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Autore: Schully    29/10/2015    1 recensioni
Capitoli in revisione.
Mi sono messa a pasticciare dopo un finale di metà stagione mooolto deludente... se vi piace sognare forse questa storia fa per voi... premetto che l'ho scritta e pubblicata... non le ho dato il tempo di riposare sono troppo arrabbiata se c'è qualcosa da aggiustare dite son tutta orecchi.
Genere: Angst, Drammatico, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Carol Peletier, Daryl Dixon, Rick Grimes, Un po' tutti
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti, come va? Spero tutto ok…. Ecco qua un altro capitolo, il tredicesimo, speriamo che mi porti bene!! XD. Ho notato con dispiacere che questa fan non è più seguita come l’inizio, la colpa è anche mia che sono discontinua nell’aggiornare e per questo vi chiedo scusa. ^^ o forse sto semplicemente scrivendo una boiata dietro l’altra e non avete il coraggio di dirmelo?? Non siate timidi ho le spalle grosse, posso sopportarlo e usare le critiche per migliorare, se non dite niente, mi arrovello il cervello e vado in paranoia O_o! Anyway… tornando alla storia, ho iniziato a scriverla subito dopo la morte di Beth, all’inizio l’avevo pensata in un modo ma ora si sta evolvendo in una maniera inaspettata, ancora non so cosa succederà ma se avrete la pazienza di seguirmi, ne verrà fuori del bene. Fidatevi XD… e come al solito un ringraziamento a tutti quelli che hanno messo la fan tra le seguite, ricordate ecc... un beso a tutti al prossimo capitolo.     
 
 
 
The truth is better than any lie…
 
 

Noah e Beth sono partiti alla volta di quella che doveva essere la casa del ragazzo. Mi piace Noah, non so perché ma mi ricorda me stesso da giovane, è così lungo e secco... goffo. Anch’io ero così, prima di sottopormi a un duro allenamento per entrare nella squadra di football del liceo e conquistare così la cheerleader del mio cuore. Ridendo tra me e me, decido di seguirli:
«Hei, voi, aspettatemi…» dico chiamandoli. I ragazzi si voltano e colgo un sospiro di sollievo da parte loro. Lieto di essere utile, penso grattandomi la testa. Beth mi sorride e dice:
«Grazie Tyreese, sei molto gentile ad unirti a noi.»
«Dovere…» rispondo facendole l’occhiolino e ci incamminiamo in questo quartiere all’apparenza totalmente deserto. Non sono nervoso, non sono spaventato, dopo Terminus credo che nulla possa più farlo. So ormai qual è il nostro destino e la cosa non mi disturba, in fondo è il destino di tutti: cessare di esistere, morire. In questo il mondo non è cambiato, sono cambiati i mezzi ma il fine è rimasto lo stesso. Si vive e si muore, tutto sta nell’accettarlo, ed io ormai credo di averlo fatto tanto tempo fa. La differenza sta nel mezzo, ed io per quel poco o tanto che mi resta voglio vivere bene, senza curarmi delle conseguenze negative, tanto la merda arriva comunque, che tu la cerchi o no.
Ho perso troppe persone, farò il possibile per non perderne ancora, ma per farlo non voglio perdere me stesso, non più. Karen sarebbe fiera di me, forse mi farebbe persino uno dei suoi speciali sorrisi… l’unico rimpianto che ho è quello di non averla abbracciata abbastanza, ma se esiste un aldilà, forse ci rincontreremo, e allora lo farò ogni secondo.

Guardandomi attorno noto che il quartiere di Noah doveva essere una bellezza, quando ancora funzionava ogni cosa, con tutto questo verde, le piste ciclabili e le fontane. Adesso invece è in rovina. La cosa che mi turba maggiormente è che non sembra che la desolazione sia colpa dei vaganti, o del tempo trascorso, sembra più che sia da imputare ai miei simili. Nonostante tutto esistono ancora gli stronzi, che beffa del cazzo! Ormai avremmo dovuto imparare a essere solidali tra noi, ad aiutarci, invece ci facciamo ancora la guerra, penso con tristezza. Devo ammettere che il peggiore virus siamo noi, gli esseri umani.
Stringo le nocche intorno al mio fedele martello guardandomi attorno. Non so da dove mi scaturisca questa certezza, è come un brivido che mi percorre la spina dorsale, forse è colpa dei graffiti, disegnati ovunque.

Alcuni sono sbiaditi, forse una volta erano neri, ora invece sono grigiastri e rappresentano un’unica parola: “Wolves”. Quelli che mi disturbano maggiormente, invece, sembrano più nuovi e sono fatti con la vernice rossa che sporca tutti i muri e mi ricorda tanto il sangue.
Non sono frasi, solo disegni, ma nella loro semplicità sono altamente inquietanti. Uno rappresenta un clown che ride beffardamente mentre ai suoi piedi giacciono dei cadaveri, un altro rappresenta una forca con l’impiccato, un altro ancora, forse il più agghiacciante di tutti, è quello di una specie di cane, o forse un maiale, squartato, con gli organi numerati; sembra quasi un compito a casa, una scheda di biologia da compilare, disegnata da un bambino talentuoso con la mente disturbata. Anche i ragazzi sono nervosi, soprattutto Noah. Come biasimarlo dopotutto?
Dal suo sguardo agghiacciato credo che la casa dalle finestre rotte che sta guardando sia la sua, ed è quella con più graffiti. Anche Beth ci è arrivata e gli afferra un braccio come a trattenerlo. Non servirà a un cazzo, penso io. Infatti lui, spingendola malamente, la fa cadere a terra e, nonostante lei cerchi di fermarlo, si lancia verso il portico zoppicando. Non mi resta che aiutare Beth a rialzarsi e seguire Noah; lo raggiungiamo quando ha già aperto la zanzariera che lo divide dalla porta d’ingresso. Beth gli urla:
«Noah aspetta…» ma il ragazzo non sente ragioni e dando una spallata alla porta, entra senza curarsi minimamente di cosa potrebbe trovare all’interno. Io e Beth lo seguiamo a ruota pronti per ogni evenienza. Il salotto di casa sua è pressoché intatto, se non fosse per l’odore, non si direbbe mai che questa sia una casa post apocalittica. L’ordine è quasi maniacale, e se non fosse per il cadavere in decomposizione sul divano, sarebbe il perfetto soggiorno “della mamma”. Anzi, se devo essere sincero, è fin troppo pulito. Non mi piace, mi si rizzano i peli sulla nuca, in tutto questo c’è qualcosa di sbagliato… come fa a essere tutto pulito, se non c’è più nessuno di vivo che può farlo?
Da come il ragazzo s’inginocchia di fronte a quel corpo, deduco che deve essere davvero sua madre, lo vedo scuotere le spalle in singhiozzi silenziosi. Beth gli si avvicina e gli posa lieve una mano sul capo, carezzandolo delicatamente. Noah, abbandonandosi totalmente, piange tutte le sue lacrime, mentre io mi guardo intorno preoccupato. La giovane donna mi fissa e nel suo sguardo noto una strana consapevolezza, come se avesse vissuto qualcosa di simile. Alza una mano come a voler stoppare qualsiasi mia domanda.
Mi sento di troppo, credo sia meglio che perlustri il resto della casa, giusto per essere certi che non riservi pericoli inaspettati. La cucina è pulita, come lo sgabuzzino nel sottoscala, per ora nessun errante in vista. Salgo al piano superiore, i singhiozzi di Noah si fanno più lontani e in un certo senso mi sento sollevato. Ci vorrà del tempo, ma se vuole sopravvivere deve imparare a convivere con il proprio dolore. È triste a dirsi ma è un percorso che deve compiere da solo, l’abbiamo fatto tutti. Nessuno di noi potrà essergli d’aiuto. Neanche io, non riesco a essere d’aiuto nemmeno a mia sorella. Anzi, se devo essere sincero, non la capisco più. È diventata quasi un’estranea.
Da quando è morto Bob non è più la stessa, si è persa, ed io non so più cosa fare per riportarla indietro. L’unica alternativa che ormai mi è rimasta è quella di prenderla a schiaffi, ma non credo di essere disposto ad usarla, non ancora perlomeno. Probabilmente, se agissi così, la perderei per sempre ed è un rischio che non voglio correre.
La prima cosa che ho notato, arrivato in cima alle scale, è che la pulizia maniacale si è fermata al pianterreno, qui lo scorrere del tempo si nota eccome. Uno strato di polvere spesso un centimetro circa ricopre ogni cosa e le porte sono chiuse. Silenziosamente apro la prima porta alla mia destra: è il bagno e a parte la polvere è tutto in ordine, richiudo la porta e proseguo. Quella subito dopo è chiusa a chiave e, per quanto mi riguarda, per il momento può rimanere così. La terza invece si apre cigolando e subito mi appare chiaro che qui è successo qualcosa di brutto.

Le finestre sono sfondate, i sassi giacciono ancora lì tra i cocci di vetro. Dei rampini rudimentali sono attaccati all’intelaiatura delle finestre, probabilmente li hanno usati per arrampicarsi. Il letto è completamente sfatto e imbrattato di sangue ormai rappreso e nonostante il vento entri dalle finestre rotte gonfiando le tende, l’odore di marcio è insopportabile. Coprendomi la bocca con la mano per attutire la puzza che sta per farmi rivoltare lo stomaco, mi guardo attorno alla ricerca della fonte di quell’odore malsano. Poco distante dal letto finalmente ne trovo l’origine e rimango agghiacciato: dalle dimensioni direi che quello che ho davanti è il corpo di un ragazzino, non credo che abbia più di dieci anni, è completamente smembrato. Gli arti sono stati disposti a formare una “W”, mentre il tronco e la testa sono stati usati come un punto esclamativo. La cosa ancora più spaventosa è che la testa è ancora viva, nonostante sia scollegata dal corpo; apre e chiude la bocca e mi guarda con occhi vacui. Come si può fare questo a una creatura innocente? Mi domando inorridito.
Quale mente perversa può concepire tutto questo?
Mi chino, brandendo il mio martello per porre fine alle sue sofferenze e mi accorgo che è stato privato di tutti i denti. Improvvisamente un rumore giunge alle mie spalle e voltandomi vedo un altro orrore di cui avrei fatto volentieri a meno. Il gemello del bambino squartato è alle mie spalle e il suo destino non è stato dissimile da quello del fratello: è stato colpito da un machete, o forse da una scure, all’altezza del collo, in diagonale fino allo sterno, con il risultato di averlo decapitato a metà; la testa gli penzola dal lato sinistro in maniera grottesca. Non posso permettere che i ragazzi lo vedano, devo occuparmene io.  Con un unico colpo di martello, gli sfondo il cranio e pongo fine a tutto questo. Anche lui è stato privato dei denti. Per quale motivo? Mi domando inorridito.
Mi accascio accanto ai due sfortunati ragazzi. Ora credo di aver visto di tutto e devo ammettere che non c’è limite al peggio. Sono stremato, ma devo tornare di sotto e informare Noah che i suoi fratelli sono morti, e devo anche impedirgli di salire quassù.
 
 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 
 

Tyreese manca da un po’, è andato a controllare il piano di sopra. Noah sembra essersi calmato, ora non piange più, e si limita a fissare il corpo di sua madre con occhi vacui. Io non posso che esaminare l’ambiente circostante: è tutto troppo pulito, mi ricorda la casa del becchino che avevamo trovato io e Daryl. All’epoca avevo pensato che fosse bellissimo che ci fosse ancora qualcuno che si occupasse dei morti e che desse loro una degna sepoltura, ora devo confessare che una strana inquietudine mi attraversa. Mi guardo intorno preoccupata, qualcosa non mi torna, forse è colpa dei graffiti, nella mia vita di prima mi piacevano… ma questi? Che sto guardando in questo salotto di provincia? Questi non sono graffiti, questi sono un insulto.

Ora che li osservo bene, sono ancora più inquietanti e sembrano persino più freschi rispetto a quelli fuori. Non so perché, ma mi ricordano delle rappresentazioni sacre, sembrano quasi gli idoli di un pazzo. Scuoto la testa, dicendomi: “Stai diventando paranoica, smettila!” L’altra cosa che mi ha disturbato fin da subito è la postura del cadavere della mamma Noah, non è distesa come si converrebbe, ma è in posizione semi seduta, con le braccia e le gambe semi aperte, ed è vestita e truccata come se fosse in attesa di qualcosa, o forse di qualcuno. Tutto questo non mi piace, Noah a quanto pare non se n’è accorto, probabilmente è troppo sopraffatto dal dolore. Devo stare all’erta per entrambi.
«Tyreese è via da troppo tempo, vado a controllare, okay?» Non ottengo risposta, riprovo scuotendolo per una spalla, finalmente mi guarda e annuisce dicendo:
«Tengo d’occhio io l’entrata, non preoccuparti» cerca di farmi un sorriso rassicurante, alzando la sua pistola e la sventola verso la porta, ma gli scappa solo una smorfia. Faccio finta di non essermene accorta e facendogli il gesto del pollice alzato, do un occhio ancora al portico e uno alla cucina, prima di salire al piano di sopra a cercare Tyreese.
Appena giunta in cima alle scale, vengo sopraffatta da un tanfo nauseabondo e capisco subito che proviene dalla terza porta alla mia sinistra, la stessa porta da cui sento arrivare dei rumori di trascinamento. Non faccio in tempo ad affacciarmi alla soglia che la voce profonda di Tyreese dice:
«È meglio se resti fuori, fidati, è per il tuo bene» sono stanca della gente che mi dice cosa fare, sono grande ormai. Scostandolo in malo modo mi affaccio sull’uscio, mi rendo subito conto, però, che forse avrei fatto meglio a non farlo. È evidente che Tyreese ha cercato di ricomporre i loro corpi, ma l’orrore che è avvenuto in questa stanza rimane palese ai miei occhi, mi sembra di sentire ancora le loro urla. Questa mattanza è stata opera di uomini malvagi come il governatore. Anzi, forse peggio di lui. Ancora non mi spiego il perché esistano persone così. Prima di perdere totalmente me stessa dico:
«Dobbiamo tornare da Noah, si starà preoccupando, e dovremmo trovare il modo di spiegargli tutto questo!» Allargo le braccia, sconfitta, indicandogli lo scempio di fronte a me, mentre una lacrima traditrice mi scappa. La mia speranza a che è servita? Tyreese fa finta di non accorgersene e mi fa strada verso le scale.
«I miei fratelli sono morti, vero?» Esclama Noah, non appena raggiungiamo l’ultimo gradino.
«Si!» Rispondo mio malgrado, non credo ci sia bisogno d’aggiungere altro. Lui sembra rimpicciolire, ma poi rialza le spalle e asciugandosi le lacrime, dice:
«Va bene, almeno adesso lo so, devo badare a me stesso, sono rimasto da solo.» C’è una tale consapevolezza, una tale rassegnazione, nella sua voce, che io non posso fare a meno di consolarlo e condividere con lui quel fardello. Mi inginocchio accanto a lui e lo abbraccio, cercando di fargli capire che non è solo. Nei mesi che sono dovuta stare al Grady, lui è stato il mio sostegno, ora io devo essere il suo.
 
Tyreese è andato a chiamare gli altri. Io e Noah ormai siamo seduti sul portico, lui poggia la testa sulla mia spalla ed io gli accarezzo lievemente la mano. Daryl è il primo ad arrivare e sembra lievemente scocciato dalla mia vicinanza al ragazzo, ma ormai credo di essere assuefatta ai suoi comportamenti, quindi continuo noncurante a fare quello che sto facendo. Michonne è la prima a parlare:
«Credo che dovremmo fare un funerale» dice guardando Rick, che annuisce.
«Li vuoi seppellire o bruciare? Sono la tua famiglia, a te la scelta» chiede guardando fisso Noah. Forse Michonne è stata troppo diretta, penso, ma invece il ragazzo sembra apprezzare e guardandola le risponde:
«Bruciamoli, così potrò portare un po’ di loro con me, una piccola ampolla sarà più che sufficiente.» Si alza risoluto, avviandosi all’interno della casa. Tyreese ha già avvolto i fratellini di Noah in un lenzuolo e, aiutato da Glenn, li ha portati al piano di sotto. Noah si occupa di sua madre, mentre Rick, Daryl e Michonne hanno già accatastato abbastanza legna sul retro della casa da fare una pira con i fiocchi. A me invece… scappa la pipì! Mi sento così sciocca, ma quando sono nervosa, mi scappa ancora di più. che ci posso fare? Al piano di sopra c’è un bagno, che male c’è nell’usarlo? La casa è stata perlustrata, più di una volta, non c’è nessuno, siamo al sicuro al momento. Per una volta non dovrò acquattarmi tra i cespugli, che soddisfazione! Quasi, quasi non mi sembra vero. Senza farmi notare, salgo al piano di sopra.

Il rumore dello sciacquone è qualcosa d’inaspettato, lo avevo quasi dimenticato. Neanche al Grady funzionava, usavamo dei secchi, e non potevamo farlo nemmeno al primo utilizzo, bisognava razionare l’acqua, quindi si poteva scaricare solo dopo dieci utilizzi. Ricordo ancora la puzza di quei bagni, che schifo! Mi si rivolta lo stomaco al solo pensiero.
È strano come siano le piccole cose, a volte, a colpirti maggiormente: prima le davi per scontate, quasi non te ne curavi, ora invece ti strappano un sorriso, perché per un attimo ti riportano alla normalità. Mi avvicino al lavandino per lavarmi le mani, l’acqua è fredda ma non m’importa, sembra quasi lavare via lo sporco che ormai alberga dentro di me.
Dopo il coma sono stata confusa per un po’, certi pezzi mi mancavano, credevo di averli persi per sempre, non è stato così. Mio malgrado sono tornati a perseguitarmi. La verità è meglio di qualsiasi bugia, però confesso che avrei preferito non conoscere certi dettagli. È stato Daryl a svegliarmi, come al solito: quando mi ha inchiodato a quell’albero, ha innestato una reazione nel mio corpo che mi ha costretto a ricordare.
Ho ucciso due uomini e non lo sa nessuno. Nemmeno Maggie. Ho ucciso l’agente Gorman; è inutile che continui a raccontarmi balle sul fatto che è stata la vittima delle sue angherie trasformata in zombie ad ucciderlo: io sapevo che era lì, ce l’ho portato apposta. E poi ho spinto quell’altro agente nel cunicolo dell’ascensore per difendere Dawn… Carol ha detto che Daryl non vuole sporcarmi. Mi guardo allo specchio, sciacquandomi il viso con l’acqua fredda. Arrivi tardi, penso.
Sono già sporca.

L’odore del falò giunge alle mie narici, il funerale è cominciato, forse è meglio che scenda.
Mi volto per uscire, quando mi trovo davanti un perfetto sconosciuto. Non faccio in tempo a chiedermi da dove cavolo è entrato, che mi viene in mente la stanza chiusa a chiave. Nei pochi secondi che passano, registro veloce altri particolari: è un ragazzo albino, ha i capelli lunghi e sembra più giovane di me, ha uno sguardo allucinato, i suoi arti sono deformi, soprattutto le dita, sembrano più lunghe del normale. Veloce porto le mani alla cintura dove di solito tengo il mio coltello… cazzo, ce l’ha Daryl, realizzo in un attimo. Cerco la pistola ma il ragazzo è più veloce, mi è subito addosso e con le sue dita ossute mi tappa la bocca:      
«Avete rotto i miei giocattoli! Perché? Con quale diritto? Voi piccoli esseri sudici… imparerete… ohh sì… vi insegneranno il rispetto» mi guarda con occhi spiritati mentre mi trascina lungo il corridoio.
 
Continua…
 
 
 
   
 
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