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Autore: Puzzola_Rossa    08/12/2015    0 recensioni
La pioggia di cenere lo chiamiamo, il grande cataclisma che si è abbattuto sulla terra, cancellando tutto ciò che un tempo era, portandosi via intere popolazioni, culture, razze ed etnie differenti, che ora non ci sono più.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Frattura


Passai i successivi due anni in tranquillità. Studiavo tutto ciò che il professor Lancaster mi poneva davanti agli occhi. Libri di storia, ingegneria, biologia, geografia, i costumi della società, tutto ciò che poteva essermi utile per quando sarò andata nel mondo là fuori. E nonostante continuassi a dirgli che quello era il posto in cui sarei voluta rimanere per sempre, insieme a lui e a Joshua, lui mi diceva che “per sempre” era per lui una parola troppo grande da dire. Con Joshua invece imparavo a combattere, armi da taglio, contundenti, archi, ma ciò che amavo di più e in cui mi ero specializzata era l’utilizzo delle armi da fuoco, Joshua era rimasto veramente colpito della mia bravura e della mia capacità di apprendimento, era così fiero di me che non potevo che esserne felice.
Meredith usciva raramente dal suo studio, si riuniva col signor Lancaster solo per consumare i pasti della sera, e solitamente io e Joshua non c’eravamo mai.

Sentivo lo sguardo di Meredith su di me quando ci incontravamo per caso nel piano superiore della casa, una volta rimanemmo a lungo una nello sguardo dell’altra. Avevo la sensazione che avesse qualcosa da dirmi, come se fossi il suo più grande rimpianto. Ma poi tornava austera e riassumeva il suo sguardo truce e altezzoso, guardandomi con disprezzo e disgusto.
Non lo capivo, non potevo accettarlo. Perché si comportava in quella maniera. Ero sua figlia in parte, era lei che mi aveva dato alla luce, era lei che aveva assemblato il mio corpo, che mi aveva dato questi occhi, questa bocca, tutto ciò che ero, era lei che mi aveva donato un cuore, un cervello, una coscienza, lei mi aveva dato il mio essere; perché mi odiava così tanto?
Chiesi a Joshua, ma non seppe rispondermi, mi disse che era per colpa nostra, che eravamo dei fallimenti, che non eravamo ciò che voleva.
Era una risposta che non mi soddisfava. Non mi andava proprio giù. Come poteva essere colpa mia? Era lei che mi aveva fatto così.
Decisi di chiedere allora a Seamus, il mio secondo punto di riferimento. La sua risposta mi aprì gli occhi, mi diede una scossa, mi fece capire qualcosa di più di Meredith, e forse aveva ragione, non era proprio cattiva.
-Lei non odia te, Ceres, come potrebbe mai farlo? Lei odia se stessa, non è stata in grado di farti come voleva, è molto esigente con se stessa, pensava che saresti stata quella perfetta. Ma per lei non è stato così. Purtroppo Meredith è così intelligente ma anche così limitata, è una cosa che non riesce a capire. Lei vi ha dato una coscienza, un cuore, e come tali non siete semplici macchine, non siete burattini nelle mani di noi umani, solo perché vi abbiamo creato, è come dire ad un bambino appena nato di non piangere e pretendere che ubbidisca. Meredith non odia te, ma il fatto di non aver completato un lavoro così ben riuscito. Credimi Ceres, per me sei perfetta. E non parlo solo della tua bellezza, o della tua capacità di apprendere, parlo del tuo essere umana, sei una macchina eppure sei più sensibile e empatica di altri “veri” esseri umani che conosco. Sei più umana persino di Meredith, che con la sua ricerca della perfezione ha dimenticato cosa significhi essere umani. Lei non era così un tempo, sai? Quando era più giovane studiava per la gioia di apprendere, come te. Ha iniziato ad approcciarsi alla …. quando per salvare il fratello dovette renderlo per metà meccanico, da allora non è stata più la stessa. Voleva creare un essere perfetto, qualcuno che non sarebbe mai morto, ma che sarebbe stato in grado di provare emozioni, di avere una coscienza, ma voleva totale ubbidienza, che nonostante fosse una persona , lei la potesse comandare a bacchetta. Ma credimi Ceres, non è cattiva, ha solo perso la via. – mi spiegò con accortezza, osservandomi. Io intanto metabolizzavo tutto ciò che aveva detto, se Meredith non mi odiava, forse avrei potuto fare qualcosa che potesse farla tornare in sé, che potesse darle un po’ di gioia, qualcosa, qualcosa per la quale valesse sorridere di nuovo, qualcosa che le avrebbe fatto ritrovare la “retta via”.

Quando saliva per la cena le chiedevo quale fosse il suo piatto preferito, se volesse che fossi io a cucinarlo per la cena del giorno seguente, quale fosse il suo artista preferito, quale strumento musicale avrebbe preferito che suonassi per lei, cercai di riconquistarmi quella fiducia che avevo perso, non sarei stata una creatura perfetta, ma sarei potuta diventare una figlia perfetta.
Joshua continuava a dirmi che i miei tentativi erano inutili, che non sarei riuscita nel mio intento, ma io lo riuscivo a sentire, potevo vederlo, il cuore di Meredith si ammorbidiva, la sentivo più vicina, e passava sempre più tempo al piano di sopra. Le piaceva quando leggevo, suonavo o cucinavo per lei. Ero felice, come non lo ero mai stata.  Io e Joshua ci allenavamo la mattina, il pomeriggio lo dedicavo a Seamus e la sera la passavo con Meredith, era tutto perfetto. Una perfezione che sarebbe durata poco. E che avrei scoperto col tempo, che non dura mai abbastanza, e che più sei felice, più il dolore potrà distruggerti e dilaniarti il cuore dopo.

Il giorno del mio terzo anno di vita Seamus morì. Se ne andò una mattina, mentre io e Joshua eravamo nel bosco, non seppi mai come morì, quali furono le sue ultime parole, cosa guardò per l’ultima volta, a chi erano rivolti i suoi pensieri. Non mi fecero vedere nemmeno il suo corpo, ne potetti assistere al suo funerale. Ne io ne Joshua, non ce ne fu concesso il tempo.
Meredith sembrava affranta, si avvicinò e mi abbracciò, una cosa che non aveva mai fatto, e che pensai non avrebbe fatto mai, ricambiai l’abbraccio. Forte, ma non troppo, avevo paura di poterle fare male. Mi disse di seguirla, mentre disse a Joshua di rimanere lì, e che saremmo tornare da lì a poco. Non feci caso a quel cenno del capo, a quello sguardo furtivo che aveva rivolto agli uomini che erano venuti per il “funerale” di Seamus.

Ero troppo sconvolta per la perdita del mio mentore, e per quell’abbraccio che avrebbe potuto cambiare totalmente il rapporto tra me e Meredith, da una parte fui contenta di questa improvvisa scomparsa, dato che avrebbe potuto significare il ritrovato amore materno della mia creatrice, subito dopo questo pensiero mi sentii in colpa, sporca, un essere ignobile, come potevo gioire della morte di Seamus? L’unico che mi aveva dato la forza di essere quello che ero. Una macchina umana.
Ero così persa nei miei pensieri che non mi accorsi nemmeno che Meredith mi faceva cenno di entrare in una stanza, sobbalzai e mi infilai velocemente oltre la porta, sperando che non me lo avesse chiesto più di una volta, pregando di non averla fatta arrabbiare e dubitare nuovamente di me.
Ci trovavamo  nel luogo in cui ero nata, ove tutto era iniziato. Ebbi una morsa al cuore, quando sul lettino, nel quale ero sdraiata io una volta, vi era una nuova creatura. Non capivo, cosa stava accadendo? Perché ero lì? Il flusso dei miei pensieri fu interrotto da dei rumori al piano di sopra.
-Meredith che sta succedendo?- chiesi allarmata, fissando intensamente il soffitto, lei e il nuovo essere.
-Pensavo che tu fossi quella perfetta. Quella giusta. La macchina finale, ma mi sbagliavo. Vedi è tutto lì sul tavolo. Leggi e capirai. – mi disse, indicandomi un tavolino pieno di fogli, progetti, scartoffie varie.
Iniziai a leggere, e pian piano capii; quello era il mio progetto, ciò che era dentro di me, e di fianco al mio c’era un altro progetto, il cui titolo era l’essere perfetto. Era identica a me, ma a quel fantoccio sul letto mancavano due cose, due cose che io avevo.
-Inizi a capire vero? Volevo un essere perfetto, in grado di provare sensazioni, di avere una coscienza, di poter persino versare lacrime, ma mi sbagliavo su una cosa, non ho mai voluto che aveste libero arbitrio. Sono io a dovervi comandare, io devo decidere cosa voi potete fare. Quindi si a lei, la mia amata creatura perfetta ha una coscienza, sa cosa accade intorno a lei, può provare emozioni, ma non può decidere cosa fare della sua esistenza, perché sono io ad avergliela data, io posso togliergliela, io posso farne quello che voglio. – il tono della sua voce, rasentava la follia, era in iperventilazione, rideva, gli occhi spalancati, mi raccontava i suoi progetti come se io fossi un’ignara spettatrice, come se realmente potesse importarmi ciò che lei desiderava.

Fu con un pugno allo stomaco che arrivò la consapevolezza. Era quello che avevo fatto, avevo reso la sua opinione, il suo ben volermi, la sua stima parte integrante del mio io. Volevo la sua approvazione e l’avevo resa mia padrona senza accorgermene, facendo ciò che voleva, facendomi manipolare.

-Ho pensato che forse potevi andare bene, che alla fine facevi ciò che desideravo, ti comportavi esattamente come avresti dovuto. Ma ho capito, ho capito che non ero io a comandarti, ma eri tu a permettermelo. Il tuo comportamento con Joshua, con Seamus erano tutti sintomi del mio fallimento. Ricordati Ceres tu non sei umana. Seamus ti ha illusa. Non sei perfetta. Sei solo un fallimento. Un rottame. Qualcosa che deve essere distrutto. Oh, ma per te, mia cara, ho progetti più grandi, sarai parte di qualcosa di molto di più. Mi serve parte di te,Ceres. La mia nuova creazione ne necessita. – dopo aver pronunciato quelle ultime parole, protese le sue mani verso di me. Per la prima volta nella mia giovane vita, provai quell’emozione che era il puro e vero terrore.

-Tu sei pazza!-  le urlai di rimando, scansandole le mani.
-Tu non capisci. Cesserai di vivere come Ceres, ma una parte di te sarà qui, ai miei ordini, non sarà un addio.- il suo volto era deformato in una maschera di pura isteria.
-NO! IO NON SONO UNA MACCHINA! NON SONO TUA! NON PUOI FARE DI ME CIO’ CHE PIU’ TI PARE E PIACE! SONO VIVA! E NON TI PERMETTERO’ DI UCCIDERMI!- mi scagliai contro di lei, la buttai a terra facendo cadere anche il suo nuovo lavoro.
-No! La mia creazione!- esclamò, forse per la prima volta davvero impaurita.

Non ebbi la forza di farle realmente del male, nonostante volesse cancellarmi dalla faccia della terra, non potevo ucciderla, non sarei diventata come lei. Mi rimisi in piedi con agilità, presi tutti i fogli del mio progetto e della sua nuova creazione, ignorando totalmente Meredith e le sue urla di diniego. Non mi avrebbe ritrovata mai più. E non le avrei permesso di distruggere la vita di quella nuova creatura, di mia sorella.
Sarebbe stata meglio senza essere completa, non potendo ancora vivere piuttosto che vivendo agli ordini di qualcuno senza poter fare niente.
Uscii dalla stanza in fretta e furia, ripercorsi quegli scalini, ogni passo che facevo era un ricordo, una lama dritta nel cuore. Joshua aveva ragione. Seamus era l’unico che ci vedeva come esseri viventi, che ci voleva bene. Il pensiero di Joshua mi diede un sussulto al cuore, temevo di oltrepassare la porta del salone, di vedere cosa gli avevano fatto.
Ma non c’era tempo da perdere, se avessi dovuto avrei fatto di tutto per salvarlo. Era l’unica famiglia che mi rimaneva e non potevo assolutamente perderlo.
Aprii la porta e lo scenario che mi parve dinanzi mi fece sospirare di sollievo, Joshua era al centro, attorniato da quattro uomini stesi a terra. Il mio primo impulso fu quello di abbracciarlo forte, abbraccio che ricambiò calorosamente.
-Pensavo che quella pazza ti avesse fatto del male. – mi disse con tono preoccupato e sollevato al contempo.
-Ci ha provato, ma non è stata fortunata. Del resto sono stata addestrata da un’unità d’assalto creata per combattere per coloro che  la pagano.- gli risposi, sorridendo. Lo stare con lui, nonostante il momento critico, mi sollevava e mi dava una pace senza eguali.
-Dobbiamo andare, qui non è sicuro per noi. – affermò serio, iniziando a trascinarmi dietro di lui, fuori la villa, verso il bosco.
-Dove stiamo andando? Non abbiamo dove stare? Che faremo adesso?- il panico iniziò ad impadronirsi di me, non avevamo più una casa, non sapevamo dove andare, che ne sarebbe stato di noi adesso? Meredith ci voleva morti. Dove saremmo stati al sicuro?
-Te lo dissi il giorno in cui sei nata. La morte di Seamus avrebbe significato la nostra fine. Ti ricordi?-.

Annuii, ricordavo ancora le sue parole, e la loro veridicità mi colpivano adesso nel profondo. Mi ero fatta fregare. Mi ero illusa. Avevo amato per essere poi ferita in quella maniera così stupida.
-Beh se pensavi davvero che non avrei fatto nulla per salvaci  la pelle  non sei poi così intelligente come ti credeva Seamus. C’è un passaggio sotto al bosco, è collegato con la casa e con dei sotterranei che portano in città, da lì andremo in un altro posto.-
-Dove Joshua?-
-Un posto dove ci sono altri come noi, esattamente come noi, capisci?Andiamo dalla nostra razza, avremo una nuova, vera famiglia. Nessuno che voglia ucciderci, distruggerci. Nulla di tutto questo!-
per la prima volta vidi Joshua euforico, e non perché doveva combattere o allenarmi, era felice, finalmente avrebbe avuto ciò che io credevo di aver trovato in quella villa. Una famiglia.
-Dove credete di andare?- la voce di Meredith rimbombò nella mia testa, ancora oggi rivivo quella scena vividamente nei miei pensieri.
-Non crederete davvero di poter andare via così?- un sorriso maligno le si dipinse in volto, tra le mani stringeva forte una revolver, la posizionò in alto, mirandomi.
-Ti ho fatta resistente, voglio proprio scoprire quanto.- rise, e iniziò a sparare.

Joshua si posizionò tra me e i proiettili, prendendoli tutti, uno dietro l’altro, assorbendo ogni colpo in silenzio, sembrava che su di lui non facessero effetto, d’altronde era stato creato per essere un’unità da assalto. Una revolver non avrebbe dovuto nemmeno scalfirlo. Non feci nemmeno in tempo a pensarlo quando l’ultimo proiettile gli oltrepassò l’addome.
Joshua si inginocchiò a terra, era stato ferito, nonostante non perdesse sangue, era ferito, e quella ferita speravo che non gli fosse fatale.
Non so se la rabbia che iniziò a montarmi dentro derivava dalla paura di perdere Joshua o dal fatto che nostra madre ci avesse attaccato. Fatto sta che non  ebbi il tempo di cercare di capire quella nuova emozione che già stringevo le mie mani intorno al suo collo.

Furono due i ricordi che decisi di mantenere di quella donna. Lei che rideva follemente cercando di ucciderci e le mie mani che le toglievano la vita. Vidi il suo volto diventare bianco, quasi cinereo, mentre i suoi occhi si spegnevano spalancati dalla sua follia.

-  Ceres…- la voce di Joshua mi ridiede lucidità, e mi riportò alla realtà, facendomi rimanere inorridita da ciò che avevo appena fatto. Avevo ucciso mia madre.
Non riuscii a capacitarmi delle mie azioni, mi muovevo meccanicamente, mentre cingevo con un braccio la schiena di Joshua e lo calavo nel sottopassaggio. Ero ancora sconvolta, mi feci guidare da lui, senza proferire parola, tranne quella che esplodeva nella mia testa. Assassina.

Le parole di Joshua mi riportarono nuovamente alla realtà, senza di lui, mi resi conto, sarei stata persa.
- Ceres, mi devi promettere che andrai in quel luogo, che ti creerai una nuova famiglia, che sarai felice, promettimelo.-
- Ci andremo insieme, dobbiamo solo trovare qualcuno che ti aggiusti, io so fare qualcosa, ma è limitato a ciò che mi ha insegnato Seamus, non voglio peggiorare la tua situazione, abbiamo bisogno di un esperto.-
-Promettimelo.-


Non volevo ascoltarlo, non volevo promettergli nulla, perché promettere avrebbe significato ammettere che da lì a poco non ci sarebbe stato più, e io non potevo permetterlo. Non potevo, ma soprattutto, non volevo accettarlo. Sentivo i suoi segnali vitali sempre più deboli, le sue forze abbandonarlo. Quando arrivammo in città, chiesi aiuto ai passanti, chiesi se conoscevano un alchimista, qualcuno, chiunque.
Mi ignoravano, facevano finta di non vedermi, come se io non fossi lì, come se ne io ne Joshua esistessimo.

-Vi prego! Aiutateci!- iniziai ad urlare, disperata, piangendo. Solo una bimba si avvicinò a me, guardandomi, ma la madre la portò immediatamente lontana, sentii loro pronunciare due semplici frasi.
-Mamma perché quella donna sta piangendo? Sta male? La possiamo aiutare?-
-Non piange davvero, è una macchina, fa finta, sono lacrime finte, le macchine non stanno male, tesoro mio.-

-NOI NON SIAMO MACCHINE!- le urlai addosso, tant’è che la donna impaurita, scappò con la figlia al seguito. Per un momento altri si voltarono in mia direzione, per poi riprendere ad ignorarmi.
Piangevo, inginocchiata a terra con Joshua tra le braccia.
-Non mi lasciare, ti prego. Non te ne andare. Non posso farcela senza di te.- lo pregai, lo scongiurai, chiesi aiuto a quegli dei di cui avevo letto nei libri di storia. Ma nulla potette impedire alla morte di portamelo via.
-Te lo prometto.. Capito Joshua? Te lo prometto.. -.

Lasciai il suo corpo in mezzo alla strada, con il cuore dilaniato dal dolore, non sapendo dove andare, da dove iniziare. Corsi il più lontano possibile. Dalla mia vecchia casa, da quella odiosa città e dal corpo di Joshua, da tutto.

Un umano mi aveva creata, mi aveva dato una coscienza, delle emozioni, un cuore. Quest’ultimo, me lo aveva strappato via con la forza. Non sapevo più se era lì dove sarebbe dovuto essere. Ma ero sicura che se ci fosse stato non sarebbe stato più lo stesso. Non volevo avere più spazio per l’amore, la bontà, l’amicizia, la famiglia, tutti quei valori in cui avevo creduto sino alla morte di Joshua, non avrei mantenuto quella promessa, non fino a quando esseri come Meredith respiravano la mia stessa aria, camminavano sulla mia stessa terra. Meredith mi aveva creata, e io avrei dato la caccia a tutti quelli come lei.
Ci sarebbe stato spazio solo per persone come Seamus, gli altri li avrei eliminati uno a uno, senza alcun rimorso, senza rimpianti.
Lo avrei fatto per Joshua, per tutti gli altri homunculus come me, che si sentivano confusi, persi, soli in un mondo tanto crudele, ma soprattutto lo avrei fatto per me, perché non avrei mai più permesso ad un altro essere di potermi possedere, comandare e considerare una cosa.
Solo allora avrei cercato quel posto, quel luogo che Joshua agognava tanto, solo allora avrei cercato la mia nuova famiglia, solo dopo essere stata certa che saremmo stati al sicuro, senza nessuno che volesse controllarci o distruggerci.
  
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