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Autore: Kim WinterNight    11/11/2015    5 recensioni
«Ciao, cari lettori.
Mi presento: mi chiamo Albertina, per gli amici Berty. Ho quindici anni e vivo in Italia, precisamente in un paese fittizio che chiamerò… mmh… Bettola town.
Okay, lo so, il nome può sembrare buffo e non attinente al nostro caro Stato Italiano (Repubblica fondata sul Lavoro e bla bla bla), ma sfido chiunque a trovare un nome migliore di questo!»
Spero che la storia vi piaccia.
Non sono solita scrivere comici, però per queste vicende sono davvero ispirata e ho preso spunto da un sogno che ho fatto recentemente.
NOTE: tutti i personaggi sono di mia modesta invenzione e qualsiasi riferimenti a luoghi o persone è puramente casuale.
Genere: Demenziale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Una vera stronza!







Il fatto di dover uscire con quel tipo mi indispone.

Io non esco con i ragazzi, è una cosa che fanno quelle che poi, volente o nolente, diventano come mia madre. Oppure quelle come Tita, che hanno una predisposizione per le storie d'amore alla Shakespeare. Be', spero di non trovare mai lei e Gabri in stile Romeo e Giulietta, non potrei sopportare di perderli per ragioni così stupide.

L'amore – o quello che la gente crede che sia l'amore – è una ragione stupida per morire, insomma! Si può vivere anche da soli, senza avere una persona che ti stalkera giorno e notte per il resto della tua vita, io ne sono la prova, guardatemi!

Ma del resto, io sono strana, o forse il mondo è strano e io sono già proiettata verso il futuro. Fossi vissuta nel Seicento, probabilmente avrei già preso i voti e condurrei la vita di clausura, ma questo non c'entra con il mio imminente avvenire.

Devo uscire con Filippo detto Checco e mia madre fa i salti di gioia, come mi aspettavo.

«Che caro ragazzo, che bellezza! Oh, Albertina! Finalmente hai deciso di mettere la testa a posto, eh? Finalmente hai capito qualcosa della vita... mi aspettavo che gli avresti vomitato sulle scarpe...» sta blaterando, mentre il campanello di casa suona.

Per l'occasione, mi sono vestita a caso, niente trucco, niente adito a fraintendimenti: sono me stessa punto e basta. Tra l'altro, questo non è un appuntamento romantico, dannazione!

«Mamma, prenditi un sedativo» borbotto.

Neanche a dirlo, si precipita fuori di casa e quando esco la ritrovo che abbraccia Checco manco dovesse uscirci lei!

Mi sento imbarazzata per colpa di quella donna che sembra sempre più una schizzata fuori di testa, perché non posso essere orfana?!

«Sono così felice che tu esca con la mia bambina pestifera, Checco! Saprai come rimetterla in riga» strilla Maria Vittoria, stritolando il malcapitato.

«Come no... senti, vuoi tornare dentro e lasciarci andare? Ci tengo a vedere il concerto!» sbotto, afferrandola per un braccio e spintonandola verso casa.

«Albertina Annetta Bartolini! Non permetterti di...»

La lascio perdere e salgo in macchina sbattendo la portiera. Non sento più quello che sta dicendo, fortunatamente Checco ha in messo su un po' di musica metal che copre la voce spiritata di mia madre.

Sospiro pesantemente e ringrazio tutto il creato quando quel ragazzo parte e finalmente ci lasciamo alle spalle il manicomio che è casa mia.

«Sei sempre così cinica con tua madre?» domanda Pippo ironico.

«Non parliamone! Oh, questa canzone è forte!» esclamo, tagliando corto. È appena partita “Youth of the Nation” dei P.O.D.

Mi allungo sull'autoradio e alzo il volume al massimo, apro il finestrino perché a maggio fa già fin troppo caldo, e comincio a cantare come una pazza liberando la mente da tutto.

Arriviamo al luogo del concerto, una piazza che ospita una festa paesana di dubbia importanza, che ridiamo come due scemi.

«Tu non sei normale» commenta lui, chiudendo a chiave la sua Punto verde pisello.

«Almeno sai quali sono i rischi di questa uscita.»

Riconosco subito persone che frequentano la mia scuola e comincio a salutare chiunque come se fossimo amici di una vita. I P.O.D. mi hanno messo di buonumore!

Io e Checco ci avviciniamo al palco, osservando i musicisti che cominciano a sistemarsi e a fare un soundcheck a scazzo. Non sono per niente seri, lo noto dalle loro espressioni e, per questo, già li amo.

«Cazzo fai?» sento dire al chitarrista, il quale incarna il classico metallaro con tanto di capelli lunghi, abbigliamento che sponsorizza varie band famose e spille sulla tracolla del suo strumento.

Il bassista, con l'aria da scemo, alza lo sguardo e lo guarda allucinato, si dev'essere calato un acido o qualcosa di fottutamente illegale e controproducente per i suoi già scarsi neuroni.

Scoppio letteralmente a ridere quando sul palchetto compare un colosso di circa due metri che va a sistemarsi dietro la batteria. Ha la faccia seria all'inizio, ma io lo so che non lo è, si nota troppo.

Il chitarrista lo raggiunge e si mette a urlare cose incomprensibili.

«Ah, il batterista, Francesco, lo conosco!» dice Checco al mio fianco.

«Suona bene?»

«Se la cava. Ed è un bravo ragazzo.»

«Ma pensa! Bravo come te?» lo punzecchio, per poi dirigermi a prendere qualcosa da bere.

«No, di più.»

«Allora non fa per me» ribatto.

«Io invece faccio per te?»

Mi blocco e lo guardo malissimo, sta già esagerando.

«Checco, nessuno fa per me, questo te lo devi ricordare.»

In quel momento parte la prima canzone degli Scarti del Caseificio e io capisco immediatamente che sono degli sfigati, adorabili sfigati.

Francesco – il batterista – ci sa fare, tutti sono abbastanza bravi tecnicamente, ma il loro genere non si capisce. Fanno qualcosa che potrebbe essere definito folk metal/viking punk, che di per sé non è assolutamente niente. Che casino stanno combinando?

Eppure... il cantante alterna growl a voce pulita stile power metal, ma siccome è stonato come una campana viene fuori qualcosa di indicibile che mi fa trascorrere tutto il concerto a ridere e prenderli apertamente per il culo. Perché, ovviamente, io e Checco siamo in prima fila e i componenti del gruppo vedono esattamente cosa facciamo.

La componente folk è dettata dalla presenza di una ragazza – povera malcapitata! – che suona l'arpa. È veramente brava, potrebbe decisamente far parte di una band migliore, eppure si ritrova con questi matti e si diverte un sacco a far musica – o un surrogato di essa – con loro.

«Sono una meraviglia!» esclamo, mettendomi a ballare mentre faccio gestacci in direzione del bassista che è l'unico rincoglionito del gruppo, ma anche uno dei più dotati.

«Smetti subito di importunarli!» scherza Filippo.

«E tu smettila di parlare come mia madre» lo rimprovero.

Poco dopo il cantante, durante la pausa tra un pezzo e l'altro, annuncia: «Bestie feroci che siete qui presenti! Che cazzo fate? Non lo comprate il nostro EP? Siamo venuti da Imola apposta per voi, cazzo! E dai!».

Tutti i presenti gridano e io faccio lo stesso, perché ovviamente quell'EP sarà mio!

Quando il live finisce, dico a Checco: «Andiamo, voglio comprarmi il disco di questi».

«Sì, poi dopo andiamo a salutare Fra» accetta, dirigendosi con me al banchetto che gli Scarti hanno allestito per l'occasione.

«Ciao!» esordisco, guardando la tizia che penso sia l'addetta alle vendite.

«Ciao tesoro, vuoi comprare il meraviglioso disco degli Scarti del Caseificio? In regalo anche la spilletta!» cinguetta lei, tutta sofisticata nel vestire e nell'atteggiarsi che pare stia vendendo gioielli o abiti firmati anziché musica pseudo-spazzatura.

«Secondo te perché sono venuta, bella?» rispondo, regalandole un sorriso colmo d'ironia.

«Datti una calmata, eh!»

Ignoro la sua acidità premestruale e domando: «Quant'è?».

«5 euro, grazie» borbotta, ficcandomi in mano EP e spilla.

A quel punto noto Checco che le porge una banconota da 10 euro e mi incazzo sul serio.

«Cosa stai facendo?»

«La tua perspicacia ha un limite, quindi» commenta, senza rispondere. Ritira il resto e ci allontaniamo.

«Te li rendo, non esiste» protesto.

«Senti, Albertina.» Facendosi serio, si china su di me e mi guarda dritto negli occhi, posandomi una mano sotto il mento. «Se non stai un po' zitta, dovrò trovare il modo per obbligarti a farlo e non so se ti piacerà» prosegue, posando poi – fugacemente – un dito sulle mie labbra.

Poi si allontana bruscamente e continua a camminare in direzione di Francesco il batterista.

Non avvertito per niente il familiare senso di nausea che mi provoca generalmente quel tipo di situazione, sì, devo essere malata o avere la febbre a 50, sto per morire. Tutta colpa di Maria Vittoria che mi fa seguire una scorretta alimentazione.

Arrivati da quel tipo, io sono stralunata e cerco di calmarmi.

Francesco è veramente alto, io mi sento un tappo in confronto a lui e invidio i tacchi di quella scema che mi ha venduto il CD, perché con quelli avrei avuto perlomeno un'altezza dignitosa e adatta alla situazione.

«Ciao stronzo! Quanto tempo che non ci si vede!» o apostrofa Filippo, mollandogli una pacca sulla spalla. Anche lui non è tanto alto, ma almeno raggiunge il mentro e settantacinque e non sembra una cimice accanto a questo gigante!

«Vedi, alla fine siamo riusciti a suonare qui da voi» risponde Francesco, per poi lanciarmi – letteralmente – un'occhiata dall'alto in basso.

«Ehi, energumeno, cos'hai da guardare?» sbotto in tono scherzoso.

«Che caratterino...» borbotta.

«Lei è Albertina, una mia amica» mi presenta Filippo ridendo.

«Piacere, Francesco. Perché facevi gestacci mentre suonavamo?»

«Perché siete degli idioti, per questo mi siete piaciuti tanto» dico, sventolandogli il disco della sua band sotto il naso. Devo, ovviamente, allungare il braccio più del dovuto, mi sento una completa rincoglionita in crisi di altezza.

«Ah bene, che bei complimenti... ehm, grazie» farfuglia Francesco con imbarazzo.

«Non farci caso, lei è fatta così...»

In quel momento arriva il chitarrista ubriaco e barcollante.

Solleva la mano libera e me la piazza davanti alla faccia, poi grida: «Batti cinque, sorella! Sei una gnocca da paura, hai da fare stanotte?».

Di rimando, gli pesto la mano con forza inaudita e lui barcolla ancora di più, frastornato dall'inaspettato dolore.

«Non ho niente da fare, ma proprio niente» rispondo e lo fulmino con lo sguardo. «Ora anche di meno.»

Filippo e Francesco ridono, poi Pippo mi afferra per il polso e fa: «Devo riportarla a casa, sennò sua madre – nonché la mia ex prof di matematica – mi lincia. Quando ripartite?».

«Domani sera» risponde Francesco, sorreggendo quella spugna del suo amico che continua a bere imperterrito.

«Allora ci aggiorniamo e ci becchiamo prima della partenza?»

«Ovvio! Ciao Pippo, ciao Albertina!» conclude Francesco e noi ce ne andiamo verso la macchina.

Il mio cellulare senga le 00:27 e non ho molta voglia di rientrare a casa e subirmi il terzo grado della scellerata.

Saliamo in macchina e Checco dice: «Spero ti sia divertita».

«Certo, perché non avrei dovuto? Con quelli che facevano un genere indefinito poi!» rispondo continuando a ridere.

«Sai cosa vorrei?» aggiunge lui dopo un po', per poi parcheggiare poco lontano da casa mia.

«Sentiamo.»

«Vorrei baciarti fino a soffocarti» sussurra.

Io mi irrigidisco sul sedile, divento un manico di scopa per alcuni interminabili istanti, poi scoppio letteralmente a ridergli in faccia mentre lo osservo che mi guarda, allibito da quella mia reazione. Qualche lacrima accompagna le troppe risate, non ci posso credere che questo ha veramente certe idee bizzarre in testa! È duro di comprendonio, non ci arriva proprio.

«Perché ridi? Non riesci a rimanere seria neanche per un momento, vero?»

«Ma scusa, perché dovrei se tu dici certe cazzate?»

«Non sono cazzate, Albertina.»

Anche io torno seria, molto seria, serissima. È lui quello che non capisce, non io.

«Ora sono seria, Filippo. E ti dico esattamente cosa penso e cosa ti devi ficcare in quella testa una volta per tutte: fatti passare certe idee di mente, non sono cose che mi interessano e non diventerò come mia madre, non mi interessa complicarmi la vita con queste frivolezze da ragazzine, chiaro? Poi, rischieresti che ti vomiti addosso e la cosa non è carina, vero? Ti saluto, sono stanca e me ne vado a casa. Ci vediamo!» concludo, uscendo subito dall'abitacolo e lasciandolo lì come un coglione, lasciandolo per quello che è.

Forse lui è proprio coglione, ma io sono una vera e propria stronza.

E me ne accorgo per un istante, poi scaccio quel pensiero ed entro in casa preparandomi al peggio.







NDA: Grazie ancora a Frenz che mi ha concesso di inserire il suo gruppo Scarti del Caseificio nella mia storia, oltre ad avermi concesso di inserirlo come batterista!

  
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