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Autore: dream_more_sleep_less    06/11/2015    2 recensioni
A diciotto anni non si sa mai esattamente cosa si voglia dalla vita, né chi si voglia diventare. Si passa il tempo a porsi domande accompagnate da porte in faccia, e rimaniamo indecisi fino all'ultimo. Leeroy invece è cresciuto con la convinzione di poter diventare esattamente ciò che vuole: un calciatore. Non ha mai voluto altro e non ha mai sognato altro. Gli studi non fanno per lui. La sua presunzione lo porta a distruggere i sogni della squadra del suo liceo proprio alla finale di campionato. Ha deluso soprattutto i compagni che stanno ormai per diplomarsi. Per loro non ci sarà un'altra possibilità, sono arrivati all'ultimo giro di giostra. Alla fine scenderanno da vincitori o da perdenti. Dipenderà tutto da Leeroy, che dovrà riuscire a mettere le redini al suo ego per andare d'accordo con il portiere. Secondo lui, Lance è la vera causa della loro sconfitta.Troppo calmo, troppo sicuro di sé. Ma il loro rapporto dovrà cambiare per permettere ad entrambi e al resto della squadra di guadagnarsi il titolo di campioni. { In corso }
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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The last chance
XIV

Riuscì ad andare a casa solo quando ricevette un sms da Lance. Stava bene, era riuscito a scappare e sarebbe andato a casa da solo. Quello già gli bastò per sentirsi risollevato. Doveva impedirgli di finire in galera, non essere la sua balia.

Rimise l'auto in moto. L'aria fuori era dannatamente fredda e il cielo diventava sempre più nero. Odiava l'alba. Quella mattina, per sua fortuna, non doveva andare in università; l'avrebbe passata a casa a dormire. Poi avrebbe dovuto iniziare a chiamare i suoi compratori per riuscire a piazzare gli oggetti che Lance aveva preso, glielo aveva detto nel messaggio che aveva proprio un bel bottino. Si accese l'ultima sigaretta del pacchetto a malincuore. Era troppo stanco per fermarsi a comprarle, sarebbe andato dritto a casa e le avrebbe prese nel pomeriggio.

*

Aveva la sensazione di aver dormito troppo. Il problema era che non aveva la forza di alzarsi e guardare l'orologio. Era strano, la sveglia avrebbe già dovuto suonare. Si concesse altri cinque minuti prima di trovare il coraggio di svegliarsi. Sentì il letto muoversi e rimase per un secondo interdetto, poi ricordò di Lance. Fanculo, pensò, io continuo a dormire. La sveglia suonò in quel momento, seguita da un'imprecazione del padrone di casa. Si sentì la bocca impastata, e la parte della guancia destra poggiata sul cuscino secca. Fantastico, ho di nuovo sbavato nel sonno.

Si tirò a sedere ancora coperto fino alle spalle dalle lenzuola; al suo fianco Lance continuava a dormire a braccia aperte. Notò che sfortunatamente gli aveva sbavato propria sopra la mano, che per quelle poche ore era rimasta adagiata sul suo cuscino, poco al di sotto del suo viso. Stava per mettersi a ridere, ma gli scappò un'altra imprecazione vedendo l'ora. "Cazzo, cazzo! Alza il culo, ho messo male la sveglia!” urlò quasi, tirandogli una gomitata nelle costole. Lo vide alzarsi di botto. "Cristo santo, Leeroy, ma sei coglione?!" disse, accasciandosi su un fianco e tenendosi la parte dolorante. "Siamo in ritardo, coglione!" disse, mettendogli davanti agli occhi il cellulare con l'ora. Lance imprecò a sua volta, ma non per l'orario. "Cristo. Mi hai sbavato sulla mano” sbottò, mettendosi in piedi.

"Succede quando non si sa dormire dalla propria parte del letto” rispose stizzito.

"Ma che schifo!" disse il rosso, andando in bagno a lavarsi le mani. "Se vuoi farti la doccia, vai al bagno nel corridoio” disse Leeroy con tono alterato mentre lo seguiva, ma andò a sbattere contro la porta. "Ma che cazzo! Non ti fare la doccia nel mio bagno!”. Appena udì il getto d'acqua azionarsi, diede un colpo alla porta. "Ma che cazzo!”

Sapere di essere già in ritardo lo spinse a lasciar perdere e a correre nel bagno in corridoio. Lo rallegrò ricordarsi che avevano solo venti minuti per prepararsi e fare colazione. Dopo essersi lavato e rivestito di fretta, corse giù con lo zaino, entrando in cucina per farsi il caffè. Senza sarebbe morto. Dopo poco arrivò anche Lance, con addosso i vestiti della sera prima e di pessimo umore. "Non posso venire a scuola così.” Maglietta e jeans era sporchi di terra.

Leeroy affondò la faccia nei palmi delle mani. "Prendi qualcosa dal mio armadio allora” disse con fare spiccio.

Il caffè venne su proprio in quel momento. "Prendi una tuta a caso, è uguale, ma sbrigati” aggiunse a gran tono di voce, vedendolo ancora lì impalato.

"Okay, okay. Non essere così agitato. Dobbiamo ancora passare da casa mia, non ho la mia roba per scuola."

Il padrone di casa si diede dell'idiota, si era dimenticato quel piccolo particolare. Versò tutto il caffè in due tazze e poi corse su per le scale, cercando le tute vecchie; erano le uniche cose che sarebbero potute entrare a quella bestia, che intanto lo aveva seguito. "La prossima volta che decidi di derubare qualcuno, abbi la decenza di avere un piano B” sbraitò mentre gli lanciava addosso una felpa e dei pantaloni. "Ce l'avevo, ma non è colpa mia se è arrivata la polizia” disse mentre si toglieva la maglietta sporca.

"Come vuoi, ma sbrigati."

Leeroy corse di nuovo di sotto, afferrò la sua tazza e vi versò lo zucchero; era un po' troppo per un espresso, ma doveva stare sveglio. Afferrò le chiavi dell'auto e aspettò il compagno di squadra sulla porta, anche con la sua tazza. Arrivò quasi subito, senza lo zaino della sera prima. Gli porse il bicchiere di carta e chiuse la porta alle spalle per poi imprecare.

“Cosa c'è?”

“Gli occhiali, li ho lasciati su. Guida te” disse lanciandogli le chiavi.

“Come vuoi.”

In auto, Leeroy trangugiò il caffè come se fosse acqua e si sentì quasi rinato. “Fuma se vuoi, ma vai veloce, è più importante la verifica di una multa.”

“Fanculo, la fanno a me, mica a te.”

“Te la pago io, ma muoviti.”

Lance roteò gli occhi, accendendosi la sigaretta e aumentando la velocità. Per arrivare a casa sua conosceva una scorciatoia, ci avrebbero messo poco se non avessero trovato traffico. Leeroy accese la radio mettendo la radio locale, aveva lasciato la sua USB in casa il giorno prima. Sbirciò di nuovo l'orologio del cellulare, sperando di arrivare in tempo a scuola. Al pensiero dell'esame gli tornò sonno.

“Lo bevi il caffè?”

Lance inarcò un sopracciglio, sbuffando fumo dalla bocca. “Sì” rispose, bevendo in un sorso metà tazza, poi però porgendola al compagno di squadra, che a sua volta lo guardò stupito.

“Bevi dai, sembri un drogato di caffeina.”

Il difensore non fece in tempo a berne una goccia che Stark inchiodò sul vialetto di casa, scattando subito fuori dall'abitacolo, accompagnato dall'ennesima imprecazione del compagno.

Non ci mise molto, fortunatamente aveva già preparato tutto. Dopo pochi minuti, fu di nuovo da Leeroy.

“La prossima volta io ti ammazzo.”

“Stai calmo, è solo caffè” disse rimettendo in moto per dirigersi verso la scuola, sgommando.

"Muoviti, abbiamo cinque minuti."

"Non preoccuparti, Lee."

Rogers roteò gli occhi con stizza, continuando a bere il suo caffè.

Arrivarono dopo poco a scuola. Lance quasi inchiodò nuovamente. "Fanculo, senti, ci si vede più tardi, poi mi ridai le chiavi” disse il moro, uscendo dalla macchina e correndo verso le scale; aveva meno di un minuto per essere in classe.

Stark non fece nemmeno in tempo a rispondere che Rogers era già sparito. Si chiese se il compagno di squadra si fosse reso effettivamente conto del suo secondo lavoro. Sorrise tra sé e sé per l'assurdità della cosa, chiudendo l'abitacolo.

*

“Dove diamine eri?” sbottò Miles, visibilmente preoccupato. La campanella della prima ricreazione era da poco suonata e i due amici si trovavano nel parcheggio perché il rosso aveva voglia di fumare.

“Ieri notte ho lavorato, e stamattina mi sono alzato tardi. E' stata una nottataccia” ammise, anche se non del tutto la verità. Si strofinò gli occhi assonnati. Non avrebbe dovuto lasciare il caffè al difensore. Probabilmente avrebbe dovuto comprarne in caffetteria. Notò lo sguardo ancora più preoccupato di Miles.

“Potevi chiamarmi questa mattina ti sarei passato a prendere. Anche per il resto, sai che puoi venire da me se hai bisogno.”

“Va tutto bene, ho solo dormito troppo” mentì, cercando di sembrare convincente. Non sopportava che Reginald si preoccupasse così tanto; sì, erano amici, ma non era la sua vita. Doveva cavarsela da solo, perché Miles non ci sarebbe stato per sempre. Sapeva che l'amico era già pronto ad entrare nei college più importanti d'Inghilterra, mentre lui non sapeva nemmeno se sarebbe arrivato a fine mese. Gli voleva bene, era la sua unica famiglia, ma non poteva contare su di lui. Esattamente come non poteva dirgli che stava continuando il suo “secondo lavoro”.

Gli occhi di Reginald continuavano ad essere preoccupati, ma poi si rasserenarono. “D'accordo” disse per poi mettersi le mani in tasca e dondolare sul posto, pensieroso.

“Qualcosa non va?”

“Non so se devo ringraziarti o mandarti a quel paese per quello che hai fatto con Abigail” ammise Miles per la prima volta.

Il portiere per un momento non aveva minimamente capito di cosa l'amico stesse parlando. Gli erano successe così tante cose negli ultimi giorni che si era completamente dimenticato della sorella di Adam. In fondo lo aveva fatto per lui.

“Mi ringrazierai a tempo debito." disse, scherzando dandogli una pacca sulla spalla con fare scherzoso. “Mi raccomando, usa le protezioni, perché poi non voglio fare da baby-sitter ai tuoi figli” aggiunse per prenderlo in giro.

Miles arrossì lievemente per l'imbarazzo. “Simpatico. Credi che non sappia quello che faccio?”

Lance gli lanciò uno sguardo eloquente. “Ti devo ricordare di Eleonor?”

Con quella sola frase colpì e affondò l'amico.

“Se mai racconterai a qualcuno di quella storia. sarà la volta buona che dovrai scappare in Siberia” disse Miles con una risata isterica.

Il portiere scoppiò a ridere. “Tranquillo, non oserei mai. Ti giuro, non avrei nemmeno il cuore di raccontare a voce alta quella storia.”

“Fottiti” sentenziò il capitano, per poi aggiungere: “Ci vediamo in classe, vado in caffetteria.”

Lance dietro di lui stava ancora ridendo. “Eddai, non ti offendere.”

La prima volta di Miles era davvero una barzelletta. Lui non conosceva tutti i retroscena, sapeva solo che aveva avuto problemi tecnici e la ragazza lo aveva preso a schiaffi perché era troppo lento. Ogni volta che gli tornava in mente non riusciva a trattenersi. Il cellulare squillò proprio in quel momento, spegnendo il suo buon umore non appena lesse il nome di chi lo stava chiamando.

“Come hai fatto ieri notte a tornare a casa?” domandò il maggiore dei Twain dall'altro capo del telefono, con tono preoccupato.

“Non ti preoccupare di questo. Piuttosto, hai chiamato in palestra?” domandò, facendosi più serio. Al telefono non poteva raccontargli quello che era successo dopo che si erano separati, lo avrebbe fatto quando poi si sarebbero visti per parlare della vendita.

“E' per questo che ho chiamato. Dobbiamo andare questa sera per forza, non possiamo rimandare altrimenti la tessera scade.”

Stark si chiese ancora perché diavolo avessero scelto un linguaggio in codice così stupido. Molte volte si sentiva un idiota. Quell'idea brillante, però, non era stata loro, ma di Alexandra. Aveva detto loro che nessuno faceva mai domande strane sulla palestra. “

“Va bene. A che ora?” domandò, anche se sapeva già di conoscere la risposta. Le vendite erano quasi sempre alle stesse ore; o alle otto del mattino o alle nove di sera . Il proprietario sembrava fare come un vero e proprio orario di lavoro d'ufficio, l'aveva sempre trovato divertente.

"Le nove, al solito posto."

"D'accordo. A stasera” disse per poi riattaccare. Sperò vivamente di poter riuscire a raccimolare abbastanza soldi, così avrebbe potuto mandare qualcosa anche alla sorella. Di solito non lo faceva, ma alcune cose che aveva preso dovevano essere di buon valore.

Guardò il cielo, che stava iniziando a rannuvolarsi, portando con sé un po' di vento autunnale. Rabbrividì. Gli abiti che aveva addosso erano scomodi e odoravano di ammorbidente, malgrado fossero stati usati molte volte dall'amico in allenamento. Gli tornò alla mente quando da bambino si perdeva nell'odore buono delle lenzuola appena lavate o dei vestiti piegati e stirati con cura. Ora che doveva fare tutto da solo usava solo un detersivo e gli bastava; l'odore se ne andava quasi subito dagli abiti. A lui andava bene così. Non era mai stato incline ai ricordi olfattivi, gli sbattevano la realtà in faccia senza avvertire.

*

Per la prima volta da quando andava a scuola, era riuscito a fare tutti gli esercizi di un test. Consegnò per ultimo, per via di un paio di esercizi con i quali aveva fatto a pugni. Poco prima di lui aveva consegnato Andrew. Per quella verifica di recupero di storia, i vari professori avevano pensato bene di mettere insieme tutti gli alunni con l'insufficienza, in quanto erano veramente pochi. Il cinquanta per cento, però, erano membri delle squadre di calcio e di pallavolo. Sapeva però che il ragazzo aveva fatto tutto nei primi dieci minuti; aveva notato il suo sguardo annoiato mentre leggeva il primo esercizio. Non capiva proprio quel ragazzo. Lui era dovuto ricorrere a Lance Stark per capire due concetti, mentre quel ragazzino era brillante, e per paura di una qualsiasi stupida convenzione sociale aveva paura di mostrare il suo genio. Lo avrebbe preso a pugni solo per quel motivo. Non appena consegnò i fogli, si beccò un'occhiata severa dal suo insegnante.

“Spero per te che sia andato bene.”

“Può scommetterci” rispose senza pensare, con tono deciso, per poi dileguarsi dall'aula.

Andy, stranamente, era fuori ad aspettarlo. I due di solito non parlavano molto al di fuori degli allenamenti o delle partite.

“L'esame era facile, una cavolata paragonati a quelli che facevo nella mia scuola precedente. Però ho messo qualche errore qua e là per strappare una banale sufficienza” disse con tono esaltato il più giovane.

Leeroy lo fissò per un secondo. basito. Come poteva dire una cosa del genere o anche solo pensarla? Era troppo stanco per mettersi a discutere con lui, non riusciva neanche a pensare di mettersi ad urlargli in faccia quanto fosse stupido. Lo salutò e si allontanò come se nulla fosse. Forse era sembrato un po' sgarbato, ma era certo che chiunque, nella sua situazione, avrebbe fatto lo stesso. Andò in caffetteria e prese una brioche al cioccolato e una bottiglia di succo d'arancia, al che si diresse in classe. Sperò davvero di aver fatto bene quel dannato compito. Sapeva però di essere solo all'inizio dell'anno e quello non sarebbe stato l'ultimo compito di storia. Avrebbe avuto bisogno di un modo per poter migliorare il suo metodo di studio e la sua concentrazione. Ogni volta, entrambe le cose andavano a farsi benedire. Lance era riuscito ad aiutarlo e forse anche in modo quasi perfetto, molto meglio di come aveva fatto Miles in tutti quei mesi. Ma non avrebbe mai potuto chiedergli di poter continuare quel "gruppo studio", in primo luogo perché, in teoria, si odiavano reciprocamente; in secondo luogo, perché aveva la sensazione che avrebbe potuto ferire l'orgoglio del capitano in qualche modo. Gli era sembrato genuinamente esaltato quando aveva notato che Leeroy aveva imparato qualcosa, contro ogni sua aspettativa. Sospirò pesantemente, bevendo poi un sorso di succo. Prima avrebbe dovuto schiarirsi le idee. Tra l'altro, il fatto di non aver dormito peggiorava il suo umore man mano la giornata proseguiva. Bussò ed entrò in classe con molta calma; la professoressa del corso sapeva della sua verifica di recupero, anche se aveva storto il naso in quanto nessun insegnante voleva che Rogers perdesse ore utili di lezione. Andò a sedersi nel banco vuoto vicino ad Akel, che a sua volta era vicino a Daniele, a metà classe.

“Toppato di nuovo?” bisbigliò l'italiano nella sua direzione.

Leeroy gli lanciò un'occhiataccia. “Non rompermi le palle di prima mattina, ne potrebbe andare della tua vita.” rispose con tono irremovibile.

“E dai, datti una calmata.”

“Dan, lascialo stare. Come minimo ha passato la notte in bianco a studiare” replicò Akel, come a voler sostenere il terzino.

Non li considerò. Si accoccolò sopra il suo zaino, mollato sul banco. Forse sarebbe riuscito a dormire un po', ma non ci sperava. Era orribile dover stare seduto tutto il tempo e dover per forza prestare attenzione alla lezione, quando le palpebre sembravano avere vita propria e il cervello minanacciava di andare in black-out da un momento all'altro. Provò a chiudere gli occhi per un momento, ma li riaprì subito, sentendo lo sguardo di disaprovvazione della professoressa sulla sua testa. Mise lo zaino per terra e cercò di prestare attenzione, senza successo. Iniziò subito a chiedersi se magari Stan lo avrebbe lasciato giocare almeno per qualche minuto alla prossima partita. Aveva paura di essersi arruginito, e gli mancava l'adrenalina del campo. Sospirò amareggiato. Ormai non litigava nemmeno più con Stark. Al pensiero del portiere sembrò svegliarsi tutto d'un botto. Non gli aveva chiesto spiegazioni per quello che era successo la notte prima e sinceramente la cosa non gli interessava. Trovò solo ridicolo che facesse quel tipo di cose. Aveva anche un lavoro, come era possibile che i soldi non gli bastassero? Magari lo faceva per divertimento?

Cercò di non pensare troppo ad affari che nemmeno lo riguardavano. Sicuramente non lavorava da solo, chissà chi fosse il suo socio. Non conosceva il rosso così bene da poter giudicare il suo “hobby”, ma era rimasto quasi sconvolto, anche se non lo aveva dato a vedere. Doveva chiamare Amanda e chiederle il permesso di installare un sistema di sicurezza; se era entrato Lance, ci sarebbe riuscito sicuramente anche qualcun altro. In realtà la colpa, o il merito, era suo. Si era dimenticato la finestra aperta in salotto. Dopo gli allenamenti avrebbe dovuto parlargli, anche se non sapeva di cosa, esattamente. Aveva lasciato lo zaino con la refurtiva in camera sua, quel genio.

*

Durante l'allenamento era rimasto in disparte. Troppi pensieri per la testa. Erano arrivati tutti in una volta e nel momento sbagliato. Era totalmente deconcentrato. Aveva ancora le chiavi del Range Rover nel suo zaino. Era preoccupato per quello che avrebbe potuto dire Leeroy su quanto era successo quella notte. Sicuramente avrebbe chiesto spiegazioni. Poteva anche non dargliele. Ma se avesse avuto la brillante idea di denunciarlo? No, il difensore non lo avrebbe fatto, altrimenti lo avrebbe consegnato alla polizia sul momento, mentre se ne stava nel suo salotto. Non riusciva ancora a credere a tutto ciò che era successo. Gli era già capitato di doversi dare alla fuga, ma mai come quella notte e mai era entrato di nascosto in una casa che non doveva rapinare. Si accorse che Stan lo stava chiamando solo quando gli si avvicinò.

“Si può sapere che hai? Hai fatto anche te le ore piccole come Rogers?” domandò con tono alterato. Aveva subito notato che quei due non erano molto presenti, o meglio, solo Stark. Leeroy si stava perdendo in chiacchiere con i suoi amici. Brutto segno.

"No. Va tutto bene” rispose il portiere con tono neutrale, anche se in realtà era infastidito. Il ragazzo aveva un bel carattere, ma quando aveva solo dormito poche ore non sopportava sentirsi urlare nelle orecchie.

Leeroy non sopportò a sua volta essere chiamato in causa. “Ora io cosa c'entro?” chiese stupito, mentre faceva segno ad Akel di stare zitto. Avevano parlato fino a quel momento di How I Met Your Mother, la loro serie preferita.

“Leeroy, ci vuoi stare zitto?” sbottò Stan.

“Ma che ha? Non gliel'ha data la moglie ieri sera?” bisbigliò Daniele nell'orecchio del terzino con tono sarcastico; non sopportava Stan di cattivo umore, infatti ogni volta ci andava giù pesante con le battute.

A quel punto, Rogers divenne tutto rosso e scoppiò in una fragorosa risata che mandò ancora di più in bestia l'allenatore.

“Hai rotto le palle, vatti a cambiare” ordinò con tono irremovibile, lasciando Leeroy a bocca aperta per la sorpresa.

“Cosa?”

“Coglione” disse Lance tra sé e sé. Per sua sfortuna, venne sentito da Stan.

“Stark, Rogers, fuori dalle palle. Ci si rivede domani. Tutti gli altri dieci giri di campo e poi tre serie da cinquanta di addominali.”

“Ma Stan, non volevo...” Il portiere venne subito interrotto dall'uomo: "No, vai anzi a riposarti, non mi servi così. Lo stesso vale per te, testa vuota. Spero che tu abbia passato quel dannato esame, altrimenti non rivedi il campo nemmeno se mi piangi in cinese."

“Ma io cosa c'entro non l'ho ancora capito” disse Roy esasperato, incamminandosi verso gli spogliatoi, affiancato dal compagno di squadra. Non si rivolsero parola finché non furono nel locale.

Leeroy sbuffò pesantemente e lanciò gli scarpini in un angolo, per poi iniziare a spogliarsi e buttare sul suo borsone. Afferrò l'asciugamano e si ficcò nella doccia.

Lance, alle sue spalle, posò lo sguardo sulle travi del soffitto, trovandole particolarmente interessanti.

“Sai che ho ancora io le chiavi della tua macchina, vero?” domandò il portiere, mentre si spogliava a sua volta.

“E tu hai lasciato il tuo zainetto a casa mia.”

“Non potevo portarmelo a casa o a scuola” ammise entrando nel box doccia di fianco a quello di Leeroy il quale, a quelle parole, realizzò sul serio che lo zaino con la refurtiva era ancora in camera sua.

“No sul serio, perché diavolo hai lasciato lo zaino a casa mia?”

“Te l'ho detto.”

“In un altro momento ti avrei dato dell'idiota, ma siccome i miei non ci sono, non è un problema” disse uscendo dal box doccia dopo aver finito di lavarsi. Rimase stupido di come la cosa non lo disturbasse, non si sentiva preoccupato a causa della refurtiva in camera sua.

“Wow, che gentile.”

*

Quando tornarono a casa Rogers, il sole ormai era già quasi tramontato e iniziava a fare fresco. Le strade erano piene per la gente che tornava a casa dal lavoro e l'aria che entrava dal finestrino abbassato per lasciar fumare Lance sapeva di salmastro. Leeroy amava quell'odore.

“Così ora vendi tutto?” chiese per rompere il silenzio, mentre scendeva dall'auto e faceva strada all'altro.

“Non credo siano affari tuoi” rispose con tono neutrale, entrando dopo di lui in casa.

Quella risposta, seppur sensata, lo innervosì un po' e lo incuriosì allo stesso tempo. Gli tornarono alla mente i pensieri che aveva avuto quella stessa mattina a scuola. Almeno qualche chiarimento poteva concederglielo. Gli fece segno di aspettare in cucina, mentre andava in camera a recuperare quel dannato zaino.

Intanto Lance si era accomodato sullo sgabello della penisola della cucina. Voleva andare a casa e cambiarsi i vestiti, non sopportava indossare indumetni di altre persone, lo facevano sentire a disagio, e poi aveva bisogno di dormire. Era rimasto anche stupito dal fatto che Miles non avesse fatto strani commenti. Meglio così, pensò. Leeroy tornò dopo poco con l'oggetto in questione su una spalla.

“Certo che è pesante” si lamentò, poggiandolo poi sul ripiano dell'isola. "Ti va un caffè?"

"No, grazie e sì, è pesante."

“Come vuoi, io però me ne devo fare uno o crepo in terra dal sonno”ammise, mettendosi a pulire la caffettiera che aveva già usato quella mattina. Fece tutto molto lentamente e con cura, come faceva sempre. Riusciva a rilassarsi mentre preparava il caffè. Aveva bisogno per un momento di schiarirsi le idee.

“Puoi accompagnarmi a casa?” domandò Lance mentre prendeva lo zaino e se lo poggiava ai suoi piedi. Avrebbe controllato il contenuto solo una volta in camera sua.

“Mi sembrava scontato” rispose accendendo il fornello e poggiandovi sopra la caffettiera. “Puoi spiegarmi cos'è questa storia? Non voglio i dettagli, solo capirci qualcosa” aggiunse subito dopo, puntando lo sguardo negli occhi del portiere. Per un momento li vide vacillare. “Non rispondermi che non sono affari miei, perché ti giuro che ti mando a casa in mutande e a piedi.”

Lance gli lanciò un'occhiataccia. “Non sai fare minacce peggiori?” rispose guardandolo a sua volta fisso negli occhi, senza però vedere alcun segno di timore.

“So che non mi riguarda, ma almeno vorrei sapere perché diavolo sei entrato proprio in casa mia.”

“Ti giuro, non mi ero accorto di essere arrivato fino a qua finché non ho riconosciuto il Range Rover. Ho visto la finestra aperta e mi sono infilato dentro. Non ci ho pensato molto” ammise. Non voleva raccontargli cosa era successo nei dettagli, però sapeva che aveva capito a grandi linee di cosa si trattasse.

“Quindi stavi scappando dalla polizia dopo una rapina e casualmente sei finito davanti la finestra aperta del mio salotto?”

“Sì, e credo tu debba seriamente pensare di mettere un sistema d'allarme.”

“Lo so, non serve che me lo dici” rispose con tono irritato. “Non mi dirai altro, vero?” constatò dopo vari secondi di silenzio di Lance, con aria seccata.

“Ti ringrazio per quello che hai fatto, ma no, non ti dirò altro.”

Leeroy assottigliò lo sguardo, ancora più seccato. Ruppe il contatto visivo con l'altro quando sentì il caffè venire su.

“Bevo questo e ti riporto a casa. Non dimenticare i tuoi vestiti, per favore.”

   
 
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