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Autore: Jules_Weasley    20/12/2015    8 recensioni
Siamo nel Post Seconda Guerra Magica, qualche anno dopo la caduta di Voldemort: Hermione, tornata da un viaggio di qualche mese, bussa al negozio del vecchio Ollivander, con una richiesta molto strana. La sua vita non è come la vorrebbe e la guerra le ha fatto realizzare che ha una sola possibilità di essere felice, e non la vuole sprecare facendo quello che è opportuno o che ci si aspetta da lei. Ora, di nuovo in Inghilterra, decide di virare la rotta ed imparare a creare qualcosa con le proprie mani le farà riscoprire le piccole grandi gioie dell'esistenza. In tutto ciò dovrà anche fare i conti con una vita sentimentale... movimentata. Che fine ha fatto Ron? E quale sarà il ruolo di Fred nella sua vita? E quale sarà quello di Malfoy? Questa storia sarà una Fremione o una Dramione? O semplicemente la storia di una ragazza che cerca il suo posto nel mondo? Queste sono le domande, la risposta è la storia...
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Fred Weasley, Hermione Granger, Olivander | Coppie: Draco/Hermione, Fred Weasley/Hermione Granger, Harry/Ginny
Note: OOC | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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Questo è un capitolo più introspettivo, pieno di ricordi; penso ci volesse. Spero vi levi qualche curiosità, ma ogni dubbio si scioglierà completamente tipo al penultimo capitolo. Spero vi soddisfi (lasciatemi un commento in merito; a questo capitolo ci tengo veramente tanto).

Buona lettura gente!





CAPITOLO DICIOTTO – La verità, Hermione




La verità è una cosa meravigliosa e terribile,

e per questo va trattata con grande cautela.

Albus Silente





Bussò piano alla porta del magico edificio in Grimmauld Place n.12, quasi sperando che Harry e Ginny non udissero i suoi colpi sordi, in modo da non doverli affrontare. Non era mai stata così poco entusiasta di entrare in casa Weasley-Potter.

Un ragazzo magro e occhialuto, i cui occhi verdi mostravano profonde tracce di irritazione, aprì e si scostò di lato per lasciarla passare.

Non ha parlato, cattivo segno.

"Harry..." pigolò Hermione, già in difficoltà.

Entrò a testa bassa nell'ingresso e percorse lo stretto corridoio, diretta al salotto in cui di solito Ginny ed Harry passavano la maggioranza del tempo. C'erano molte sale dove potersi stravaccare su un divano e chiacchierare o prendere il tè, ovviamente. In effetti, quella casa era troppo grande per due sole persone, e alcune stanze restavano sempre chiuse ed inutilizzate. Hermione alzò il volto per incontrare gli occhi dell'amico.

"La verità" disse il ragazzo. "Qualsiasi cosa tu debba dire, fa che sia la verità".

La ragazza storse la bocca e si morse la lingua, trattenendosi per non peggiorare la situazione, quando la porta del salotto si spalancò lasciando uscire Ginny e Ron Weasley, entrambi evidentemente piuttosto seccati dalla conversazione che avevano appena sostenuto.

Hermione fu alquanto stupita di vederlo lì, ma non provò imbarazzo. L'incontro della sera prima le aveva fatto un gran bene; riuscì perfino a sorridergli. Forse, si ritrovò a pensare, un giorno sarebbero anche potuti tornare amici.

"Mh... ciao" la salutò Ron, rosso fino alla punta delle orecchie. La strega ebbe la sensazione che lui e Ginny avessero discusso ampiamente l'argomento 'Hermione esce con Draco Malfoy', ma scoprì che non le faceva particolarmente effetto.

"Ciao!" replicò cordiale, sotto gli occhi basiti degli amici.

"Ehm, io vado" bofonchiò Ron. "Ginny... Harry... Hermione" si congedò e si dileguò in fretta, quasi avesse un mastino alle calcagna.

Hermione notò la faccia stupita di Harry, dovuta alla reazione composta e relativamente sciolta che lei aveva mostrato in presenza dell'ex ragazzo.

"Ci siamo visti ieri sera" chiarì. Ginny – come aveva sospettato – non sembrò sorpresa, segno che Ron l'aveva già informata dell'accaduto.

"Visti?"

"Incontrati, Harry" si corresse. "Al ristorante".

"...dov'eri a cena con Malfoy" concluse Ginny con uno sbuffo.

"Te l'ha detto, eh?" chiese Hermione. Ginny annuì senza problemi. Harry invece sembrava un po' spaesato; evidentemente Ron ne aveva parlato a Ginny proprio nel momento in cui lui si era recato ad aprirle la porta.

"Me l'ha accennato" specificò la rossa, più al suo ragazzo che all'amica. "Ron era con Lavanda e – a quanto ho capito – è rimasto un po' scioccato nel vederti al tavolo con il Furetto" aggiunse. Hermione si preparò a parlare, esordendo in tono calmo:

"Ginny, mi spiace, ma non penso siano affari suoi se io e Draco..."

"Draco! Oh, Merlino! Quando ti trasferisci al Malfoy Manor?" Harry Potter aveva appena sganciato la bomba che stava trattenendo da quando Hermione era entrata.

"Senti Harry" replicò, "mi spiace che lo abbiate scoperto da un settimanale, ma non accadrà niente del genere, davvero. Siamo alla terza uscita; sono i giornalisti che hanno montato tutta la storia per conto loro". Ginny sbuffò e Harry alzò gli occhi al cielo, come se non volesse crederle.

"C'era scritto che state insieme, però" ribattè l'amico.

"E da quando credi al Settimanale delle Streghe?" domandò con la voce un po' troppo acuta per risultare del tutto calma. "Stare insieme e uscire insieme sono due cose differenti, non trovate?" chiese poi, ragionevole. Harry esitò.

"Hermione" gracchiò, "non puoi davvero uscire con Draco Malfoy! Ti ricatta? Ti tiene sotto Maledizione Imperius? Oppure sei impazzita, e in tal caso al San Mungo ci sono moltissimi Medimaghi in grado di darti una mano".

"Non sono pazza!" esclamò. Non ci avrebbe giurato, ma era meglio non specificarlo davanti a loro. "E non mi ricatta; però – per Merlino! - non ci sposeremo. Siamo solo usciti: non è grave". Non avrebbe dovuto dirlo, proprio no.

Harry, che stava apparecchiando la tavola a colpi di bacchetta, lasciò cadere un piatto, che si frantumò a terra con un fracasso enorme. Ginny si girò a guardarla, altrettanto perplessa e irata.

"Non è grave?" fecero in coro. Quando si dice un corpo e un anima.

"Ehm" non trovava di meglio per replicare. Come giustificarsi con i suoi migliori amici che la squadravano in cagnesco?

"Quel platinato con cui ti fotografano è Draco Malfoy; lo stesso che ti ha riempito di insulti e dispetti per sette anni..." le fece notare Harry.

"Facciamo sei" lo corresse. "L'ultimo anno non è stato così stronzo" si rivolse a Ginny, che era tornata a scuola con lei.

"Non cercare di tirarmi in mezzo" la bloccò la rossa. "E' vero, certo, ma questo non toglie che sia Malfoy, per tutte le cavallette!" urlò.

Quando Ginny strillava in quella maniera, chiunque si sentiva intimidito, compreso Harry Potter, che la guardò di sottecchi e tacque.

"So chi è!" ribattè Hermione. "Non ho bisogno che me lo ripetiate ogni due minuti!"

"Davvero? A me non sembra che tu abbia ben presente il soggetto" intervenne il Prescelto. "Se non è un Imperius credo che ti abbia fatto un Confundus, è l'unica spiegazione plausibile".

Hermione alzò gli occhi al cielo, idecisa se fracassare la testa al suo migliore amico o autopunirsi come un Elfo Domestico. Guardò Ginny, poi di nuovo Harry.

"C'è qualcosa che non so?" le domandò, il tono inquisitorio. "La verità, Hermione" ripetè in tono piuttosto persuasivo. Ci mancava solo che la minacciasse in Serpentese, e poi sarebbe stato raccapricciante. Fu Ginny ad intervenire.

"Cerca di capire, tesoro" le disse, più dolce. "Per Harry è piuttosto strano che tu e Malfoy usciate insieme così, di punto in bianco".

"Che vorrebbe dire 'per Harry è strano'?" domandò il ragazzo.

Quel tono materno, incoraggiante, e il lampo di comprensione che aveva visto passare negli occhi dell'amica – come se improvvisamente avesse realizzato qualcosa – la misero in sospetto.

"Tu lo sapevi!" esclamò saltando su come una molla dal divano, su cui si era seduta. Ginny si ravviò la fluente chioma rosso fuoco con un gesto della mano e distolse lo sguardo per un attimo. Hermione si rese conto di essersi tradita quando vide il volto sconcertato di Harry. Ora avrebbe dovuto spiegare. Si sentì una totale idiota; poteva attendere di essere sola con Ginevra, anzichè uscirsene a quel modo.

"Ho fatto due più due, ecco tutto. All'epoca avevo notato qualcosa di strano nel vostro rapporto, ma solo adesso ho capito". Harry appariva sempre più perplesso.

"Potrei essere messo a parte della conversazione?" chiese pacato.

Quella calma eccessiva fece temere a Hermione uno scoppio improvviso di rabbia. Evidentemente anche Ginny dovette pensarlo, perché si affrettò a spiegare come meglio poteva.

"Non si esce con una persona con la quale non hai intrattenuto mai rapporti che vadano oltre gli schiaffi e gli insulti". Harry continuava a guardare entrambe piuttosto stranito.

"E da questo cosa dovrei dedurne?" chiese.

"Che Hermione e Malfoy non sono più nemici da un pezzo!" calcò sulla parola nemici come se volesse far capire tutta la potenza dell'eufemismo utilizzato; era evidente che non se la sentiva di usare parole più esplicite per non scioccare Harry più del necessario. Il Ragazzo Sopravvissuto si accasciò sul divano, in attesa di ulteriori spiegazioni.

"Prima che pensiate che io vi abbia nascosto una relazione scabrosa per anni e anni, lasciate che vi spieghi".

"Non aspetto altro, Hermione" disse Harry, senza sollevare lo sguardo dal parquet chiaro, in legno di betulla.

"Era l'ultimo anno, la guerra era appena finita e tu e Ron non siete tornati a Hogwarts con me, te lo ricordi?" iniziò la strega. Harry inarcò le sopracciglia tanto che svanirono sotto la frangia scura, che ancora copriva disordinatamente la cicatrice che gli segnava la fronte.

"Stai dicendo che la colpa è mia e di Ron perché non siamo voluti tornare a scuola?"

"Non ha detto questo" Ginny intervenne in sua difesa.

"Infatti, non l'ho detto; stavo solo ripercorrendo i fatti" Hermione si morse il labbro inferiore per non dire altro; non era il caso di aggiungere provocazioni in quel frangente. Harry tacque e fece un cenno d'assenso, lasciando che continuasse a parlare.

"Io e Malfoy ci siamo avvicinati, è vero" e volse lo sguardo a Ginny. "Io-io non so spiegare bene come sia accaduto" la voce tremò al ricordo di quei giorni in cui – nonostante con lei ci fossero Ginny, Neville, Luna – si sentiva sola e dannatamente triste. La fine della guerra non aveva alleviato le sue pene – o così le pareva allora. Le aveva lasciato solo una dolorosa vittoria costellata di perdite, oltre a dei tremendi incubi che tormentavano ogni sua nottata.

"La situazione con Ron era strana, Harry". Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, in un gesto abituale, e annuì nuovamente.

"Qualsiasi cosa tu abbia fatto, so che non l'hai tradito" la rassicurò, intuendo i pensieri dell'amica. "Mi ricordo benissimo che non stavate ancora insieme e che Ron era poco chiaro, nonostante vi foste baciati".

"E le avrà scritto sì e no due righe in un anno" la supportò Ginny, che ricordava perfettamente lo stato di frustrazione in cui versava Hermione i primi tempi durante la scuola.

"D'accordo" convenne Harry. "Arriviamo al sodo. Dici di non sapere come, ma dovrai sapere almeno quando è iniziata questa..." – si interruppe – "... qualunque cosa ci sia stata tra te e Malfoy, o no?"






Hermione era seduta sull'erba umida, sotto il salice dove lei, Harry e Ron solevano ripassare o ripetere per i compiti in classe. Più propriamente, lei ripeteva per far loro entrare in testa qualche concetto, e i due amici chiacchieravano e al massimo fingevano di ascoltarla.

Generazioni di studenti, pensò Hermione, si erano seduti proprio lì, a fissare gli abissi profondi del Lago Nero, parlando di come fosse abitato da strane creature e dalla famosa Piovra Gigante. Sorrise ripensando agli anni in cui era stata una bambina spensierata, prima che Voldemort risorgesse, prima dell'Ordine della Fenice, prima della Seconda Guerra Magica. Aveva combattuto, Hermione.

E per cosa? C'era gente per cui era un'indesiderata Sanguesporco, che non apparteneva davvero al Mondo Magico e doveva starne fuori. Secondo quella logica, era stata parte attiva di una battaglia non sua, mentre lei era stata la prima a non esitare, a buttarsi nella mischia, a rischiare pur di preservare il suo posto in quel mondo che ormai era casa sua.

Si era sempre sentita sospesa tra due realtà parallele – il suo mondo era magico, ma era cresciuta tra i Babbani. Anche Harry, certo, ma non aveva nessuno da cui tornare, nel mondo Babbano, nessuno di cui gli importasse o che si curasse di lui. Di conseguenza, dagli undici anni in su, il centro del suo mondo era sempre stato la magia. Per Hermione era diverso. Aveva dei genitori che la amavano, ed erano Babbani; doveva proteggere se stessa e loro. Perciò aveva combattuto a fianco del Prescelto, perché era ciò che aveva giurato a se stessa, oltre che a lui.

Stava pensando così intensamente che non si era accorta dei passi leggeri e cadenzati con i quali qualcuno si era avvicinato alla riva del lago. Si girò in tempo per vedere Draco Malfoy che si sedeva sulla terra umida lì accanto.

Non fu infastidita dalla presenza del ragazzo.

Non lo odiava; non l'aveva mai odiato. E, ad ogni modo, sentiva un'apatia talmente grande che in quel momento non avrebbe avuto la forza di odiare nessuno – Voldemort escluso.

Si chiese cosa diavolo ci facesse vicino a lei e perché non si fosse ancora schizzinosamente allontanato; avrebbe sicuramente rotto il silenzio, se non l'avesse fatto Malfoy.

"Me ne devo andare?"

Hermione restò impietrita nell'udire il tono col quale aveva pronunciato quella frase. Era composto, ma... gentile.

Si voltò e lo trovò con lo sguardo fisso su di lei; anzi, sul suo avambraccio destro, a dirla tutta. Era una giornata straordinariamente tiepida, quindi la strega aveva sollevato le maniche del maglione.

"No" rispose seccamente. "Cos'hai da guardare?"

Malfoy sembrò quasi stupito da quel tono scostante, come se in lei stonasse.

In effetti, scostante, scorbutico e offensivo lo era sempre stato lui. Hermione si limitava a difendersi dai suoi soprusi; niente di più e niente di meno. Era lui che si divertiva a stuzzicare il 'fantastico trio', come se non avesse altro da fare tutto il giorno. Manie di protagonismo, invidia per Harry, richiesta di attenzione? Prima di allora Hermione non si era soffermata sulle motivazioni che potevano aver spinto Malfoy ad agire in maniera così sconsiderata, nè aveva avuto tempo di riflettere sul perché delle sue azioni successive – ben più gravi di quelle di un bulletto – quando era entrato nella cerchia di Voldemort.

"Allora" insistè, "cos'hai da guardare, Malfoy?" il sibilo del suo cognome, la voce fredda e la postura rigida della Sanguemarcio per eccellenza, gli fecero intuire che -benchè non lo avesse cacciato- avrebbe voluto farlo. Nonostante ciò, continuò a stare seduto lì, e prese a strappare fili d'erba a ciuffi, tagliuzzandoli poi con le unghie. Hermione, il cui sguardo vagava di nuovo sul Lago, voltò la testa di scatto e colse di nuovo gli occhi ghiaccio di lui chini nella direzione della cicatrice sul suo avambraccio.

"Guardi questo?" chiese sporgendosi verso l'altro e scoprendo ancora di più la parte incriminata. A chiare lettere sulla sua pelle era inciso quello che, per l'artefice di quello scempio, era il peccato, la colpa di Hermione Granger.

Sanguemarcio.

Draco si aspettava un tono duro, atto a farlo sentire colpevole – quale in effetti era; inutile negarlo o cercare scuse di sorta.

Invece il tono della Granger era sì freddo, ma neutro; quasi colloquiale. Forse era incuriosita, tutt'al più. Draco, al suo posto, sarebbe stato arrabbiatissimo.

Una furia distruttrice, con ogni probabilità.

La Granger, in un modo o nell'altro, era sempre capace di stupirlo – ed era una cosa che non riusciva a sopportare, in lei.

Diede un'ultima occhiata alla scritta e sollevò gli occhi per incontrare quelli della strega, in una muta supplica di perdono.

"Io... volevo farlo da un po'... parlarti di quella" disse indicandola.

"Per dirmi cosa?" chiese Hermione; ancora una volta nella sua voce non c'era astio, bensì un pizzico di interesse.

"Mi dispiace" Draco pronunciò le due parole in modo limpido, seppure un po' stentato all'inizio. Era difficile, per Salazar! Gli era stato insegnato a non chiedere mai scusa, specie ad una Nata Babbana – una dal sangue zozzo.

Se suo padre l'avesse saputo, Draco era certo che gli avrebbe rinfacciato di non essere degno del Marchio che aveva così 'spontaneamente' accettato. Lo avrebbe accusato di essere l'anello debole della famiglia Malfoy, il vecchio Lucius.

'Scusa', 'Mi dispiace', 'Perdono': erano tutte parole che faticava a pronunciare, come se gli si incastrassero in gola. Era ancora vittima di quei precetti che gli avevano inculcato, pur consapevole di quanto fossero sbagliati.

"Mi dispiace" ripetè.

"L'hai già detto" replicò pacatamente. "Non sei stato tu, non è colpa tua" disse secca; e con questo si voltò e riprese a fissare la superficie del Lago Nero, increspata dal sottile venticello. Malfoy diede in una risata cupa, che riportò l'attenzione di Hermione su di lui. L'aveva sempre visto ghignare, quando rideva. Non aveva mai visto un vero sorriso – e non sapeva se mai l'avrebbe visto – ma nemmeno quella risata cupa e gutturale che aveva appena prodotto.

"Certo che è colpa mia, Granger" contestò, urtato dalla sua calma. "Ma come fai a parlarmi senza urlare, senza sputarmi in faccia?" sbottò.

"Perché dovrei?" chiese Hermione, atona.

"Perché è quello che dovresti voler fare, dannazione!"

"No" lo rimbeccò, "è quello che vorresti che io facessi, Malfoy".

Il ragazzo biondo accanto a lei tacque. Facevano uno strano effetto, visti dall'esterno. Accostati erano il giorno e la notte.

Lei: capelli castani ricci e scompigliati, la divisa in ordine ma non esattamente dall'aspetto curato meticolosamente. Hermione aveva sempre pensato che fosse meglio impiegare il tempo nello studio piuttosto che nel domare la propria chioma ribelle.

Lui: capelli biondi lisci e setosi, pettinati all'indietro – in anni, Hermione non ne aveva mai visto uno fuori posto – e scintillanti al sole, divisa di fattura pregiata, indossata con una classe che Hermione non era interessata a possedere; e che però la affascinava.

L'unica cosa che li accomunava era un colorito bianco e delle occhiaie violacee sotto gli occhi di entrambi. Hermione comprese in quel momento che i demoni della notte non facevano visita solo a lei, ma anche a Draco.

"Sì" ammise il mago. "Vorrei che lo facessi; vorrei che tu urlassi e mi affatturassi o tentassi di sfogarti in qualche modo..."

"Perché?" ripetè.

"Mi aiuterebbe a sentirmi meno in colpa e a vederti più umana, anche tu capace di sbagliare".

"Non sono perfetta" ribattè. "Vedi qualcosa che non esiste". Malfoy sbuffò pesantemente.

"Io vedo solo che il tuo braccio è marchiato".

"Come il tuo" replicò lei decisa, provocandogli un sussulto.

Ma non scoprì l'avambraccio sinistro per mostrarle quel Marchio, di cui aveva vergogna e paura. Sì, paura. Perché ogni mattina gli ricordava cosa era stato capace di diventare.

"Tu non l'hai voluto, però" le fece notare.

"Nemmeno tu, a quanto so".

"Vedi cosa intendo? Come puoi rispondere così?" saltò in piedi, quasi aggredendola. "Tu devi odiarmi, io ne ho bisogno".

Hermione lo guardò quasi intenerita.

"Io non credo, Malfoy" lo mise a tacere. "Se l'odio è l'unico sentimento che ti aspetti di ricevere o di dover dare alle persone, non penso di essere la persona adatta per fare conversazione. Odiare la gente non mi fa mai sentire meglio".

"Dovrebbe, invece".

"No, invece" sbuffò lei, contrariata. "L'odio ti scava una voragine dentro, ti divora, ti logora lentamente. Odiarti farebbe del male a me, non a te".

Draco tacque, colpito dalla fondamentale veridicità delle parole della Sanguesporco.

Credeva che vedere qualcun altro – oltre a lui – sfoderare le armi dell'odio e del disprezzo – le uniche che possedesse – l'avrebbe fatto sentire meglio, meno inferiore, meno inadeguato alla vita. Ma la Granger era sempre stata un passo avanti a lui, sempre un passo avanti a tutti.

"Mi dispiace" ripetè per la terza volta, e suonò più naturale perfino alle proprie orecchie. "E' che non conosco un altro modo di vivere, di interagire con la gente".

Hermione lo guardò, a sua volta spiazzata da tutta quella sincerità. Malfoy si stava confidando con lei; e la strega sapeva che – sebbene forse inconsciamente – aveva fatto una scelta mirata. Si era recato dalla persona che più di ogni altra, nell'intera scuola, aveva tentanto di piegare, umiliare, spezzare e sottomettere. L'unica che ad ogni tentativo aveva reagito e non era mai stata piegata, umiliata o spezzata, nè sottomessa. Si era recato dall'unica persona che l'aveva sempre fatto sentire un passo indietro, facendo vacillare in lui la consapevolezza della superiorità delle proprie origini. Hermione Granger per lui era un simbolo; il simbolo di tutto il male che aveva fatto e di tutto quello che invece non aveva avuto la forza di portare a termine. La persona a cui più di ogni altra aveva bisogno di chiedere perdono. L'unica – in altre parole – in grado di redimerlo.

"Ci sono molti altri modi di vivere, molte altre sfaccettature nei sentimenti, Malfoy" pontificò con convinzione, pensando a Ginny, a Harry, a Ron, alla propria famiglia, ai Weasley e all'affetto che provava per tutti loro.

Tenne alta la testa nel dirlo e fissò gli occhi grigio tempesta di Malfoy, quasi sfidandolo a contraddirla; ma Draco non aveva la minima intenzione di farlo.

"Insegnameli, Granger" si lasciò sfuggire, senza che la frase apparisse giusta e sensata neppure a lui.

"Come?" chiese lei, incredula.

"Insegnameli".

Fu lì che cadde la prima barriera.








"Non mi ha costretta" rispose Hermione, riprendendosi da quel ricordo. Eccolo lì, il quando di cui Harry le aveva appena domandato.

"E'successo tutto tanto tempo fa. Non mi ricordo precisamente ogni particolare della prima conversazione civile che abbiamo svolto" mentì.

Aveva visto il vero Draco, quel giorno, per la prima volta. Spezzato, ferito, fragile. Come mai l'aveva visto prima e come poche volte l'avrebbe visto in seguito.

"Ci siamo fatti coraggio insieme, diciamo" aggiunse.

"Poi sono uscita da Hogwarts e Ron mi ha chiesto di metterci insieme – che era ciò che desideravo. Non avevo mai pensato di costruirmi un futuro con Malfoy, nè lui con me, com'era normale che fosse. Non uscivamo insieme. Non eravamo una coppia, come non lo siamo oggi".

"Per ora..." mormorò Harry a denti stretti. Hermione ignorò saggiamente quel commento, piuttosto tendenzioso.

"Devo essere onesta" riprese. "Ha scalfito quella patina di apatia che aveva avvolto la mia vita".

Harry assottigliò lo sguardo, probabilmente sforzandosi di comprendere le parole dell'amica.

"Perché proprio ora?" le chiese poi. Hermione incurvò le labbra in un lieve sorriso.

"Perché a volte il passato torna sotto forme inaspettate nella nostra vita, non c'è bisogno che sia io a dirlo".

"No, infatti" concordò Ginny. "E' più il genere di cosa che ti aspetti di sentire da Luna Lovegood, mi spiego?" ironizzò, per stemperare la tensione. Anche Harry e Hermione risero, condividendo in pieno l'affermazione.

"Quel che intendo è..." Hermione cercò di trovare le parole per esprimersi, ma le risultò difficile con gli occhi verdi di Harry puntati nei suoi, ad inquisire le sue supposte bugie e la ricercata verità. "Negli ultimi quattro anni, io stavo con Ron e lavoravo come Indicibile; Malfoy è stato in Francia e poi si è dato al dolce far niente e non so che altro. Il punto è che ritenevo questa faccenda conclusa, e non così importante da dovertela confessare. Perché provocarti uno shock del genere? Ora le cose sono diverse; siamo adulti e vaccinati..."

"Malfoy non sa nemmeno cosa sia un vaccino!" la corresse Harry.

L'espressione confusa di Ginny Weasley confermava che nel mondo magico nessuno usava vaccinarsi, ovviamente.

"E' un modo di dire, Harry" tagliò corto. "Mettiamola così: le nostre strade si sono incontrate di nuovo e, beh, il resto lo sapete".

Dentro di sè stava pregando in turkmeno affinché quella conversazione finisse presto, dato che i ricordi che credeva appannati sotto un vetro impolverato, stavano riaffiorando come un fiume in piena.

"Esattamente" si rivolse a Ginny, curiosa, "da quanto lo sai?"

"So cosa?" fece la rossa.

"Quello che c'è stato..."

"Oh, quello! Non ero sicura di cosa ci fosse tra voi... ho solo visto un paio di scene strane e dati gli ultimi avvenimenti ho ricollegato i fatti, ma all'epoca non mi sono voluta spingere oltre con la mia curiosità".

Hermione fu grata all'amica per quel rispetto della privacy che le aveva dimostrato; si sarebbe aspettata un comportamento più invadente, da parte sua.

"Sapevo che qualunque cosa fosse non avrebbe avuto seguito fuori dal castello, ma comunque ignoravo la natura dei vostri incontri, pur sospettandone l'esistenza".

"La mia ragazza è Sherlock Holmes!" esclamò Harry, ammirato. Ginny sorrise e scosse i capelli pavoneggiandosi in un gesto teatrale. Ma Hermione non la vide nemmeno, presa da un altro ricordo che credeva cancellato.




Era rannicchiata a terra, in un'aula vuota. Stille salate e silenziose le cadevano sulle ginocchia, sulle quali aveva poggiato il mento.

Lo faceva spesso, da dopo la guerra.

C'era chi sfogava la rabbia e il dolore in altri modi; lei aveva trovato quello, arrecando il minimo disturbo possibile e cercando di vedersela per conto suo con le proprie paure. Chiuse gli occhi e cercò di rallentare il battito del suo cuore e di calmare il respiro. Lo scricchiolio della porta, prima socchiusa, la avvertì che qualcuno l'aveva spalancata. Alzò la testa per vedere chi fosse e si asciugò frettolosamente le lacrime con la manica del maglione.

Malfoy percorse silenziosamente qualche passo dalla porta all'angolino dov'era Hermione.

Prima che potesse cacciarlo o anche solo dire qualcosa, il ragazzo – inaspettatamente – si accucciò di fronte a lei, senza perdere il contatto visivo.

"E' molto presto, Granger. Che ci fai in giro per la scuola alle sei?" chiese.

"Potrei farti la stessa domanda" ribattè; Malfoy la ignorò.

"Ma sono stato io a farla a te". Non le stava ordinando di rispondere, era solo una gentile richiesta. Le tornò in mente la conversazione in riva al Lago Nero.

"Ci sono altri modi di vivere" aveva detto.

"Insegnameli".

"Granger!" il richiamo la riscosse e si ritrovò sempre in quell'aula vuota, alle sei del mattino, con Draco Malfoy accucciato di fronte che ora le teneva una mano – quando l'aveva presa? Quando aveva abbassato le difese tanto che era riuscito a farlo? Scoprì che il tepore di un altro corpo, in quel momento, le dava sicurezza; perciò non la allontanò da sè, ma la strinse. Draco parve stupito, ma non si mosse.

"Incubi di guerra". Lui voleva sentirsi utile, voleva essere migliore. E lei volle farlo sentire tale, aprendosi.

"Capisco" fece lui. "Ne ho a bizzeffe..." sussurrò con lo sguardo perso nel vuoto. Stava sicuramente ripercorrendo con la mente le immagini oniriche, come lei faceva con le proprie. Quella notte Nagini era stata particolarmente inquetante e la tortura di Bellatrix così convincente da sembrare reale. Si era svegliata di soprassalto e non era riuscita a riaddormentarsi.

Draco ora stava sfiorando il suo braccio destro, dal quale sembrava ossessionato.

Sanguemarcio, Sanguemarcio, Sanguemarcio. Quel termine le rimbombava in testa come una nenia crudele, cantata con la voce inquietante e un po' infantile della Mangiamorte Lestrange.

"Ho sognato Malfoy Manor" disse lasciando che il ragazzo le scoprisse l'avambraccio; guardandolo scorse autentico dispiacere negli occhi grigi.

"Tua zia..."

"So cosa ha fatto, io c'ero, lo sai" sussurrò tenendole stretto l'avambraccio. "E non ho mosso un dito. Sentivo le tue urla, e le ignoravo. Mentre usava la Cruciatus e poi ti marchiava come un capo di bestiame, io ero lì".

Hermione lesse più di quelle parole nel gesto gentile col quale percorse la cicatrice con il polpastrello dell'indice.

"Mi hai chiamata così per anni" disse lei. "Perché inciderlo nella mia carne avrebbe dovuto fare qualche differenza?" Draco la guardò accigliato, come se fosse lei la pazza, la carnefice, e non la vittima. In fondo, anche Draco era stato una vittima, sebbene colpevole anch'egli. Una posizione complessa, pensò Hermione.

"Perché non avevo più dodici anni, Granger. Io sapevo che era sbagliato, e sono stato zitto lo stesso" la voce del biondo era incrinata.

"Non avresti potuto far nulla" Hermione si chiese per quale motivo stesse difendendo Draco Malfoy, ma non trovò una risposta plausibile.

"C'è sempre una scelta, e Silente me l'aveva data" mormorò, il tono sfumante verso il basso. Hermione tacque, senza sapere cosa dire, come confutare quella verità indiscutibile. Draco aveva una scelta, come quasi tutti. Sarebbe stata una scelta difficile e coraggiosa, e lui non aveva voluto cogliere quell'occasione.

"Sono stato un vigliacco" concluse. E in sostanza era giusto che Hermione tacesse e non raccontasse frottole, perché Malfoy aveva centrato il problema. Avrebbe potuto – sulla Torre di Astronomia – chiedere asilo a Silente e protezione per sua madre, infischiandosene della propria infatuazione per le Arti Oscure e delle idee malate di suo padre. L'avrebbe dovuto fare? Sì. Sarebbe stato difficile? Certo. Ne sarebbe valsa la pena? Senza dubbio. Draco aveva preso la giusta via? No.

E questo era il dato saliente, scevro da tutti gli ipotetici scenari che – ahimè – restavano, per l'appunto, ipotesi.

Non c'era nulla, nelle parole del ragazzo, che le conferisse quel senso di giustizia e di trionfo che sarebbero stati legittimi, perché era lei quella 'buona', quella dalla parte degli angeli*. Per Hermione, starsene lì rannicchiata ad udire la presa di coscienza di Draco Malfoy, fu una vittoria dal retrogusto amaro.

E fu lì che cadde la seconda barriera.






"Quanti sanno di questa cosa?" le domandò Harry.

"Come scusa?" Hermione scosse la testa e si fece ripetere la domanda, per poi rispondere:

"Nessuno; quindi tu e Ginny mi fareste un favore se teneste la bocca chiusa" aggiunse con sguardo minaccioso, che gli amici parvero recepire.

"D'accordo" disse Harry.

"Ciò che dev'essere chiaro è che io e Draco non convoleremo a nozze domani come sostiene Samantha Kaney, chiaro?" domandò. I due annuirono all'unisono.

"Senti" stavolta fu Ginny a parlare, "una domanda seria".

"Dimmi".

"Bacia bene Malfoy?" domandò ridacchiando. Harry le scoccò uno sguardo torvo, mentre Hermione fu di nuovo trascinata indietro.





Una ragazza dai capelli ricci e un po' crespi teneva fermo il braccio di un ragazzo biondo; erano seduti sul banco di un'aula in disuso, durante un'ora di buco.

"Non è niente Granger, lasciami".

"Smettila di dimenarti, Malfoy" lo ammonì, sollevando il tessuto della camicia – sporco di macchioline scarlatte – e facendolo scorrere verso l'alto, per rivelare l'avambraccio sinistro, martoriato da segni e ferite recenti.

"Non si leverà così, lo sai" lo rimproverò, scendendo dal banco ed estraendo la bacchetta.

"E' stato un impulso improvviso" si giustificò.

"Farti uscire il sangue a forza di ferite non strapperà via il Marchio".

"Lo so, per Salazar!" esclamò lui, contrariato. Hermione lo trattenne e agitò la bacchetta, facendo apparire una bacinella e una pezza accanto a lui, sul banco.

Intinse la pezzetta nel liquido e cominciò a passarla delicatamente sui tagli profondi che il ragazzo si era inferto sul braccio.

"Non guardarmi così, Granger. Non sono solito compiere gesti autolesionisti".

"No, infatti. Sei solito compiere gesti idioti!" lo rimbeccò, caustica. Al contrario di quanto si aspettava, a quella risposta, Draco incurvò la bocca in un sorrisetto.

"Ahi! Brucia, dannazione!" si lagnò. "Che diavolo è questa roba?"

"Essenza di Purvincolo*" rispose prontamente.

"So-Tutto-Io-Granger all'opera, suppongo" la celiò bonariamente.

"Malfoy" lo apostrofò, acida. "Sono ancora in tempo ad affatturarti anziché curarti questi stupidi tagli".

Draco tacque; attese che Hermione finisse di ripulirlo e fasciarlo e scese dal banco allacciandosi il polsino della manica sinistra. La Granger non si era ancora scansata quando era saltato giù.

Si scontrarono e la bacinella – che Hermione teneva in mano – cadde a terra frantumandosi. Loro rimasero a fissarsi, anziché muoversi.

Poi Draco si schiarì la voce, sfoderò la bacchetta e fece Evanescere il liquido caduto in terra, mentre la strega mormorava un "Reparo" e la ciotola tornava integra tra le sue mani.

Sollevò lo sguardo per scoprire che le iridi grige di Malfoy erano ancora fisse in quelle scure di lei. Il ragazzo posò la propria mano su quella di Hermione, fredda come l'essenza con cui l'aveva medicato. Fu Draco a sporgersi in avanti verso di lei; ma Hermione non si tirò indietro, anzi. Gli andò incontro finché le loro bocche non si trovarono – e la ciotola cadde nuovamente dalle mani della ragazza, fracassandosi ancora sul pavimento.

Quello era stato il primo bacio tra lei e Malfoy.

E con quello, un altro muro era stato abbattuto.






"Io non credo di voler sapere come bacia Malfoy" obiettò Harry, schifato.

"Da quello che mi ricordo, molto bene" rispose seccamente Hermione, non lasciando dubbi sul fatto che l'argomento era chiuso lì. L'espressione disgustata del suo migliore amico, anziché infastidirla, le causò una risata. Poi disse:

"Penso di essere abbastanza grande per fare le mie scelte".

Usò quel tono incredibilmente ragionevole che disarmava chiunque. Quando usava quel tono, a Harry sembrava sempre che non ci fosse niente di illogico nel discorso; semplicemente perché era Hermione a farlo – la persona più logica che conoscesse.

"Suppongo di sì" accompagnò le parole con un'alzata di spalle.

"Per qualsiasi cosa, noi..."

"Ci siete, lo so" lo interruppe, grata. Harry le sorrise, e per un attimo le parve ancora il ragazzino mingherlino e incoscente che al primo anno aveva sfidato Malfoy a cavallo di una scopa, solo per riavere la Ricordella di Neville.

"Bene" disse Harry con tono deciso, "allora è tutto ok, se sai quello che fai".

So esattamente c che faccio? Questo aveva appena assicurato ai suoi migliori amici, pur non sapendo se fosse o meno la verità.

"Ti fermi a cena, no?" era una domanda retorica, quella della rossa. Quando l'uragano Ginevra si metteva in moto, partiva sempre in quarta, ed era impossibile rifiutarle alcunché. Perciò a Hermione non rimase altro da fare se non sospirare e dare una mano ad apparecchiare, mentre l'amica sorrideva soddisfatta.







NOTE AL CAPITOLO*


1) E' una citazione dall'ultima puntata della seconda serie di Sherlock BBC (una delle mie passioni). Non mi ricordo se le parole siano esattamente queste; però è ciò che Moriarty dice a Sherlock, che è 'dalla parte degli angeli'. Non mi chiedete con che criterio mi vengano in mente le citazioni, ma ci stava bene :)


2) Essenza di Purvincolo: al quinto anno Hermione la consiglia a Harry per curare i tagli sulla mano provocati dalla Umbridge con le sue punizioni.

  
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