The
Last Storm
«Non farò la fine di quel
pescivendolo!» l’urlo di suo padre risuonò nella sala del consiglio, azzittendo
anche le ultime, petulanti, proteste di lord Barros «Io sono il re, il discendente
di Durran, questa fortezza ha respinto gli dèi stessi!» proseguì, con il furore
che gli distorceva i lineamenti gentili e gli innervava il collo.
Non aveva mai visto suo padre
così, non dopo la morte di sua madre.
«Non mi piegherò a
quell’ammaestratore di lucertole e alle sue puttane!» continuò infuriato «Né al
suo bastardo, mai!» concluse, liquidando ogni possibilità di trattativa.
Suo padre aveva combattuto
molte battaglie, ma questa volta anche lei percepiva che c’era qualcosa di diverso;
no, non era una banale guerra quella, era un fatto personale.
Aspettò che suo padre e la
maggior parte dei lord e dei consiglieri lasciassero la sala, prima di uscire
dal suo nascondiglio nella penombra delle massicce colonne.
«Allan?» chiamò.
«Principessa?!» esclamò il
giovane lord quando la vide «Non dovresti essere qui» l’ammonì.
«Lo so, ma non ho potuto fare
a meno di sentire… Che sta succedendo? Perché mio padre è così arrabbiato e chi
son…» non poté terminare la frase che la voce imperiosa di suo padre la
interruppe. L’alta e imponente figura di re Argilac si stagliava in contro
luce, conferendogli quell’aura di potenza e terrore che da sempre lo
caratterizzava. Titubante, Argella si voltò verso di lui, in attesa del
consueto rimprovero. Ma quando rimasero da soli, incredibilmente, suo padre le
si avvicinò, prendendo le sue mani tra le proprie, come faceva quando era
bambina. Un sorriso stanco si dipinse sul suo volto, increspando le leggere
rughe agli angoli della bocca e degli occhi; non c’erano quando era piccola,
pensò.
«Volevo parlartene di persona»
esordì il re «Volevo essere io a dirtelo» disse, mentre Argella lo osservava
confusa; non aveva mai visto suo padre così turbato.
«Ricordi Aegon? Aveva
caldeggiato la tua unione con il suo fratello bastardo, quel barbaro senza un
briciolo di onore, di nobiltà» spiegò.
«Sì, me lo ricordo» rispose.
Suo padre aveva reagito con sdegno a quella proposta, perché invece adesso
sembrava preoccupato?
«Stanno arrivando, piccola
mia, stanno arrivando per prendere il mio trono, per vendicarsi di me, di noi.
Non glielo permetterò, mai!» concluse, stringendole ancora di più le mani,
quasi stritolandole, come per accertarsi che lei fosse effettivamente ancora lì,
insieme a lui.
«Io non…»
«Maestà!» si annunciò un
giovane soldato, affrettandosi a porre un ginocchio a terra «Le vedette hanno
avvistato un drago nei cieli, è il segnale, le truppe dei Targaryen stanno
avanzando» concluse, la voce resa esitante dalla paura, o forse dall’imbarazzo;
Argella non si mostrava spesso in pubblico, tra i soldati e i lord di suo
padre, e quando questo accadeva la cosa causava sempre un certo nervosismo tra
gli uomini.
«Quale drago? Balerion?»
domandò ansioso suo padre.
«No, maestà, è quello d’argento»
rispose il giovane, senza mai sollevare il viso da terra.
«Non ha neanche il fegato di
guardarmi in faccia, quel traditore? Mi manda la sua puttana!?» tuonò, ogni
traccia di dolcezza e timore nuovamente cancellata dalla rabbia. «Un errore che
rimpiangerà, non avranno mai il mio regno, non avranno mai mia figlia» promise,
congedandosi da lei con un ultimo sguardo; “Lo sguardo di Argilac il re” non
poté fare a meno di pensare.
«Prin... Mia regina» la chiamò
Allan. Era chinato davanti a lei, sporco di sangue, ferito ed escoriato sul
volto, diverso dal bel giovane che spesso sognava e amava osservare allenarsi nelle
sue giornate solitarie. Le stava offrendo la mano, per aiutarla ad alzarsi e…
come l’aveva chiamata? Regina? Era lei la regina ora che… Ora che suo padre era
morto… No, ora che era stato ucciso! Una nuova, inaspettata forza le diede
vigore. Doveva reagire, doveva combattere, per suo padre, per il suo regno. Passò
in rassegna gli stanchi volti che la osservavano, in attesa di una risposta, di
una speranza. Che cosa doveva dire? Andò alla disperata ricerca della parole
giuste, e infine le trovò, in suo padre: “Mai arrendersi, mai piegarsi”.
«Miei lord» esordì «Quel
mostro ha ucciso il vostro re, mio padre! Ma non sarà morto invano, noi
manterremo la promessa, distruggeremo Aegon e i suoi alleati o moriremo nel
tentativo!» declamò.
Ma invece delle grida di
battaglia, degli inni alla gloria, al regno, al nome di re Argilac, ottenne
solo un muto silenzio. Triste. Esausto. Pericoloso.
«Mia regina» disse finalmente
qualcuno, lord Barros riconobbe a fatica, piegato e provato dalla battaglia «Noi
non… Non abbiamo altra possibilità se non arrenderci, per salvare il poco che
rimane» dichiarò, mentre mormorii di assenso percorrevano la sala.
“Codardo” pensò, lo sapeva
anche suo padre; mai lord Barros si sarebbe permesso di contestarlo, ma adesso
c’era solo lei, una regina, una donna.
«Mio padre ha sfidato Aegon!
Lui non ci permetterà mai di arrenderci, raderà al suolo ogni cosa!» esclamò,
ma la sua affermazione venne nuovamente accolta da un freddo e muto dissenso. Come
potevano essere così ciechi?
«Beh, forse se gli portassimo
un dono…» continuò lord Barros.
Dono? Quale dono potrebbe mai
compiacere Aegon? E poi loro non avevano più nulla da offrire a parte… Argella
non fece in tempo a realizzarlo che subito due uomini la affiancarono,
immobilizzandola. Incuranti di chi lei fosse, o di chi fosse stata, le
strapparono le vesti e i gioielli di dosso, trascinandola per i corridoi e giù
per le scale. Argella provò a resistere, invocò aiuto, urlò minacce, ma ora lei
non era più nessuno. “Gli uomini disperati sono pronti a tutto” le parole di
suo padre le rimbombarono nella mente. Suo padre l’aveva abbandonata, non aveva
rispettato la promessa, e ora lei era rimasta sola. Cercò il viso familiare di
Allan, il calore del suo sguardo, ma quando riuscì a individuarlo trovò solo
due occhi gelidi che la scavavano nel profondo, che indugiavano... Sulle forme dei suoi
seni, esplorandola avidamente, ma non come Argella aveva sempre sognato, sperato; non come un uomo guarda una donna, ma come un animale desidera la preda. E Argella provò un terrore che non aveva mai conosciuto. Intanto qualcuno
le aveva legato i polsi, mentre veniva sollevata di peso e portata giù, fuori
dal castello, oltre i cortili, oltre la pesante grata di ferro, attraverso il
campo di battaglia. E infine lo vide, il mostro che aveva ucciso suo padre. Era
davanti al suo padiglione, un buio antro di stoffa nera e oro. Si era
ripulito dal sangue e indossava un morbido farsetto e un’elegante mantello gli
drappeggiava le spalle larghe. Aveva capelli nerissimi che si muovevano
leggermente nella brezza marina, e Argella si ritrovò ad osservarlo con stupore
infinito: non era affatto il barbaro che si era immaginata, irsuto e tozzo. No,
lui era… Bellissimo. Gli occhi non
erano iniettati di sangue, erano due zaffiri, guizzanti scintille azzurre come
il cielo d’estate. E il viso, i lineamenti cesellati, così delicati. Anche lui
la stava osservando con stupore, e Argella si chiese il perché, dimentica dell’aspetto
che doveva avere, nuda, sconfitta, distrutta nel corpo e nell’anima. Il giovane
le si avvicinò e rapidamente si sfilò il mantello, ponendoglielo sulle spalle.
Quindi tagliò le corde che le legavano i polsi e l’aiutò a rialzarsi. Orys
Baratheon aveva appena sciolto le sue catene, ma il suo sguardo, così perfetto,
incantevole, ne aveva formate di nuove, invisibili e indissolubili.
Angolo Autrice
Buongiorno/sera a tutti! :)
Orbene dopo una lunga attesa, sono riuscita ad aggiornare almeno questa
fanfic... Come avete visto, ho scelto di variare un po' con questo capitolo ,
presentandolo sotto una prospettiva molto diversa e certamente in un'ottica
meno "ampia", e spero sinceramente che vi sia piaciuto, dal momento
che questo personaggio è pressoché sconosciuto (anche se di ovvia e vitale
importanza!)
E beh, niente, fatemi un po' sapere che cosa ne pensate, ve ne sarei
immensamente grata :)
_Jo