Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Elendil    30/12/2015    1 recensioni
Per un attimo Zaphil parve come intenzionato a toccarla, ad afferrarla per il braccio. Solo all’ultimo egli si bloccò. “Sarà meglio scendere. Oggi ho lezione e ...” tentò di dire lei con il cuore in gola ma lui non la lasciò finire.
“Odayn” la sua voce era bassa e cupa ora “La Torre del Tempo non sarà per sempre un luogo sicuro per te. Cerca di fare attenzione”.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ri-ciao!

Su suggerimento di qualcuno (grazie anche a Leyla), ho deciso di spezzare in due il primo capitolo così da renderlo più leggero e fruibile J

Spero sia stata una mossa saggia ;)

Ancora grazie a tutti!!

 

Baciozzo

Elendil

 

 

La sensazione di gelo scaturita da quelle parole accompagnò la Nihaar’ì per tutta la discesa della Torre fino a quando, molte rampe di scale più in basso, ella non si ritrovò nel piano dedicato alla coltura e mantenimento dei giardini “pensili”. In tutta sincerità, definirli giardini era cosa assai fantasiosa giacché ciò che si presentava agli occhi dell’osservatore era qualcosa di più simile ad un groviglio di nodose e pallide radici inerpicate su pareti e pavimenti piuttosto che ad un verdeggiante assembramento di fiori e piante verdi. La chiamavano “Radice del Cielo”, poiché la sua graziosa tendenza ad inerpicarsi su qualsiasi cosa rappresentasse un sostegno stabile e la forma di rami e tronco del tutto simili a radici dava la netta sensazione di trovarsi dinnanzi ad una pianta fatta e finita ma per qualche ragione girata al contrario, con le fondamenta disperse al cielo e le chiome piantate giù, a terra, a prendere il frescume negato dall’atmosfera.

Manco a dirlo, era anche l’unica pianta che fosse stato possibile coltivare ed alimentare in quel microclima desertico senza che l’intera popolazione di Chermak si chiedesse perché mai le scorte d’acqua di una intera città dovessero proprio finire nell’umido terriccio di arbusti incapaci di nulla se non allietare la vista.

Da che tale compromesso era stato piantato e lasciato germogliare, le Veggenti si erano dovute accontentare di quella pallidissima imitazione di orto botanico, ad oggi simile ad un intrigo di radici color latte, un po’ nodoso alla vista, un po’ grotta botanica nella quale infilarsi per trovare un po’ di pace.

Fu in quel groviglio che la Nihaar’ì si lasciò docilmente cadere, la schiena a toccare il muro naturale e le gambe semidistese a terra, scomposte. Trasse un profondo respiro, avvertendo il sudore ovunque rappreso -conversazione alquanto semplice...- asciugarsi lentamente nello spirare di aliti di vento ovunque soliti sibilare e percorrerre con mormorii confusi la stanza.

La Torre del Tempo non sarà per sempre un luogo sicuro per te.

Il ricordo delle parole di Zaphil era come un rombo basso nella sua mente, come sabbia in sospensione fra i suoi pensieri apparentemente immobile, eppure ad ogni movimento visibile e tangibile come un muro prossimo dal concretizzarsi.

Lo so.

Si rispose dopo un attimo socchiudendo gli occhi.

Lo so eccome. Zaphil credeva forse di parlare con una bambina?

Già da qualche tempo aveva notato come i Nobili la guardavano, come le guardie la scrutavano, come perfino i suoi servi parevano valutarla da capo a piedi ogni volta che entrava in una stanza. Non era cieca.

Il sospetto, quello vero, non è poi così difficile da vedere, una volta che lo si è riconosciuto la prima volta. E ancor meno lo è la derisione mentre, lo sapeva, ognuno di quegli inutili leccapiedi apprendeva grazie al tam tam della Torre che ancora nessun Nobile aveva avanzato pretese nuziali nei suoi confronti.

“La nostra cara Nihaar’ì è ancora un oggettino tutto sete e sfarfallii” aveva sogghignato un giorno Hamde Vahri, una nobile di alto lignaggio tutta riccioli e sete profumate. Musica e danze - consueta forma di intrattenimento per ogni sera passata all’interno della Torre - avrebbero di certo coperto il suono delle sue parole se casualmente la Nihaar’ì non si fosse trovata proprio in quel momento a tiro d’orecchio “Credo che non si dispiacerà se tutti noi qui aspettiamo il suo primo vero scintillio per reclamare il privilegio della discendenza”.

Discendenza....un modo davvero Nobile di definire la compravendita degli intimi favori delle Veggenti, da sempre fonte d’ispirazione per i peggio intrighi all’interno della Torre.

A quel tempo, ella aveva poco più di dodici anni e la prospettiva di essere semplicemente “montata” da un Nobile - ovviamente solo dopo essere stata pesata, misurata e giudicata degna di un simile onore - non le era sembrata affatto piacevole. Sfortunatamente, Zaphil non era parso del medesimo avviso. Ovvio che no. Dinnanzi alle sue sfuriate tutta adolescenza e nervi aveva semplicemente replicato che, oltre che ovvio, era assai auspicabile che il suo dono non venisse mischiato e disperso ma conservato e comprato da un individuo dotato del “Talento del Sogno”, la capacità cioè di ricordare e influenzare in minima parte i sogni, o perlomeno abbastanza ricco da comprarselo.

“In ogni caso” l’aveva infine rassicurata“La precedenza viene sempre riservata ad individui dotati

Ed in mancanza del primo attributo, aveva poi privatamente continuato, è prassi comune che i Nobili lascino l’incombenza della riproduzione ad individui di Talento interni alla famiglia o selezionati direttamente dai Naphil.

L’incombenza.

Gli occhi socchiusi, la Nihaar’ì avvertì la mascella serrarsi per un secondo appena, riflesso incondizionato di una rabbia che solo pochi anni prima era stata cosa davvero mirabile. Si costrinse a rilassarsi lentamente. Oggi era tutto diverso. Sospirò. Osservare uno ad uno quei rampolli individuandone per ognuno odori e abitudini moleste, sgraziate imperfezioni e naturali abbruttimenti della figura non era che una innocente distrazione dalla onnipresente consapevolezza che uno di loro, prima o poi, sarebbe divenuto il suo sposo. Amato sposo.

Ed in fondo, più andava avanti, più si accorgeva di attendere e sempre meno temere quell’alternativa. In fondo avrebbe semplicemente significato la fine delle sue paure, delle sue angoscie, della costante e mortificante consapevolezza di non essere ancora - ed in potenziale di poterlo anche non divenire mai - la Veggente....

 

--------------

 

Una mano a protendersi del nulla. Bianca e pallida, eppure forte nella sua figura.

Nella luce si defila mentre lei, nel buio, rannicchiata alza allora lo sguardo al cielo. Ed è’ bianco. Ed è pallido. E’ della luce che i suoi occhi si bagnano ansiosi, impauriti, doloranti prima che anche la sua mano risalga a stringere l’altra.

 

-----------

 

“Eccoti finalmente! Cominciavo quasi a perdere le speranze!” una voce la riscosse in un sobbalzo. Si era addormentata...

Si umettò le labbra, una vaga sensazione di sete su di esse a renderle stranamente frastagliate e ruvide sotto la lingua.

Non si era nemmeno accorta...

In quella un volto gioioso si parò nella sua visuale costringendola suo malgrado a focalizzare il mondo circostante.

Zaphil mi ha chiesto di andarti a cercare” la voce di Asiya era di poco sotto il tono consentito per risultare stridula, eppure la leggerezza che ella adottava sempre nell’esprimersi era in grado di renderlo assai gradevole alle orecchie di chiunque “Pensava che dopo le sgridate di oggi avessi deciso di mettere il broncio tutto il giorno...” continuò con un mezzo sogghigno divertito.

E non avrebbe così tanto rischiato di sbagliare....dovette ammettere la Nihaar’ì mentre con uno sbuffo divertito rispondeva al sorriso dell’altra.

“O che tentassi cose pazze e avventate come mettermi semplicemente a dormire ed attendere l’ora delle Udienze....” rimbrottò con tono scontroso.

Per un attimo Asiya si limitò a fissarla con un mezzo sogghigno. Poi, vagamente, si strinse nelle spalle “Sai quanto possa essere apprensiva la tua guardia del corpo” in uno sbuffo di sete si sedette a ginocchia unite dinnanzi a lei “Abbastanza da sguinzagliare la quipresente migliore amica della Nihaar’ì senza nemmeno curarsi del fatto che non fossi arrivata neanche a metà della mia Rushi -meditazione- mattutina....” “Terribile...” rimbrottò la Veggente alzando con un sospiro gli occhi al cielo.

Senza badarle, con un gesto apparentemente familiare Asiya allungò entrambe le mani a scostare il cappuccio bianco che, nella discesa, la ragazza aveva provveduto a calare nuovamente sul capo così da nasconderla un po’ agli occhi dei presenti.

“Ah, maledetti Araldi” concluse dopo pochi attimi “Tutti lì a dirmi Oggi la Nihaar’ì si è svegliata più radiosa del solito...pareva un bocciolo in fiore... e invece eccole qui...” con un gesto gentile le passò entrambi i pollici sotto gli occhi disegnando con un unico movimento i solchi di due scure occhiaie coperte. Sentire il contatto delle dita di Asiya al di sotto della seta le provocò un lieve brivido sorpreso.

Da che era nata, le sole persone che avessero avuto la concessione di toccare lei, la Veggente, erano state umili servitori e balie per ciò che atteneva la cura della sua persona. E Asiya. Ma lei era un’eccezione.

“I chiari simboli di un’altra notte passata a fare la svenevole con quel piantasabbia del piano di sotto...” si accigliò, come fingendo di non ricordare qualcosa “Com’è che si chiamava.... Ergui ... Ergut...”

Con un finto sospiro la Veggente si abbandonò alla presa dell’altra, lasciando che un po’ del malumore della mattinata scivolasse via assieme alla sua goliardia. “Ergan” sillabò dopo un attimo la Nihaar’ì “E non è un piantasabbia. I suoi genitori sono allevatori...” “Di rape, visto il cervello che quello si ritrova” concluse con un ghignetto Asiya cominciando al contempo a frizionarle i capelli corvini.

Altro sospiro.

“Per te sono tutti piantasabbia, Asiya...” girandosi per consentirle di riordinarle la treccia, la Nihaar’ì abbandonò lievemente il capo all’indietro “Mai una volta che mi tu mi dica qualcosa di positivo su qualunque uomo della Torre. Mai una volta che esprima un giudizio positivo su qualcuno...” “Questo non è vero. Io esprimo molto spesso giudizi positivi su di me”.

Leggera, la risata della dama di compagnia della Veggente trillò fra le due, attirando suo malgrado l’attenzione di tutti gli Araldi lì presenti. l’una né l’altra parvero farvi caso, evidentemente abituate a questo tipo di conversazioni “pubbliche”.

“Che ti devo dire” riprese dolcemente Asiya dopo un attimo. Con una mossa sapiente sciolse le chiome della veggente lasciando che cascate corvine le si spargessero fra le dita “Magari è la Torre che attira solo casi umani...” “O sei tu che hai un parametro di giudizio che sfiora l’improbabile...” “ O ancora meglio” le mani della ragazza parevano conoscere abbastanza bene quei gesti lenti e precisi da non inficiare minimamente la sua capacità di concentrarsi “Forse tutti i tuoi spasimanti si sono messi d’accordo per essere brutti ed imbelli, così quando verrà il momento sarai costretta a decidere puramente a caso e non per merito. Mai che si dica che la Veggente faccia dei favoritismi...”

Malgrado l’argomento “spinoso”, la Nihaar’ì non potè proprio trattenersi dal sorridere divertita.

“Fa attenzione, cara mia, che esiste una discreta possibilità che sia tu, e non io, a doverti cuccare il lieto sposalizio” le dita dell’altra vibrarono appena “Non sia mai!” esalò questa volta con finto sdegno. Con una pacca sulla spalla indicò all’altra di aver finito. “In quantoHayeli’vo - Specchio velo - pretendo di poter fare la viziata e la vanitosa almeno quanto, se non di più della mia protetta” in una piroetta, la Nihaar’ì si tirò in piedi e con lo sguardo cercò rapidamente uno degli specchi che ovunque adornavano la Torre. Erano specchi creati per deviare il sole e così smorzarne l’arsura nelle camere, ma all’occorrenza ognuno di essi poteva fungere da buon punto di osservazione per acconciature, abbigliamento e non per ultime, curiosità più o meno lecite.

“Tu sei già più vanitosa e viziata di quanto il tuo ruolo occorrerebbe...” quando ebbe trovato quello che faceva al caso suo tese una mano all’altra così che, afferrandola, insieme potessero collocarsi dinnanzi ad una lucida lastra riflettente “Ma Zaphil è troppo affascinato da te per pensare anche solo di fartelo notare....

Per un attimo la superficie riflettente parve volersi prendere gioco della Nihaar’ì e della ragazza che con lei prendeva a mettersi come in posa, fianco a fianco, una mano unita da un vincolo tanto simile all’amicizia quanto alla fratellanza. Esso, privo di anche un solo sbavo di polvere, rifletteva infatti non una, bensì due volte l’immagine sottile e impettita della Veggente, blu nelle stoffe e orpelli luccicanti. Due volte un fisico asciutto e quasi infantile. Due capigliature nero carbone. Due trecce alte e ben pettinate. Due visi, due bende di egual misura e colore.

Poi, lentamente, una delle due “copie”, quella di sinistra, si mosse da sola, poggiando una mano al fianco ed assumendo allora una posa assai più provocante e sbarazzina dell’altra.

“E come dargli torto?” sillabò Asiya “Essendo migliore dell’originale, quel pover’uomo ha tutto il diritto di essersi invaghito di me a tal punto da temere perfino il parlami”.

Sorridendo, la Veggente si limitò a scuotere il capo con fare rassegnato.

“Scema” rimbrottò senza smettere di rimirarsi “Guarda che se continui ad atteggiarti a quel modo tutti capiranno l’inganno....e allora entrambe avremo ben altro di cui preoccuparci”

Per un secondo, sorridenti eppure assorte, le due ragazze continuarono a guardarsi così, l’una accanto all’altra. Il vestito e l’acconciatura ora perfettamente identici così come la struttura fisica e la postura. Perfino le sfumature della pelle e le profonde Cicatrici del Sogno erano identiche le une alle altre, sebbene in Asiya fossero state riprodotte artificialmente con dolore e sopportazione senza fine.

Solo pochi particolari le differenziavano, lasciando intendere che a sinistra vi fosse la Veggente ed a destra la sua Hayeli’vo, la sua controfigura: la postura vagamente più impacciata della prima ed i tratti del viso vagamente dissimili. Ma, come facilmente intendibile, con veli e copricapi tali inezie erano cose di poco conto rispetto ad una solida e perfetta apparenza generale.

La pratica di possedere una Hayeli’vo si era diffusa fin da tempi antichissimi in tutte le cerchie più alte della nobiltà quale metodo sicuro ed affidabile per evitare di esporre le cariche politiche e religiose ai rischi della quotidianità: avvelenamenti, assassini, omicidi ed altro ancora erano infatti così diffusi che il solo modo di resistervi era avere letteralmente qualcuno che facesse in toto le veci della Nobiltà in qualunque situazione di pericolo o incertezza. Ora, con il massiccio impiego di Araldi e mercenari, le cose parevano da molti anni essersi appianate al punto da far scomparire tale fenomeno. Ma non per tutti. 
Alcuni, ed in questo caso le Nihaar’ì, solevano circondarsi ancora di queste controfigure in grado di proteggerle e difenderle a qualunque costo. Unite dalle somiglianze estetiche, ma nel tempo accomunate da una vita vissuta in alternanze costanti, generalmente le Hayeli’vo divenivano amiche e compagne per la vita, confidenti, consigliere ma anche vere e proprie sorelle fino alla morte... talvolta naturale.

Asiya ne era una chiara dimostrazione. Da qualche anno assegnata alla Nihaar’ì, ella aveva avuto modo di instaurare con lei un rapporto di amicizia profondo e duraturo, capace di scaldare ed infrangere le barriere della solitudine di entrambe. Chiaro, non era sempre stato tutto rose e fiori.

Il suo incarico era cominciato a seguito della dipartita della precedente Hayeli’vo con la quale la Nihaar’ì aveva ovviamente instaurato un rapporto intimo e complice. Ma il veleno insito nel dono di un Nobile di alto lignaggio era stato superiore a qualunque sua resistenza. Dopo averla piagata nel corpo, esso aveva distrutto la sua mente costringendola a spegnersi fra atroci sofferenze dopo giorni e giorni di agonia.

Chiaro che la Nihaar’ì non fosse affatto ansiosa di rimpiazzare una cara amica - capace di dare suo malgrado la vita per lei- con un’altra, nuova di pacca e assurdamente ansiosa di cominciare i suoi giorni di soggiorno all’interno della Torre. Per i primi tempi la permanenza delle due nella medesima stanza, sullo stesso piano e perfino nel medesimo edificio non era stata cosa assai semplice.

Poi, lentamente, la semplice allegria e spontaneità di Asiya erano riuscite a fare breccia nel cuore dell’altra trasformando un difficile inizio in una dolce e gratificante amicizia.

“Faremo bene a prepararci” la Nihaar’ì osservò distrattamente le ombre del sole ad infrangersi attorno a lei “Credo che oramai sia ora di andare”.

 

Poco dopo, chiacchierando del più e del meno, le due scendevano distrattamente i gradini della Torre, uno stuolo di Araldi ai loro fianchi ad impedire a chiunque estraneo di avvicinarle. Giunsero infine al piano delle Udienze, il luogo entro il quale si discutevano le cause che ogni giorno il Datarn -  Giudizio della Veggente- discuteva.

Entrando, si trovarono dinnanzi ad un’ampia sala illuminata, ampi finestroni a volta coperti da pallide tende ondeggianti al vento. Al centro della stanza era collocato un enorme tavolo in pietra bianca, finemente intagliato con motivi vegetali. La sua forma a mezzaluna permetteva alle dodici sedie dietro di esso di sostare tutte rivolte nella medesima direzione ove solitamente, su una sedia di elegante fattura, sostava “l’imputato”.

Posta esattamente al centro delle sedie destinate ai Consiglieri e alle più alte cariche giuridiche di Chermak stava la sedia della Veggente, anch’essa di pietra, con al fianco una sedia più piccola in legno, riservata alla sua  Hayeli’vo.

Entrando, la Nihaar’ì notò che come sempre l’atmosfera di quel luogo trasudava pulizia e un insolito senso di tranquillità, il vago riflesso del sole oltre le tende a giungere ovattato e dolce agli occhi rendendo le forme più dolci e perfino il calore meno intenso. Suo malgrado non potè risparmiarsi un sorriso amaro: naturalmente il giudizio più dolce di tutta Harryan, stando alle sembianze di quel luogo...

Pochi passi ancora nelle stanza e la Veggente con Asiya al suo fianco vennero accolte dall’ossequioso nugolo di Consiglieri i quali, quasi sgomitando, si affrettarono ad inchinarsi in segno di reverenziale rispetto.

Vor Yersyel” dissero uno dopo l’altro avvicinando due dita della mano destra agli occhi.

Che il Sogno vi accompagni.

Era la forma tradizionale di saluto comunemente usata fra gli alti Uffizi, una personale formalità di casta.

Uhe’yel zysat

Che accompagni anche voi.

Rispose la Veggente senza ripetere il medesimo gesto, a significare che a differenza degli altri lei possedeva la vista, a tutti gli altri negata.

Il laborioso cerimoniale continuò fino a quando la Nihaar’ì si accomodò sullo sgabello riservato alla Hayeli’vo lasciando ad Asiya il comodo scranno destinato alla Veggente. Solo allora tutti i presenti si accomodarono sulle proprie sedie.

“Somma Nihaar’ì” prese subito parola il Consigliere Luyo “Quest’oggi reco dinnanzi al vostro giudizio due casi assai complessi. Il primo riguarda uno schiavo accusato di aver ucciso il proprio padrone.”

La Veggente annuì una volta con la testa, come voleva il cerimoniale. Anche da vicino la figura alta e adunca di Luyo, avvolta nelle tradizionali vesti brune, pareva la concretizzazione umana di qualche magro uccello del deserto.

“Il secondo riguarda invece un Risvegliato ed il suo esilio da Chermak

Bastarono quelle parole per far irrigidire i presenti e scatenare nel medesimo istante un basso mormorio di stupore e allarme.

“Silenzio” li redarguì istantaneamente la Nihaar’ì dal basso della propria seggiolina in legno. Scure bende avvolte ora anche attorno al capo impedivano di vedere altro che labbra e mento ai presenti. Subito tutti si zittirono, sebbene l’atmosfera elettrica continuasse a permanere nella stanza.

Ovvio che sono spaventati non potè esimersi dal pensare. Negli ultimi tempi i Risvegliati stanno vertiginosamente aumentando di numero...gli esili sono all’ordine del giorno...

“Che si proceda” concluse tuttavia con voce monocorde per poi alzare rapidamente lo sguardo in direzione di Asiya la quale fino ad allora era rimasta perfettamente immobile.

Senza abbassare lo sguardo, la giovane annuì una volta, piano.

Da quel momento e fino alla fine dei processi, i loro ruoli si sarebbero invertiti.

 

Come da consuetudine, il primo accusato venne fatto entrare ed accomodare sulla sedia a lui destinata. Poiché il Giudizio della Veggente era una formula di giudizio utilizzabile solo nell’istante in cui i singoli Day’nevy - Tribuni - non fossero stati in grado di giungere ad una sentenza definitiva a causa della complessità del caso, era cosa superflua rispolverare nel dettaglio i fatti e le questioni in causa. Il giudizio della Veggente era perciò più una forma di valutazione politica delle sentenze, pattuite ancora prima che il malcapitato giungesse dinnanzi ai propri giudici finali, che una vera e propria vertenza giudiziaria.

Alla Nihaar’ì - ed in questo caso ad Asiya- il solo compito di leggere la finale sentenza.

Stando così le cose, quasi nessuno prestò attenzione alla testimonianza del poveretto - un individuo di mezza età, smunto e scavato in volto abbastanza da lasciar intravedere tutta la genuina volontà che lo aveva portato a sbarazzarsi del suo crudele padrone con una stilettata in mezzo alle scapole. Solo uno dei Consiglieri parve sforzarsi di porre una domanda all’uomo - le ragioni del suo efferato delitto. Solo due diedero uno sguardo alle note scritte dai precedenti giudici sotto il cui giudizio era passato l’intero caso. A grandi lettere era scritto come il suddetto ricco mecenate fosse un membro prestigioso di una gilda di costruttori, una potenza in tutto il paese, e che come tale la sua dipartita creava serie problematiche di potere nella gestione degli affari all’interno della famiglia.

La voce docile e modulata di Asiya lo condannò a dieci anni di lavori forzati nelle miniere di carbone di Yevtsuk’han.

Che il Sonno possa alleviare le tue sofferenze” concluse quindi come da rito mentre egli veniva portato via nel silenzio più che totale. La Nihaar’ì non potè esimersi dallo scoccare uno sguardo compiaciuto alla propria Hayeli’vo:  quando occorreva, ella sapeva davvero simulare l’inflessione pacata e remissiva che il suo caro maestro Ifron le aveva impartito fin dalla tenera età.

Una Dea parla con amore, con dolcezza, con mesta beltà. Non rigurgita parole sperando semplicemente che esse non risultino troppo sgradevoli all’udito.”

L’attimo dopo eccoli tutti pronti per il “pezzo forte” della giornata. Il Risvegliato.

Fingendo un tono calmo e misurato, il Consigliere Ovorsh che si era occupato più da vicino del caso spiegò che si trattava di un ragazzo sorpreso ad avventurarsi nel perimetro interno alle aree di desalinazione dell’acqua; che aveva fatto resistenza quando fermato; che nella colluttazione egli aveva rivelato i Segni del Sogno sul proprio corpo e che di conseguenza era stato portato immediatamente a giudizio per l’esilio forzato.

Per i casi di Risveglio, il Giudizio della Veggente era la prima ed unica forma di giudizio esistente in tutto il territorio, data la gravità della cosa. Ecco perchè, a differenza degli anni passati, in quegli ultimi tempi il Consiglio continuava a riunirsi con ritmi stranamente serrati....

Ed ecco che finalmente, dopo la grande trepidazione generale e l’ancora più esasperata cavilleria del Consigliere, dalla porta principale fece il suo ingresso l’individuo incriminato. Ai suoi fianchi stavano due Araldi, il primo intento a condurlo in avanti servendosi della catena legata ai suoi polsi, il secondo di guardia. Entrambi parevano indecisi se prestare più attenzione a che il prigioniero non si ribellasse o a che egli non finisse per sfiorarli per qualche imprevista motivo: il contatto con i Risvegliati era infatti impuro, latore di sfortune e malattie di ogni genere.

Come ricordando all’unisono la cosa, fu come se in contemporanea tutto il Giudizio della Veggente si facesse appena indietro sulla propria sedia.

Condotto fino alla sedia a lui destinata, il Risvegliato venne lì ammanettato per mezzo di un lucido anello di ferro che sostava -solo per questi specifici casi- proprio dinnanzi alla seduta.

Che la Veggente possa avere pietà di te, che nell’Incubo vaghi perduto” cominciò subito col recitare il Consigliere Avorsh, seguendo le parole di rito.

Dal canto suo, il ragazzo si limitò a sollevare appena lo sguardo incontrando così quello del Consigliere per un breve momento. Fu sufficiente -se possibile- per gelare ancora di più i presenti: i suoi occhi, lasciati scoperti in qualità di prova fisica di colpevolezza, presentavano le nere “cicatrici” del Risveglio, simili a sbavature ossidiana che a partire dalla pupilla si diffondevano fino alle estremità dell’iride. A vederli, pareva di osservare la dolorosa conseguenza dello spezzarsi della pupilla e successivo diffondersi ovunque del nero in essa racchiusa per tutto l’occhio.

Suo malgrado, la Nihaar’ì rabbrividì. Uno spettacolo innaturale, disturbante ed al contempo affascinante quale potrebbe essere il mostrarsi di una bestia rara, unica e pericolosa. Una creatura solitaria nella propria forma e proprio per questo temuta, braccata. Ma al contempo ammirata. Allo stesso modo, parve di avvertire tutti quanti tacere in quell’attimo di puro scrutamento, incerti sul condannare o viceversa elogiare quegli occhi ora puntati su di loro in un misto di paura e sincero interesse quasi che il ragazzo, ingenua stoltezza, non avesse ancora del tutto capito dove fosse capitato e quale sarebbe stato l’esito della sua permanenza in quella candida stanza.

Nero di capelli, egli portava il taglio corto e disadorno dei Cacciatori di Yenavo’r, famoso per lasciare la zona della cute sopra le orecchie quasi rasata a zero per facilitare l’utilizzo degli strumenti di caccia agli, appunto, Yenavo’r (banalmente detti Draghi del deserto), di cui essi erano specializzati. Alcune lunghe cicatrici ad uncino in prossimità di orecchie e mascella indicavano che il ragazzo aveva già cominciato il proprio addestramento in questa difficile arte trasmessa a livello familiare e negata a qualunque esterno tanto per tradizione quanto per sua difficoltà intrinseca.

Eppure a guardarlo non lo si sarebbe detto poco più grande di lei...

“Colui che qui si presenta in giudizio, risponda” prese in quella a sillabare il Consigliere. Vi era un che di affrettato nella sua voce, quasi che mantenere le formalità piuttosto che giungere direttamente al dunque lo tediasse più di quanto volesse dare a vedere. La Nihaar’ì non potè trattenere un sorriso maligno: chissà se anche nel giorno del suo giudizio, quell’uomo altero e impassibile si sarebbe lasciato andare a simili leggerezze e personali curiosità. Lui, un uomo colmo di tante sfumature come quelle che si avvertono accanto ad una carcassa in via di putrefazione... Negli occhi il disprezzo. Nella voce la compiacenza. Nei modi, il servilismo più autentico.

Qual’è il tuo nome?” continuò imperterrito -e ignaro- l’altro.

Un attimo di silenzio. Poi, lentamente, il giovane alzò i propri occhi sull’altro e socchiuse le palpebre.

Verkar’ach” la sua voce parve un sussurro nella penombra. La voce del Consigliere vibrò come un colpo di frusta nell’aria “Non ho chiesto il tuo nome di Cacciatore” lo ammonì facendolo quasi sobbalzare - e con lui tutti i presenti - “Ma il tuo Vero nome”.

Verkar’ach significava Colui che guarda lontano, ed in genere era il titolo che veniva dato agli individui che fra i Cacciatori rivestivano il ruolo di “Vedette”, a cui spettava cioè il compito di vedere le prede e indicarle ai compagni. La rabbia del Consigliere era dunque quasi motivata: su richiesta di un nome, aveva ricevuto un semplice titolo.

In un brivido l’attenzione dei presenti si fece ancora più tangibile.

Nayv” rispose quindi dopo un attimo il Cacciatore facendo tintinnare le catene ai polsi. Il Consigliere parve rilassarsi in un profondo sorriso.

Nayv, sei accusato di portare sul tuo corpo e nel tuo sguardo i segni del Risveglio” riprese quindi dopo un attimo “Una condizione che comporta l’esilio da Chermak e da qualunque altra civiltà riunita. Sfuggire l’isolazione tornando sui propri passi comporta la Morte certa. Hai qualcosa da dire in tua difesa?”

Era una domanda di rito. Solitamente era impossibile tentare anche una sola forma di difesa contro i segni che ovvi si imprimevano sui corpi dei Risvegliati. Ma per qualche ragione, ogni volta, era come se il Consiglio attendesse una qualche risposta dagli interrogati. Qualcuno che osasse tentare di imbastire una difesa, di ostentare una qualunque forma di controprova all’ineluttabile veridicità dei capi d’accusa. Fallendo, ovviamente, ma in ogni caso, provandoci.

E manco a dirlo, questa volta parve davvero che il desiderio dei presenti venisse ascoltato perchè dopo un attimo di stordimento, lo sguardo dell’imputato si alzò a scrutare i visi di tutti, uno per uno, uno dopo l’altro, per poi infine fermarsi su quello della Veggente.

Di Asiya, in realtà. Ma la NIhaar’ì avvertì comunque le proprie guance accendersi.

Per un attimo egli sembrò scrutare la figura della Veggente con sincero e pacato interesse. Valutarne fisicità e proporzioni. Aspetto. Per poi, come incerto su ciò che vedeva, spostare i propri occhi direttamente su di lei, sulla Nihaar’ì.

Solo allora, come brivido sottopelle, egli parve accendersi di una nota cupa e dolente, qualcosa che suo malgrado la ragazza potè facilmente -ma non senza una punta di orrore- riconoscere come odio misto a timore.

Come poteva guardare lei...Lei, quando al suo fianco stava quella che all’occhio di tutti avrebbe dovuto essere la Vera Veggente...

Avvertì la sensazione del sudore condensarsi a fil di pelle.

Poi, lentamente, il ragazzo alzò le proprie mani ammanettate indicando lei, si lei, con il dito indice.

“Io ho visto lei “ sillabò quindi con strano candore “Lei condurrà tutti noi alla rovina”

Nel gelo che calava nella stanza come spada dritta nelle sue viscere, la Nihaar’ì trovò perfino difficile respirare.

Per un attimo si vide alzarsi, percorrere con ampie falcate la distanza che la separava da quel bugiardo e schiaffeggiarlo lì, davanti a tutti. E gridargli che mentiva. Che non era vero. Che anche solo osare tali parole significava la morte immediata. Esecuzione istantanea.

Ma scoprì con orrore che le mancavano le forze. Nell’attimo in cui egli aveva parlato, quelle parole l’avevano inchiodata lì alla propria sedia, incapace anche solo di fiatare.

Nessuno osò parlare. Forse come lei, tutti quelle alte cariche erano state come paralizzate dall’agghiacciante falsità di quel giovane, incapaci semplicemente di reagire a quella prima, feroce, accusa che veniva rivolta alla Veggente. Mai nessuno prima aveva osato.

Una Visione. Lui. Un Cacciatore venuto dal nulla e chissà perché capitato proprio lì, davanti a tutti, ad accusarla senza alcuno sprezzo del pericolo.

“Il Volto della Nihaar’ì è nascosto agli occhi di tutti. E’ cosa impossibile che la tua immaginazione l’abbia potuto vedere” la voce di Zaphil fu come una scarica elettrica nella stanza. Crepitò fra i presenti e giunse con uno schiocco sordo proprio alle orecchie del ragazzo che, suo malgrado, non potè che sobbalzare.

Forse anche per lui quel silenzio era stato più allarmante di quanto si fosse aspettato.

Scoprendosi al contempo incapace di vivere, ma fortunatamente anche di morire, la Veggente scoprì con necessità di dover ringraziare il Naphil per la cura con cui aveva usato la parola “Immaginazione” piuttosto che “Sogno” o “Visione” riferendosi a ciò che l’altro diceva di aver visto.

Visioni e Sogni erano affare della Veggente. Chiunque osasse proferire le medesime capacità non era altro che un impostore o un millantatore.

Il semplice chiarire questo fatto chiariva ancora una volta la sua figura sovrana in quell’oramai troppo pericoloso Consiglio. Tuttavia il ragazzo parve ora intenzionato a non sbugiardarsi. Scosse una volta il capo e, malgrado l’evidente tremore nella sua voce, si sforzò di obiettare con voce modulata “Io ho visto la Veggente. Quella...” ed ancora una volta indicò con orribile precisione e sicurezza la sua figura “E’ la sua bocca. Quello è il suo mento. E so per certo che sotto quelle sete vi siano occhi che io ricordo con precisione di aver...” esitò un istante, come colto da un pensiero improvviso. Era vietato guardare negli occhi le persone. “ Visto “.

Evidentemente il pensiero di dichiarare di aver infranto -anche in sogno- una ventina o più di leggi inviolabili non preoccupavano abbastanza il ragazzo da impedirgli di asserire a pieni polmoni la propria verità.

Una goccia di sudore prese a colare lungo la schiena della ragazza in una sgradevole sensazione di panico e terrore insieme.

Lui aveva Visto.

Pur incapace di voltare il capo per vederlo, la Nihaar’ì ebbe la chiara sensazione che al suo fianco, Zaphil, sospirasse.

“Non esiste Visione se non quella della Veggente” sillabò gelido. “MA IO L’HO VISTA!” se avesse potuto, il giovane sarebbe per certo in quella scattato in piedi. Un livido rossore imporporì immediatamente collo e volto “L’ho vista richiamare con la propria voce una intera legione di ombre per distruggere...” “ Ora basta! ”

Con grande sorpresa di tutti, era stata Asiya a prendere parola. Ferma sul proprio scranno, ella pareva ora di pietra.

“Io sono colei che stai accusando con simile leggerezza.” esitò “Io” ripetè quindi con dura rabbia “Io che con la mia Voce difendo uomini e bestie dalla ferocia dei loro stessi Incubi. Io, la vostra salvezza” esitò ancora un istante, un tremore che per un secondo l’attraversò facendola rabbrividire “Io” continuò tuttavia dopo un attimo “Che come le Nihaar’ì che mi hanno preceduto un giorno dovrò perire proprio in difesa di tutti quelli che dubitano di me e che come te mi diffamano senza capire che è solo grazie a me che tutte le vostre menzogne e incubi possono esistere”.

Pur sapendo che non era nella ritualità agire così, Asiya si sollevò comunque dal proprio scranno. Nessuno parve in grado di reagire: mai la Veggente era stata accusata. Mai si era palesata la possibilità di una Visione. Mai, prima di allora, la Veggente aveva dunque preso parola se non per pronunciare il verdetto finale. E per...difendersi.

“E sempre Io, dunque” concluse imperterrita Asiya “Condanno con la Morte le tue falsità. Possa il Sogno guidarti verso il Cammino della Pace, poiché nessun altro lo farà”

 

“Non è mai accaduto che la Nihaar’ì prendesse così parola”

Nella morbida oscurità della notte, le pareti bianche della camera da letto parevano brillare appena del pallido riflesso lunare. Leggero e fresco, un vento sottile scivolava fra le tende tirate, scompigliando di mille riflessi azzurrini il candore della stoffa.

C’era odore di sale nell’aria, una strana sfumatura fresca ad impregnarsi sulla pelle accaldata.

Distesa pancia in giù, le lunghe chiome abbandonate sulle sete candide, Asiya socchiuse una volta le palpebre. Due. Poi si concesse un sospiro ovattato.

“Lo so.” ribattè dopo un attimo, la voce impastata dalla stanchezza.

“E allora perchè l’hai fatto?” pallida, la luce lunare si rifletteva nelle iridi ambrate della Veggente, scintillando in esse di sfumature calde “Sai quanto sia importante che le cose rimangano come sono, soprattutto ora che vanno già di per sé...male”

Per un secondo Asiya parve incapace di rispondere, gli occhi fissi in quelli della Nihaar’ì distesa sul medesimo letto accanto a lei, l’una accanto all’altra.

Poi sospirò ancora.

“C’era qualcosa di pericoloso nelle sue parole” constatò dopo un attimo “Cosa?” “Il dubbio” asserì gelida “Il dubbio che qualcuno potesse mettere in discussione il tuo dono e rimanere in vita. Che potesse andarsene in giro a sbandierare di aver avuto una Visione e farla franca”

Per quanto semplice, la Nihaar’ì sapeva quanta precoce saggezza vi fosse nel pensiero di Asiya. Quanto ella, malgrado l’atteggiamento solitamente semplice e leggero, avesse ben presente su che tipo di strapiombo la Nihaar’ì e lei camminassero ogni giorno. Quanto esso fosse sottile. E quanto fosse vitale comprovarne ogni giorno la stabilità e solidità.

“Ammesso che il tuo ragionamento sia corretto, esso non giustifica che tu, la mia Hayeli’vo, ti possa sentire autorizzata a prendere parola per mia Voce e decida arbitrariamente cosa fare. Tu sei il mio riflesso, non la mia Volontà” per quanto difficili da proncunciare, quelle parole uscirono dure e inflessibili dalle labbra della Veggente. Si tirò sui gomiti, chiome nere a ricarderle attorno al viso in una cascata nera “Mandare a morte un ragazzo per delle semplici accuse infondate non è affare di tua competenza”

Questa volta Asiya parve accigliarsi.

“Non erano parole di ragazzo, quelle” replicò secca “Erano accuse di un uomo. Accuse che ora rimarranno nella mente di tutti i presenti e con le quali dovremo fare i conti”

“Quelle, o il fatto che una semplice controfigura si diverta a fare la parte dell’Originale?”

Per un secondo, un nuovo silenzio calò fra di loro, duro e freddo come mai la loro amicizia avrebbe dovuto essere. Ma non era intenzione della Veggente soprassedere sulla cosa.

Per quanto amiche, compagne di vita, quasi sorelle in realtà, vi erano dei confini che le dividevano e le avrebbero per sempre divise. Ne andava della loro medesima vita e dell’inganno che esse intrecciavano nei confronti del resto del mondo.

“Grazie a te ora io non saprò mai fino a che punto si sarebbero spinte quelle illazioni. Non saprò mai chi abbia comandato a quell’imbecille di dirle...”esitò ”Credi che non provenissero da lui stesso?” sillabò improvvisamente stupita Asiya.

Senza volerlo, la Nihaar’ì si strinse nelle spalle.

“Molto più probabile quello di tutto ciò che gli ho sentito dire” esalò non senza una buona dose di incertezza “Ma ora che non potremo mai più saperlo ti avverto, Asiya: interferisci ancora una volta con la mia Volontà e sarà la tua testa a cadere, non quella di un Cacciatore”

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Elendil