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Autore: ThisisAlice    09/12/2015    4 recensioni
Jamie. Michael.
Un'alunna e un professore. Un amore proibito, vietato, ostacolato.
Due destini che si uniscono, due strade che si incontrano.
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Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Quattro.


 

«Ma ti muovi?» dico a Jake, poggiando, spazientita, il peso sul piede destro. Siamo davanti all'entrata del supermercato, anzi, io sono lì. Jacob si sta specchiando su qualsiasi finestrino possibile nel raggio di quattro metri.
«Devo sistemarmi, un attimo» risponde a tono lui. Io sembro una barbona con la mia felpa e i leggins e lui, tutto precisino, osa sistemarsi addirittura il ciuffo, che poi non è nemmeno fuori posto. Gli uomini.
Gli rivolgo un'occhiata truce, se potessi l'avrei già strangolato. Ma non avevo voglia di andare da sola quindi me lo sono portata dietro, dopo averlo svegliato, nonostante sia domenica pomeriggio.
Per fortuna però, sembra aver fatto e finalmente possiamo entrare per comprare quella che sarà la mia cena, visto che mio padre è dovuto uscire per il fine-settimana.
«Che devi prendere?» chiede lui, camminandomi affianco. Gli indico vari prodotti e decidiamo che è meglio dividerci, così potremmo risparmiare tempo e tornare a casa prima del dovuto. Speriamo solo che il amico non inizi a mettere nel carrello schifezze, altrimenti avrei chiamato Kate.
Mi aggiro per le corsie degli alimentari, cercando di trovare quello dei surgelati. Tra il mio abbigliamento e il cestino rosso per la spesa, che mi fa sentire molto Cappuccetto Rosso mentre raccoglie i fiori per la nonna, non cosa sia peggio.
Finalmente riesco a trovare quello che cercavo e quindi inizio a dirigermi verso uno dei tanti frigoriferi del settore surgelati. Patatine fritte, bingo. Quando apro lo sportello, con la mia solita grazia, do il vetro letteralmente in faccia al tizio alla mia sinistra.
«Merda! Scusi scusi scusi, non volevo! Giuro! Sta bene?» esclamo, cercando di scusarmi. Non ho fatto apposta, seriamente. Non riesco neanche a vedere la sua faccia, visto che è coperta con le mani, ma so per certo che è un uomo, troppo alto per essere una ragazza.
«Sì, più o meno» risponde lui, senza togliere le mani dal viso.
Aspetta.. io questa voce la conosco. Non ci credo, non posso davvero aver quasi ucciso il mio professore, quello figo poi! Non potevo, che ne so, prendere quella stronza della Mejer?
«Prof?» dico aggrottando la fronte, spero non sia lui. Forse esiste al mondo un tizio uguale al mio insegnante di algebra che abita a Londra, forse. Appena però, scopre il viso, mi rendo conto che le mie ipotesi sono confermate. È proprio lui, in carne e ossa.
«Jamie?» domanda a sua volta sorpreso. Non credo si aspettasse che una sua alunna lo colpisse con un frigorifero in piena faccia.
«Scusi davvero! Non volevo farle male» dico mortificata, abbassando lo sguardo. Ha questa sua particolare capacità di mettermi a disagio, che mi da veramente fastidio. È l'unica persona a cui non riesco a tenere più di tanto testa.
«Jamie..» dice lui sorridendo, come suo solito, e scuotendo la testa. Sembra divertito. Bello, io sono mortificata e lui se la ride. «Avevamo detto del 'tu', ricordi?» continua.
Ci rifletto un attimo, non ho idea di cosa stia parlando. Poi magicamente mi ritorna tutto in mente, venerdì a casa sua mia aveva detto di non darli del 'lei' perchè lo faceva sentire vecchio. «Vero, mi sc... scusami Michael» sorrido imbarazzata. È strano chiamarlo così.
Continua a sorridermi, ripetendomi che non è niente e che devo stare tranquilla. Mi sento comunque troppo in colpa, devo imparare a stare più attenta.
«Che ci fai qui?» continua, sorridendomi.
Lo osservo alzando un sopracciglio, iniziando a prenderlo in giro. «La spesa?» dico, indicando il cestino e sottolineando il fatto che siamo in un supermercato.
«Ehm, sì. La spesa, ovviamente» balbetta lui. Deve essere la prima volta che sono io a metterlo in imbarazzo e non viceversa, non posso crederci. Una piccola rivincita personale.
Vorrei continuare a prenderlo in giro, ma una voce maschile ci fa girare. Jake deve aver finito di prendere ciò che gli avevo chiesto ed ora sta venendo qui. Appena ci raggiunge a grandi falcate, sorride felice a Michael, che ricambia cordialmente.
Non è un sorriso come quelli che solitamente rivolge a me, o almeno mi pare che sia così. Il suo è un sorriso da professore ad alunno, di pura cortesia, mentre quelli che mi riguardano sono più grandi, più “sereni”. O forse sono solamente io che me li immagino così, visto che lui rimane sempre un mio insegnante.
«Ho preso tutto ciò che mi hai detto» mi dice Jake, dopo aver scambiato due parole con il nostro professore. Annuisco, voltandomi verso di lui. Non so perchè ma mi ero incantata a fissare il ragazzo che avevo appena colpito con un sportello.
«Non ci hai messo cose inutili, vero?» provo a indagare, sperando in una risposta negaaiva da parte del mio amico, che fortunatamente arriva. Mi porterò sempre Jake a far spesa, lui mi da retta al contrario di Kate.
«Bene, vi lascio allora» dice Michael, guardandoci. Lo salutiamo anche noi e non posso fare a meno di notare l'ultima fugace occhiata che mi ha rivolto, sembra quasi accusatoria. Che diamine ho fatto ora? Lo guardo andare via e sparire tra le corsia, scrollo le spalle e cammino dietro Jacob, andando verso le casse.
Dopo aver pagato il conto, usciamo ma veniamo fermati da una signora anziana che credo conosca il mio accompagnatore. Sembra simpatica e molto, molto sveglia.
«Jacob, caro! Da quanto tempo? Come stanno i tuoi genitori? E tu? Lei è la tua fidanzatina? Che carina!» esclama senza riprendere fiato. Fidanza-che? Con tutte queste domande mi ha confuso, e neanche poco.
Lui le sorride gentilmente e risponde a tutte le domande, mentre io come una povera rincoglionita continuo a annuire e a sorridere a disagio. Rettifico: non è simpatica, ma è troppo sveglia. Dopo aver posto altri quesiti e averci pizzicato le guance come solo le vecchiette sanno fare, ci lascia con un occhiolino.
Io e Jake siamo sconvolti. Lui, forse più di me. «Jacob, caro! Riprenditi» gli dico, iniziando a prenderlo in giro. Ora sa che non smetterò molto facilmente di chiamarlo così e che sicuramente glie lo rinfaccerò per il resto dei suoi giorni.
«Smettila Jams, è stato orribile! Non mi ricordavo neanche il suo nome» ammette, salendo in macchina. Lo imito, ridendo divertita. Che situazioni, mamma mia.
«Ma chi è più che altro?» gli chiedo curiosa, ha fatto talmente tante domande sulla sua famiglia che suppongo sia un'amica di vecchia data.
«Tipo la vicina di casa di mia nonna» risponde, ma non lo vedo particolarmente convinto. Già che non sapeva il suo nome, non posso pretendere più di tanto.
Il resto del viaggio prosegue silenzioso, con solo la musica dei Blink-182 a riempire l'auto. Arrivati però al semaforo chiedo a Jake se vuole venire a cena da me, ma mi risponde di no visto che doveva stare con Annah, la sua sorellina.
Lo accompagno a casa, lasciandogli un bacio sulla guancia prima che possa andare via. Sembra sorpreso, è strano che io compia gesti affettuosi, non sono una persona molto espansiva. Mi guarda incuriosito e indagatore, mostrando però quel suo enorme sorriso radioso che tanto mi piace.
Gli alzo semplicemente le spalle, come risposta. «Non ti montare la testa, però» gli urlo, per poi sfrecciare via, senza neanche dargli tempo di rispondere.
Sento il telefono vibrare nella mia tasca, ma decido di aspettare di arrivare a casa. Mancano ormai più o meno venti metri e non credo si tratti di vita o di morte, se rispondo 10 secondi più tardi. Appena arrivo, parcheggio la macchina e entro dentro casa. Lancio le chiavi sopra il mobiletto dell'entrata e mi dirigo verso la cucina con le due buste della spesa.
Dopo averle appoggiate sul ripiano, mi levo il cappotto e sfilo il telefono dalla tasca. 1 nuovo messaggio, sorrido vedendo il mittente. È il mio professore, è Michael.
Mi ritrovo a fissare lo schermo come un'idiota, perchè diavolo solo un suo semplice messaggio mi fa quest'effetto? Mi risveglio da questo stato di trance e decido di vedere cosa contenga.
Oggi mi sono scordato di dirtelo, va bene se le ripetizioni le facciamo domani verso le 17? :)
Giusto, le ripetizioni. Mi ero completamente dimenticata che il giorno seguente sarei dovuta stare con lui per farmi rispiegare algebra. Involontariamente sorrido, nonostante non sia proprio una fan dei pomeriggi passati a studiare.
Sisi, va bene :)
Digito velocemente, rispondendogli. Non mi aspetto una sua risposta, visto che ho solo acconsentito alle sue parole. Lascio quindi il telefono incustodito, vicino il lavandino. Inizio a mettere apposto la spesa appena comprata, ma non prima di aver acceso la tv: Criminal minds, la mia serie preferita. C'è Matthew Gray Gabler che è davvero qualcosa di indescrivibile.
Mentre sono intenta a preparare un panino, che dovrebbe essere la mia cena, sento il mio telefono vibrare. Probabilmente sarà Kate o Jake che scrivono qualcosa di stupido, come al solito. Mi verso un bicchiere di succo e, afferrando il mio sandwich e il mio telefono, vado verso il divano.
Appena mi siedo, controllo il cellulare. Non si tratta di nessuno dei miei amici, ma di Michael. Che strano, penso. Credevo non mi avesse risposto.
Comunque alla mia faccia non ha fatto piacere ricevere quella botta! ;)
Rido, ripensando alla scena e a lui dolorante. Poveraccio, devo avergli fatto male sul serio.
Ahahaha, scusa ancora! Però anche tu potevi stare più attento
Rispondo sorridendo.
Ah quindi ora sarebbe colpa mia?
Risponde lui. Chissà che starà facendo, chissà se come me sta mandando la sua cena a puttane per aspettare la risposta dell'altro, o chissà se come me sta facendo proseguire la puntata senza degnargli uno sguardo, troppo presa dalla conversazione.
Forse :P
Scrivo semplicemente. Ora non siamo più alunna e professore, ma solo due ragazzi di diciannove e ventiquattro anni che stanno messaggiando tranquillamente. Mentre attendo la sua replica, mi ritrovo a riflettere su quanto ciò sia incredibilmente fuori dal comune. Se qualcuno sapesse di questa storia, probabilmente non staremmo più qui.
Che caratterino.. ;)
Dice il messaggio. So che è ironico, quindi decido di darli corda.
Non sono io a chiedere cosa ci faccia una persona in un supermercato, ti ricordo!
Scuoto la testa divertita, ripensando alla domanda stupida che mi ha posto oggi pomeriggio e a come io sia riuscita a metterlo in imbarazzo. Per la prima volta l'ho lasciato interdetto, piccola vittoria personale.
Ahahah un momento di confusione capita a tutti
Leggo il messaggio, pensando a quanto la frase scritta sia vera. Non conosco il motivo, ma ogni volta che c'è lui nei paraggi, la confusione nella mia testa è d'obbligo.
Questo te lo concedo, si :)
Gli rispondo, ormai totalmente presa dalla conversazione. La puntata a questo punto è andata a farsi benedire, Aaron Hotchner sta continuando a parlare con Derek Morgan di non so cosa senza però catturare la mia attenzione. È rivolta ad altro, o meglio, a qualcun altro.
Almeno questo! Ahaha Comunque ti vorrei chiedere una cosa
Scrive lui. E così mi ritrovo a fantasticare sulle milioni di domande che potrebbe pormi. Inizio a sudare freddo, reazione tipica post-'dobbiamo parlare'. Ogni volta che qualcuno lo dice, ci sono sempre guai.
Domani dobbiamo fare ripetizioni da qualche altra parte, a casa non posso
Spiega lui, senza neanche darmi tempo di rispondere al su precedente messaggio. E io che mi immaginavo chissà cosa.
Se hai da fare, facciamo un altro giorno :)
Gli rispondo tranquilla. Non c'è bisogno che faccia i salti mortali per spiegarmi cose che avrei già dovuto sapere o almeno comprendere a scuola. Se non può, faremo un'altra volta. Tanto non mi cambierebbe nulla.
Nono, ci mancherebbe ;) solo che a casa è arrivata mia sorella.. sarebbe meglio trovare un altro posto, non proprio pieno di gente
Risponde subito lui.
Giusto. Allora, un posto non frequentatissimo, dove non possiamo incontrare nessuno di nostra conoscenza. Mi guardo intorno alla ricerca di una qualche sorta di illuminazione, che poi arriva.
A casa mia va bene? Mio padre non c'è, torna sempre sul tardi
Digito velocemente. So che potrebbe sembrare un messaggio un po' strano, in effetti. Ma non me ne curo più di tanto. Si tratta solo di ripetizioni, no? Si.. solo e solamente di quello.
Se per te non è un problema, è okay :)
Scrive lui. Bene, domani il mio insegnante barra figone barra venticinquenne verrà a casa mia. Devo mettere apposto, è un casino. Poi ricordo, perchè mai dovrei mettere in ordine? Non è mica il mio ragazzo o cose del genere, non devo fare bella figura su di lui, viene per studiare e basta.
Siccome ero scattata in piedi come una molla, mi rimetto comoda sul divano rispondendogli.
Si, perfetto :)
Digito. Non so perchè mi sia fatta tutti questi problemi per nulla. L'unica cosa di cui sono certa è che ho questa strana sensazione che non riesco a riconoscere, che si presenta quando si parla di lui o quando è nelle vicinanze. Mi fa sentire vulnerabile, senza un apparente motivo. Io odio sentirmi vulnerabile, l'ho sempre odiato. Già da quando ero bambina e con la morte di mia madre credo di aver amplificato questo mio lato del carattere. Non sono insensibile, ovvio però non sono una delle persone più espansive della terra. È anche per questo che non mi spiego come mai io sia così felici di vedere Michael ogni volta o come mi senta contenta, come ora, mentre leggo uno dei suoi messaggi.
Allora ti lascio, buonanotte Jamie :)
Leggo. Decido di non rispondergli, la conversazione è finita qui ma nonostante ciò, sono felice stranamente. Posso finalmente dedicarmi alla mia cena e al mio favoloso Matthew.


 


 

Ieri sera mi ero addormentata sul divano, dopo essermi vista un film e stamattina mi sono ritrovata con una coperta addosso. E ciò voleva dire solo una cosa, mio padre è tornato. Come sempre, me lo sono ritrovata in cucina, la colazione pronta e il suo solito sorriso. Gli ero andata incontro abbracciandolo, gesto totalmente inaspettato per me e per lui.
Poi mi aveva salutato, dicendomi che sarebbe tornato per cena e che avremmo passato insieme la serata, vista la sua assenza di questi giorni. Mi ero perciò andata a preparare per la scuola e avevo compiuto tutte quelle azioni tipiche delle mie mattinate, Kate e la scuola.
Finalmente la giornata scolastica si era conclusa bene, senza interrogazioni o compiti che avrebbero potuto urtare il mio sistema nervoso. Anche il cibo, tutto sommato, non era così terribile.
Ora sono a casa ad aspettare Michael per le ripetizioni e sono nervosa, come al solito. Non riesco a stare ferma un secondo, sono passata nel giro di cinque minuti dal divano al tavolo, sono andata a prendere un bicchiere d'acqua e poi sono ritornata in camera a prendere i libri, poi di nuovo sul tavolo e così via. Non va bene, non va bene per niente.
Quando suona il campanello infatti, mi sento sbiancare. Non sono pronta psicologicamente per passare le restanti due ore facendo matematica, né tanto meno stando sola con Michael. Tuttavia, è stato nel momento esatto in cui ho accettato che mi son messa in questa situazione, perciò c'è poco da lamentarsi.
Cerco di prendere tempo camminando lentamente, malgrado io sappia benissimo che devo muovermi e non farlo aspettare. Ma nonostante ciò, mi ritrovo comunque davanti al portone.
Respiro profondamente, provando a calmarmi, e apro. Davanti a me c'è il mio professore armato di libri, che si presenta in tutto il suo metro e novanta di altezza. Sorride e di conseguenza lo faccio anche io, è più forte di me.
Dopo i vari saluti e convenevoli, mi sposto per farlo passare, non togliendomi dalla faccia quest'espressione da ebete. Lo specchio vicino all'entrata me l'ha fatta notare, per fortuna. È incredibile come lui risulti essere sempre a suo agio e come io invece no, è snervante.
«Bella casa» dice guardandosi intorno, non appena essersi messo a sedere.
Gli sorrido, abbassando lo sguardo. «Mia madre era un'architetto» gli confesso.
«Era?» domanda lui, curioso. Quando gli ho detto quella frase non credevo che si sarebbe soffermato sul tempo verbale. Non mi piace parlare di mia madre, ma non so perchè con lui mi riesce bene.
Inizio a giocare con il braccialetto, sempre lo stesso triangolino. «E' morta molti anni fa» dico semplicemente. Non ho intenzione di guardarlo, non sopporterei di vedere su di lui lo stesso sguardo di compassione che mi riservano sempre gli altri non appena conoscono questo aspetto della mia vita.
«Mi dispiace, non lo sapevo» dice, poggiando una mano sulla mia per fermarmi dal rompere il ciondolo. Alzo lo sguardo, sorpresa da quel gesto.
«Odio questa parte» gli dico, distogliendo lo sguardo da lui. Nei suoi occhi c'è un'enorme scritta lampeggiante, con su scritto 'COMPASSIONE'. Ed è la cosa che odio di più, in assoluto.
«Quale parte?» dice confuso, non riuscendo a collegare.
«Quella in cui tutti dicono sempre le stesse cose, in cui la gente prova commiserazione per me. La odio» sputo acida. Non mi piace parlare di queste cose, né tanto meno parlarne con lui.
«Non ti sto compatendo, se è questo che intendi. Sono solo contento che tu abbia un carattere così forte, Jamie» dice, avvicinandosi a me.
Mi fermo un attimo ad osservare le nostre mani unite, provano ad assimilare parola per parola quello che ha detto Michael. Credo sia la prima persona che me lo dice apertamente, a lui non faccio pena, è solo dispiaciuto e posso sentirlo dal suo tono di voce.
«Grazie» sussurro semplicemente, puntando i miei occhi sui suoi. Ci osserviamo per quello che sembra un tempo indefinibile, per poi vedere rispuntare il sorriso da bimbo che tanto mi piace, quello che ti contagia.
Poi però, ad un tratto, ritorna incredibilmente serio. La mano è ancora ferma sulla mia, io sto ancora osservando ogni sua mossa. Lo vedo avvicinarsi, piano. Lo vedo accorciare le distanze ci separano, centimetro dopo centimetro. Trattengo il respiro, non capendo le sue intenzioni, spaventata, imbarazzata.
E poi accade, Michael annulla definitivamente le distanze tra noi. Un bacio, un semplice bacio a stampo, un semplice contatto di labbra.






 

  
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