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Autore: Inna    13/12/2015    4 recensioni
“Ti troverò dovessi smuovere l'universo intero” è il seguito di “Guarda solo me Ama solo me”.
Molte cose sono cambiate, la vita quotidiana, le persone, è mutata l’aria che si respira, il cielo e il canto degli uccelli…. Tutto…
Ryan e Strawberry sono stati divisi da un destino crudele, un destino che ha deciso di giocar con loro in modo sporco e cattivo fino a farli crollare ma…
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Ryo Shirogane/Ryan
Note: Otherverse | Avvertimenti: PWP
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Ti troverò dovessi smuovere l’universo intero 

 

Capitolo 2

 
 
Il cinguettio degli uccellini è così dolce e armonioso, mi fa quasi dimenticare che mi ritrovo in questa stanza da oltre un mese, mi fa dimenticare la sofferenza che sto provando fisicamente ma ancor di più psicologicamente.
Immaginate cosa significa sapere che una persona ha bisogno di te ma tu non puoi raggiungerla per starli vicino, immaginate cosa significa stare in pensiero tutto il giorno ventiquattro ore su ventiquattro passando le ore insogni immaginando il peggio.
Ho immaginato ogni cosa brutta che poteva esserli accaduto.
Ho versato litri e litri di lacrime prosciugandomi di loro.
Ho avuto paura di addormentarmi e di risvegliarmi con la consapevolezza che ogni singola immaginazione che mi sono fatta in questi giorni si sia avverato.
La mia angoscia sta facendo male, molto più delle ferite che Aki quel giorno a scuola mi lasciò, mi sono perfino chiusa in un mutismo.
Takumi è disperato, sta cercando in ogni modo di tirarmi su di morale.
Mi compra manga divertenti, libri d’amore e comici, ma niente mi risolleva da questa depressione.
Ogni giorno mi chiedo perché nessuno è passato a trovarmi?
Chi era quella persona quella sera?
Cos’è successo in questi tre mesi di letargo?
Ho chiesto tante volte a Takumi ma lui non mi ha mai risposto, anche questo è servito a chiudermi in mutismo.
Il suo silenzio mi sta assordando. Non ha nemmeno tentato di far finta di non sapere, mi ha chiaramente dimostrato di sapere eppure non parla.
 
La porta d’ingresso si chiude in un tonfo destandomi dal flusso dei pensieri.
Poco dopo sento i passi pesanti di Takumi fare le scale per raggiungere il secondo piano e subito dopo fare il suo ingresso in camera.
Tengo gli occhi chiusi, faccio finta di dormire. Non mi va di vedere i suoi tentativi di rallegrarmi perché non fanno altro che incrementare la tristezza dentro me.
Lo sento sedersi sulla sedia sospirando pesantemente, poco dopo sta facendo una guerra con un sacchetto di plastica e poi scendere in pace mangiando il suo contenuto. È uscito anche oggi a fare compere.
-stupida, smettila di angosciarti- sussurra con voce rimproverosa.
Mi sento i suoi occhi addosso, bruciano di rabbia.
Continuo a fare finta. Fingo di dormire mentre non riesco a fingere che tutto vada bene, perché lui non è qui con me, non mi ha cercato. Questo significa che gli è successo davvero qualcosa. Altrimenti mi avrebbe già trovato, non sarei in questo letto sola e disperata, ma starei sotto le sue cure.
Una lacrima violenta e aspra mi sfugge, scendendo lungo la guancia in un percorso immaginario.
All’altezza del petto mi sento avvolta in una sorta di nuvola negativa che mi stringe in una forza magnetica non lasciando libero modo ai polmoni di respirare.
Vorrei non essere così debole fisicamente, alzarmi dal letto e correre per la città alla sua ricerca.
Mi manchi e ho paura… voglio vederti ridere, voglio stringerti e piangere contro la tua spalla in un lungo sfogo, voglio baciare le tue labbra che quel giorno mi stavano dando l’addio, ma io non sono disposta a darti l’addio. Dovessi passare l’oceano a nuoto per trovarti, ti troverò e non ti darò l’addio, ma voglio passare l’intera vita insieme te.
Le lacrime s’infittiscono spezzando il respiro in singhiozzi, singhiozzi che si spargono sollevandosi in una tortura di lamenti.
Sento le dita di Takumi asciugarmi il viso senza proferire parola.
Lo so che non è colpa sua.
So che sta cercando di prendersi cura di me, e ci sta riuscendo. Ma… ma non riesco a sorriderli, non riesco a non piangere a non pensare a cose spaventose. Non posso non pensare a Te.
-vuoi uscire fuori a cambiare aria?- propone con voce dolce e accondiscendente.
Annuisco senza aprire gli occhi.
Mi scopre per poi passare una mano dietro la schiena e l’altra sotto le ginocchia, passo un braccio dietro il suo collo per sorreggermi mentre l’altra mano la porto davanti alla bocca e al naso per trattenere il pianto isterico che mi sta attaccando.
Il ragazzo senza lamentarsi mi porta giù per le scale in penombra, illuminate solo da quella finestra posta in alto, le pareti sono di un verdastro freddo, lo stesso colore continua anche all’ingresso di casa, questo molto più luminoso, fino a portarmi fuori in giardino. Mi adagia delicatamente su una sedia all’ombra della stessa casa.
L’aria fresca, completamente diversa da quella della camera mi avvolge fra le sue braccia dandomi il benvenuto nel mondo dei vivi, sì, perché stando lì, fra quelle quattro mura è come essere morta per il resto del mondo.
La luce è molto più forte e i miei occhi inizialmente ne soffrono ma ora sto incominciando ad abituarmici.
Poco più lontano da qui, sui rami dell’albero accanto al muro del giardino, c’è un uccellino che sta cantando come a darmi il benvenuto. Apro bene le orecchie e chiudo gli occhi per assaporare ogni suo singolo suono. Ad accompagnarlo in questa melodiosa canzone c’è il fruscio dell’acqua che scorre nelle vicinanze.
Smetto di singhiozzare e le gotte bagnate si stano asciugando grazie all’aria fresca della giornata.
Le piante sono in fiore e l’erba è splendidamente verde.
Anche una come me, che è stata a dormire per tre mesi si è accorta che la stagione della primavera ha rubato il posto all’inverno, risvegliando tutti gli animali che all’inverno preferiscono dormire.
La primavera è segno di rinascita e io sento che rinascerò, diventerò più forte, scaccerò dalla vita di Ryan quella vipera Inglese.
 
 
Ogni giorno mi faccio portare fuori da Takumi per osservare il cielo azzurro, quello stesso azzurro che mi ricorda i tuoi occhi.
Il ragazzo mi lascia lì, con tanto di bibita fresca e libri per non annoiarmi mentre lui rientra in casa a fare solo dio sa cosa.
Mentre sono tranquilla a osservare di là della recinsione in muro la signora anziana con la busta della spesa per poi fermarsi a parlare con un signore che è a spasso con il suo barboncino, un bisogno urgente, mooolto urgente mi colpisce.
La pancia sta implorando e la mia forza interiore sta cedendo a questo bisogno estremamente necessario.
-Takumi- chiamo stingendo l’elastico lì dove il sole non batte mai –Taakumiiii…- questa volta urlo disperatamente.
Non vedendolo arrivare, inizio a disperarmi seriamente.
Con uno sforzo inumano e con l’aiuto delle mani mi sollevo dalla sedia. Lascio cadere il corpo sul muro per prendere a respirare regolarmente cosa che avevo smesso di fare nel frattempo che mi rialzavo.
Uso il muro come sostegno mentre con passi incerti e piccoli mi avvio verso l’entrata.
Dopo un tempo che mi sembra infinito arrivo davanti alla porta del bagno.
Non voglio pensare a tutto lo sforzo e i movimenti acrobatici che ho dovuto fare per calarmi i pantaloncini e la biancheria.
Dopo aver sodisfatto quel bisogno necessario mi assale un dubbio.
Takumi dov’è? Quando oggi mi ha portata fuori ha detto che sarebbe stato in salotto a studiare. Allora perché la casa è vuota?
-Takumi?- la mia voce rimbomba nella mia testa ma non c’è nessuna risposta ad arrivare in cambio.
Reggendomi sul muro muovo piccoli passi verso l’uscita.
Le gambe stano implorando pietà, non vogliono più reggere il mio peso, non vogliono fare un altro passo.
Raggiungere la sedia fuori è troppo lontano ma sedermi sul divano è lontano, troppo lontano dal muro.
Scivolo fino a toccare terra con il fondoschiena. Il parchè del salotto è impolverato all’esatto modo della camera di Takumi, come i mobili e i vetri, sembra che in questa casa sia scoppiata una bomba di polvere.
-Takumi- sussurro l’unico nome che in questo periodo ho pronunciato ad alta voce.
Sono in bilico fra la disperazione e la solitudine.
Mi sento sola, abbandonata da tutti.
Non è normale che nessuno è venuto a trovarmi. Non è assolutamente normale che mi trovo a casa di Takumi, che oltretutto vive da solo in una casa famigliare.
Mi rialzo non lasciando mai il muro, con altri passi piccoli e incerti arrivo alla mia postazione.
Mi siedo per afferrare il libro comico e riprendere a leggere.
Takumi pensa che leggendo questi libri mi sentirò meglio e che riuscirò a dimenticare il dolore che il mio corpo sta affrontando da più di un mese, o almeno da più di un mese che io sono sveglia altrimenti fano quattro mesi.
 
Il sole sta calando, l’orizzonte ha assunto quell’aura arancione calda, i lampioni gialli si sono accesi ma non sono più potenti del tramonto. L’acqua continua a scorrere impetuosa a qualche metro da me, abbastanza lontano da non farsi vedere ai miei occhi ma vicino da farsi sentire.
Per tutto il giorno non ho visto Takumi.
Forse era stufo di dover stare in casa a servire ogni mio capriccio, sarà andato fuori con i suoi amici.
Non lo biasimo.
In fondo è un giovane ragazzo, ha bisogno dei suoi spazzi e del suo divertimento, dell’adrenalina che ogni ragazzo alla sua età cerca.
L’aria fresca della sera prossima ad arrivare mi fa alzare in piedi, con mille sforzi e sofferenze, per rientrare in casa.
Impacciata e dolente raggiungo il salotto, al suo centro c’è il divano rosso mentre in un angolo vicino alla finestra alle spalle del divano, c’è un tavolo con tre sedie attorno.
Opto per la sedia, dato che purtroppo il divano è una meta impossibile, almeno in queste condizioni non raggiungerò mai.
Mi accomodo su quella sedia. Mi lascio cadere sullo schienale per riempire i polmoni.
La stanza è illuminata solo dalla luce che deriva da fuori. È molto solitaria e lugubre, esattamente come mi sento in questo esatto momento.
Una cosa è certa, sono sola, ma non per scelta di quelle persone che vorrei avere udienza, sono sicura che sia successo qualcosa.
Appoggio la guancia sostenendolo sul palmo della mano mentre gli occhi volano fuori dalla finestra con la testa piena di dubbi e domande.
Lì vicino al muretto di una cinquantina di centimetri c’è un ragazzino, alla luce di quel lampione i suoi capelli sono rossicci ma non sono sicura che sia quello il loro vero colore, sta facendo avanti e i indietro con testa china, come se stesse cercando qualcosa.
Lo osservo alla sua insaputa.
Potessi camminare liberamente andrei ad aiutarlo, ma non posso, non sono libera di fare ciò che voglio.
Distolgo lo sguardo da fuori per portarlo sulla coscia fasciata.
Seguo le linee che la fascia bianca ha formato a ogni giro che le è stata fatta.
Porto la mano libera accanto alla fasciatura ma senza toccarlo. Al solo guardarla mi fa senso, sento la ferita bruciare e darmi fastidio.
Ricordo gli occhi di Takumi quando ieri sera me l’ha fasciata, erano fermi, distaccati ma nonostante quella specie di muro che aveva creato ho visto la compassione prendere il sopravento anche se solo per un secondo.
Non ho mai osato guardare quanto quella ferita sia grave, non ho mai osato guardare nessuna delle due.
Riporto lo sguardo fuori dalla finestra, il ragazzino è ancora lì a fare lo stesso percorso avanti e indietro.
Possibile che non ci ha ancora rinunciato, cosa può mai aver perso?
Sono completamente immersa sulla figura graziosa di quel ragazzino quando improvvisamente, dal nulla sovrapponendosi per un’istante con la figura del ragazzino per poi trovarsi in giardino c’è una figura alta e snella.
Ha dai lunghi capelli neri che li arrivano fino alle spalle, pantaloni che si allargano alla fine e una maglia aperta che li mostra il petto bianco pallido. Ha spaventarmi maggiormente non è il fatto che un estraneo sta camminando in direzione della casa ma che quel estraneo ha le orecchie uguali a quelli di Ghish, Pai, Tart, Eizo e… e di Aki.
Batto le palpebre quando quella figura scompare, o per lo meno lascia spazio alla famigliare e amichevole figura di Takumi.
Sono perplessa. Dov’è andato a finire quell’allineo, sono sicura di aver visto un alieno.
Sbatto più e più volte le palpebre ma la figura che continuo a vedere è quella di Takumi.
-Strawberry- lo sento urlare, quando dev’essere arrivato alla postazione dove questa mattina mi aveva lasciato e non avermi più ritrovata lì.
Compare sulla soglia della porta con il fiatone e lo sguardo spalancato come a voler vedere meglio, come a voler sfidare le tenebre della stanza nella quale mi ritrovo immersa da non so più quanto tempo.
-Strawberry- urla di nuovo.
I suoi occhi non si sono ancora abituati alla luce dell’ombra.
-si- rispondo con voce flebile e subito dopo sentire il tik di un interruttore premuto. La stanza s’illuminata rivelando la mia persona seduta sulla sedia con lo sguardo rivolto a lui, e Takumi guardarmi perplesso, ci guardiamo per un po’ prima che lui interrompa il silenzio.
-o mio dio, stai bene- dice con voce grata mentre corre verso di me.
Mi stringe fra le sue braccia infondendomi calore. In un primo momento tentenno prima di alzare le mani e afferrare la maglietta bianca dietro la schiena del ragazzo.
Non mi accorgo che sto piangendo non fino a quando i singhiozzi popolano la stanza.
-ti prego perdonami- sussurra fra i miei capelli.
-mm…- mugolo fra le lacrime. Non credevo di essermi spaventata così tanto, non pensavo di arrivare a piangere quando avrei rivisto Takumi tornare.
-sono qui. Sono qui- il suo tono di voce è amichevole e confortante a tal punto che le lacrime smettono di scendere.
Mi ricompongo per poi appoggiarmi allo schienale della sedia e guardare Takumi ancora seduto sui suoi talloni di fronte a me.
-per favore Takumi, mi porti a letto, sono stanca- non mi risponde semplicemente si alza in piedi e con un semplice gesto mi prende in braccio.
Mi rimette a letto aggiustandomi il cuscino sotto la testa in modo che io sia comoda.
-non mi preparare la zuppa, questa sera non voglio niente- sussurro sentendomi più nel mondo dei sogni che nella stanza con lui.
Chiudo gli occhi e come se automaticamente alla loro chiusura io mi dovessi trovare in un sogno.
 
Mi muovo nel letto con una necessità identica a quella di oggi pomeriggio, ma non voglio svegliare Takumi, desidero che se ne stia per un po’ in pace. Deve recuperare forze che durante la giornata io li faccio sprecare.
È proprio per questo motivo che continuo a dimenarmi sotto la leggera coperta.
Trovandomi al limite dello sforzo, decido di alzarmi, aiutandomi con le cose che mi circondano sorreggendomi su di esse.
Sulla sedia accanto al letto non c’è la sagoma del ragazzo che ogni notte la passa lì accanto a me, come a proteggermi dal buio. Mi convinco che forse è andato a dormire sul divano.
E con questo pensiero mi avvio verso il bagno che per mia fortuna si trova accanto alla camera di Takumi.
Con un gesto impacciato abbasso la maniglia per spingere la porta rivelandomi il bagno illuminato, di fronte al lavandino con l’espressione di chi è stato colto in fragrante c’è Takumi.
-ma cosa..?- mi chiedo ad alta voce osservando il ragazzo. Fra i denti serra la fascia bianca con la quale si sta fasciando l’avambraccio, sul lavandino ci sono alcuni oggetti da kit medico.
-strawberry, che ci fai qui?- mugola a denti serrati.
-perché ti sati fasciando l’avambraccio?- domando tenendo gli occhi sul suo braccio.
-è una lunga storia- risponde lui continuando a fasciare.
-cosa ti è successo?- insisto.
-niente, giocavo a calcio con i miei amici, sono caduto e mi sono tagliato contro un sasso- spiega completando l’opera –tu invece come sei arrivata fino a qui?- mi corre incontro sorreggendomi per le spalle.
-volevo usare il bagno- arrossisco vergognosamente.
-dai ti aiuto- mi porta al suo interno posizionandomi di fronte al wc.
Osservo la tazza bianca difronte a noi per poi portare lo sguardo su Takumi, il ragazzo ricambia lo sguardo, continuo a guardarlo accigliata.
-allora cosa stai aspettando, un invito a buttarti fuori?- domando acidamente.
-hahaha … forse era proprio quello che mi aspettavo- risponde lui ma senza muoversi di un millimetro.
-allora?- chiedo guardandolo con insistenza.
-sessanta minuti, come sempre- risponde lui divertito.
-te ne vai?- chiedo spazientita, anche perché sento che non riuscirò a trattenermi a lungo.
-fammi pensare…- alza lo sguardo verso un punto indefinito come a meditare sulla cosa -..no- risponde secco.
-si- urlo disperata.
-no-
-si- li mollo un pugno sulla spalla.
-nemmeno per sogno, voglio guardarti mentre fai la cacca- dice fin troppo divertito.
-nooo..- urlo spaventata dalla cosa, nemmeno per sogno –esci- strillo.
-oo hoho non se ne parla- risponde accomodandosi sul bordo della vasca da bagno –io resto qui- asserisce con un sorrisino che non appena guarirò glielo toglierò dalla faccia a suon di pugni.
-giuro che ti ammazzo, ora vai fuori se desideri ancora vivere- lo guardo con insistenza e uso il tono più minaccioso che io possa mai avere.
Sorride sfidandomi con lo sguardo.
Di certo non mi tiro indietro.
-e va bene, me ne vado prima che te l’ha fai addosso, non mi va di pulirti le mutande di cacca- dice derisorio uscendo finalmente dal bagno.
Tanto dopo gliela faccio pagare a quello stronzo ma ora l’importante è che io mi liberi da questi… em… sostanze superflue.
Mi lavo le mani con il sapone, e con passo incerto sorreggendomi ai mobili arrivo alla finestra, sto per aprirla quando i miei occhi vanno a finire sulla figura del ragazzino in strada che sta facendo avanti e indietro con la testa china.
Rabbrividisco a quella visione solitaria.
Com’è possibile che si trovi ancora lì fuori, cosa c’è di così importante che non li permette di ritornare a casa, e i suoi genitori dove cavolo sono finiti da non accorgersi che loro figlio non è tornato a casa?
Apro la finestra per espormi leggermente in avanti. La brezza notturna, fresca e umida mi soffia sulle guance.
-ehi, ragazzino, che ci fai lì torna a casa- urlo indirizzandomi a lui.
Quel bambino continua a camminare avanti e indietro come se io non esistessi, come se il buio della notte non lo avesse avvolto.
-eehi- cerco di richiamarlo, purtroppo non riesco a urlare molto, lo stomaco brucia maggiormente se sforzato.
-Strawberry che succede?- domanda Takumi dietro la porta del bagno –sto entrando- dice per poi un attimo dopo spalanca la porta e raggiungermi.
-là..- indico con il dito verso il ragazzino -.. c’è un bambino da questa sera che sta cercando qualcosa, ma non può stare fuori tutta la notte- dico senza staccare mai lo sguardo da quel ragazzino.
-capisco..- sussurra lui, ho l’impressione che non abbia nulla da dire, come se la cosa non lo toccasse minimamente, come se un ragazzino che passa l’intera notte fuori casa in mezzo alla strada fosse la cosa più normale che si possa vedere. No, non ci sto, io non sono della stessa idea.
-hei bambino, tesoro, devi tornare a casa, la tua mamma e il tuo papà saranno preoccupati- continuo a urlare, sentendo forti fitte al addome.
Mi piego in due dal dolore, con una mano mi stringo la ferita mentre con l’altra continuo a sorreggermi tenendomi sul muro.
-hai sentito? Torna a casa, domani troverai quello che cerchi- insisto.
Il dolore s’infittisce facendomi arrivare le lacrime agli occhi.
-su, torniamo a letto- mi prende in braccio.
-non riuscirò mai a dormire sapendo che quel bambino passerà la notte lì fuori- dico a fior di labbra sentendomi l’animo stritolato da rami spinosi.
-invece devi dormire, altrimenti come pensi di rigenerare le ferite?- chiede rimproveroso.
-ma..- m’interrompe –niente ma, ora tu dormi, io vado là fuori e mando a casa quel bambino, okay- se prima aveva iniziato a parlare rimproveroso verso la fine della frase assume un’espressione compiaciuta.
-va bene- dico facendomi mettere sotto le coperte, come una bambina – grazie Takumi- sussurro quando il ragazzo mi ha dato le spalle per uscire dalla stanza.
Nel silenzio della notte, sento i passi decisi di Takumi scendere le scale velocemente, aprire la porta d’ingresso e poi nulla. Non si sente niente, nemmeno il suono dell’acqua di quel fiume che durante il giorno riesco a sentire quando sono fuori.
Uno di questi giorni voglio chiedere a Takumi di portarmici.
La porta d’ingresso si richiude e subito dopo i passi veloci di Takumi salgono i gradini fino a ritrovarmelo nuovamente in camera.
-allora?- chiedo ansiosa.
-è tornato a casa- mi sorride per poi lasciarsi cadere sulla sedia.
-menomale- sospiro finalmente rilassandomi.
 
 
I raggi del sole si sono posati sulle mie guance come a darmi il bacio del buongiorno, forse sono stati mandati da te, volevi farmi sentire il tuo calore. Mi piacerebbe fosse così, ma so che è solo un mio desiderio.
Apro gli occhi con la testa incasinata da pensieri simili.
Mi accorgo che Takumi non è sulla sua sedia.
Porto lo sguardo sulla soffitta ma senza vederla realmente.
-ti sei svegliata?- sento dire da Takumi che ha fatto capolino in stanza con il kit medico sottomano.
-giorno- lo saluto a mia volta con un sorriso.
-pronta a farti medicare le ferite?- domanda appoggiando quelle cose sul comodino alla testa del letto.
-non proprio- rispondo.
-io si invece- mi prende in giro.
-e certo a te non fa male e non brucia quando me la lavi con quella roba blu- lo rimprovero.
Lo vedo stappare la bottiglia bianca e metterci un panno sul boccale per bagnarlo lo appoggia sulla mia pancia e inizia a levarmi la fasciatura bianca.
Quando lo leva completamente e la getta a terra, con un dito sfiora la ferita senza calcare, come a volersi assicurare di ciò che i suoi occhi scorgono.
-cerca di resistere- dice infine afferrando il panno che in precedenza aveva bagnato.
Annuisco serrando forte i denti come per non permettere al dolore di raggiungermi.
Inizia a medicarmi e il dolore che provo è atroce.
-resisti piccola ho quasi finito- dice lui cercando di fare in fretta.
Dopo pochi minuti finisce di pulirla e finalmente posso prendere a respirare.
-vuoi guardare la tua ferita?- domanda sorridendomi.
Lo osservo per qualche secondo senza proferire parola, non sono sicura di voler guardarla, e se è più grave di quanto me la immagino… mi demoralizzo e non mi muovo più da questo letto, questo è sicuro, passerò il resto dei miei giorni a marcire.
-guardala, non avere paura- asserisce convincendomi a farlo.
Mi sollevo appena sui gomiti per osservarlo.
Vedo il taglio che la lama ha lasciato quando è stata conficcata nello stomaco. Si trova poco in alto dell’ombelico, credevo che lo squarcio fosse più aperto e invece si sta molto rimarginando.
Sorrido per poi alzare lo sguardo su Takumi.
-sta guarendo m’informa lui, e quella sulla gamba è molto meglio- asserisce dandomi la notizia più bella che potesse darmi –devi continuare a prendere la zuppa per guarirla internamente e poi sarai come nuova- conclude sorridente.
-dammi anche tre portate di zuppa, voglio guarire subito.- dico ansiosa.
Il ragazzo scoppia a ridere –con calma strawberry, con calma- dice cercando di farmi tranquillizzare.
Finisce di fasciarmi, ritorna in stanza con la porzione di zuppa.
Questa volta la mangio più velocemente, resistendo al disgusto e al dolore, sì perché sono più convinta e motivata.
Guarirò e verrò a cercarti, promesso…
-senti Strawberry..- interrompe il flusso dei miei pensieri Takumi –ti va se facciamo delle specie di esercizi per farti abituare al dolore e così far emarginare bene la ferita?- chiede quasi timoroso.
-e me lo chiedi- urlo quasi, di gioia.
-dobbiamo cercare di farti camminare, a stare seduta ti ho già iniziata a farti abituare ma anche camminare ci hai già provato- dice guardandomi negli occhi.
-sono prontissima- asserisco al settimo celo.
Mi prende in braccio e mi porta fuori.
-l’aria fresca ti aiuta a rilassarti- dice mettendomi a terra.
Sorreggendomi a lui, inizio la mia riabilitazione.
Stiamo facendo avanti e indietro per il prato a piedi nudi.
Ma purtroppo mi stanco subito e mi ritrovo seduta sulla sedia a rimproverarmi mentalmente perché mi sento un incapace.
-tranquilla, vedrai che col tempo riuscirai a camminare anche da sola senza doverti sorreggere a nulla e nessuno per molto tempo fino a guarire del tutto- dice il ragazzo posando sul tavolo un bicchiere di acqua.
Sorrido senza aggiungere altro.
Lui mi dice che usciva per un po’ mentre io rimango seduta a dover leggere uno dei libri che Takumi mi ha portato.
Quando alzo lo sguardo dal libro, si presenta la scena della signora anziana con il pane che si ferma a chiacchierare con l’anziano signore che porta a spasso il suo cagnolino e poco più in là il bambino con la testa china che fa avanti e indietro alla ricerca di qualcosa.
 
Sono stata qui fuori per tutto il giorno e incredibilmente si ripete la stessa identica scena. Il ragazzino che fa avanti e indietro, la signora con il pane che si ferma a parlare con il padrone del cane.
Non per fare la paranoica, ma qui c’è qualcosa che non va.
Mi tasto il corpo, eppure sembra reale, sento le mie mani sul corpo e sento anche il dolore, quindi non sto dormendo.
Possibile…?
Possibile che sono morta e tutto questo è soltanto un illusione?
 
 
 
 

Angolo Autrice:

Care lettrici, con “Guarda solo me Ama solo me” vi avevo lasciate con un finale a sorpresa, molte di voi sono rimaste male da quel finale inaspettato… hihihi ve la siete anche presa un pochetto…
Il mondo delle mew mew è cambiato moltissimo rispetto a come vi siete abituate a vedere, e negli prossimi capitoli lo vedrete anche voi, per questo ho deciso di tagliare…
Dopo la separazione violenta di Strawberry da Ryan la ritroviamo nella camera da letto di Takumi, persa nelle sue paure e paranoie.
Secondo voi che fine ha fatto Ryan e Strawberry riuscirà a rincontrarlo?

Con questa domanda vi lascio ringraziandovi tutte per aver letto la mia storia.
Un bacio enorme a tutte :*
Inna :)
  
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