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Autore: mamehota    01/01/2016    2 recensioni
Due cuori e una vita da riassemblare, tra le macerie di ciò che è andato perduto. La voglia di rinascere, senza però dimenticare tutto quello che è stato e tutti quelli che se sono andati. E soprattutto, la necessità di preservarne la memoria per coloro che verranno.
- I pagina: "Ricordare Finnick ha il sapore della salsedine che arde in gola."
- II pagina: "Perché non c’è modo di traslare le meraviglie di colori e scintillii dai miei pensieri al foglio che ho dinnanzi."
(Ho semplicemente cercato di immaginare come può essere stato per Katniss e Peeta scrivere il libro citato nell'epilogo di Mockingjay, affrontando insieme il dolore per le loro perdite).
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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Seconda pagina
Pensavamo che l’andare avanti con le pagine avrebbe reso la stesura del libro più semplice, come avviene con una ferita aperta che man mano si cicatrizza, ma le nostre ferite sono tutte quante lì, brucianti e fresche come appena inferte, e comprendiamo in fretta che combattere il dolore non significa necessariamente sconfiggerlo. Allo stesso tempo avvertiamo vivido e pulsante il bisogno di continuare, come se da tutte le pene che abbiamo patito dovessimo trarre qualcosa in più. Qualcosa che ci tenga vivi.
E’ così che quando spalanco le ante del mio armadio scarno e desolante per indossare i soliti pantaloni, la mia mente riporta in superficie un’immagine tra quelle così represse che non sembrano neanche appartenermi. A quel punto impugno una penna e mi affido ai ricordi, quelli di un’altra vita. Non di una vita bella, tra boschi e zuppe in famiglia, ma di una vita in cui un’altra me rendeva celebre il suo nome cantando un amore idilliaco e teatralmente inscenato.
Ma questa volta ricordare fa se possibile più male perché la spalla di Peeta non mitiga il mio tormento. Perché l’unico conforto lo posso trarre da me stessa, dalle magie che hanno avvolto il mio corpo e bruciato la parte debole di me. Perché non c’è modo di ricordare come vorrei, e di traslare le meraviglie di colori e scintillii dai miei pensieri al foglio che ho dinnanzi.
Non basta una foto per inaugurare questa pagina, no, una foto non renderebbe giustizia. E neppure un disegno, per quanto Peeta sappia trascrivere la realtà su tela attraverso i propri pennelli.
Non trovo neppure una delle parole di cui necessiterei per descrivere l’insieme di perline, tessuti e sfumature che fasciarono la Ragazza di Fuoco, quel magnifico divampare di fiamme nato un semplice abito di piume, di un candore che era più adatto al suo artefice che a me, una rozza ragazzina sfortunata.
Eppure sento, in modo distinto e opprimente, di doverlo fare. Sento di dover addobbare quel foglio attraverso stoffe pregiate e capelli intrecciati sulla nuca con la maestria di dita delicate e impeccabili.
A darmi l’ispirazione è una passeggiata nei boschi, come sono solita fare quando non trovo le risposte e non so dove cercarle. Il terriccio misto di sabbia e ghiaia che ricopre il suolo brilla alla luce del sole quasi come polvere dorata e la mia mente fa un’altra di quelle associazioni istantanee e inevitabili. Allora raccolgo dei granelli e li cospargo sulle pagine, dove assumono colorazione più scura in corrispondenza dei solchi creati dalle mie lacrime.
Li guardo. Tanti scintillii dorati illuminano il foglio bianco che non ero riuscita a riempire.
Dorati come il colore che lo contraddistingueva, come quell’unica, fondamentale caratteristica che lo legava a Capitol City e ne sottolineava l’inquietante stravaganza.
Sembrerebbe quasi una sepoltura, ma so perfettamente da che lato la vedrebbe lui, che era riuscito a rendere desiderabile una ragazza comune e difficile: la sabbia che adesso è cosparsa tra le pagine del libro che sto scrivendo è la mia cenere. Proprio come una fenice, che brucia e poi rinasce, così mi sembra di star lanciando un messaggio direttamente a me stessa. Di star incoraggiando quell’esile e tenue speranza di poter rinascere e cambiare le cose.
Mi piace. E così, in appendice ad una pagina bianca e rivestita di pagliuzze dorate, mi concedo una sola, singola didascalia, che trascrivo con mano tremante per via della fitta di dolore.
“Io punto ancora su di te, ragazza di fuoco”.


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Ehi! Nonostante io sia ancora praticamente addormentata dopo stanotte, ho trovato la forza di postare questo capitolo tra una canzone di Frozen e l'altra in Tv. 
Come tutti avrete capito, quella pagina è su Cinna. Mi sembrava limitante riservargli una semplice descrizione come per gli altri, perché credo che il suo ricordo sia qualcosa che non potrà mai rendere giustizia all'originale. Spero apprezziate anche questo capitolo!:)


 
   
 
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