ebbi l’impulso di nascondere l’informazione, ma poi mi ricordai che Alex era un alleato. «Sono usate per rintracciare i semidei romani dispersi, hanno un fiuto incredibile per i mezzosangue. Ma, adesso, credo le stiano usando per darci la caccia.»
«Inquietante» commentò Einar, accigliato. «Penso che dovremmo parlarne con gli altri.»
«Sì…» Alex parlò come se avesse la mente altrove. 
All’improvviso, il drago, che poco tempo prima era atterrato su Nuova Roma, si affiancò alla nave con un leggero ruggito, come ad avvertire della sua presenza, ed il figlio di Odino gli si accostò.
«Ehi, Vesa. Tutto a posto?» chiese, sfiorandole il muso squamoso come  a un gattino.
«Wow… che cos’è?» domandai, osservando affascinato la creatura.
«È una viverna» spiegò lui, sussurrandole qualcosa che non sentii, come ad un cucciolo. «Se riesci ad addestrarne una, ti è fedeli come e più di un cane. Un legame empatico mi permette di richiamarla anche a grande distanza.»
«Insomma, sono vostri amiche» constatai, mentre lei volava lontano.
«Già. Le ho detto di pattugliare la zona e di tornare in caso veda altre aquile» disse lui, avviandosi verso il piano di sotto. «Sarà meglio riunirsi per decidere cosa fare.»
«Giusto!» convenni, precedendolo. «Andrò a svegliare Hazel.»
Lei, però, non era riuscita a riposare bene. L’ondeggiare della nave le aveva fatto venire il mal di mare e, alla riunione, mostrava una chiara sfumatura verdognola. Tentai di aiutarla, consigliandole di bere del tè, ma non ero un esperto di queste cose, quindi non sapevo proprio come aiutarla.
Mentre ci sedevamo, inoltre, accadde un episodio spiacevole: Alex, Einar e Astrid si erano seduti in fondo al tavolo, ma, a capotavola opposto, Jason e Percy, per un attimo, cercarono di prendere lo stesso posto. Tra i due ci furono sguardi tesi, come a voler convincere l’altro ad andarsene, ma, alla fine, come per comune accordo, lasciarono il posto ad Annabeth. Leo, nonostante fosse sporco d’olio e catrame, cercò di rendere il racconto delle loro disavventure con le ninfe comico, ma non riuscì a migliorare l’umore di nessuno dei presenti.
«I Romani ci sono alle costole» dissi, infine, facendomi un po’ di coraggio. «Credo che vogliano catturarci.»
«Frank ha ragione» convenne Jason, preoccupato. «Dobbiamo rimanere all’erta, sono abbastanza convinto che ci inseguiranno in massa non appena avranno la nostra posizione precisa.»
«E se provassimo a tornare?» propose Piper, incerta, come se volesse risolvere un problema. «Dopotutto… potremmo spiegarci.»
«Sarebbe bello, Pipes» commentò Annabeth, affranta. «Ma non abbiamo prove, né possibilità di farci ascoltare.»
«Senza contare che abbiamo appena colpito la loro casa. Non condivido il loro modo, ma capisco cosa possano pensare» aggiunse Alex, preoccupato. «Hanno visto la nostra nave attaccare casa loro, è ovvio che pensino che li abbiamo attaccati e che vogliano difendersi.»
«Li capisco» convenne Annabeth, abbattuta. «Ma se non completiamo la nostra missione, tutto il mondo farà una brutta fine.»
«Già… Serve qualcosa per riconciliare tutti» fece notare Percy, accigliato. «I Romani trionfarono contro molti popoli, ma hanno sempre sottratto qualcosa.»
«La Corona di Odino fermerebbe la furia degli Dèi Nordici» spiegò Astrid, fissando il suo ragazzo, vagamente preoccupata. «Abbiamo qualche informazione su di essa, ma dobbiamo aspettare di arrivare a Roma.»
«E per i Greci?» chiese Hazel. «Anche per loro non ci dovrebbe essere qualcosa?»
«Be’… qualcosa ci sarebbe» iniziò Annabeth, indecisa, lanciando uno sguardo indagatorio a Jason. «Reyna mi stava per dire qualcosa di importante sulla nostra rivalità.»
«Anche Nemesi ha detto qualcosa di simile» aggiunse Einar, riflettendo.
«Una cosa per volta» li bloccò Leo. «Per ora i motori reggono, ma dobbiamo decidere dove atterrare per finire le riparazioni e sfuggire ai Romani.»
Per un attimo nessuno parlò. Provai a rispolverare le mie conoscenze di Geografia, ma nulla mi faceva venire in mente un luogo sicuro. Inoltre, il mio sguardo era attirato dalle immagini che si riproducevano sugli schermi che tappezzavano la sala. Mostravano le immagini di quello che sembrava l’area ristoro di un bellissimo campo estivo.
Ipotizzai che fosse il Campo Mezzosangue e, senza nemmeno volerlo, il mio cervello continuava a riportarmi a Nuova Roma. Anche se lì ero stato trattato male da molti, avevo comunque incontrato degli amici. Avevo conosciuto Percy ed Hazel ed ero anche diventato una persona rispettata, fino a che non ero stato coinvolto in quell’impresa. Provai una fitta di dolore all’idea che, forse, non ci avrei potuto mai rimettere piede.
«Potremmo provare Kansas» disse la cristallina voce di Piper, riportandomi sulla Terra.
Dopo che ci ebbe spiegato della sua visione con quello che sembrava proprio Bacco, decidemmo il piano d’azione: ci saremmo diretti verso Kansas e lì avremmo trovato il modo di tenere la nave al sicuro, mentre la riparavamo. Nello stesso tempo, lei avrebbe cercato di contattare Bacco, se davvero lui era disposto ad aiutarci.
 
≈Lars≈
 
La battaglia infuriava sempre più violenta.
Ymir era avvolto in una tempesta che gli Dèi, a fatica, respingevano. Erano troppo pochi e disorganizzati. Odino sembrava l’unico a riuscire a frenare, in qualche modo, l’avanzata dell’antenato divino, brandendo Gugnir come un bastone, mentre cavalcava Sleipnir nelle correnti di vento. La punta della lancia riluceva di rune brillanti violette, che esplodevano sulla dura pelle di pietra del Primo Gigante come piccole meteore. Ma, ogni volta, i colpi non erano altro che ferite superficiali. L’impetuoso attacco di Odino era paragonabile a quello di un grosso gatto furibondo contro il suo padrone: doloroso e fastidioso, certo, ma non pericoloso.
Gli altri Dèi, da parte loro, erano indeboliti. Thor e Vidarr non c’erano. La mancanza dei fulmini del Dio Tonante non aiutava gli Dèi che, inesorabilmente, indietreggiavano. Njordr tentava, insieme al figlio Freyr, di avvolgere Ymir in catene fatte d’acqua, ma senza riuscire a far nulla. Hoenir, con le sue nuvole, provava ad occludergli la visuale, ma esse si fondevano con la testa del loro avversario come se ne fossero parte.
Ymir, invece, avanzava deciso. Un suo passo equivaleva ad una città intera. I suoi pugni erano meteore e, dove si schiantavano, finivano con il tranciare intere parti di calotta polare. Il suo soffio congelava ogni cosa nel raggio di chilometri e persino la sua sola presenza bastava a far venire i brividi.
Stavano perdendo.
«Salvaci…»
La voce rimbombò nella mia testa. Una voce che conoscevo bene e che, per me, significava dolore, ma anche calma, amore e gentilezza.
La calda luce di mia madre mi avvolse come una coperta e, per un attimo, mi sembrò di essere tornato un bambino di sette anni, nascosto nel portico di un palazzo, al freddo, avvolto in un giaccone logoro, che scambiava gli Dèi per angeli.
«Salvaci dal Fato a cui nostro padre ci ha condannati…»
Mi voltai e vidi Eir, intenta a curare Tyr, il dio della guerra e del sacrificio. Un enorme spunzone di roccia lo aveva trafitto da parte a parte all’altezza del torace, facendogli perdere un fiume di icore dorato che, come tanti serpi, si riversava in rivoli sul terreno. In quell’istante capii che, a contatto con il ghiaccio, l’icore stava scorrendo proprio verso Ymir, alimentandone la furia.
«Siamo pochi, figlio mio, e la rabbia di Odino ci indebolisce. Ferma la guerra con Roma, o nessuno ne uscirà vincitore» mi ammonì mia madre.
Anche se curava Tyr, i suoi occhi erano incollati nei miei.
Le sue iridi di un colore verde come il prato più rigoglioso si incollarono alle mie. Poi sospirò e l’immagine divenne scura. L’ombra di Ymir ci sovrastò e, con il suono dei suoi ruggiti e dei suoi colpi, il sogno svanì.  


 
Aprii gli occhi e albeggiava.
Accanto a me, Helen dormicchiava tranquilla, acciambellata nel sacco a pelo come un micino. Benché apparisse tranquilla, il suo volto era leggermente contratto, il che significava che aveva avuto una premonizione o una visione del futuro.
Accanto a noi Speil e la viverna di Nora sonnecchiavano tranquille. Sotto le palpebre, a malapena si intravedevano i fieri occhi gialli, simili a quelli dei felini e, oltre agli sbuffi e a leggeri movimenti con le ali, i loro grossi corpi squamosi erano immobili.
Poco più in là, Nora montava la guardia tenendo a portata di mano la sua lancia. I capelli biondi tagliati corti sembravano oro mentre riflettevano i colori dell’alba.
«Tutto a posto?» chiesi, avvicinandomi alla figlia di Odino, decidendo che era meglio dare ad Helen la possibilità di riprendersi.
«Sì, tutto a posto. Nessun mostro ci ha infastidito» mi informò, massaggiandosi la spalla. «Di Johannes, invece, nessuna traccia o notizia.»
«Temi sia arrivato al Campo Mezzosangue?» domandai, leggermente preoccupato.
«È possibile: le viverne sono molto veloci e noi non distiamo più di mezza giornata da New York. Lui dovrebbe essere leggermente più avanti a noi… a meno che non abbia viaggiato anche di notte» spiegò.
L’idea che fosse arrivato al Campo Mezzosangue era plausibile e spaventosa. Da quando era iniziata la missione diplomatica per andare a Nuova Roma, il Campo greco aveva creato un canale di comunicazione diretto con il Campo Nord, in modo che rimanessero costantemente informati sulla situazione e, in caso di attacco, intervenire subito.
Ovviamente Johannes aveva fatto i salti di gioia ad apprendere di poter comunicare direttamente con la sua orda e non avevo dubbi che lo avrebbe fatto non appena fosse arrivato. Non sarebbe nemmeno dovuto tornare in Norvegia, gli sarebbe bastato rimanere al Campo Mezzosangue e attendere l’arrivo dei rinforzi.
Per questo Alex aveva ordinato all’Orda del Drago di prendere la Skidbladnir – nave magica gentilmente prestata da Freyr – e di stanziarsi al largo di New York, in modo da poter fermare Johannes in caso tentasse di superare l’Atlantico, oppure rallentare l’Orda della Spada prima che potesse attaccare Nuova Roma.
Ma ora la situazione era cambiata: Nuova Roma era stata indotta a credere nella nostra ostilità e non avrebbe esitato un attimo ad attaccare il Campo Mezzosangue. Dalle parole di Reyna, il pretore di Nuova Roma, forse non si sarebbero rivoltati contro il Campo Nord, vista la loro paura dell’oceano.
Tuttavia i semidei nordici avrebbero agito come alleati nei confronti dei Greci, venendo personalmente a soccorrerli e, guidati da Johannes, impaziente di dimostrare la propria abilità al padre Thor, avrebbe guidato gli eroi norreni ad un massacro. 
«Dobbiamo muoverci» decisi, non volendo pensare a quanti sarebbero morti a causa di quell’idiota.
«Appena si sveglia Helen, partiamo» convenne Nora, stiracchiandosi e andando allo zaino per mangiare una barretta energetica.
Non ci volle molto perché la figlia di Frigga si svegliasse. Come intuito, era stata colta da un incubo-visione come il mio. Secondo la sua visione, Johannes avrebbe condotto i norreni in una sanguinosa battaglia contro le legioni e, durante lo scontro che aveva visto, Ymir avrebbe schiacciato gli Dèi. Lo scontro sarebbe stato un massacro senza nessun vincitore.
«Sarebbe la fine» commentò Nora, sempre più preoccupata. «Se quell’idiota continua a fare come gli pare, finiremo malissimo.»
«Vuole dimostrare di essere migliore di tuo fratello» spiegò Helen, affranta. «È convinto che, se vincesse la guerra contro i Romani, gli Dèi gli tributeranno più onore di Alex.»
«Come se gli fosse mai stato utile» replicò la figlia di Odino. «L’unica cosa che l’attenzione degli Dèi porta è un sacco di guai.»
Non potevo che essere d’accordo: da quando Alex aveva sconfitto Thor, insieme a me, anni fa, gli Dèi non avevano fatto altro che prendersela con lui, usandolo per ogni minimo capriccio. Con l’arrivo dei semidei Greci e Romani, le cose si erano anche complicate e loro ne avevano sempre approfittato per dare a lui i compiti più difficili e, in una parte del mio cervello, covavo il dubbio che lo facessero per liberarsene. Forse lo temevano per il suo potere e la sua influenza tra i semidei.
«Non abbiamo tempo da perdere» ci incitò Nora, montando sulla viverna. «Andiamo!»
Salii su Speil e, dietro di me, si sistemò Helen, che si tenne stretta alla mia vita, mentre decollavamo verso il cielo. Lanciai una veloce occhiata alle nostre spalle e non vidi nulla, anche se temevo che i Romani ci stessero seguendo o pedinando.
All’orizzonte nessuna traccia di Johannes e della sua viverna, ma sperai ardentemente che non fosse troppo tardi per fermarlo e scongiurare lo scontro.
Preso nei miei pensieri, non mi accorsi subito della sagoma scura che volava poco sopra di noi.
«Nora, prendi Helen» dissi, abbastanza forte perché mi sentissero.
La figlia di Odino annuì quando le feci cenno verso l’alto e, con un salto agile, l’albina passò alla viverna accanto non appena si accostò a noi, aggrappandosi all’amica.
Ordinai alla mia viverna di andare verso l’alto lentamente, così da non destare troppi sospetti in chiunque ci stesse seguendo. Salii tra le nuvole e mi ritrovai davanti ad una grossa viverna nera, cavalcata da una giovane donna dai capelli bianchi, la pelle nera e gli occhi rossi come le braci di un camino: un’elfa oscura.
«Ma che…?» iniziai, ma quella mi vide e, con un rapido movimento, afferrò la sua lancia e la roteò contro di me.
«Speravo di ucciderti di sorpresa…» sibilò lei, mentre mi abbassavo per evitare il colpo. «Vorrà dire che mi accontenterò di sventrarti così.»
«Non ci tengo!» replicai, estraendo la spada e ordinando a Speil di fare un avvitamento per allontanarsi dalla nostra avversaria.
Lei mi inseguì e tentò di colpirmi rapidamente alle spalle, ma riuscii a far fare alla mia viverna una rapida giravolta in modo da finirle sopra.
«Non sai fare di meglio?» chiesi, menando un fendente con la spada.
Lei, però, fu rapida a girarsi in sella e pararlo, rispondendo con un affondo. Mentre combattevamo, Speil andò addosso alla viverna nera, cercando di morderla, graffiandole il ventre con violenza, mentre io e lei ci scambiavamo colpi di spada, tentando di disarcionarci a vicenda. Per un istante le nostre viverne si separarono offrendoci un attimo di respiro e, guardando in basso, mi resi conto che, se fossi caduto, mi sarei schiantato da almeno trenta metri di quota.
Mi ressi alla sella di Speil, che girò su se stesso ed investì l’altra viverna, costringendo l’elfa a reggersi. Ne approfittai subito e, roteando la spada, colpii la mia avversaria con la spada. Lei ebbe il riflesso di scansarmi, ma non riuscì ad impedirsi di venire ferita alla coscia. Sibilò di dolore e gridò contro di me una maledizione che, però, non sentii. La sua cavalcatura riuscì a liberarsi e cambiò bruscamente rotta, costringendo Speil a virare per seguirlo.
Iniziammo ad inseguirci tra le nuvole, mentre cercavo di dirigere la mia viverna verso l’ala sinistra dell’avversaria, vedendola già danneggiata e sanguinante.
«Aspetta…» sussurrai, cercando di individuare il momento più opportuno per farla scattare. «Aspetta…»
Proprio nell’istante in cui la vidi virare a sinistra, ordinai a Speil di attaccare e, con un poderoso battito delle ali simili alle pale di un mulino, scattò in avanti, afferrando la viverna nera per il ventre, mentre i suoi artigli graffiavano il fianco ferito.
Io e l’elfa ci colpimmo ancora, duellando con violenza a innumerevoli metri di altezza, mentre le nostre cavalcature precipitavano avvinghiate l’una all’altra. Duellammo senza esclusione di colpi, usando anche calci e pugni, quando necessario.
Ma non tenni conto del gioco sporco della mia avversaria che, con una finta, riuscì a saltare alle mie spalle e ad avvolgere il mio collo con l’asta della lancia. Subito mi sentii soffocare, mentre tentavo di divincolarmi, ma non era facile, mentre la propria viverna precipitava. Invece, per lei, strozzarmi era molto più pratico, dato che mi usava pure per rimanermi appiccicata.
«Credi che ti lascerò andare?» sibilò lei, crudelmente, rinsaldando la presa sull’asta. «Non credo proprio che andrai ad avvertire il Campo Nord dell’incidente. Lo sciocco figlio di Thor manderà i tuoi amici al massacro ed io sarò in prima fila a vederli morire.»
Una rabbia travolgente si impadronì di me, al suono di quelle parole, ma non riuscii a fare a meno di sentirmi impotente. Capii che lei era venuta fin qui non tanto per ucciderci, ma per impedirci di fermare Johannes. Ci aveva spiati fin dalla nostra partenza e ci aveva attaccati in volo, quando credeva di poterci eliminare più facilmente.
Di colpo la presa sul mio collo si allentò.
L’elfa urlò di dolore. Aveva una lancia piantata nel fianco e, accanto a me, Nora stava continuando a colpirla, permettendo a me di liberarmi. Tirai una gomitata alla mia avversaria e, con un comando mentale, ordinai a Speil di avvitarsi in aria per disarcionarla e, allo stesso tempo, liberarsi dell’altra viverna. La mossa funzionò: l’elfa precipitò nel vuoto con un urlo, mentre la sua cavalcatura si separava dalla mia e tentava di riprenderla in volo.
«Andiamo a finirla!» mi incitò Nora, alzando la lancia, ma io la fermai.
«No!» dissi, ansimando per il fiato che mi mancava. «Dobbiamo… dobbiamo andare al Campo Mezzosangue! Forse possiamo ancora fermare Johannes!»
Senza controbattere, io e le due ragazze ci lanciammo letteralmente verso Long Island, decisi a tentare di fermare Johannes prima che potesse mettersi in contatto con il Campo Nord.
Arrivammo prima di mezzogiorno, ma ormai era già troppo tardi. Quando atterrammo vicino alla collina, vedemmo la viverna del figlio di Thor accucciata vicino alla foresta, che sonnecchiava. Lasciammo anche le nostre in cima alla collina e ci scagliammo verso la Casa Grande e, sulla porta, incontrammo Rachel ad aspettarci.
«Eccovi!» ci salutò la Rossa, preoccupata. «Cos’è successo? Johannes ci ha detto che siete stati attaccati dai Romani!»
«Rachel, dov’è Johannes?» chiese Helen, trafelata. Le due erano molto amiche, in quanto condividevano il dono della preveggenza. «Dobbiamo fermarlo prima che dica al Campo Nord cos’è successo!»
«Ma siete stati veramente attaccati?» domandò lei, accigliata.
«Sì» risposi, per aggiungere subito: «Ma siamo stati noi ad attaccare per primi.»
Sotto lo sguardo incredulo dell’Oracolo, raccontammo, a turno, dell’attacco. Spiegammo di come Leo fosse stato posseduto e della risposta violenta dei Romani, dei danni subiti dalla Argo II e della decisione di Percy e degli altri semidei prescelti, insieme ad Alex, Astrid ed Einar, di procedere subito verso Roma.
«… Allora è troppo tardi» sospirò Rachel, affranta, quando ebbe ascoltato tutta la storia.
«Come sarebbe a dire!?» sbottò Nora, furiosa. «Johannes…»
«Ha già parlato con il Campo Nord» rispose la rossa, perentoria. «Se volete, potete entrare. Chirone ha riunito il consiglio di guerra. Ci prepariamo a difendere il Campo dai Romani e, a quel che so, ipotizzano che i primi semidei norreni arriveranno entro tre giorni.»
Imprecai, mentre Helen abbracciava Rachel e Nora si appoggiava abbattuta allo stipite della porta. Nonostante tutte le difficoltà e la nostra velocità, non eravamo riusciti a fermare Johannes.
La guerra sarebbe iniziata comunque.

 
koala's corner.
HELLO FROM THE OTHER SIIIIIIIDEEE
*Water viene soppressa violentemente*
Ben tornati, semidei nordici! Come va? :3
Questo capitolo ci butta nell'azione con Einar e Leo fanno i cazzoni.
Noi li amiamo comunque, o forse soprattutto per questo lol E poi c'è Frank che è un patatone ed è intimorito da Alex *-*
Nel POV di Lars - che dimostra la sua figaggine anche non riuscendo a fermare Johannes -, compare Elfa Oscura XXXXX. Chi sarà mai? Sono aperte le scommesse.
Fatecelo sapere nelle recensioni ^^ Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, alla prossima!

Soon on VdN: POV Piper/Reyna in cui le due ragazze dimostrano di essere molto toste U.U

 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: Water_wolf