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Autore: ilcircozen    08/12/2015    3 recensioni
Sofia e Serena sono un'accoppiata un po' improbabile: la prima, razionale ed estremamente pratica, la seconda, perennemente allegra e con la testa tra le nuvole, di certo non sono le amiche più comuni al mondo. La loro decisione di trasferirsi a Bologna per frequentare l'università porterà loro un sacco di novità: una nuova città, nuovi studi, nuove abitudini, ma soprattutto due nuovi coinquilini, Lorenzo ed Amedeo, che fin da subito daranno alle due amiche non pochi grattacapi. Con una serie di avventure improbabili, Sofia e Serena si ritroveranno sballottate nella loro nuova vita, tra amori, delusioni, paure, ma soprattutto un sacco di guai. Leggete per scoprire se se la caveranno!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2
IL FRONOXIDIS
Ovvero come un terremoto vivente riesce ad essere pasticcione ovunque metta piede
 
(Serena)
I primi giorni bolognesi furono straordinari. Il trasloco finì in fretta e non fu nemmeno difficile come Sofia non aveva fatto che pronosticare per settimane. Il camion arrivò senza problemi e con l’aiuto di Amedeo e Lorenzo (più che altro di Amedeo, dal momento che Lorenzo non aveva fatto altro che stare in piedi come un generale nazista ad urlare ordini a destra e a manca mentre noi sfacchinavamo) ce la cavammo in un pomeriggio soltanto. La casa nuova era meravigliosa, le giornate continuavano ad essere belle e soleggiate, di lì a poco sarebbe cominciata la vera e propria vita universitaria ed io non avrei potuto essere più eccitata. Nonostante fossi molto allegra, però, mi rendevo conto della presenza di fattori negativi, che, come quei mosconi neri recidivi che d’estate non fanno che andare a sbattere contro i vetri delle finestre, rischiavano di intaccare le mie giornate meravigliose. In primo luogo c’era Lorenzo, il nuovo coinquilino con troppi capelli biondi, troppe lentiggini in faccia ed assolutamente troppo pieno di sé. Dal nostro arrivo praticamente non avevamo fatto altro che punzecchiarci e palesare senza troppi scrupoli una reciproca antipatia. Cosa mai gli avessi fatto, per me restava un mistero.
«Il punto è che sei troppo felice», aveva cercato di spiegarmi una volta, con il suo solito tono di voce scontroso simile più che altro al ringhio di un cinghiale. Io avevo giustamente obiettato che non c’è assolutamente niente di male nella felicità, ma la discussione era degenerata fino a concludersi con lui che lanciava il mio cappello peruviano dal balcone ed io che per ripicca mi infilavo in bocca tutti i suoi disgustosi biscotti per celiaci (come i difetti non fossero già stati abbastanza, era pure celiaco) in una volta sola. Insomma, non si poteva dire che il nostro rapporto fosse dei migliori. Ma non era lui la principale fonte della mia preoccupazione. A turbarmi veramente era Sofia, che mi sembrava agitata come non mai. Quando decisi di approfondire la questione era passata circa una settimana dal trasloco. Era una bellissima giornata ed io e lei eravamo uscite per un caffè in piazza, da vere cittadine quali eravamo diventate (il fatto che per raggiungere il bar ci fossimo perse circa sei volte era del tutto irrilevante). L’idea era quella di starsene tranquille a godersi la bella giornata, ma Sofia non si stava godendo un bel niente. Nel giro di due ore aveva finito un pacchetto intero di sigarette ed ora, in mancanza d’altro, si stava rosicchiando le unghie tanto in profondità da fare concorrenza ad un castoro.
«Dai, dimmelo», proferii. Lei mi scoccò un’occhiata interrogativa.
«Di cosa stai parlando?»
Sofia era sempre stata una pessima bugiarda. Tutte le volte che mentiva iniziava a muovere convulsamente la mascella e a guardarsi attorno, come se la conversazione non la riguardasse. Le tirai un piccolo calcio sotto il tavolino con la punta del piede.
«Guarda che lo vedo, che sei preoccupata.»
Ora mi scoccò un’occhiata fiammeggiante.
«Beh, naturalmente, e mi sorprende che tu non lo sia!»
Questa era un’altra delle tipiche reazioni di Sofia. Ogni volta che le capitava di avere un momento di debolezza, in lei scattava una sorta di meccanismo di autodifesa che le imponeva di arrabbiarsi con chiunque le stesse attorno. Forse per questo inizialmente sembrava a tutti una persona chiusa ed un po’ scontrosa: stava tutto nell’abbattere i suoi muri. Aspettai che proseguisse.
«Tra una settimana cominceremo l’università e non lo so, io sono terrorizzata! Ho una paura folle di trovarmi a studiare la cosa sbagliata, di scoprire che non amo veramente quello che faccio, di avere nostalgia, di pentirmi…»
«Sofi, tu sei nata per la psicologia! Se non ti piace puoi sempre cambiare e per la nostalgia ci sono io.»
Le rivolsi un largo sorriso che avrebbe dovuto essere rassicurante, ma vista la sua reazione non ottenne propriamente l’effetto desiderato.
«Sarà… parlando di nostalgia, quando arriva Massimo?»
Mi battei una mano sulla fronte.
«Massimo!»
«Tra tutte le altre cose hai dimenticato persino tuo fratello?»
«Oh, cielo, Massimo arriva questo pomeriggio!»
«Dove? A Bologna?»
«Macchè! Nel nostro appartamento! Tra venti minuti!»
Non riuscivo a crederci. Come avevo potuto dimenticarmi di mio fratello? E dire che ne parlavamo da giorni, che ogni sera ci sentivamo al telefono eccitatissimi per il giorno in cui sarebbe finalmente venuto a trovarmi nella mia nuova casa. Come accidenti avevo potuto dimenticarmelo?
«Oh, Sofia, è un disastro!», esclamai, strattonandola per un braccio ed obbligandola ad alzarsi. Lei si divincolò con fare stizzito.
«Ma che ti prende? Cosa vuoi che succeda? Gli apriranno Amedeo e Lorenzo e tutt’al più finiranno tutta la birra che c’è in frigo davanti alla partita!», provò a ribattere, mentre la trascinavo prima alla cassa a pagare (dodici euro per due aperitivi! Decisamente dovevo ancora abituarmi alla vita in città), poi di nuovo fuori dal bar. Scossi la testa con foga.
«Ti prego Sofia, devi andare a casa ad accoglierlo come si deve.»
Mi fissò con tanto d’occhi.
«Ma che, sei matta?!»
«Oh, ti prego Sofia! Questo pomeriggio Amedeo non c’è e lo sai anche tu che Lorenzo mi detesta! Non voglio che Massimo si senta sgradito, ma so che quel troglodita lo farà sentire la più immonda delle creature solo perché condivide il mio stesso DNA!»
Sofia continuava a sembrare perplessa, ma sapevo di aver toccato i tasti giusti. La sua infatuazione per il tremendo Lorenzo (cosa mai ci trovasse non mi era dato di saperlo) era piuttosto palese per un attento occhio femminile, e sapevo che passare del tempo assieme a lui si profilava davanti ai suoi occhi come una prospettiva tutt’altro che spiacevole. Provò un’altra volta a protestare, ma con molto meno impeto rispetto a prima.
«Ma scusa, perché non ci vai tu?»
«Non posso assolutamente. Ho un impegno irrimandabile.»
«Serena, sei pessima. E incorreggibile, anche. Non riuscirai mai a gestire la vita universitaria se non riesci neanche ad organizzarti un pomeriggio.»
Le rivolsi il più bello e studiato del mio arsenale di sorrisi smaglianti.
«Ed è per questo che mi vuoi bene! Devo scappare adesso. Grazie, grazie, grazie, sei la miglior amica che si possa immaginare, una margherita nel deserto, una stella in una notte d’inverno, un…»
«Ho capito, adesso chiudi il becco. Degnati almeno di tornare per cena però!»
Ci stavamo già avviando in direzioni opposte quando sentii la sua voce richiamarmi indietro. Quando mi girai, vidi che mi stava guardando con stampato in faccia un sorriso tutt’altro che rassicurante, il genere di sorriso che Sofia fa quando crede di aver capito tutto mentre in realtà brancola nel buio.
«Cosa c’è?»
Ancora quel sorrisetto.
«Hai appena detto che questo pomeriggio Lorenzo è a casa da solo, il che significa che Amedeo è fuori, ed anche tu te ne vai in un posto misterioso, sola soletta, senza dare spiegazioni a nessuno… non è che voi due malandrini vi vedete di nascosto?»
Come volevasi dimostrare.
«Non sentivo la parola malandrino dalla quinta elementare…»
«Guarda come cambi argomento!», esclamò lei, battendo le mani tutta soddisfatta.
«Sofia, sei matta, e soprattutto guardi troppe telenovele. Non c’è nessuna storia d’amore segreta tra me ed Amedeo! Quella con la cotta per il coinquilino sei tu!»
Sofia diventò rossa come una ciliegia matura.
«Io non ho affatto una cotta per Lorenzo!»
«Ah no? Allora perché hai capito subito che parlavo di lui?»
Aprì la bocca per ribattere, poi la richiuse e mi lanciò uno sguardo talmente assassino che se si potesse uccidere con gli occhi mi avrebbe certamente incenerita.
«Mi sembrava che avessi un impegno urgente, tu!»
«Vado, vado!», le risposi. Mi ci volle qualche minuto per riuscire a smettere di ridere.
 
Quando finalmente arrivai a destinazione, correndo come una dannata per non fare tardi, mi sentivo agitata come non mai. Era vero che avevo mantenuto il silenzio più totale sul mio misterioso appuntamento di quel pomeriggio, ma non aveva nulla a che vedere con un uomo misterioso, come Sofia sospettava. No, il motivo della mia fuga era ben diverso.
Arrivai davanti ad un edificio gigantesco, tutto bianco e grigio, dall’aspetto tutt’altro che accogliente. Il sole bolognese cominciava a calare e così il profilo del palazzo sembrava colorarsi di arancione, conferendogli un aspetto ancor più austero. Deglutii faticosamente. Ero arrivata a destinazione, ossia davanti alla redazione del Fronoxidis, un famoso mensile culturale bolognese a cui avevo inviato il mio curriculum ancor prima di arrivare a Bologna. Ecco spiegato il mio impegno misterioso: ero in cerca di lavoro, per la precisione, cercavo di accaparrarmi il posto che sognavo fin dalla prima superiore. La critica letteraria.
Entrai nell’edificio silenziosissimo in punta di piedi e fui immediatamente travolta da un esercito di persone che correvano in tutte le direzioni, con le braccia straripanti di documenti, le espressioni preoccupate e tintinnii di tacchi alti e scie di profumo al seguito di ogni figura femminile. Soppesai per un attimo i miei jeans e le mie infradito. Ops. Forse non avevo scelto l’abbigliamento più adatto in assoluto.
Chiesi informazioni per l’ufficio del direttore ad una donna con uno chignon strettissimo che mi rispose molto vagamente e senza guardarmi in faccia per nemmeno un millisecondo. Cominciavo ad agitarmi sempre di più. Mi sentivo totalmente fuori luogo, una ragazzina di campagna capitata per caso in un covo di professionisti che non avevano nulla a che vedere con me e con il mio stile di vita. Ma sapevo che non dovevo lasciarmi intimidire: il direttore mi aveva mandata a chiamare ed io dovevo affrontarlo, indipendentemente da quali fossero le sue notizie. Arrivai davanti alla porta del suo ufficio, contrassegnata dalla targhetta D. Santolini – Direttore. Mi chiesi per cosa stesse quella D. Daniele? Demetrio? Passò qualche minuto prima che mi rendessi conto che stavo perdendo tempo come al mio solito.
«Coraggio, Serena. Ce la puoi fare.»
Bussai e subito una voce giovanile mi invitò ad entrare. Feci il mio ingresso in un ufficio asettico ed impersonale, dalle grandi finestre e con una scrivania gigantesca che torreggiava nel bel mezzo. Alla scrivania era seduto un… ragazzo. Non avrei saputo come definirlo altrimenti, dal momento che non poteva avere più di venticinque anni. Indossava camicia e pantaloni neri, aveva capelli ricci e scuri, grandi occhi verdi ed un sorriso leggermente beffardo stampato in volto. Lo vidi chiaramente soppesare con lo sguardo le mie infradito, i miei capelli ricci ed immancabilmente fuori posto che spuntavano a ciocche disordinate dal cappello peruviano, la borsetta gigantesca gonfia di una serie di oggetti allo stesso tempo completamente inutili e strettamente indispensabili.
«La signorina Serena Leopardi?»
«E… esattamente», balbettai. Quell’uomo mi intimidiva.
«Si sieda, prego. Piacere, Davide Santolini, direttore del Fronoxidis e giornalista per la rubrica dello sport. Sono lieto di averla qui, signorina Leopardi.»
«Può chiamarmi Serena», esclamai, come al solito, un secondo prima di ricordarmi di tenere a freno la lingua e di non dire idiozie. Come mi era venuto in mente, in un contesto formale come quello, di proferire in un’uscita del genere? Lo sguardo che mi rivolse in effetti era profondamente ironico.
«Molto bene… Serena. Dunque, vediamo un po’.»
Si mise a sfogliare un fascio di carte che riconobbi con orrore come il mio curriculum. Non pensando che nessuno leggesse veramente quella roba, l’avevo scritto senza troppa attenzione, infilandoci dentro le informazioni più svariate senza il benché minimo criterio. Invece evidentemente il direttore del Fronoxidis l’aveva letto, e sembrava avere tutta l’intenzione di parlarne con me.
«Età… diciott’anni?»
Quanto sembravano improvvisamente pochi gli anni che per tutta la quinta superiore mi avevano fatta sentire la regina del liceo!
«Ne faccio diciannove a fine dicembre», ci tenni a precisare. Lui fece un risolino impossibile da interpretare. Era divertito o sarcastico? Era un buon segno o un cattivo segno?
«Redattrice per il giornale scolastico del liceo Sarpi Il Sarpi in Molliche. E’ esatto?»
Maledissi mentalmente il nome terribilmente ridicolo del giornalino del mio ex liceo.
«Si, è esatto. Mi occupavo principalmente della rubrica letteraria, insomma, recensioni di libri appena usciti ed amati dai giovani, ma in realtà ho scritto un po’ di tutto.»
Non aggiunsi che il motivo di tanta attività era che Il Sarpi in Molliche era il giornalino meno letto della storia dei giornali scolastici e che a lavorarci eravamo solo in tre per circa sei rubriche. Non mi sembrava il genere di pubblicità più adatta da fare a sé stessi quando si vuole essere assunti da qualche parte. Daniele Santolini non commentò.
«Qui c’è scritto che ha vissuto tre mesi in Perù. Si occupava di qualcosa in ambito giornalistico o letterario?»
Oh, cielo, ma lo aveva letto proprio tutto, quel dannato curriculum? Come avrei potuto rispondere a qualsivoglia domanda sul Perù senza sembrare una totale psicopatica?
«Ehm… in realtà ho lavorato in una fattoria.»
«In una fattoria?»
La sorpresa del direttore era evidente. Le sopracciglia scure si incurvarono sugli occhi verdi in un’espressione perplessa decisamente accattivante. Oh, basta, accidenti, dovevo smetterla di mangiarmelo con gli occhi!
«Si, esatto. Mi occupavo delle api e degli alpaca. Le api non sono aggressive come sembrano e gli alpaca… beh, sono animali adorabili. Questo cappello l’ho fatto io!»
Ecco. Avevo detto esattamente il genere di cose che mi avrebbero garantito un biglietto di sola andata verso la disoccupazione. Il direttore mi fissava con tanto d’occhi. Rimase ad occhi sgranati per una decina di secondi per poi… scoppiare a ridere. Rimasi ferma immobile mentre lui si sganasciava dalle risate sulla sua sedia, con le lacrime agli occhi ed il fiato corto. Non mi ero mai resa conto di essere così spiritosa.
«Serena», biascicò quando riuscì a smettere di ridere. «Lei è un tipo decisamente… particolare
Eccoci di nuovo nel bel mezzo dell’ambiguità più assoluta. Particolare. Che cavolo significava particolare? Era un complimento o un insulto? Ritrovata la serietà, l’espressione del direttore si fece nuovamente imperscrutabile.
«Sarò sincero con lei, signorina. Le sue referenze sono un tantino deboli e la sua giovane età e la relativa inesperienza rappresentano degli altri punti a suo sfavore.»
Eccoci arrivati al dunque, pensai. Stavo per essere sbattuta fuori ancor prima di aver cominciato.
«Tuttavia, ho letto gli articoli che mi ha inviato e, va detto, il suo stile è singolare. Le sue recensioni sono fresche, scorrevoli, frizzanti, per dirla in una parola sola, lei scrive veramente bene, e cosa è più importante per una giornalista? Motivo per il quale ho deciso di assumerla in prova per i prossimi tre mesi. Ovviamente la paga sarà un po’ più bassa del previsto ma…»
Ma io non lo ascoltavo più. Assunta! Ero stata assunta! Avevo un lavoro, anzi, non un lavoro qualunque, proprio il lavoro dei miei sogni! Ero ufficialmente una giornalista del Fronoxidis! Poteva forse andare meglio di così?
«Signorina, mi sta ascoltando?»
«Oh, grazie Dav… volevo dire, signor Santolini, grazie di cuore! Non se ne pentirà! Farò di tutto per non deluderla, lo prometto!», esclamai balzando in piedi con tanta energia da farlo sussultare dalla sorpresa. Mi sorrise, e questa volta sul suo viso non c’era la sfumatura canzonatoria di prima. Sembrava proprio che ridesse di cuore.
«Non ne dubito… Serena. Può iniziare a partire dal primo lunedì dì ottobre. Ci vediamo in ufficio.»
Si alzò e mi strinse la mano. Era una mia impressione o aveva indugiato più a lungo da quanto richiesto dall’educazione? Comunque fosse, non m’importava, non in quel momento. Lo salutai con la mano come una bambina di otto anni alla quale è stata appena regalata una fornitura annuale di caramelle ed uscii dal suo ufficio praticamente saltellando di gioia. Il tragitto a piedi dalla redazione a casa era piuttosto lungo, ma ero talmente emozionata che mi sembrò quasi di percorrerlo volando. Serena Leopardi, giornalista del Fronoxidis, nonché sottoposta di Daniele Santolini, il direttore più attraente dell’intero universo! Poteva forse andare meglio di così? Feci gli scalini di casa a due a due ed entrai con tanto impeto che per poco non scardinai la porta.
«Miei carissimi amici», gridai «ho grandi notizie per voi!»
La mia notizia non fu accolta con l’entusiasmo sperato, anzi. Nell’atrio c’era solo Lorenzo, che mi scoccò uno sguardo assassino.
«Anche noi abbiamo una notizia per te. E’ arrivato un ospite per te, un ospite che ti somiglia in maniera preoccupante, sia esteticamente sia caratterialmente.»
Probabilmente avrebbe continuato ad insultarmi spassionatamente, se non fosse stato per la persona che giunse nella stanza in quel momento. La persona in questione aveva i miei stessi riccioli rossi, le mie stesse lentiggini, i miei stessi occhi verdi e, soprattutto, il mio stesso identico modo di fare da uragano in attività.
«La mia sorellina!», esclamò, spalancando le braccia.
«Massimo!»
Decisamente, ora la mia giornata era perfetta.
 
 
 
NdA:
Salve a tutti, sono tornata! Questo ritardo dell’arrivo del capitolo lo ritengo perdonabile, perché essendoci il ponte è come se fosse domenica da tre giorni e quindi, teoricamente parlando, io ho pur sempre aggiornato di domenica. No?
Che ne pensate del punto di vista di Serena? Vi piace o preferite quello di Sofia? E vi piacciono le due protagoniste? Oh, dovrei smetterla con le domande e darvi un po’ di tregua. In fondo siamo solo al secondo capitolo, accidenti. Grazie di cuore a tutti i recensori dello scorso capitolo, spero di poterne ringraziare di nuovi sotto al prossimo! Baci e abbracci,
Il Circo Zen
   
 
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