Ri-ciao!
Su
suggerimento di qualcuno (grazie anche a Leyla), ho deciso di spezzare in due
il primo capitolo così da renderlo più leggero e fruibile J
Spero sia stata
una mossa saggia ;)
Ancora
grazie a tutti!!
Baciozzo
Elendil
La
sensazione di gelo scaturita da quelle parole accompagnò la Nihaar’ì
per tutta la discesa della Torre fino a quando, molte rampe di scale più in
basso, ella non si ritrovò nel piano dedicato alla coltura e mantenimento dei
giardini “pensili”. In tutta sincerità, definirli giardini era cosa assai
fantasiosa giacché ciò che si presentava agli occhi dell’osservatore era
qualcosa di più simile ad un groviglio di nodose e pallide radici inerpicate su
pareti e pavimenti piuttosto che ad un verdeggiante assembramento di fiori e
piante verdi. La chiamavano “Radice del Cielo”, poiché la sua graziosa tendenza
ad inerpicarsi su qualsiasi cosa rappresentasse un sostegno stabile e la forma
di rami e tronco del tutto simili a radici dava la netta sensazione di trovarsi
dinnanzi ad una pianta fatta e finita ma per qualche ragione girata al
contrario, con le fondamenta disperse al cielo e le chiome piantate giù, a
terra, a prendere il frescume negato dall’atmosfera.
Manco a
dirlo, era anche l’unica pianta che fosse stato
possibile coltivare ed alimentare in quel microclima desertico senza che
l’intera popolazione di Chermak si chiedesse perché
mai le scorte d’acqua di una intera città dovessero proprio finire nell’umido
terriccio di arbusti incapaci di nulla se non allietare la vista.
Da che tale
compromesso era stato piantato e lasciato germogliare, le Veggenti si erano
dovute accontentare di quella pallidissima imitazione di orto botanico, ad oggi
simile ad un intrigo di radici color latte, un po’ nodoso alla vista, un po’
grotta botanica nella quale infilarsi per trovare un po’ di pace.
Fu in quel
groviglio che la Nihaar’ì si lasciò docilmente
cadere, la schiena a toccare il muro naturale e le gambe semidistese a terra,
scomposte. Trasse un profondo respiro, avvertendo il sudore ovunque rappreso
-conversazione alquanto semplice...- asciugarsi lentamente nello spirare di
aliti di vento ovunque soliti sibilare e percorrerre
con mormorii confusi la stanza.
La Torre
del Tempo non sarà per sempre un luogo sicuro per te.
Il ricordo
delle parole di Zaphil era come un rombo basso nella
sua mente, come sabbia in sospensione fra i suoi pensieri apparentemente
immobile, eppure ad ogni movimento visibile e tangibile come un muro prossimo
dal concretizzarsi.
Lo so.
Si rispose
dopo un attimo socchiudendo gli occhi.
Lo so
eccome. Zaphil credeva forse di parlare con una bambina?
Già da
qualche tempo aveva notato come i Nobili la guardavano, come le guardie la
scrutavano, come perfino i suoi servi parevano valutarla da capo a piedi ogni
volta che entrava in una stanza. Non era cieca.
Il
sospetto, quello vero, non è poi così difficile da vedere, una volta che lo si
è riconosciuto la prima volta. E ancor meno lo è la derisione mentre, lo
sapeva, ognuno di quegli inutili leccapiedi apprendeva grazie al tam tam della Torre che ancora
nessun Nobile aveva avanzato pretese nuziali nei suoi confronti.
“La nostra
cara Nihaar’ì è ancora un oggettino tutto sete e
sfarfallii” aveva sogghignato un giorno Hamde Vahri, una nobile di alto lignaggio tutta riccioli e sete
profumate. Musica e danze - consueta forma di intrattenimento per ogni sera
passata all’interno della Torre - avrebbero di certo coperto il suono delle sue
parole se casualmente la Nihaar’ì non si fosse
trovata proprio in quel momento a tiro d’orecchio “Credo che non si dispiacerà
se tutti noi qui aspettiamo il suo primo vero scintillio per reclamare il privilegio
della discendenza”.
Discendenza....un modo davvero Nobile di definire la compravendita
degli intimi favori delle Veggenti, da sempre fonte d’ispirazione per i peggio
intrighi all’interno della Torre.
A quel
tempo, ella aveva poco più di dodici anni e la prospettiva di essere
semplicemente “montata” da un Nobile - ovviamente solo dopo essere stata
pesata, misurata e giudicata degna di un simile onore - non le era sembrata
affatto piacevole. Sfortunatamente, Zaphil non era
parso del medesimo avviso. Ovvio che no. Dinnanzi alle sue sfuriate
tutta adolescenza e nervi aveva semplicemente replicato che, oltre che ovvio,
era assai auspicabile che il suo dono non venisse mischiato e disperso ma
conservato e comprato da un individuo dotato del “Talento del Sogno”, la
capacità cioè di ricordare e influenzare in minima parte i sogni, o perlomeno
abbastanza ricco da comprarselo.
“In ogni
caso” l’aveva infine rassicurata“La
precedenza viene sempre riservata ad individui dotati”
Ed in
mancanza del primo attributo, aveva poi
privatamente continuato, è prassi comune che i Nobili lascino
l’incombenza della riproduzione ad individui di Talento interni alla famiglia o
selezionati direttamente dai Naphil.
L’incombenza.
Gli occhi
socchiusi, la Nihaar’ì avvertì la mascella serrarsi
per un secondo appena, riflesso incondizionato di una rabbia che solo pochi
anni prima era stata cosa davvero mirabile. Si costrinse a rilassarsi
lentamente. Oggi era tutto diverso. Sospirò. Osservare uno ad uno quei rampolli
individuandone per ognuno odori e abitudini moleste, sgraziate imperfezioni e
naturali abbruttimenti della figura non era che una innocente distrazione dalla
onnipresente consapevolezza che uno di loro, prima o poi, sarebbe divenuto il
suo sposo. Amato sposo.
Ed in
fondo, più andava avanti, più si accorgeva di attendere e sempre meno temere
quell’alternativa. In fondo
avrebbe semplicemente significato la fine delle sue paure, delle sue angoscie, della costante e mortificante consapevolezza di
non essere ancora - ed in potenziale di poterlo anche non divenire mai - la
Veggente....
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Una mano a
protendersi del nulla. Bianca e pallida, eppure forte nella sua figura.
Nella luce
si defila mentre lei, nel buio, rannicchiata alza allora lo sguardo al cielo.
Ed è’ bianco. Ed è pallido. E’ della luce che i suoi occhi si bagnano ansiosi,
impauriti, doloranti prima che anche la sua mano risalga a stringere l’altra.
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“Eccoti
finalmente! Cominciavo quasi a perdere le speranze!” una voce la riscosse in un
sobbalzo. Si era addormentata...
Si umettò
le labbra, una vaga sensazione di sete su di esse a renderle stranamente
frastagliate e ruvide sotto la lingua.
Non si era
nemmeno accorta...
In quella
un volto gioioso si parò nella sua visuale costringendola suo malgrado a
focalizzare il mondo circostante.
“Zaphil mi ha chiesto di andarti a cercare” la voce di Asiya era di poco sotto il tono consentito per risultare
stridula, eppure la leggerezza che ella adottava sempre nell’esprimersi era in
grado di renderlo assai gradevole alle orecchie di chiunque “Pensava che dopo
le sgridate di oggi avessi deciso di mettere il broncio tutto il giorno...”
continuò con un mezzo sogghigno divertito.
E non
avrebbe così tanto rischiato di sbagliare....dovette
ammettere la Nihaar’ì mentre con uno sbuffo divertito
rispondeva al sorriso dell’altra.
“O che
tentassi cose pazze e avventate come mettermi semplicemente a dormire ed
attendere l’ora delle Udienze....” rimbrottò con tono
scontroso.
Per un
attimo Asiya si limitò a fissarla con un mezzo
sogghigno. Poi, vagamente, si strinse nelle spalle “Sai quanto possa essere apprensiva
la tua guardia del corpo” in uno sbuffo di sete si sedette a ginocchia unite
dinnanzi a lei “Abbastanza da sguinzagliare la quipresente
migliore amica della Nihaar’ì senza nemmeno curarsi
del fatto che non fossi arrivata neanche a metà della mia Rushi -meditazione- mattutina....” “Terribile...” rimbrottò la Veggente alzando
con un sospiro gli occhi al cielo.
Senza
badarle, con un gesto apparentemente familiare Asiya
allungò entrambe le mani a scostare il cappuccio bianco che, nella discesa, la
ragazza aveva provveduto a calare nuovamente sul capo così da nasconderla un
po’ agli occhi dei presenti.
“Ah,
maledetti Araldi” concluse dopo pochi attimi “Tutti lì a dirmi Oggi
la Nihaar’ì si è svegliata più radiosa del
solito...pareva un bocciolo in fiore... e invece eccole qui...” con un gesto
gentile le passò entrambi i pollici sotto gli occhi disegnando con un unico
movimento i solchi di due scure occhiaie coperte. Sentire il contatto delle
dita di Asiya al di sotto della seta le provocò un
lieve brivido sorpreso.
Da che era
nata, le sole persone che avessero avuto la concessione di toccare lei, la
Veggente, erano state umili servitori e balie per ciò che atteneva la cura
della sua persona. E Asiya. Ma lei era un’eccezione.
“I chiari
simboli di un’altra notte passata a fare la svenevole con quel piantasabbia del piano di sotto...” si accigliò, come
fingendo di non ricordare qualcosa “Com’è che si chiamava.... Ergui ... Ergut...”
Con un
finto sospiro la Veggente si abbandonò alla presa dell’altra, lasciando che un
po’ del malumore della mattinata scivolasse via assieme alla sua goliardia. “Ergan” sillabò dopo un attimo la Nihaar’ì
“E non è un piantasabbia. I suoi genitori sono
allevatori...” “Di rape, visto il cervello che quello si ritrova” concluse con
un ghignetto Asiya cominciando al contempo a
frizionarle i capelli corvini.
Altro
sospiro.
“Per te
sono tutti piantasabbia, Asiya...”
girandosi per consentirle di riordinarle la treccia, la Nihaar’ì
abbandonò lievemente il capo all’indietro “Mai una volta che mi tu mi dica
qualcosa di positivo su qualunque uomo della Torre. Mai una volta che esprima
un giudizio positivo su qualcuno...” “Questo non è vero. Io esprimo molto
spesso giudizi positivi su di me”.
Leggera, la
risata della dama di compagnia della Veggente trillò fra le due, attirando suo
malgrado l’attenzione di tutti gli Araldi lì presenti. Nè
l’una né l’altra parvero farvi caso, evidentemente abituate a questo tipo di
conversazioni “pubbliche”.
“Che ti
devo dire” riprese dolcemente Asiya dopo un attimo.
Con una mossa sapiente sciolse le chiome della veggente lasciando che cascate
corvine le si spargessero fra le dita “Magari è la Torre che attira solo casi
umani...” “O sei tu che hai un parametro di giudizio che sfiora
l’improbabile...” “ O ancora meglio” le mani della ragazza parevano conoscere
abbastanza bene quei gesti lenti e precisi da non inficiare minimamente la sua
capacità di concentrarsi “Forse tutti i tuoi spasimanti si sono messi d’accordo
per essere brutti ed imbelli, così quando verrà il momento sarai costretta a
decidere puramente a caso e non per merito. Mai che si dica che la Veggente
faccia dei favoritismi...”
Malgrado
l’argomento “spinoso”, la Nihaar’ì non potè proprio trattenersi dal sorridere divertita.
“Fa
attenzione, cara mia, che esiste una discreta possibilità che sia tu, e non io,
a doverti cuccare il lieto sposalizio” le dita dell’altra vibrarono appena “Non
sia mai!” esalò questa volta con finto sdegno. Con una pacca sulla spalla
indicò all’altra di aver finito. “In quantoHayeli’vo - Specchio velo - pretendo di
poter fare la viziata e la vanitosa almeno quanto, se non di più della mia
protetta” in una piroetta, la Nihaar’ì si tirò in
piedi e con lo sguardo cercò rapidamente uno degli specchi che ovunque
adornavano la Torre. Erano specchi creati per deviare il sole e così smorzarne
l’arsura nelle camere, ma all’occorrenza ognuno di essi poteva fungere da buon
punto di osservazione per acconciature, abbigliamento e non per ultime,
curiosità più o meno lecite.
“Tu sei già
più vanitosa e viziata di quanto il tuo ruolo occorrerebbe...” quando ebbe
trovato quello che faceva al caso suo tese una mano all’altra così che,
afferrandola, insieme potessero collocarsi dinnanzi ad una lucida lastra
riflettente “Ma Zaphil è troppo affascinato da te per
pensare anche solo di fartelo notare....”
Per un
attimo la superficie riflettente parve volersi prendere gioco della Nihaar’ì e della ragazza che con lei prendeva a mettersi
come in posa, fianco a fianco, una mano unita da un vincolo tanto simile
all’amicizia quanto alla fratellanza. Esso, privo di anche un solo sbavo di
polvere, rifletteva infatti non una, bensì due volte l’immagine sottile e
impettita della Veggente, blu nelle stoffe e orpelli luccicanti. Due volte un
fisico asciutto e quasi infantile. Due capigliature nero carbone. Due trecce
alte e ben pettinate. Due visi, due bende di egual misura e colore.
Poi,
lentamente, una delle due “copie”, quella di sinistra, si mosse da sola,
poggiando una mano al fianco ed assumendo allora una posa assai più provocante
e sbarazzina dell’altra.
“E come
dargli torto?” sillabò Asiya “Essendo migliore
dell’originale, quel pover’uomo ha tutto il diritto di essersi invaghito di me
a tal punto da temere perfino il parlami”.
Sorridendo,
la Veggente si limitò a scuotere il capo con fare rassegnato.
“Scema”
rimbrottò senza smettere di rimirarsi “Guarda che se continui ad atteggiarti a
quel modo tutti capiranno l’inganno....e allora
entrambe avremo ben altro di cui preoccuparci”
Per un
secondo, sorridenti eppure assorte, le due ragazze continuarono a guardarsi
così, l’una accanto all’altra. Il vestito e l’acconciatura ora perfettamente
identici così come la struttura fisica e la postura. Perfino le sfumature della
pelle e le profonde Cicatrici del Sogno erano identiche le une alle
altre, sebbene in Asiya fossero state riprodotte
artificialmente con dolore e sopportazione senza fine.
Solo pochi
particolari le differenziavano, lasciando intendere che a sinistra vi fosse la
Veggente ed a destra la sua Hayeli’vo, la sua controfigura: la postura
vagamente più impacciata della prima ed i tratti del viso vagamente dissimili.
Ma, come facilmente intendibile, con veli e copricapi tali inezie erano cose di
poco conto rispetto ad una solida e perfetta apparenza generale.
La pratica
di possedere una Hayeli’vo si era diffusa fin da
tempi antichissimi in tutte le cerchie più alte della nobiltà quale metodo
sicuro ed affidabile per evitare di esporre le cariche politiche e religiose ai
rischi della quotidianità: avvelenamenti, assassini, omicidi ed altro ancora
erano infatti così diffusi che il solo modo di resistervi era avere
letteralmente qualcuno che facesse in toto le veci della Nobiltà in qualunque
situazione di pericolo o incertezza. Ora, con il massiccio impiego di Araldi e
mercenari, le cose parevano da molti anni essersi appianate al punto da far
scomparire tale fenomeno. Ma non per tutti.
Alcuni, ed in questo caso le Nihaar’ì, solevano
circondarsi ancora di queste controfigure in grado di proteggerle e difenderle
a qualunque costo. Unite dalle somiglianze estetiche, ma nel tempo accomunate
da una vita vissuta in alternanze costanti, generalmente le Hayeli’vo
divenivano amiche e compagne per la vita, confidenti, consigliere ma anche vere
e proprie sorelle fino alla morte... talvolta naturale.
Asiya ne era una chiara dimostrazione. Da qualche anno assegnata alla Nihaar’ì, ella aveva avuto modo di instaurare con lei un
rapporto di amicizia profondo e duraturo, capace di scaldare ed infrangere le
barriere della solitudine di entrambe. Chiaro, non era sempre stato tutto rose
e fiori.
Il suo
incarico era cominciato a seguito della dipartita della precedente Hayeli’vo con la quale la Nihaar’ì
aveva ovviamente instaurato un rapporto intimo e complice. Ma il veleno insito
nel dono di un Nobile di alto lignaggio era stato superiore a qualunque sua
resistenza. Dopo averla piagata nel corpo, esso aveva distrutto la sua mente
costringendola a spegnersi fra atroci sofferenze dopo giorni e giorni di
agonia.
Chiaro che
la Nihaar’ì non fosse affatto ansiosa di rimpiazzare
una cara amica - capace di dare suo malgrado la vita per lei- con un’altra,
nuova di pacca e assurdamente ansiosa di cominciare i suoi giorni di soggiorno
all’interno della Torre. Per i primi tempi la permanenza delle due nella
medesima stanza, sullo stesso piano e perfino nel medesimo edificio non era
stata cosa assai semplice.
Poi,
lentamente, la semplice allegria e spontaneità di Asiya
erano riuscite a fare breccia nel cuore dell’altra trasformando un difficile
inizio in una dolce e gratificante amicizia.
“Faremo
bene a prepararci” la Nihaar’ì osservò distrattamente
le ombre del sole ad infrangersi attorno a lei “Credo che oramai sia ora di
andare”.
Poco dopo,
chiacchierando del più e del meno, le due scendevano distrattamente i gradini
della Torre, uno stuolo di Araldi ai loro fianchi ad impedire a chiunque
estraneo di avvicinarle. Giunsero infine al piano delle Udienze, il luogo entro
il quale si discutevano le cause che ogni giorno il Datarn - Giudizio della Veggente-
discuteva.
Entrando,
si trovarono dinnanzi ad un’ampia sala illuminata, ampi finestroni a volta
coperti da pallide tende ondeggianti al vento. Al centro della stanza era
collocato un enorme tavolo in pietra bianca, finemente intagliato con motivi
vegetali. La sua forma a mezzaluna permetteva alle dodici sedie dietro di esso
di sostare tutte rivolte nella medesima direzione ove solitamente, su una sedia
di elegante fattura, sostava “l’imputato”.
Posta
esattamente al centro delle sedie destinate ai Consiglieri e alle più alte
cariche giuridiche di Chermak stava la sedia della
Veggente, anch’essa di pietra, con al fianco una sedia più piccola in legno,
riservata alla sua Hayeli’vo.
Entrando,
la Nihaar’ì notò che come sempre l’atmosfera di quel
luogo trasudava pulizia e un insolito senso di tranquillità, il vago riflesso
del sole oltre le tende a giungere ovattato e dolce agli occhi rendendo le
forme più dolci e perfino il calore meno intenso. Suo malgrado non potè risparmiarsi un sorriso amaro: naturalmente il
giudizio più dolce di tutta Harryan,
stando alle sembianze di quel luogo...
Pochi passi
ancora nelle stanza e la Veggente con Asiya al suo
fianco vennero accolte dall’ossequioso nugolo di Consiglieri i quali, quasi
sgomitando, si affrettarono ad inchinarsi in segno di reverenziale rispetto.
“Vor Yersyel” dissero uno dopo
l’altro avvicinando due dita della mano destra agli occhi.
Che il
Sogno vi accompagni.
Era la
forma tradizionale di saluto comunemente usata fra gli alti Uffizi, una personale
formalità di casta.
“Uhe’yel zysat”
Che
accompagni anche voi.
Rispose la
Veggente senza ripetere il medesimo gesto, a significare che a differenza degli
altri lei possedeva la vista, a tutti gli altri negata.
Il
laborioso cerimoniale continuò fino a quando la Nihaar’ì
si accomodò sullo sgabello riservato alla Hayeli’vo
lasciando ad Asiya il comodo scranno destinato alla
Veggente. Solo allora tutti i presenti si accomodarono sulle proprie sedie.
“Somma Nihaar’ì” prese subito parola il Consigliere Luyo “Quest’oggi reco dinnanzi al vostro giudizio due casi
assai complessi. Il primo riguarda uno schiavo accusato di aver ucciso il
proprio padrone.”
La Veggente
annuì una volta con la testa, come voleva il cerimoniale. Anche da vicino la
figura alta e adunca di Luyo, avvolta nelle
tradizionali vesti brune, pareva la concretizzazione umana di qualche magro
uccello del deserto.
“Il secondo
riguarda invece un Risvegliato ed il suo esilio da Chermak”
Bastarono
quelle parole per far irrigidire i presenti e scatenare nel medesimo istante un
basso mormorio di stupore e allarme.
“Silenzio”
li redarguì istantaneamente la Nihaar’ì dal basso della propria seggiolina in
legno. Scure bende avvolte ora anche attorno al capo impedivano di vedere altro
che labbra e mento ai presenti. Subito tutti si zittirono, sebbene l’atmosfera
elettrica continuasse a permanere nella stanza.
Ovvio che
sono spaventati non potè esimersi dal pensare. Negli
ultimi tempi i Risvegliati stanno vertiginosamente aumentando di numero...gli
esili sono all’ordine del giorno...
“Che si
proceda” concluse tuttavia con voce monocorde per poi alzare rapidamente lo
sguardo in direzione di Asiya la quale fino ad allora
era rimasta perfettamente immobile.
Senza
abbassare lo sguardo, la giovane annuì una volta, piano.
Da quel
momento e fino alla fine dei processi, i loro ruoli si sarebbero invertiti.
Come da
consuetudine, il primo accusato venne fatto entrare ed accomodare sulla sedia a
lui destinata. Poiché il Giudizio della Veggente era una formula di giudizio
utilizzabile solo nell’istante in cui i singoli Day’nevy - Tribuni - non fossero stati in
grado di giungere ad una sentenza definitiva a causa della complessità del
caso, era cosa superflua rispolverare nel dettaglio i fatti e le questioni in
causa. Il giudizio della Veggente era perciò più una forma di valutazione politica delle sentenze, pattuite ancora
prima che il malcapitato giungesse dinnanzi ai propri giudici finali, che una
vera e propria vertenza giudiziaria.
Alla Nihaar’ì - ed in questo caso ad Asiya-
il solo compito di leggere la finale sentenza.
Stando così
le cose, quasi nessuno prestò attenzione alla testimonianza del poveretto - un
individuo di mezza età, smunto e scavato in volto abbastanza da lasciar
intravedere tutta la genuina volontà che lo aveva portato a sbarazzarsi del suo
crudele padrone con una stilettata in mezzo alle scapole. Solo uno dei
Consiglieri parve sforzarsi di porre una domanda all’uomo - le ragioni del suo
efferato delitto. Solo due diedero uno sguardo alle note scritte dai precedenti
giudici sotto il cui giudizio era passato l’intero caso. A grandi lettere era
scritto come il suddetto ricco mecenate fosse un membro prestigioso di una
gilda di costruttori, una potenza in tutto il paese, e che come tale la sua
dipartita creava serie problematiche di potere nella gestione degli affari
all’interno della famiglia.
La voce
docile e modulata di Asiya lo condannò a dieci anni
di lavori forzati nelle miniere di carbone di Yevtsuk’han.
“Che il Sonno possa alleviare le tue
sofferenze” concluse
quindi come da rito mentre egli veniva portato via nel silenzio più che totale.
La Nihaar’ì non potè
esimersi dallo scoccare uno sguardo compiaciuto alla propria Hayeli’vo:
quando occorreva, ella sapeva davvero simulare l’inflessione
pacata e remissiva che il suo caro maestro Ifron le
aveva impartito fin dalla tenera età.
“Una Dea parla con amore, con dolcezza,
con mesta beltà. Non rigurgita parole sperando semplicemente che esse non
risultino troppo sgradevoli all’udito.”
L’attimo
dopo eccoli tutti pronti per il “pezzo forte” della giornata. Il Risvegliato.
Fingendo un
tono calmo e misurato, il Consigliere Ovorsh che si
era occupato più da vicino del caso spiegò che si trattava di un ragazzo
sorpreso ad avventurarsi nel perimetro interno alle aree di desalinazione
dell’acqua; che aveva fatto resistenza quando fermato; che nella colluttazione
egli aveva rivelato i Segni del Sogno sul proprio corpo e che di conseguenza
era stato portato immediatamente a giudizio per l’esilio forzato.
Per i casi
di Risveglio, il Giudizio della Veggente era la prima ed unica forma di giudizio
esistente in tutto il territorio, data la gravità della cosa. Ecco perchè, a differenza degli anni passati, in quegli ultimi
tempi il Consiglio continuava a riunirsi con ritmi stranamente serrati....
Ed ecco che
finalmente, dopo la grande trepidazione generale e l’ancora più esasperata cavilleria del Consigliere, dalla porta principale fece il
suo ingresso l’individuo incriminato. Ai suoi fianchi stavano due Araldi, il
primo intento a condurlo in avanti servendosi della catena legata ai suoi
polsi, il secondo di guardia. Entrambi parevano indecisi se prestare più
attenzione a che il prigioniero non si ribellasse o a che egli non finisse per
sfiorarli per qualche imprevista motivo: il contatto con i Risvegliati era
infatti impuro, latore di sfortune e malattie di ogni genere.
Come
ricordando all’unisono la cosa, fu come se in contemporanea tutto il Giudizio
della Veggente si facesse appena indietro sulla propria sedia.
Condotto
fino alla sedia a lui destinata, il Risvegliato venne lì ammanettato per mezzo
di un lucido anello di ferro che sostava -solo per questi specifici casi-
proprio dinnanzi alla seduta.
“Che la Veggente possa avere pietà di te,
che nell’Incubo vaghi perduto” cominciò
subito col recitare il Consigliere Avorsh, seguendo
le parole di rito.
Dal canto
suo, il ragazzo si limitò a sollevare appena lo sguardo incontrando così quello
del Consigliere per un breve momento. Fu sufficiente -se possibile- per gelare
ancora di più i presenti: i suoi occhi, lasciati scoperti in qualità di prova
fisica di colpevolezza, presentavano le nere “cicatrici” del Risveglio, simili
a sbavature ossidiana che a partire dalla pupilla si diffondevano fino alle
estremità dell’iride. A vederli, pareva di osservare la dolorosa conseguenza
dello spezzarsi della pupilla e successivo diffondersi ovunque del nero in essa
racchiusa per tutto l’occhio.
Suo
malgrado, la Nihaar’ì rabbrividì. Uno spettacolo
innaturale, disturbante ed al contempo affascinante quale potrebbe essere il
mostrarsi di una bestia rara, unica e pericolosa. Una creatura solitaria nella
propria forma e proprio per questo temuta, braccata. Ma al contempo ammirata.
Allo stesso modo, parve di avvertire tutti quanti tacere in quell’attimo di
puro scrutamento, incerti sul condannare o viceversa elogiare quegli occhi ora
puntati su di loro in un misto di paura e sincero interesse quasi che il
ragazzo, ingenua stoltezza, non avesse ancora del tutto capito dove fosse
capitato e quale sarebbe stato l’esito della sua permanenza in quella candida
stanza.
Nero di
capelli, egli portava il taglio corto e disadorno dei Cacciatori di Yenavo’r,
famoso per lasciare la zona della cute sopra le orecchie quasi rasata a zero
per facilitare l’utilizzo degli strumenti di caccia agli, appunto, Yenavo’r (banalmente detti Draghi del deserto), di cui essi
erano specializzati. Alcune lunghe cicatrici ad uncino in prossimità di
orecchie e mascella indicavano che il ragazzo aveva già cominciato il proprio
addestramento in questa difficile arte trasmessa a livello familiare e negata a
qualunque esterno tanto per tradizione quanto per sua difficoltà intrinseca.
Eppure a
guardarlo non lo si sarebbe detto poco più grande di lei...
“Colui che
qui si presenta in giudizio, risponda” prese in quella a sillabare il
Consigliere. Vi era un che di affrettato nella sua voce, quasi che mantenere le
formalità piuttosto che giungere direttamente al dunque lo tediasse più di
quanto volesse dare a vedere. La Nihaar’ì non potè trattenere un sorriso maligno: chissà se anche nel
giorno del suo giudizio, quell’uomo altero e
impassibile si sarebbe lasciato andare a simili leggerezze e personali
curiosità. Lui, un uomo colmo di tante sfumature come quelle che si avvertono
accanto ad una carcassa in via di putrefazione... Negli occhi il disprezzo.
Nella voce la compiacenza. Nei modi, il servilismo più autentico.
“Qual’è il tuo nome?” continuò imperterrito -e ignaro-
l’altro.
Un attimo
di silenzio. Poi, lentamente, il giovane alzò i propri occhi sull’altro e
socchiuse le palpebre.
“Verkar’ach” la sua voce parve un sussurro nella penombra.
La voce del Consigliere vibrò come un colpo di frusta nell’aria “Non ho chiesto
il tuo nome di Cacciatore” lo ammonì facendolo quasi sobbalzare - e con lui
tutti i presenti - “Ma il tuo Vero nome”.
Verkar’ach significava Colui
che guarda lontano, ed
in genere era il titolo che veniva dato agli individui che fra i Cacciatori
rivestivano il ruolo di “Vedette”, a cui spettava cioè il compito di vedere le
prede e indicarle ai compagni. La rabbia del Consigliere era dunque quasi
motivata: su richiesta di un nome, aveva ricevuto un semplice titolo.
In un
brivido l’attenzione dei presenti si fece ancora più tangibile.
“Nayv” rispose quindi dopo un attimo il Cacciatore facendo
tintinnare le catene ai polsi. Il Consigliere parve rilassarsi in un profondo
sorriso.
“Nayv, sei accusato di portare sul tuo corpo e nel tuo
sguardo i segni del Risveglio” riprese quindi dopo un attimo “Una condizione
che comporta l’esilio da Chermak e da qualunque altra
civiltà riunita. Sfuggire l’isolazione tornando sui
propri passi comporta la Morte certa. Hai qualcosa da dire in tua difesa?”
Era una
domanda di rito. Solitamente era impossibile tentare anche una sola forma di
difesa contro i segni che ovvi si imprimevano sui corpi dei Risvegliati. Ma per
qualche ragione, ogni volta, era come se il Consiglio attendesse una qualche
risposta dagli interrogati. Qualcuno che osasse tentare di imbastire una
difesa, di ostentare una qualunque forma di controprova all’ineluttabile
veridicità dei capi d’accusa. Fallendo, ovviamente, ma in ogni caso,
provandoci.
E manco a
dirlo, questa volta parve davvero che il desiderio dei presenti
venisse ascoltato perchè dopo un attimo di
stordimento, lo sguardo dell’imputato si alzò a scrutare i visi di tutti, uno
per uno, uno dopo l’altro, per poi infine fermarsi su quello della Veggente.
Di Asiya, in realtà. Ma la NIhaar’ì
avvertì comunque le proprie guance accendersi.
Per un
attimo egli sembrò scrutare la figura della Veggente con sincero e pacato
interesse. Valutarne fisicità e proporzioni. Aspetto. Per poi, come incerto su
ciò che vedeva, spostare i propri occhi direttamente su di lei, sulla Nihaar’ì.
Solo
allora, come brivido sottopelle, egli parve accendersi di una nota cupa e
dolente, qualcosa che suo malgrado la ragazza potè
facilmente -ma non senza una punta di orrore- riconoscere come odio misto a
timore.
Come poteva
guardare lei...Lei, quando al suo
fianco stava quella che all’occhio di tutti avrebbe dovuto essere la Vera
Veggente...
Avvertì la
sensazione del sudore condensarsi a fil di pelle.
Poi,
lentamente, il ragazzo alzò le proprie mani ammanettate indicando lei, si lei,
con il dito indice.
“Io ho visto lei “ sillabò
quindi con strano candore “Lei condurrà tutti noi alla rovina”
Nel gelo
che calava nella stanza come spada dritta nelle sue viscere, la Nihaar’ì trovò perfino difficile respirare.
Per un
attimo si vide alzarsi, percorrere con ampie falcate la distanza che la
separava da quel bugiardo e schiaffeggiarlo lì, davanti a tutti. E gridargli
che mentiva. Che non era vero. Che anche solo osare tali parole significava la
morte immediata. Esecuzione istantanea.
Ma scoprì
con orrore che le mancavano le forze. Nell’attimo in cui egli aveva parlato,
quelle parole l’avevano inchiodata lì alla propria sedia, incapace anche solo
di fiatare.
Nessuno osò
parlare. Forse come lei, tutti quelle alte cariche erano state come paralizzate
dall’agghiacciante falsità di quel giovane, incapaci semplicemente di reagire a
quella prima, feroce, accusa che veniva rivolta alla Veggente. Mai nessuno
prima aveva osato.
Una
Visione. Lui. Un Cacciatore venuto dal nulla e chissà perché capitato proprio
lì, davanti a tutti, ad accusarla senza alcuno sprezzo del pericolo.
“Il Volto
della Nihaar’ì è nascosto agli occhi di tutti. E’
cosa impossibile che la tua immaginazione l’abbia potuto vedere” la voce di Zaphil fu come una scarica elettrica nella stanza. Crepitò
fra i presenti e giunse con uno schiocco sordo proprio alle orecchie del
ragazzo che, suo malgrado, non potè che sobbalzare.
Forse anche
per lui quel silenzio era stato più allarmante di quanto si fosse aspettato.
Scoprendosi
al contempo incapace di vivere, ma fortunatamente anche di morire, la Veggente
scoprì con necessità di dover ringraziare il Naphil per la cura con cui aveva
usato la parola “Immaginazione” piuttosto che “Sogno” o “Visione” riferendosi a
ciò che l’altro diceva di aver visto.
Visioni e
Sogni erano affare della Veggente. Chiunque osasse proferire le medesime
capacità non era altro che un impostore o un millantatore.
Il semplice
chiarire questo fatto chiariva ancora una volta la sua figura sovrana in
quell’oramai troppo pericoloso Consiglio. Tuttavia il ragazzo parve ora
intenzionato a non sbugiardarsi. Scosse una volta il capo e, malgrado
l’evidente tremore nella sua voce, si sforzò di obiettare con voce modulata “Io
ho visto la
Veggente. Quella...” ed ancora una volta indicò con orribile precisione e
sicurezza la sua figura “E’ la sua bocca. Quello è il suo mento. E so per certo
che sotto quelle sete vi siano occhi che io ricordo con precisione di aver...”
esitò un istante, come colto da un pensiero improvviso. Era vietato guardare
negli occhi le persone. “ Visto “.
Evidentemente
il pensiero di dichiarare di aver infranto -anche in sogno- una ventina o più
di leggi inviolabili non preoccupavano abbastanza il ragazzo da impedirgli di
asserire a pieni polmoni la propria verità.
Una goccia
di sudore prese a colare lungo la schiena della ragazza in una sgradevole
sensazione di panico e terrore insieme.
Lui aveva
Visto.
Pur
incapace di voltare il capo per vederlo, la Nihaar’ì
ebbe la chiara sensazione che al suo fianco, Zaphil,
sospirasse.
“Non esiste Visione se non quella della Veggente”
sillabò gelido. “MA IO L’HO VISTA!” se avesse potuto, il giovane sarebbe per
certo in quella scattato in piedi. Un livido rossore imporporì
immediatamente collo e volto “L’ho vista richiamare con la propria voce una
intera legione di ombre per distruggere...” “ Ora
basta! ”
Con grande
sorpresa di tutti, era stata Asiya a prendere parola.
Ferma sul proprio scranno, ella pareva ora di pietra.
“Io sono
colei che stai accusando con simile leggerezza.” esitò “Io” ripetè
quindi con dura rabbia “Io che con la mia Voce difendo uomini e bestie dalla
ferocia dei loro stessi Incubi. Io, la vostra salvezza” esitò ancora un
istante, un tremore che per un secondo l’attraversò facendola rabbrividire “Io”
continuò tuttavia dopo un attimo “Che come le Nihaar’ì
che mi hanno preceduto un giorno dovrò perire proprio in difesa di tutti quelli
che dubitano di me e che come te mi diffamano senza capire che è solo grazie a
me che tutte le vostre menzogne e incubi possono esistere”.
Pur sapendo
che non era nella ritualità agire così, Asiya si
sollevò comunque dal proprio scranno. Nessuno parve in grado di reagire: mai la
Veggente era stata accusata. Mai si era palesata la possibilità di una Visione.
Mai, prima di allora, la Veggente aveva dunque preso parola se non per
pronunciare il verdetto finale. E per...difendersi.
“E sempre
Io, dunque” concluse imperterrita Asiya “Condanno con
la Morte le tue falsità. Possa il Sogno guidarti verso il Cammino della Pace,
poiché nessun altro lo farà”
“Non è mai
accaduto che la Nihaar’ì prendesse così parola”
Nella
morbida oscurità della notte, le pareti bianche della camera da letto parevano
brillare appena del pallido riflesso lunare. Leggero e fresco, un vento sottile
scivolava fra le tende tirate, scompigliando di mille riflessi azzurrini il
candore della stoffa.
C’era odore
di sale nell’aria, una strana sfumatura fresca ad impregnarsi sulla pelle
accaldata.
Distesa
pancia in giù, le lunghe chiome abbandonate sulle sete candide, Asiya socchiuse una volta le palpebre. Due. Poi si concesse
un sospiro ovattato.
“Lo so.” ribattè dopo un attimo, la voce impastata dalla stanchezza.
“E allora perchè l’hai fatto?” pallida, la luce lunare si rifletteva
nelle iridi ambrate della Veggente, scintillando in esse di sfumature calde
“Sai quanto sia importante che le cose rimangano come sono, soprattutto ora che
vanno già di per sé...male”
Per un
secondo Asiya parve incapace di rispondere, gli occhi
fissi in quelli della Nihaar’ì distesa sul medesimo
letto accanto a lei, l’una accanto all’altra.
Poi sospirò
ancora.
“C’era
qualcosa di pericoloso nelle sue parole” constatò dopo un attimo “Cosa?” “Il
dubbio” asserì gelida “Il dubbio che qualcuno potesse mettere in discussione il
tuo dono e rimanere in vita. Che potesse andarsene in giro a sbandierare di
aver avuto una Visione e farla franca”
Per quanto
semplice, la Nihaar’ì sapeva quanta precoce saggezza
vi fosse nel pensiero di Asiya. Quanto ella, malgrado
l’atteggiamento solitamente semplice e leggero, avesse ben presente su che tipo
di strapiombo la Nihaar’ì e lei camminassero ogni
giorno. Quanto esso fosse sottile. E quanto fosse vitale comprovarne ogni
giorno la stabilità e solidità.
“Ammesso
che il tuo ragionamento sia corretto, esso non giustifica che tu, la mia Hayeli’vo, ti possa sentire autorizzata a prendere parola
per mia Voce e decida arbitrariamente cosa fare. Tu sei il mio riflesso, non la
mia Volontà” per quanto difficili da proncunciare,
quelle parole uscirono dure e inflessibili dalle labbra della Veggente. Si tirò
sui gomiti, chiome nere a ricarderle attorno al viso
in una cascata nera “Mandare a morte un ragazzo per delle semplici accuse
infondate non è affare di tua competenza”
Questa
volta Asiya parve accigliarsi.
“Non erano
parole di ragazzo, quelle” replicò secca “Erano accuse di un uomo. Accuse che
ora rimarranno nella mente di tutti i presenti e con le quali dovremo fare i
conti”
“Quelle, o
il fatto che una semplice controfigura si diverta a fare la parte
dell’Originale?”
Per un
secondo, un nuovo silenzio calò fra di loro, duro e freddo come mai la loro
amicizia avrebbe dovuto essere. Ma non era intenzione della Veggente
soprassedere sulla cosa.
Per quanto
amiche, compagne di vita, quasi sorelle in realtà, vi erano dei confini che le
dividevano e le avrebbero per sempre divise. Ne andava della loro medesima vita
e dell’inganno che esse intrecciavano nei confronti del resto del mondo.
“Grazie a
te ora io non saprò mai fino a che punto si sarebbero spinte quelle illazioni.
Non saprò mai chi abbia comandato a quell’imbecille di dirle...”esitò
”Credi che non provenissero da lui stesso?” sillabò improvvisamente stupita Asiya.
Senza
volerlo, la Nihaar’ì si strinse nelle spalle.
“Molto più
probabile quello di tutto ciò che gli ho sentito dire” esalò non senza una
buona dose di incertezza “Ma ora che non potremo mai più saperlo ti avverto, Asiya: interferisci ancora una volta con la mia Volontà e
sarà la tua testa a cadere, non quella di un Cacciatore”