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Autore: _S0NIA_    09/12/2015    0 recensioni
Un tempo avrei dato tutto per essere DIVERSA, ora il mio unico desiderio è quello di essere NORMALE. Ma se avessi conosciuto lo sviluppo degli eventi, se avessi saputo dove mi avrebbe portata quella notte di Agosto, mi sarei limitata a elaborare il lutto sotto il piumone del mio letto? Avrei rinunciato a conoscere la verità?
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non avevo idea di dove stessi andando, ma non avevo nessuna intenzione di fermarmi, sopratutto perché sentivo che alle mi spalle qualcuno stava correndo verso di me. Si era ripreso così in fretta? Una sensazione di terrore si impadronì di me, e l'adrenalina che sentivo scorrere nelle vene, mi permise di correre più veloce di quanto credessi possibile.

Il mio calcio era stato così debole? Maledizione, non ero certo un'esperta ma i maschi non dovrebbero essere un po' più sensibili da quelle parti?

Dopo aver attraversato un numero infinito di corridoi tutti uguali, mi ritrovai in un vicolo cieco. In quell'ala dell'edificio le finestre erano state ricoperte da delle spesse assi di legno e -dato che non ero un gatto- facevo una gran fatica a vedere dove mettevo i piedi. Per questo non mi accorsi di essermi infilata in un corridoio senza uscita, fino a quando non andai contro a un muro -un vero muro, questa volta- e per poco non persi l'equilibrio.

Accidenti, ero proprio imbranata!

Cominciai a tastare le pareti intorno a me fino a quando -grazie a Dio!- trovai quella che aveva tutto l'aspetto di essere una maniglia. La tirai verso il basso e feci per entrare in una stanza semibuia, quando sentii una mano circondarmi rudemente la vita, intenta ad immobilizzarmi, e un'altra che mi tappava la bocca.

Il mio cuore mancò un battito.

Fui trascinata dentro alla stanza -che per pochi, meravigliosi, secondi, avevo pensato potesse rappresentare la mia salvezza- e in poche mosse, lui mi tolse lo zaino dalle spalle, la lama dalla mano destra, e -dopo avermi girata in modo che gli rivolgessi la schiena- mi schiacciò contro a una parete puzzolente. Non aveva esitato un secondo. Probabilmente era un soldato esperto e senza scrupoli.

«E tu chi diavolo sei?» sentivo il suo respiro sulla nuca, mentre mi premeva contro il muro «Di sicuro non sei addestrata» sbaglio o quello era un tono divertito? Si sta prendendo gioco di me prima di finirmi? Oh, perfetto. Ne ho trovato uno sadico. «lo abbiamo appurato poco fa» continuò «quindi, come sei finita qui?».

Pensa velocemente Aria, pensa, pensa. Come posso liberarmi?

Mi guardai freneticamente intorno -per quanto mi fosse possibile da quella posizione- in cerca di un'arma. Qualsiasi cosa sarebbe andata bene!

Con un veloce movimento riuscì a girarmi verso di lui e a trascinarmi dall'altra parte della stanza. Sotto ad un'imponente finestra.

Il cielo era coperto dalle nuvole, ed era poca la luce che filtrava. Ma quando un'improvviso lampo illuminò tutta la stanza, lo vidi. Non era un uomo. O meglio, non era grande come avevo creduto. Doveva avere solo qualche anno in più di me. I capelli mossi erano neri, ma gli occhi erano di un azzurro scuro, intenso. E fu proprio il suo sguardo quello che attirò la mia attenzione. Passò dalla curiosità alla rabbia, in un lampo. Mi terrorizzò.

Mi agitai, cercando di liberarmi dalla sua presa ferrea, ma fu tutto inutile. Forse con un po' di fortuna sarei riuscita a buttarmi dalla finestra alle mie spalle. Gli alberi nel giardino erano molti e forse sarei sopravvissuta...

Oh, ma chi volevo prendere in giro? Mi sarei sfracellata al suolo come l'anguria che avevamo usato a scuola lo scorso anno, per un'esperimento di fisica. Non avevo speranze.

«Aria!» ringhiò, riscuotendomi dai miei pensieri. Il mio nome uscì dalla sua bocca come un'imprecazione «merda, che cosa ci fai qui?» mi scosse cercando di farmi parlare. «Co-come fai a conoscermi?» balbettai esitante. Conosceva forse mio padre? E lui gli aveva parlato di me? Non trovavo altra spiegazione.

Lui mi lasciò, come se scottassi. E fece un passo indietro.

Il mio sguardo saettò verso la porta e i muscoli delle mie gambe si prepararono a scattare, ma evidentemente lui se ne accorse «Non ci provare, moriresti in dieci secondi» disse infatti.

«Come fai a conoscere il mio nome?» la mia voce uscì più chiara e sicura di quanto mi aspettassi. Cosa che mi rese abbastanza fiera di me. Era evidente che non sarei uscita di lì con le mie gambe, quindi tanto valeva morire con dignità o -ancora meglio- con delle informazioni.

«Non importa, lo so e basta.» si passò una mano nei capelli frustrato «dobbiamo andarcene di qui, prima che qualcuno ti veda e si metta a fare domande.» voleva rapirmi? «non ci penso neanche a venire con te» dissi «non sono sola e di sicu...» l'occhiata ammonitrice che mi lanciò mi impedì di proseguire. Odiavo l'effetto che aveva su di me quel tipo. Dov'era finito il mio caratteraccio, ora che serviva?

«Senti, mettiamola così: in quest'edificio sta avendo luogo una cazzo di guerra, e tu non hai nessuna possibilità di cavartela da sola. Quindi in definitiva hai due possibilità.» prese fiato e mi guardò dritto negli occhi, per assicurarsi che recepissi il messaggio «La prima: scappi da me, disarmata e senza esperienza nel combattimento, e cerchi una via d'uscita prima che uno dei soldati sparsi in tutto l'edificio si accorga di te; esci da questo posto e scappi abbastanza velocemente perché qualcuno possa anche solo vederti da lontano. Moriresti nel caso contrario, ma non credo sia necessario ribadirlo. La seconda: ti fidi di me per i prossimi dieci minuti, vai a casa e dimentichi tutta questa storia, e da domani riprendi a vivere come se non fosse mai successo nulla.»

Avevo il volto in fiamme. Ma chi si credeva di essere questo qui? Io non lo conoscevo e di sicuro non mi fidavo di lui. Davvero pretendeva che lo seguissi come un cagnolino scodinzolante, subito dopo che mi aveva aggredita? Ma-ma... ma d'altronde che altra scelta avevo? Aveva ragione. Non ero assolutamente pronta ad affrontare una persona, figuriamoci un'intera squadra di soldati.

Merda! Lo odiavo. Non volevo il suo aiuto, ma non potevo nemmeno ignorarlo. Non se volevo salvarmi la pelle...

«Eh va bene» le parole mi uscirono in un ringhio e ne fui felice. Non doveva credere che fossi troppo arrendevole. Con un sorriso soddisfatto -che gli avrei volentieri strappato dalla faccia- raccolse il mio zaino e il coltello e me li porse «ne avrai bisogno», per poi avvicinarsi cautamente alla porta.

Mi fece segno di seguirlo senza fare rumore. Quando fummo in corridoio gli posi una mano sulla schiena per paura di perderlo, in tutta quell'oscurità. Sentii il suoi muscoli irrigidirsi a quel contatto inaspettato, ma non si ritrasse e io non avevo alcuna intenzione di staccarmi da lui.

Attraversammo tre stretti corridoio, prima di arrivare in una zona più illuminata della casa. L'unico rumore che si avvertiva era quello della pioggia e ogni tanto -per nostra fortuna- un lampo illuminava l'abitazione, rendendoci le cose un po' più facili. La mia guida puntava davanti a se una pistola, in caso qualcuno avesse deciso di metterci i bastoni tra le ruote, ma non servì.

In effetti la casa sembrava improvvisamente deserta e, stranamente, questo mi inquietò ancora di più. Quando arrivammo alle scale che portavano al secondo piano accelerammo il passo, paurosi che qualcuno approfittasse di quel momento per colpirci alle spalle. Avevo i nervi a fior di pelle e quel'assurdo silenzio, di certo, non aiutava. Tirai un sospiro di sollievo solo quando arrivammo al piano inferiore senza un graffio. Forse se ne sono tutti andati mentre eravamo nella stanza al piano di sopra...

Fu solo quando arrivammo al piano terra che capii quanto mi sbagliavo.

***

La prima cosa che notai fu l'odore. Non sapevo come avevo fatto a non percepirlo prima -forse ero troppo concentrata su qualsiasi rumore sentissi alle mie sentire spalle, paurosa che una sagoma nascosta nell'ombra stesse aspettando il momento in cui saremmo stati più vulnerabili per attaccare- ma il fumo rendeva l'aria irrespirabile.

Saettai lo sguardo in tutte le direzioni ma non trovai traccia di fiamme, anche se la luce rossa che illuminava l'ingresso, e che creava inquietanti ombre sulle pareti, né testimoniava la presenza. Probabilmente dalla mia posizione non era possibile vederle con chiarezza ma, in compenso, non avevo alcun problema a osservare una ventina di donne uomini armati che riempivano la stanza. Alcuni stavano scappando a gambe levate gridando ai loro compagni di seguirli, altri erano troppo occupati a combattere per mettersi in salvo.

Era una scena spaventosa e, tuttavia, il brivido che mi scese lungo la schiena non era certo dovuto alla battaglia in sé. Ma piuttosto al come si stava svolgendo. Una donna alla mia sinistra -con tanto di tuta nera e armi a portata di mano- aveva le mani sollevate sopra la testa e gli occhi chiusi, come se stesse invocando un qualche dio. Inizialmente pensai che stesse davvero pregando, e credetti anche che l'uomo che le stava puntando una pistola alla testa, le stesse concedendo qualche momento prima di sparare. Poi li vidi: dietro di lei si stavano sollevando i cocci di vetro e di terracotta che avevo visto entrando nella casa. In pochi secondi arrivarono fino a due metri d'altezza e puntarono nella direzione dell'uomo.

Ok sto sicuramente sognando. Non è possibile che io... che loro... non riuscii nemmeno a finire il pensiero che fui trascinata infondo alle scale su cui occhi blu ed io ci eravamo fermati sbalorditi per... per quanto tempo? sospettai che si fosse trattato solo di pochi istanti, anche se mi sembrava impossibile catturare così tanti dettagli in una manciata di secondi.

Quando la sua mano calda si strinse intorno alla mia sobbalzai per la sorpresa. Mi ero completamente dimenticata di non essere sola. Capii subito che mi stava indirizzando verso la porta momentaneamente sgombra. Il suo braccio destro era rigido, pronto a sollevare la pistola e a sparare se necessario -o magari anche se non si fosse rivelato necessario, dopotutto come potevo saperlo io? Non lo conoscevo per niente- ed io, senza nemmeno rendermene conto, lo avevo imitato. Strinsi le dita intorno al coltello che avevo portato da casa e preparai il mio corpo a scattare in caso di pericolo. 

Distrarre,colpire e affondare. Distrarre, colpire e affondare. Distrarre,colpire e affondare. 
Era una specie di mantra.

Dopo aver corso, esserci improvvisamente fermati per schivare qualcuno e aver ripetuto il tutto per un paio di volte, arrivammo davanti al rettangolo che fungeva da porta d'ingresso. Pensai di essere in salvo finalmente, quando al grido «KEVIN!»occhi blu si girò di scatto nella direzione della donna di prima e, senza darmi il tempo di capire che cosa stesse succedendo, mi buttò a terra cadendo sopra di me. Sentii un dolore acuto alla nuca e per un attimo credetti di svenire, ma quando vidi gli occhi della donna aprirsi all'improvviso e i cocci partire ad una velocità impressionante, colpendo qualsiasi cosa fosse più alto di cinquanta centimetri, tornai ad essere completamente lucida. Non riuscivo a distogliere lo sguardo dall'orribile scena che avevo davanti. Il silenzio che sentivo era assordante e l'immobilità degli uomini colpiti era straziante; ma tutto questo non era niente -NIENTE- in confronto a dieci corpi che si accasciano al suolo senza vita.

Quando riuscii a distogliere lo sguardo dall'uomo che era caduto proprio accanto a me, lo spostai sulla causa di tutta quella morte. Aveva uno sguardo crudele, come se godesse del dolore che aveva causato. E quando un piccolo sorriso sadico le si dipinse sul volto capii di non aver mai avuto più ragione.

Ero paralizzata. Vuota. Terrorizzata. E quando sntii un urlo disumano pervadere la stanza, non capii a chi appartenesse finché Kevin -a quanto pareva si chiamava così- non mi sollevò di peso e non mi tappò la bocca. «Aria smettila di dimenarti, ora ti porto fuori» mi sussurrò all'orecchio «ti porto fuori.»

Mi portò nella parte posteriore della casa, in un piccolo boschetto che, insieme a una rete, delimitava la proprietà. Mi posò dietro ad un cespuglio. Mi sollevò il mento con due dita in modo da guardarmi negli occhi «Ok, ascoltami» la sua voce era più dolce di quanto mi aspettassi «voglio che tu rimanga esattamente dove sei. Sarebbe pericoloso spostarsi da sola. I miei per fortuna non ti hanno ancora notata, o comunque sono troppo impegnati a salvarsi la pelle in questo momento per pensare che cosa fare di te» sentii il mio corpo tremare in modo incontrollabile a quelle parole: decidere che cosa fare di te... «ma una volta finito il combattimento» riprese dopo un momento «sarai in pericolo più che mai. Hai capito?» annuii. Dopo un sospiro teatrale mi prese la mano destra e strinse con decisione le mie dita intorno al coltello che evidentemente avevo perso nell'ingresso.

Gli afferrai la mano «Aspetta» lui sembrò sorpreso da quel contatto ma non ritrasse la mano «non vorrai tornare là dentro! Hai visto cos'ha fatto quella donna? T-tu...ti ucciderà.» Non mi sarei stupita se mi avesse detto di farmi gli affari miei, o se se ne fosse andato senza guardarsi indietro, ma non mi aspettavo davvero che si sarebbe messo a ridere in quel modo. Non dopo tutto quello che era appena successo. Questo ragazzo non ha tutte le rotelle a posto...

«Starò bene» disse quando riuscì a riprendere fiato. Delicatamente si allontanò da me e dopo essersi guardato intorno per esaminare la situazione scattò verso la casa, come se da questo dipendesse la sua vita. Probabilmente da questo dipende la sua morte pensai. Ma lui aveva fatto la sua scelta e io di sicuro non avevo alcuna intenzione di restar lì ad assistere a un'altra strage. Mi dispiaceva per lui -infondo mi aveva salvato la vita- ma non era il momento di lasciarsi andare alla compassione. Dovevo allontanarmi il più possibile da quella maledetta casa e, per una volta, sapevo esattamente come fare.

Ricordavo che proprio da quelle parti c'era un punto della rete che alcuni ragazzi avevano tagliato qualche anno prima. Non ne avevo mai capito il motivo, dato che era facile entrare dalla cancellata che dava sulla strada, e nemmeno ora potevo dire di aver intuito che cosa li avesse spinti a tanta fatica, ma non mi importava granché. Grazie a loro sarei riuscita a fuggire senza essere vista da nessuno. Inconsapevolmente mi avevano salvato la vita.

Annuii convinta e mi alzai con slancio. Ma non appena i miei piedi toccarono terra la vista cominciò ad appannarmisi. Mi appoggiai a un albero li vicino per non cadere, aspettando di riprendermi . Un velo di sudore gelido mi ricopriva il corpo ed ero scossa da violenti brividi. Che sta succedendo?

Mi passai la mano sotto al naso e quando me la portai davanti agli occhi vidi il dorso coperto da un denso liquido rosso. Non mi è mai sanguinato il naso in vita mia! Le gambe mi cedettero senza preavviso e presto mi ritrovai in ginocchio, incapace ti trovare la forza di muovermi.

Notai un movimento alla mia destra, con la coda degli occhi, Non può essere Kevin, se ne è appena andato. Provai con tutte le mie forze a muovermi, ma il mio corpo non rispondeva più ai comandi. Con uno sforzo sovrumano girai la testa quanto bastava per vedere la figura famigliare di una donna che mi sovrastava. NO!

Poi il buio.

   
 
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