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Autore: Helena Kanbara    31/10/2015    1 recensioni
[Sequel di parachute, che non è indispensabile aver letto]
[...] io ho scelto, Stiles. Ho scelto ancora. Ho scelto di seguirti quella sera di settembre alla Riserva di Beacon Hills, quando ci siamo fatti beccare da tuo padre a curiosare sulla scena di un crimine e Peter Hale ha trasformato Scott nel licantropo buono che è tutt’oggi. Ho scelto di entrare a far parte della tua vita, ho scelto di accettare la mano che mi porgevi pur senza conoscermi e ho scelto di restarti accanto fino all’ultimo. [...] Stiles, ti amo. [...] Sono innamorata di te [...]. Ho scelto fin dal primo momento – inconsapevolmente – di innamorarmi di te e questa è probabilmente l’unica cosa che non mi pentirò mai – mai – di aver fatto. [...] ti amo. Ti amo così tanto [...].
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'People like us'
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One day, you and I are gonna wake up and be alright.
Maybe not today, maybe not tomorrow.
But one day. One day.
I promise.
 
kaleidoscope
 
 
10.    Pain
 
Avevo passato la gran parte del mio tempo in ospedale – già, c’ero finita di nuovo – assieme a mia madre e a mia sorella Cassandra – felice come una Pasqua di poterle avere accanto a me nonostante tutto; ecco perché quando quel lunedì pomeriggio di inizio dicembre mi trovai di fianco solo uno Stiles addormentato, non potei che stupirmi.
Per un po’ mi limitai ad osservarlo a fondo, tanto per rendermi conto sul serio che fosse lì insieme a me e che non stessi semplicemente avendo allucinazioni causate dai farmaci. Il dolore delle ferite che il kanima mi aveva inferto – ancora non riuscivo a pensare a lui come a Jackson – era così forte che in ospedale mi avevano imbottita di anti-dolorifici, tanto che passavo buona parte del mio tempo a sonnecchiare stordita. Non mi sarei stupita se questi mi avessero anche fatto vedere cose che non c’erano oltre che collassare dal sonno.
Ma Stiles era lì davvero e lo capii quando un mio movimento fin troppo brusco lo risvegliò dal suo sonno leggero. Lo vidi sobbalzare lievemente mentre si tirava su dal mio letto e si copriva il viso con le mani. Aveva un’aria esausta e mi sentii stringere il cuore al pensiero che stesse così anche per colpa mia, ma la mia mente si svuotò del tutto non appena gli occhi di Stiles ritrovarono i miei.
«Ehi», mi salutò immediatamente, forzando un sorriso che comunque apprezzai moltissimo. «Non pensavo fossi sveglia».
Si avvicinò al mio letto ancor di più, tendendo nella mia direzione una mano che non esitai ad afferrare. Strinsi le sue dita lunghe con tutta la poca forza che m’era rimasta, stremata com’ero dai medicinali e dal dolore persistente.
«Sono appena risorta», gli raccontai poi, con un tono di voce tanto debole che per un attimo dubitai che Stiles mi avesse sentita.
Ma lui era attento ad ogni mio gesto e me lo dimostrò subito, rafforzando un po’ di più la stretta delle nostre mani prima di parlarmi ancora. «Come stai?».
Mi sforzai di fare spallucce, ma la pelle lacerata del mio petto si oppose immediatamente, strappandomi un flebile gemito di dolore. Rinunciai quindi a muovermi, deglutendo nell’attesa che le fitte scemassero ancora una volta. Poi parlai. «Non sono mai stata più stanca di così».
E Stiles non aggiunse niente, perché non ce n’era proprio bisogno. Si limitò semplicemente a starmi vicino in silenzio, rassicurandomi con la sua sola presenza e cercando di non imprimere fin troppo dispiacere nel suo sguardo ambrato. Sapeva che mi avrebbe fatta solo stare peggio.
Perciò per un po’ ce ne restammo così, l’uno accanto all’altra in assoluto silenzio. Almeno finché non realizzai di dovermi togliere l’ennesimo dubbio.
«Dove sono mia madre e Cassandra?», gli chiesi dunque, guardandomi inutilmente intorno alla loro ricerca.
Non c’erano più.
«Sono tornate in albergo poco fa. Papà le ha praticamente cacciate. Erano esauste».
Come te, pensai subito. Ma non glielo dissi, mi limitai ad osservare le sue occhiaie profonde col cuore in gola. Stiles era stravolto. E allora fui io quella a restarmene zitta perché non sapevo cosa avrei dovuto dire.
Distolsi lo sguardo dalla sua figura con aria colpevole, provando a lasciargli andare la mano senza successo. Stiles capì subito che stessi provando a scappare – di nuovo – e me lo impedì, stringendo le dita più forte sulle mie e parlandomi ancora, di modo che dovessi per forza dedicargli tutta l’attenzione che si meritava.
«Stamattina ho parlato con la Morrell».
La Morrell? Al solo sentire quel nome scattai sulla difensiva. «Di cosa?».
«Di tutto».
«Tutto tutto?».
Stiles sgranò gli occhi, incredulo. «Ma no! Mica posso parlare di lupi mannari e kanima anche a lei che non ne sa niente».
Avrei voluto davvero che fosse così: che Marin fosse semplicemente la mia professoressa di francese, un’ottima psicologa e anche la mia tutor, ma sapevo che quella donna bellissima nascondesse molto di più. Sapeva dei miei poteri, infatti. Conosceva la mia famiglia e sarebbe stata pura utopia immaginare che non sapesse nient’altro sul soprannaturale di cui era piena zeppa Beacon Hills.
Ma decisi di non dirlo a Stiles: non aveva bisogno di preoccuparsi anche lui dell’ennesima persona coinvolta in tutto quello.
«Cosa le hai detto, allora?», dissimulai quindi.
«Le ho parlato di Matt».
A quel nome, un’intensa fitta di dolore mi attraversò la gamba bendata. Matt. Matt era morto. Gerard Argent l’aveva ucciso e quel pomeriggio stesso ci sarebbero stati i suoi funerali. Per un brevissimo attimo m’immaginai Victor alla cerimonia, vestito di nero e affiancato dalla bellissima donna bionda che immaginavo fosse sua madre. E che era stata anche la matrigna di Matthew, il figlio adottivo che aveva perso decisamente troppo presto. Sapevo che non se lo meritasse poi tanto, ma in quell’esatto momento mi sentii malissimo per lui e per le persone a cui sarebbe mancato.
Ma Stiles per fortuna non si accorse di niente – oppure decise di dissimulare come già avevo fatto io solo pochi secondi prima – e semplicemente continuò a parlare. «Le ho detto di come non riesco ad abbassare la guardia. Mi sento come se ci fosse ancora da combattere».
Anch’io, Stiles. Anch’io.
Non glielo dissi mai. Non ce n’era bisogno.
 
Sentii la porta della mia camera cigolare e la cercai subito con lo sguardo nell’attesa di scoprire chi fosse venuto a farmi visita quel giorno. Quando vidi il viso abbronzato di mia sorella Cassandra fare capolino, non potei che illuminarmi con un grosso sorriso. Il quale aumentò a dismisura nel momento in cui entrò del tutto nella mia stanza, tirandosi dietro un’enorme busta firmata Nando’s.
«Non dirmi che quello è per me», boccheggiai, indicandola già con l’acquolina in bocca.
Cass si limitò ad annuire lievemente, sedendosi di fianco a me poco prima di consegnarmi un pacchetto. Non ebbi nemmeno bisogno di annusarlo per capire di cosa si trattasse: ali di pollo, le mie preferite in assoluto.
«Ti voglio bene da morire», la ringraziai, scartando il mio secondo pranzo. Uno che finalmente, dopo i pasti terribili del Beacon Hills Memorial Hospital, avrei potuto davvero definire tale. «I brodini di questo posto mi stanno facendo diventare pazza».
«Il purè è buono, però».
Annuii, addentando subito un pezzo di pollo. Il purè dell’ospedale era sul serio buono. «Anche la marmellata della colazione», aggiunsi. «ma io ho fame da morire, e le porzioncine da mensa non mi aiutano affatto».
Cass ridacchiò con aria divertita, poi riprese a rovistare nella busta di Nando’s. «Ti ho preso anche la Quinoa Salad, una porzione maxi di patatine fritte e succo d’arancia».
Per poco non m’imbronciai. A quella lista mancava solo una cosa perché fosse perfetta. «E il dolce?».
«Non approfittare della mia bontà, ora. Voglio farti mangiare bene, mica vederti diventare una balena», mi rimbeccò mia sorella, pizzicandomi le guance mentre io la ripagavo con una smorfia infastidita.
Niente dolce, quindi. Avrei fatto meglio a rassegnarmi presto.
«Dov’è mamma?», chiesi ancora a Cassandra, la quale non perse tempo a rubarmi più di un paio di patatine fritte dal sacchetto oleoso.
Prima di rispondermi, fece spallucce. «È rimasta in albergo. Papà è venuto a trovarci. Penso che abbiano bisogno di tempo da soli. Per parlare, sai».
Certo che sapevo. Eppure quella notizia mi sconvolse molto più di quanto avrei mai immaginato.
«Tu non vuoi ascoltare ciò che ha da dire Phil?», domandai a mia sorella, osservandola attentamente alla ricerca di una risposta.
Sicuramente mio padre avrebbe risposto a tutte le domande di Jenny e Cassandra, raccontando loro tutta la verità non solo sui nostri poteri ma anche su licantropi e kanima. Quindi perché mia sorella aveva rinunciato così a cuor leggero di essere informata su tutto?
«Non c’è niente che papà debba dirmi», mi spiegò infine, all’apparenza tranquillissima. «Le cose sono così e basta. E poi preferisco stare con te».
«Questi miei poteri…», deglutii, all’improvviso per niente sicura di come avrei portato avanti quel discorso improvviso. Ricomincia da capo, Harry. Okay. «Non è una passeggiata. E ci sono ancora un sacco di cose che devo risolvere. Non posso tornare in Texas con voi, Cass».
«Nessuno te lo sta chiedendo».
Sgranai gli occhi. «Ma io credevo che tu e mamma foste qui per–».
«Siamo venute per capirci qualcosa. E l’abbiamo capito. Abbiamo capito che sbagliavamo a non crederti. Che è tutto dolorosamente vero – anche se difficilissimo da accettare – e che hai bisogno di restare qui, almeno per ora. Noi ti staremo accanto, Harry», mi spiegò Cassandra, interrompendo la mia frase a metà prima di darmi tutte le risposte che cercavo.
«Volete restare a Beacon Hills? Ma mamma ha il lavoro e tu… Come farai con Jamie?». Non riuscivo a crederci. Non volevo crederci.
Cassandra di nuovo scrollò le spalle, come se niente fosse. «Jamie aspetterà. Si tratta di poco più di due settimane; torneremo a casa in tempo per Natale. E allora non avrai scuse per non passare le feste con noi come pianificavamo già da tempo!».
Sorrisi. Non avevo alcuna intenzione di lasciare Beacon Hills prima del tempo, ma niente m’impediva di tornare a casa per le vacanze natalizie. Ad Austin avrei ritrovato Randall e tutti i miei amici. Ma prima c’era un piccolo particolare da sistemare.
«Vengo con voi solo se mi permettete di portare Stiles», imposi, e Cassandra – sorprendentemente – quasi non batté ciglio.
«Non devi neanche dirlo», mi rassicurò, porgendomi il sacchetto di patatine fritte cosicché potessi mangiarne anch’io qualcuna. Ne afferrai una buona manciata, ma prima di buttarle giù me ne rimasi ferma ad aspettare che Cassandra completasse la sua frase. «Dalle un attimo e mamma avrà già invitato sia Stiles che suo padre».
Sorrisi di nuovo. All’improvviso era tutto perfetto. Lasciai perdere per un attimo il pollo, portandomi un paio di patatine alla bocca. Una di queste finì quasi per soffocarmi quando Cass riprese a parlare, inaspettatamente.
«Bel tipo Stiles, a proposito. È un fuscellino, ma carinissimo comunque», esalò. «Ho sempre saputo che avresti finito per innamorarti di uno così».
Sgranai gli occhi, finendo a rantolare a bassa voce. Innamorarmi? Io? Di Stiles? Non ebbi neanche la forza di rispondere a Cassandra: semplicemente le lanciai contro le poche patatine fritte sopravvissute alla mia fame vorace e lei capì bene di non dover mai più accennare all’argomento.
 
Un leggero bussare contro il legno della porta mi distrasse dalla mia lettura concentrata e misi subito via Il giovane Holden, curiosa di sapere chi sarebbe stato il mio nuovo visitatore. Da quand’ero in ospedale non c’era stato un momento che avessi trascorso da sola: la mia stanza era un continuo viavai di gente e non avrei potuto essere più felice di così.
«Posso entrare?», mi domandò una voce dall’altra parte e subito la riconobbi come quella di Scott, ma non ero pienamente sicura del fatto che fosse lui e perciò mi limitai a richiamare il suo nome con aria confusa.
«Proprio io», confermò lui stesso due secondi dopo, facendo capolino da dietro la porta e riservandomi un gran sorriso che subito ricambiai.
«Entra!».
Scott non se lo fece ripetere due volte. Si chiuse la porta d’ingresso alle spalle e poi mi raggiunse al centro della stanza, accomodandosi di fianco al mio letto. «Come stai?».
Cercai i suoi occhi scuri, capendo che non avrebbe avuto senso dirgli una bugia. «Fa male».
«Dammi la mano».
Impallidii. Mi ero aspettata un tranquillo: «Tieni duro, prima o poi passerà» o qualcosa del genere, non di certo che mi chiedesse la mano. Per farci cosa, poi? Provai a chiederglielo, inutilmente.
«Dammi la mano, su!», insisté Scott, e allora non potei far altro che arrendermi.
Lasciai che mi stringesse una mano tra le sue e capii perché l’avesse fatto nel momento in cui una strana ed inaspettata sensazione m’avvolse completamente. Era sollievo: lo sentivo più forte ad ogni attimo, sovrapporsi al dolore che invece sembrava scivolare via dal mio corpo come semplice acqua. Quando Scott mi lasciò libera la mano, pochi secondi dopo, mi sentivo quasi un’altra persona.
«Il dolore è passato», boccheggiai, ancora totalmente incredula.
Scott trattenne una risatina. «Fantastico, vero? Credo sia la cosa migliore dell’essere un licantropo».
«Puoi portare via il dolore?». Incredibile.
«L’ho scoperto un po’ di tempo fa, ma non ho mai avuto occasione di parlartene».
Mi sistemai meglio contro il cuscino fresco, sorridendogli. «Grazie».
«Quando vuoi! Giuro che è molto più salutare di qualunque medicina». Scott ricambiò il mio sorriso ed io scoppiai direttamente a ridere, divertita da quell’assurda verità.
«Come va a scuola?».
«Non ti stai perdendo granché», fece spallucce, «Oltre alla partita di stasera, ovviamente».
Aggrottai le sopracciglia. «Non ci andrai nemmeno tu, giusto?».
«A dire il vero sì. Isaac mi ha detto che Jackson ha intenzione di giocare e devo andarci».
Grandioso. Ancora grazie, Jackson.
«Non puoi proteggere sempre tutti, Scott», sussurrai.
Ero un po’ amareggiata: non mi andava di saperlo ancora in pericolo.
«Posso comunque provarci».
Scossi la testa a quella replica. «Hai sentito Allison?».
Scott mi imitò ben presto. «La morte di sua madre l’ha sconvolta: vuole Derek morto a tutti i costi», esalò, stringendomi il cuore in una morsa. Tra tutti i miei amici, Allison era stata l’unica a non farmi nemmeno mezza visita ed io non l’avevo mai sentita più lontana di così. Ma se io stavo soffrendo, non osavo nemmeno immaginare come stesse Scott. «Mia madre non mi parla. Ha scoperto cosa sono e non riesce ad accettarlo».
Mi morsi un labbro quasi a sangue all’improvvisa consapevolezza che quella situazione mi fosse fin troppo familiare. Senza farmelo ripetere afferrai la mano di Scott, sperando di poterlo rassicurare almeno un po’. «Si risolverà tutto, vedrai».
«Lo spero», disse lui, poi diede una veloce occhiata all’orologio che portava al polso prima di scattare in piedi e mollarmi la mano, «Devo scappare agli allenamenti. Ci sentiamo più tardi?».
Mi limitai ad annuire. «Sta’ attento», gli ordinai, quando già aveva raggiunto la porta.
Scott si voltò a guardarmi giusto un attimo prima di sparire nel corridoio dell’ospedale. Mi sorrise come sempre, poi mi salutò col suo solito saluto da soldato. «Agli ordini, Comandante!».
Mi addormentai col sorriso.
 
Un’improvvisa fitta di dolore mi trapassò la testa e mi agitai nel letto, cercando di riacquistare conoscenza. Ma ero in quella specie di dormiveglia dal quale non puoi scappare per quant’è profondo: sei mezza sveglia ma non hai pieno controllo sul tuo corpo – non riesci nemmeno ad aprire gli occhi, proprio come non ci riuscii io quella sera. Da quando le mie visioni si erano intensificate e regolarizzate, avevo provato esperienze simili spessissimo. E fu proprio allora che lo capii: stavo avendo l’ennesima visione.
Una porta cigolò e la mia retina fu riempita per un attimo brevissimo dallo spicchio di luce gialla che vi filtrò attraverso quando un uomo la aprì quanto bastava a farvi passare oltre… Stiles. Lo riconobbi ancor prima di poter vedere il suo viso, mi bastò leggere il 24 bianco sulla sua divisa da lacrosse affinché mi mancasse il respiro e desiderassi che quella visione potesse non finire mai. Avevo assoluto bisogno di capire dove fosse, ma non riuscii ad individuare nulla di familiare nel seminterrato buio nel quale l’avevano intrappolato. Avrebbe potuto essere dovunque e soprattutto, con chiunque. Non avevo la più pallida idea di chi l’avesse rapito o del perché, sapevo solo che Stiles fosse in pericolo e che dovevo assolutamente fare qualcosa a riguardo.
Non appena la visione sfumò di fronte ai miei occhi chiusi, scattai a sedere nel letto. Provai a pensare al da farsi, ma ero così sconvolta che finii comunque a prendere la decisione sbagliata. Dopo aver osservato per due secondi l’ago che mi trapassava il braccio sano, decisi infatti di sfilarlo senza troppe cerimonie. Avevo deciso: sarei uscita da quell’ospedale – sarei andata a cercare Stiles – e non potevo di certo portarmi in giro la flebo. Perciò strinsi i denti ed abbandonai il mio letto, zoppicando sulla gamba non bendata alla ricerca dei miei vestiti. Mi servirono ore per riuscire ad indossare qualcosa che non fosse l’orribile camicia da notte che mi aveva fornito l’ospedale, ma alla fine riuscii a rendermi quantomeno presentabile e mi avviai fuori dalla porta. Ero prontissima a mettere in atto il piano più stupido di sempre.
Feci capolino nel corridoio, controllando che fosse vuoto cosicché nessuno potesse vedermi. Prima o poi si sarebbero resi conto della mia fuga, ma non avevo tempo di pensarci in quel momento. Stiles era in pericolo e c’era davvero poco che contasse più di quella cosa.
Avanzai velocemente giù per il corridoio, giungendo dopo infiniti sforzi all’entrata del Beacon Hills Memorial Hospital. Ma fino a quel momento era andato tutto fin troppo bene e avrei dovuto immaginare che non sarebbe durata per sempre. Ad un passo dalla libertà, difatti, lo sguardo scurissimo di Melissa McCall intercettò la mia figura ed io mi sentii tremare di paura di fronte all’urlo infuriato che la mamma di Scott liberò.
«Cosa ci fai in piedi, signorina?», strillò, raggiungendomi a metà strada.
Mi afferrò un braccio – quello che avrebbe dovuto essere legato alla flebo – e lo osservò con occhi sgranati.
«Fila a letto», sibilò poi, minacciosa come mai l’avevo vista.
Non ebbi nemmeno il coraggio di provare a replicare. Semplicemente le diedi le spalle e lasciai che mi scortasse di nuovo in camera mia mentre entrambe trattenevamo colorite imprecazioni.
 
 
 
 
I know that you’re wounded.
You know that I’m here to save you.
 
 
 
 
Ringraziamenti
Ai Three Days Grace, perché
Pain è la meraviglia e sono davvero felice di averci pensato per questo capitolo. ♡
 
Note
Suuuurprise!
Sì, lo so, avrei dovuto aggiornare domani come sempre. Il punto è che non sono sicura di potercela fare dato che sarò fuori città per il pranzo da mia nonna. Io ormai la conosco bene: i pranzi da lei durano otto ore minimo e non escludo di restare lì da lei anche per cena. Non volevo saltare l'appuntamento settimanale con l'aggiornamento, ecco perché ho preferito non rischiare e mettermi a lavoro in anticipo. Spero apprezzerete questa mia sorpresa halloweeniana (?).
Il capitolo è abbastanza di passaggio, lo so, ma mi serviva un po’ della tipica tranquillità prima della tempesta. Come vi ho detto già tempo fa, la storia avrà in tutto dodici capitoli incluso l’epilogo; ergo, prima che finisca tutto ci rimane solo l’undicesimo. L’epilogo sarà ambientato diversi mesi dopo – quando la storia del kanima è ormai archiviata – ma succederanno comunque un sacco di cose, quindi davvero state pronti perché come al solito servirà da “trampolino di lancio” per il sequel (il quale ha già un titolo che, nel caso vi interessi saperlo, è storm). Visto che con kaleidoscope mi è andata benissimo e ultimamente sono molto più che ispirata, prometto che comincerò a lavorarci non appena potrò e che ve lo farò avere nel giro di sei mesi massimo: aspettare un anno per tornare nel fandom è stato controproducente non solo per voi ma anche per me; prometto che non commetterò più lo stesso sbaglio.
BTW, ho inserito Il giovane Holden in questo capitolo perché è uno dei miei libri preferiti e anche uno dei preferiti di Victoria (mi pare, non vorrei dire una cazzata. Anyway c’è una gif in cui lei lo legge ed io vedendola ho troppo pensato ad Harry; dovevo citare questo piccolo particolare
#grazietumblr).
   
 
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