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Autore: Himenoshirotsuki    20/11/2015    7 recensioni
[Fantasy Steampunk]
La Dogma e la Chiesa, le colonne portanti di questo mondo. L'una che agisce con il favore dell'ombra, chiamando a raccolta i suoi cacciatori, gli Slayers, per combattere i mostri; l'altra che muove le sue armate di luce contro le vessazioni e i miscredenti in nome di un dio forte e misericordioso.
Luce e ombra, ying e yang che si alleano e si scontrano continuamente da più di cinquant'anni.
Ma è davvero tutto così semplice? La realtà non ha mai avuto dei confini netti e questo Alan lo sa. In un mondo dove nulla è come sembra e dove il male cammina tranquillo per le strade, il cacciatore alla ricerca della sua amata si ritroverà coinvolto in un qualcosa di molto più grande, un orrore che se non verrà fermato trascinerà l'umanità intera nel caos degli anni precedenti l'industrializzazione. Perchè, se è vero che la Dogma e la Chiesa difendono gli umani dai mostri, non è detto che non sarebbero disposte a crearne per difendere i loro segreti.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Slayers '
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Slayers
Act. 1 - New Entry



Il vento faceva sbattere un'imposta e smuoveva le tende della finestra. Nell'oscurità illuminata solo dai tenui raggi di luna, Alan si girò supino a fissare il soffitto. Finalmente dopo giorni a dormire all'addiaccio poteva riposare su un letto decente, ma il sonno tardava ad arrivare o, forse, era il cacciatore stesso a tenerlo lontano, poiché non faceva che riflettere da ore su quello che Frejie gli aveva riferito. Buttò il cuscino a terra e si sistemò sul fianco destro, lo sguardo rivolto verso la porta, i sensi tesi a captare qualunque suono, anche se sapeva che lì nessun mostro lo avrebbe attaccato. Sbuffò sconsolato: ormai nemmeno quando era al sicuro il suo corpo e la sua mente cessavano di restare in allerta. Era una delle tante cose che maestro Lovuin gli aveva insegnato quando era un ragazzino e da anni era diventata parte integrante di lui. Agli Slayer, se volevano sopravvivere abbastanza a lungo, non era permesso abbassare la guardia in nessun frangente, neanche mentre dormivano. 
Anche Eluaise era stata addestrata a quello stile di vita. Quelle poche volte all'anno in cui gli era concesso di tornare a casa, Alan le spiegava cosa aveva appreso. All'inizio, era stato un gioco, un modo per ingannare il tempo quando mastro Liam e sua moglie andavano a lavorare e loro due rimanevano da soli a casa, poi gli allenamenti erano diventati sempre più seri fino a diventare quasi delle vere e proprie sessioni di addestramento. Per lei non era stato facile, ma lui le era sempre rimasto vicino, perchè, nonostante glielo promettesse ogni volta, non poteva avere mai la certezza di tornare. Il mondo all'interno della rocca era un luogo inospitale, dove i futuri cacciatori venivano costretti a mettere da parte compassione e umanità a vantaggio della spietatezza che caratterizzava gli Slayer. E un giorno sarebbero divenuti mostri anche loro. Mostri che cacciano altri mostri. Non c'era tempo per l'affetto, l'insulsa solidarietà o l'amicizia. L'unico momento in cui ad Alan era concesso di abbassare la guardia era quando tornava in quella casa, in quella catapecchia ad Eartshire dove poteva sentirsi amato, un posto in cui poter gettare la maschera ed essere se stesso. 
Poi, quando il circuito magico di Eluaise si era risvegliato, lui le aveva insegnato come sopravvivere anche senza l'ausilio della magia, perché non si poteva mai sapere: era preoccupato che l'amica diventasse troppo dipendente da un'arte poco affidabile. Alla rocca c'erano alcuni bambini come lei che avevano mostrato una naturale predisposizione e di tanto in tanto capitava che maestro Wylzmej spiegasse qualche nozione anche a chi non aveva quelle capacità. Era proprio grazie a quelle poche lezioni e ai libri che Alan aveva appreso non solo i fondamenti della magia, ma anche quanto fosse in realtà facile da bloccare. Era un'arma a doppio taglio e voleva evitare che Eluaise venisse tradita proprio nel momento del bisogno. All'epoca, pure Frejie li aveva aiutati, sovraintendendo agli esercizi con la stessa severità dei maestri della rocca, anche mettendoci un po' del suo, ed Eluaise si era presto dimostrata un'allieva modello, provvista di talento, capacità di discernimento e sete di sapere. 
La consapevolezza che fosse in grado di difendersi l'aveva sempre fatto stare tranquillo, ma adesso che sapeva cosa la stava inseguendo non riusciva a darsi pace: un Antico. Solo una volta aveva avuto a che fare con una creatura del genere e sperava vivamente di non imbattercisi più, non fosse altro che in quello scontro stava per crepare. Erano i "primi mostri", i progenitori che conservavano intatto il potere del brodo primordiale che li aveva generati. Di solito rimanevano dormienti a lungo, a volte per secoli, ma quando si risvegliavano non bastava uno Slayer come lui per fronteggiarlo. La cosa migliore sarebbe stata andare a parlare con i piani alti della Dogma, ma il suo istinto gli suggeriva di evitare. E se Eluaise si era procurata persino un oggetto per non farsi localizzare da fonti magiche, non era detto che l'Antico fosse la minaccia più pericolosa. 
Tuttavia, si domandò perché la ragazza non avesse provato a contattarlo. Anche se nel loro ultimo incontro avevano litigato, Eluaise avrebbe dovuto sapere che lui avrebbe fatto di tutto per aiutarla. Eppure era sparita senza dire nulla e senza lasciare tracce. Probabilmente, se non avesse chiesto aiuto a Frejie, l'avrebbe cercata invano per tutta la New England.
Imprecò a denti stretti, poi si alzò dal letto, si diresse verso la finestra e l'aprì. L'aria fredda della notte lo investì, accarezzandogli il petto nudo. Un brivido gli corse lungo la pelle, ma non era dovuto alla temperatura. Chiuse la mano a pugno e lasciò vagare lo sguardo sui tetti innevati delle case. 
- Perché non ti sei fidata di me? - ringhiò nel buio, frustrato e angosciato.
La domanda si condensò nell'aria in una nuvoletta di vapore che il vento disperse nella notte e l'unica risposta che ricevette fu l'ululato di un cane in lontananza. Sebbene non volesse ammetterlo, Alan sapeva perché l'altra non era venuto a cercarlo. Per un istante la rabbia lo accecò e colpì l'imposta con un pugno. Il legno scricchiolò e il dolore delle schegge conficcate nelle nocche si irradiò per tutto il braccio. Un rivolo di sangue colò lungo il suo polso, ma non se ne curò.
“Ti troverò, Eluaise, giuro che lo farò.”
Udì la porta della sua stanza aprirsi con un cigolio e si irrigidì immediatamente. Si voltò e incrociò lo sguardo preoccupato di Angelika, che esitò sulla soglia, gli occhi che guizzavano dalla finestra alla sua mano. Alan temette che stesse per avere l'ennesimo attacco di pianto, ma sorprendentemente Angelika riuscì a trattenersi. Stringendosi nella vestaglia da notte, si avvicinò a passi incerti, i lunghi capelli cinerei che frustavano l'aria.
- Tu... tu male. - gli indicò la mano ferita con un cenno del capo.
Il cacciatore scrollò le spalle: - E' solo un taglio, guarirà presto. -
Lei annuì, ma continuò a fissare le nocche insanguinate. Aveva le gambe scoperte, la vestaglia la copriva appena fino alle cosce, ma nonostante il freddo rimaneva lì, come se aspettasse che lui le dicesse qualcosa. Ora che si era fatta un bagno e lavata via la puzza degli ultimi giorni, Alan riusciva a sopportare la sua presenza, ma in quel momento la trovò particolarmente invadente. Avrebbe voluto stare da solo con i propri pensieri, rimuginare sul passato e crogiolarsi nel rimorso e nell'ansia, ne aveva bisogno, però Angelika pareva di tutt'altro avviso.
- Tuo filo trema. - disse mentre avanzava di qualche passo.
- Eh? - 
- Il filo... se trema tu non tranquillo. - spiegò lei balbettando.
“Oh, fantastico, adesso devo pure stare attento alle mie emozioni?”
- Sono solo un po' teso per il viaggio di domani, nulla di che. Ora sono stanco, vorrei dormire. - la liquidò sbrigativo, sperando di levarsela di torno entro i tre secondi successivi.
Si sedette sul letto e fece finta di sbadigliare, ma la ragazza lo ignorò. Si mise vicino a lui e gli prese la mano, osservandola con attenzione. A quel contatto così inaspettato, Alan dovette imporsi con tutto se stesso di non spingerla via.
- Io può guarire te. - sussurrò Angelika, poi lo spiò da sotto le lunghe ciglia bionde e gli sorrise con timidezza. 
- Non mi serve. - borbottò stizzito e la guardò con aria truce, allontanando la mano.
Attonita, Angelika fissò la sua attenzione sulle proprie ginocchia e ammutolì. 
All'esterno la neve cadeva a manciate, mentre nei corridoi e nelle stanze della villa di Frejie regnava il silenzio assoluto, interrotto solo da un lieve sferragliare proveniente dalle cucine, forse la caldaia.
La ragazza puntò l'attenzione sul camino. Il fuoco che il cameriere aveva acceso mentre gli preparava la camera si era estinto ore prima, ma le braci sonnecchiante emanavano ancora un leggero alone aranciato. 
- Domani tu parte? - 
- Sì. -
- E dove va? -
- Non ti deve interessare. -
Angelika incassò la testa nelle spalle e cominciò a tormentarsi una ciocca. 
- Io non vede mai mondo. - pigolò, - Io chiede solo che tu racconta come è... solo qualcosa. -
Alan sospirò e allungò le gambe sul letto, sbuffando. Le nocche gli dolevano e il sonno non arrivava, tanto valeva accontentarla. Almeno si sarebbe distratto.
- Basta che poi te ne vai. - 
Angelika batté le mani contenta e si mise a gambe incrociate sul materasso, facendo gemere le molle. Solo allora il cacciatore si rese conto che i suoi capelli erano talmente lunghi da coprire buona parte del letto. Al contrario, la corta vestaglia lasciava in bella mostra le mutandine di cotone.
- Copriti, per favore. - grugnì infastidito.
Angelika non capì subito a cosa si riferisse, poi si guardò tra le gambe e si affrettò a chiuderle, avvampando fino alle orecchie. Dopodiché impallidì e i suoi lineamenti si contrassero per la paura.
- I...io n-no... - 
Alan si raddrizzò. Non seppe perché, ma, vedendola così in agitata, sentì il bisogno di rassicurarla.
- Angelika, tranquilla. Non ho intenzione di farti nulla, puoi fidarti di me. -
Prima di riprendere a parlare, Alan attese che il respiro di Angelika si normalizzasse. 
- Allora, cosa vuoi sapere? -
- Racconta delle terre del Sud... -
- Le terre del Sud è un po' vago. -
La ragazza inclinò la testa, arricciò il naso e corrugò le sopracciglia: - Quelle con gli elfi! -
- Eh? Va bene, ferma, mettiamo in chiaro una cosa: non è vero che gli elfi abitano solo al Sud. Forse all'inizio era così, quando ancora non c'era stata la Rivoluzione industriale, ma ora ne trovi sia nelle grandi città sia nelle foreste. -
- Ah. No, perché Peter... -
- Lascia stare quello che diceva lui. - la interruppe, - Vuoi sapere com'è il mondo fuori da Iadera? -
Con un'espressione da tonta stampata in faccia, Angelika fece segno di sì con la testa. 
- Allora, ascoltami. Conosci la differenza tra gli Elfi del Crepuscolo e gli Elfi dell'Alba? -
- Sì! I primi sono neri e gli altri sono bianchi! - esclamò soddisfatta.
Alan la guardò con le palpebre a mezz'asta e l'aria sconfitta. Sospirò stancamente, ma si impose di avere pazienza.
Angelika si sporse per sbirciarlo e piegò la testa di lato, confusa e in attesa di una risposta.
- Beh, più o meno. - mugugnò Alan.
Si mise comodo sul materasso, sistemandosi il cuscino dietro la testa: improvvisamente contare le crepe sul soffitto non gli sembrò più così noioso.
- In ogni caso, le terre a cui ti riferisci tu sono le contee di Cork e Fermanagh a Sud, mentre a Nord ci sono Chart, Torner e infine la contea sovrana del Kyonin. A parte in quest'ultima, dove trovi solo ed esclusivamente Elfi dell'Alba, nelle altre vivono pacificamente anche umani, nani e i loro cugini del Crepuscolo. In generale non sono poi tanto diverse da tutte le altre contee. Sono forse quelle più industrializzate e tecnologicamente avanzate, ma nelle aree in cui risiedono soltanto gli elfi sopravvivono anche grosse macchie verdi. -
- Come Brugge? -
- Esatto, come Brugge. -
- E Kyonin? -
- Uhm... non proprio. -
Angelika si grattò la testa con espressione interrogativa.
- Ti posso dire poco, dato che non ci sono mai stato. -
- Perché? -
- Non ho mai ricevuto un incarico in quelle terre e comunque gli elfi non permettono a nessuno di entrare nelle loro preziose foreste. Ad esempio, la regina Malgalad siede sul trono di giada da innumerevoli ere e non ha mai aperto il suo regno alle altre razze. Comunque, le persone che hanno avuto modo di andarvi mi hanno riferito che è una pacchia. -
- Pacchia? -
- Nel senso che è bellissimo. -
- Sì! Nel verde e nei boschi stare sempre meglio che in città! - confermò solenne.
Alan la trovò solo buffa.
“Se quel bosco pullula di mostri feroci e pronti a succhiarti persino il midollo, non credo sia poi tanto meglio.”
La ragazza si stiracchiò e si alzò sbadigliando. La vestaglia si tese, disegnando il profilo del piccolo seno sotto la stoffa.
- Angelika non può dormire qui? - domandò imbronciata, - Sente sola in camera... -
- No. -
- Ma no proprio o solo no...? -
- No proprio. E ora vattene, sono esausto. -
Angelika non si mosse. Tenne gli occhi bassi e, quando li rialzò, Alan si accorse che erano lucidi. Un brivido freddo, non dovuto al clima nella stanza, lo raggelò.
- Non piangere, ti prego. -
- N-no... io non... - la voce venne rotta da un singhiozzo, - Questa ultima notte... poi tu parte. Io vuole stare con te. -
Alan imprecò esasperato, già arreso.
"Non ce la posso fare."
Si sdraiò supino e si spostò sul bordo, in un implicito invito a raggiungerlo.
- Non ti avvicinare, però. Mantieni la distanza di sicurezza e non invadere il mio spazio vitale. - ringhiò minaccioso.
Con un sorriso a dir poco radioso, Angelika sgusciò sotto le coperte e se le tirò fin sopra la testa, lasciando in vista solo alcune ciocche bionde.
- Buonanotte! - squittì felice.
Un grugnito irritato mise fine alla conversazione, ma non al buonumore della giovane. Poco dopo, un respiro quieto e regolare cullò il cacciatore, che non tardò a scivolare nel sonno con un mugugno soddisfatto.

 
*

La mattina seguente, quando Alan si svegliò si accorse che Angelika non era più nel letto con lui. Sospirò, decisamente sollevato, e si diresse nella sala al piano di sotto, dove lo attendeva Frejie per fare colazione. La maga, con addosso un semplice abito di satin rosso che lasciava ben poco alla fantasia e un diadema di perle sul capo, lo accolse con un sorriso affettato, invitandolo a mangiare con lei. 
“Ma non hanno pigiami normali in questa casa? Già che ci sono potrebbero anche girare nude.”
Parlarono del più e del meno, forse perché nessuno dei due aveva realmente voglia di intrattenere l'altro con una conversazione degna di questo nome. Non dopo quello che era successo la sera prima, almeno. Alla fine non ci fu più nulla di cui discutere e cadde un silenzio pesante. Di tanto in tanto, con la coda dell'occhio, Alan notava gli sguardi che la maga gli lanciava, ma solo quando ebbe finito la sua zuppa d'avena si decise a parlare.
- Andrò a Waterford e poi a sud, seguendo il fiume Nemil. -
- Potresti impiegarci molto tempo, mentre lei guadagnerà terreno. -
- Lo so. -
- Potresti prendere la ferrovia, è più veloce - gli suggerì, ma lo Slayer scosse la testa.
- Potrei perdermi delle tracce se non procedo con ordine. Inoltre, la prima stazione da Westmoth è troppo lontana. -
- E non puoi far viaggiare Brunilde nel tuo stesso vagone. - lo canzonò la maga, le labbra curvate in un sorriso divertito, - Brutta cosa non essere ricchi, vero? -
- Ci ho fatto il callo. -
Frejie roteò gli occhi esasperata e si passò una mano sul viso con fare teatrale: - Se non ci fossi io, andresti in giro con il culo rattoppato. Ti ho lasciato un sacchetto con centocinquanta raie sul tavolino all'ingresso. All'interno troverai anche un quarzo di localizzazione, così che io possa sempre sapere deve sei e contattarti in ogni momento. -
- Cos'è, mi controlli? -
- Voglio solo aiutarti a ritrovare Eluaise. Nonostante tutto, eravamo amiche. - disse asciutta, poi si alzò e gli fece segno di seguirla.
"Sì, certo, come no?"
Frejie gli rivolse un'occhiata tagliente: - So cosa stai pensando e ti consiglio di smetterla se non vuoi una delle tue frecce ben piantata in un posto di vitale importanza per restare in sella. -
Il cacciatore sbadigliò con noncuranza, sistemandosi la balestra sulla schiena e ignorando deliberatamente la minaccia.
- Sai per caso dove posso trovare un buon fabbro? La spada mi si è smussata e le rune si sono rovinate. -
- Non ti fidi di me? - riprese Frejie, continuando il discorso interrotto, - Sai benissimo quanto ci tenessi a lei. -
- Non l'ho mai messo in dubbio. -
- Non sei bravo a mentire, Alan. -
- Eh, non si può avere tutto dalla vita. Però ho altre qualità. -
- Mi stai prendendo in giro. -
- No. - fece spallucce e storse la bocca in una smorfia, - Sono consapevole di essere un uomo mediocre, Frejie, i miei pregi si possono contare sulla punta delle dita, ma con te ho sempre cercato di essere sincero. -
La spostò delicatamente e afferrò la maniglia della porta.
- Hai sempre detto la verità? -
- Fin quando ho potuto. -
- E quando hai smesso? -
Un leggero tremore attraversò le spalle del cacciatore: - A volte le bugie sono necessarie. - 
In passato, durante i mesi trascorsi assieme avevano fatto l'amore come pazzi, con un'avidità e una frenesia che non sembrava mai saziarli, eppure, nonostante quel desiderio furioso li avesse avvinghiati per intere notti, entrambi erano consci che non sarebbe durato per sempre. Si erano detti tante cose in quei momenti, molte ovvietà e tante belle bugie, che con l'andar del tempo erano diventate sempre più reali, tanto da confondersi con la verità.
- Ma non si può mentire in eterno. - soggiunse Alan.
- Purtroppo no. - concordò.
Quando lo Slayer aprì finalmente la porta, si girò a guardare la maga e le rivolse un sorriso amaro, così diverso da quelli che sapeva fare un volta. Frejie distolse lo sguardo, triste, poiché quei sorrisi non le erano mai appartenuti.
- Prenditi cura di Angelika. - si raccomandò per l'ennesima volta il cacciatore.
- Lo farò. -
Alan uscì dalla sala da pranzo, percorse il corridoio principale e si fermò davanti al cassettone vicino all'ingresso per prendere il sacchetto con le raie. Quindi scese i quattro scalini che lo separavano dal vialetto, in fondo al quale lo attendeva il maggiordomo con l'enorme verruca sulla guancia, a fianco di Brunilde. Infilò lo stivale nella staffa e si aggrappò all'arcione, ma prima che potesse darsi la spinta l'urlo disperato di Angelika si levò dalla villa. Il cavallo nitrì e sbatté gli zoccoli sul selciato, infastidito. Alan sussultò vistosamente, balzò indietro e si precipitò di nuovo dentro, seguendo la voce della ragazza. 
- Angelika! -
Non appena aprì le porte dello studio di Frejie, rimase di stucco e fissò la scena che si stava compiendo davanti a lui a bocca aperta per lo stupore e lo sconcerto. Angelika fluttuava a circa sei piedi d'altezza, la schiena inarcata innaturalmente all'indietro e gli occhi bianchi rivolti al soffitto, circondata da scie di luce verde. Stretta tra le dita c'era una lunga ciocca di capelli rossi.
- Toglile quella roba dalle mani! - sbraitò agitata Frejie, irrompendo in quel momento nella stanza, affannata per la corsa.
- Cosa sta succedendo? - indagò il cacciatore, avvicinandosi cauto ad Angelika.
- Non lo so, ma sembra in trance. Presto, strappale quella ciocca dalle dita. -
- Non avevi detto che le sue facoltà magiche erano ancora sopite? -
- Zitto e muoviti! - ribatté brusca. 
Ciò che fece scattare Alan non fu la risposta della maga, ma il gemito sommesso di Angelika, simile al guaito di un cane in agonia. Senza attendere oltre, bruciò lo spazio tra lui e la ragazza e l'afferrò per una spalla, ma non riuscì a tirarla a terra, perché un secondo più tardi qualcosa lo risucchiò nell'oscurità.

- Alan... Alan, fa male. - 
Eluaise si strinse il ginocchio sbucciato, le lacrime che già le rigavano il viso.
- Quando un mostro ti attaccherà, ti farà anche più di un semplice graffio. Non piangere per così poco! - 
- Ma ci stiamo solo allenando! -
- Perché un allenamento dia i suoi frutti, deve essere simile alla realtà. -
La bambina aprì la bocca, per poi richiuderla senza dire una parola. Tirò su col naso e si sistemò gli occhiali da aviatore sulla testa. Erano un regalo di suo padre e non se le toglieva mai, nemmeno quando Alan minacciava di romperglieli. Erano di semplice fattura, con i cerchi in ottone e le lenti rosse, ma molto utili dal momento che schermavano gli occhi dai raggi solari e li riparavano pure dal freddo. Eluaise recuperò la spada di legno e lo scrutò con un'espressione combattiva sul viso sporco di fango. 
- Fatti sotto! - lo provocò e Alan non si fece attendere.
La incalzò con stoccate rapide e precise, finché Eluaise non si scoprì finendo a gambe all'aria a causa di uno spintone.
- Non vale! -
- E chi lo dice? Tu hai tentato di tagliarmi la testa e io mi sono salvato la pelle buttandoti a terra. -
- Ma i Crociati della Stella Rossa ci hanno detto che bisogna... -
Alan alzò gli occhi al cielo: - Smettila di dar retta a quel branco di esaltati, scommetto che parlano parlano, ma poi quando sono davanti a un mostro farebbero di tutto per portare il culo a casa. -
- Non essere volgare. -
Il ragazzino sbuffò e si sedette vicino a lei. Rimasero alcuni minuti in silenzio ad osservare il giardino di casa. Era la fine dell'estate, ma faceva ancora caldo e le foglie del vecchio acero erano solo leggermente screziate d'arancio. Ad Eartshire, quell'anno, l'inverno era in ritardo.
- Alan? -
- Uhm? -
- Devi proprio tornare alla rocca così presto? -
Glielo chiedeva ogni volta e lui le dava sempre la stessa risposta. Doveva, anche se non voleva.
- Sì, devo riprendere gli allenamenti per diventare Slayer e voglio riuscirci in fretta per guadagnare qualche soldo. -
- Mio padre dice che non sei obbligato... -
“Tuo padre dice tante bugie.”
- A me piace. -
La bambina storse il naso e gli lanciò una lunga occhiata. Forse aveva capito che era inutile insistere o forse quel giorno non aveva voglia di discutere, comunque sia Alan si sentì sollevato per aver evitato l'ennesimo litigio.
- Sei triste? Hai paura che non torni più? - le domandò.
- N-no. -
- Eluaise... -
- Davvero! - 
Si portò le ginocchia al petto, imbronciata. I pantaloni si erano rotti in più punti e il gilè non era in condizioni migliori, ma a lei non importava granché. Da quando sua madre era morta due mesi prima, non sembrava che le importasse più di un sacco di cose.
Alan la fissò a lungo, poi le scompigliò i capelli e le regalò un mezzo sorriso. A quel gesto, Eluaise appoggiò la testa sulla sua spalla. Poi lui le prese la mano e intrecciò le loro dita.
- Tornerò sempre. - 
Eluaise alzò lo sguardo e solo allora Alan notò che aveva gli occhi lucidi. Una morsa dolorosa gli artigliò le viscere all'altezza dello stomaco.
- Dillo. - 
Senza distogliere la sua attenzione dal lento movimento dei rami, rinserrò la presa sulla mano dell'amica e lei fece altrettanto. 
- Te lo prometto. -

Correva tra le macerie, tra i corpi mutilati degli abitanti della piccola cittadina in cui aveva fatto sosta. Non poteva fermarsi, anche se la ferita alla gamba la rallentava. Scavalcò il cadavere sventrato di un bambino e imboccò un vicolo. Si appiattì contro il muro e, dopo essersi guardata attorno, fece un respiro profondo. 
Un grido mostruoso riecheggiò nell'aria e la finestra sopra di lei esplose. Eluaise si rannicchiò e si coprì la testa. Le schegge si infransero sullo scudo entropico, che tremolò, assorbì il colpo di alcuni detriti e si dissolse in un bagliore aranciato. Non aveva energie nemmeno per mantenere una magia così facile. Si rialzò, guardandosi intorno con aria febbrile, poi riprese la corsa. 
Il cielo si oscurò ancora di più e, un attimo dopo, ci fu un'altra esplosione. Un incendio divampò in un edificio, ma Eluaise non si voltò. 
Prima di svoltare l'angolo, una risata minacciosa rimbalzò per le stradine della città e il sibilo strisciante della voce della creatura la raggiunse.
- Non potrai scappare in eterno, Viandante, prima o poi ti prenderemo. -

La luce calda del mattino inondava una vasta pianura innevata. Col cappuccio calcato sulla testa, Eluaise, seduta su un carro, osservava il succedersi dei rami spogli sopra di sé. Si sistemò gli occhiali da aviatore sulla testa e si distese sulle pellicce accatastate sulle travi di legno.
Il proprietario del carro, un contadino tarchiato e dal viso butterato, non sembrava particolarmente felice di avere un ospite a bordo e bofonchiava parole indistinte masticando tabacco.
Eluaise stiracchiò le gambe e si avvolse nel mantello. Prima di cadere in un sonno profondo, l'insegna della contea di Crowne le passò davanti agli occhi.


- Alan!-
La voce della maga lo ridestò con violenza da quelle visioni. 
Con la vista ancora offuscata, Alan artigliò la spalla di Angelika e la tirò contro di sé, per poi strapparle la ciocca di Eluaise dalle mani. Il corpo della ragazza si irrigidì, serrò le palpebre e per un attimo protese le braccia in alto, verso le lingue d'energia verde che danzavano impazzite sul soffitto. Poi esse si dispersero e le mani ricaddero inerti lungo i fianchi.
Senza perdere tempo, Alan l'adagiò a terra. Frejie gli si fece subito vicino, estrasse da chissà dove un amuleto d'argento a forma di rombo e lo premette sulla fronte di Angelika. Il cacciatore vide l'oggetto farsi incandescente e le vene sotto la pelle della giovane ingrossarsi, pulsando come se volessero esplodere da un momento all'altro. Poi anche queste tornarono normali e nella stanza calò il silenzio.
- Cosa... cosa è successo? Perché Angelika era... -
- A mezz'aria e circondata da un quantitativo di energia magica esorbitante? Non lo so. O meglio, posso solo fare un'ipotesi. -
- Sentiamo. -
Spostarono Angelika sulla pelliccia di orso vicino al camino acceso e Frejie si sedette sulla sedia lì accanto, sconvolta quanto Alan.
- Penso che la nostra cara Angelika sia un Oracolo. - esordì dopo qualche secondo.
- Mi prendi in giro? -
- No, sai che su certe cose non scherzo. Hai visto qualcosa quando l'hai sfiorata, vero? -
- Sì. - 
- Dimmi cosa. - lo esortò Frejie, seria e incupita.
- Ricordi, credo, almeno la prima visione che ho avuto. -
- Oh, interessante. Le altre, invece? -
- Non lo so. -
- Non ne vuoi parlare? - 
Alan scosse debolmente la testa.
- Questo conferma solo quello che ho detto prima. Angelika è un Oracolo. Probabilmente i suoi poteri erano latenti e la ciocca li ha scatenati. Come sia finita nelle sue mani non ne ho idea. Probabilmente è dovuto al sangue di driade che le scorre nelle vene. Gli Oracoli, per giunta, sono molto rari. - disse, sforzandosi di mantenere un tono freddo e distaccato, anche se moriva dalla voglia di sapere cosa l'altro avesse visto.
Alan rifletté per alcuni istanti, poi si alzò e si massaggiò brevemente l'attaccatura del naso. Sospirò, fissando Angelika ancora frastornato, ma le era grato per la dritta che inconsapevolmente gli aveva dato.
- Andrò a Crowne. - dichiarò deciso.
- Hai cambiato itinerario? - sbuffò Frejie, intuendo subito il motivo di tale scelta.
- Se riesci a reperire qualche nuova informazione, fammelo sapere. Parto immediatamente. -
- Vuoi che le dica qualcosa quando si sveglia? -
- Ringraziala da parte mia. -
- Senz'altro. -
- Arrivederci, Frejie. -
La donna deglutì a fatica: - Arrivederci, Alan.- 
Ancora una volta i loro sguardi si incrociarono, indugiarono, ma, prima che uno dei due potesse aggiungere altro, lo Slayer scomparve oltre la porta dello studio.

 
*

Il viaggio dalla contea di Corkia a Crowne fu abbastanza veloce. In compagnia solo della sua fedele Brunilde, Alan poté muoversi in fretta e in poco più di una decina di giorni giunse al confine con Rivengard. Già dopo essersi lasciato alle spalle la triste città di Westmoth, il paesaggio aveva cominciato a cambiare, ma giunto nella nuova contea non riuscì ad ignorare la meraviglia che lo circondava. All'orizzonte non si stagliavano più foreste minacciose, soltanto infinite distese verdi attraversate dalle rotaie della Public Express, la compagnia di trasporti più grande di New England. I contadini giravano a cavallo o a piedi per le strade di terra battuta o, per chi se lo poteva permettere, anche su macchine più o meno nuove. Una in particolare attirò la sua attenzione e si chiese come potesse ancora funzionare: le ruote, sproporzionate rispetto alla carrozzeria, cigolavano e il fantasma di quello che una volta avrebbe dovuto essere un potente motore sbucava fuori dal cofano scrostato; solo uno dei fanali riusciva a fare luce, mentre i tubi di scappamento sputavano un denso fumo nero, segno che anche il serbatoio era in vita per miracolo. Insomma, un catorcio di cui però il suo proprietario, a giudicare dall'espressione soddisfatta che aveva stampata in faccia, andava molto fiero.
“Contento lui...”
Con un semplice colpetto dei talloni, spronò Brunilde a proseguire e tornò a godersi il panorama. Nei campi a maggese, lungo una linea che si estendeva a perdita d'occhio, svettavano contro il cielo serale i pali del telegrafo, mentre quelli della luce correvano lungo lo steccato fino alla città di Hargitay. 
Cavalcò fino all'entrata della città e, dopo aver mollato Brunilde allo stalliere della locanda “La signora del lago”, entrò. Ad accoglierlo fu il penetrante effluvio del malto e le risate sguaiate degli avventori. Nell'aria aleggiava il profumo di maiale arrosto, che gli fece venire l'acquolina in bocca. Dopo aver gettato una rapida occhiata in giro, si diresse verso l'unico tavolo libero in fondo alla sala. A metà del tragitto, però, la sua attenzione venne attirata da un assembramento vicino al bancone. Con disinvoltura afferrò un boccale ancora semipieno dalla mano di un uomo che russava su un divanetto e, assaporando il sapore della birra, si avvicinò a una donna che fissava con interesse la scena.
- Che sta succedendo? - la interrogò fingendo indifferenza.
Lei gli rivolse appena un'occhiata: - Il solito. Rachel sta stendendo tutti alla gara di bevute. -
- Ah, capisco. - si passò la lingua sulle labbra, pulendosi dalla schiuma.
- La volta scorsa ha persino steso il buon vecchio Nicholas! - si abbandonò ad una risata grassa, il sudore che le rendeva lucide le guance rubizze.
- Oh! -
"Come se sapessi chi è 'sto Nicholas..."
- E quella precedente ha dato una lezione a Garroth. Sono certa che dopo quella sbronza non toccherà più un bicchiere per molto tempo! -
- Immagino di sì. - 
- Per non parlare di quando ha spaccato il polso a un Cavaliere della Spada Nera! - 
La donna parlava da sola, tutta infervorata, e non sembrava essersi accorta che Alan non la stava nemmeno ascoltando, troppo occupato a domandarsi se in quella città avrebbe trovato lavoro.
- Certo che è proprio una tipa strana. Va in giro vestita a quel modo, con quel pupazzo con la faccia da teschio che le volteggia sempre intorno. Per Shamar, è così carina, ma è davvero inquietante, non trovi? -
Evidentemente, non aveva nemmeno capito che lui era appena arrivato.
- Già, concordo. -
- No, aspetta, non voglio essere maleducata. Direi che è stramba, sì, anzi no, meglio stravagante. Stravagante è più gentile e meno volgare. -
Mentre l'altra cercava di raccapezzarsi su quale aggettivo usare, Alan spostò la sua attenzione sulla folla, cercando di scorgere il viso della tanto decantata Rachel, ma non dovette impegnarsi molto. 
Udì un tonfo e gli uomini al bancone alzarono i pugni in segno di trionfo, per poi scatenarsi in un'ovazione vera e propria. In mezzo ai cappelli a cilindro e agli sbuffi e cigolii di bracci meccanici, due iridi di un azzurro ghiaccio si posarono su di lui e Alan, senza comprenderne la ragione, si sentì come un topo in trappola. 
In seguito, mentre la calca si disperdeva, Rachel gli si avvicinò. Era una ragazza molto carina, come aveva detto la donna, con i capelli biondi raccolti in due codini e un adorabile cerchietto nero decorato con fiori e nastrini rosa. Esattamente poco sopra la sua testa svolazzava un pupazzo a forma di pipistrello, senza zampe, con due pietre rosse al posto degli occhi e una verde in mezzo al petto. Il rumore meccanico che le minuscole alette producevano lo faceva sembrare un giocattolo a molla.
Alan rimase immobile fino a quando Rachel non l'ebbe raggiunto e fu allora che notò l'emblema del grifone attaccato al corpetto nero, poco sotto l'enorme fiocco di un rosa sgargiante che sfoggiava sul seno piatto. Nella  cintura di pelle nera stretta in vita, portava due pistole innaturalmente grandi.
La donna pettegola al suo fianco si portò le mani al viso, ma prima che potesse dire qualcosa Rachel la mise a tacere con un'occhiata talmente gelida da farla fuggire a gambe levate. 
Alan deglutì e per un attimo ebbe l'impressione di trovarsi al cospetto di una versione in miniatura e al femminile di Abraham Justice: c'era una scintilla sinistra nei suoi occhi di ghiaccio che gli ricordò il cacciatore e la sensazione che provava era la stessa, un misto di timore reverenziale e sana paura. Il suo aspetto giovane, quasi fanciullesco, traeva facilmente in inganno, ma non ci mise molto a realizzare che quella Rachel era pericolosa. Fu tentato di arretrare, tuttavia si costrinse a rimanere immobile per non farle credere di essere un cagasotto.
Quando la ragazza tornò a guardarlo, disse con voce atona: - Benvenuto, Alan, ti stavo aspettando. Io sono Rachel Ghestia, una Slayer di rango SS.
  
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