Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: effe_95    01/01/2016    7 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
I ragazzi della 5 A
 
34.Quindici versioni di greco, Stupido vendicativo e Vuoto assoluto.

Gennaio

<< Che cosa?! Non hai fatto nemmeno una delle versioni che ci ha assegnato il professore?! Dimmi che stai scherzando ti prego, ne erano quindici! >>
Enea non trovava piacevole farsi rimproverare dalla propria ragazza mentre facevano la fila per accedere al teatro dove avrebbero assistito al musical di Romeo e Giulietta, non poteva scappare, non poteva distrarla e non poteva far finta che lei non stesse gridando.
<< Beatrice, ho solo diciotto anni, ti prego di abbassare il tono di voce, non vorrei indossare l’apparecchio acustico a quest’età per colpa tua >>
Replicò pacatamente il ragazzo, facendo un passetto avanti quando la fila si mosse, al suo fianco, Beatrice gli fece la linguaccia e incrociò le braccia al petto.
Enea la trovava particolarmente bella quella sera, bella nella sua semplicità, i capelli ricci erano raccolti in un codino alto, alcune ciocche troppo corte le cadevano gentilmente sul viso, e aveva un filo di lucidalabbra e del mascara che le metteva in risalto le ciglia e il colore degli occhi, quella sera grigio temporalesco a causa delle luci artificiali della sala.
Indossava un cappotto nero lungo fino alle ginocchia e sotto quest’ultimo portava un vestitino grigio su calze nere e un paio di stivaletti, in realtà era la prima volta che lui la vedeva truccata, o vestita con qualcosa di diverso da un jeans, una felpa troppo larga o un maglione sfilacciato extralarge. Non le aveva detto nulla, non aveva fatto apprezzamenti, non era da lui, ma la trovava davvero bellissima, ed era orgoglioso di andarsene in giro con lei, di far capire a tutti che quella era la sua fidanzata, che gli era costato una fatica tremenda ammettere di provare qualcosa per lei e che aveva tutte le intenzioni di costruire qualcosa che avesse un senso.
<< Ma oggi è il 5 Gennaio Enea, tra due giorni si torna a scuola >>
Continuò a strepitare lei guardando il ragazzo con occhi supplichevoli, quasi come se dal fatto che lui avesse fatto o meno i compiti dipendesse la sua vita e la sua salute mentale.
<< Lo so, ma che senso avrebbe avere una fidanza secchiona se non approfittarne in questi frangenti? >> Beatrice ci mise un po’ per capire il senso della frase di Enea, quando la ebbe recepita a pieno, gonfiò le guance e diventò rossa fino alla punta dei capelli.
<< Col cavolo che te le passo! >> Sbottò incrociando le braccia al petto e scostando la faccia dall’altro lato, in un tentativo di espressione molto offesa.
Enea ridacchiò con noncuranza, poi allungò un indice e sgonfiò in un sol colpo la guancia di Beatrice, fu un gesto talmente inaspettato che lei si girò di scatto e il dito di Enea le finì in bocca. Lui lo spostò velocemente e lei tossicchiò più volte, rossa in viso, quando si guardarono nuovamente scoppiarono a ridere come due idioti, attirando l’attenzione di tutte le persone che facevano la fila esattamente come loro.
<< Che esperienza romantica devo dire >> Commentò lui ridacchiando ancora, Beatrice alzò gli occhi al cielo, afferrò il fidanzato per il braccio e lo trascinò in avanti, era arrivato il loro turno di far passare i biglietti. Quando arrivarono di fronte alla donna che avrebbe dovuto lasciarli entrare nel teatro, Enea si accigliò e guardò Beatrice come se aspettasse qualcosa.
<< Bea, tira fuori i biglietti. Tocca a noi >> Commentò esortandola con lo sguardo.
Beatrice si voltò a guardarlo come se avesse detto la sciocchezza più grande del mondo.
<< Hai tu i biglietti, li ho lasciati da te l’ultima volta …>>
Enea sollevò le sopracciglia, Beatrice aveva la faccia di una che avrebbe tanto voluto strangolarlo, nel frattempo, la donna in rosso li guardava piuttosto infastidita perché stavano bloccando tutta la fila sul lato destro.
<< Enea ti prego, dimmi che non li hai lasciati a casa. Giuro che ti farò copiare tutte e quindici le versioni di greco e anche i compiti di matematica e fisica se mi dici che … >>
<< Ecco a lei >> Beatrice si ammutolì quando vide Enea infilare la mano destra nel taschino interno della giacca e tirare fuori i biglietti, immacolati come glieli aveva consegnati lei.
Non sapeva cosa dirgli, non sapeva se sfilarsi uno stivale per tirarglielo in testa, se scoppiare a ridere o se strozzarlo lì davanti a tutti, era talmente basita che non si accorse nemmeno del ragazzo che l’afferrava per il braccio procedendo in direzione dell’entrata del teatro.
Quando si riprese dallo shock scostò bruscamente il braccio e gli pestò un piedi.
<< Sei un … davvero tu sei un gran … >>
<< Figo? Macho? Grand’uomo? Lo so, lo so >>
Beatrice fece per replicare con qualcosa di veramente brutto quando lui la zittì rubandole un bacio a timbro sulle labbra leggermente schiuse, pronte ad imprecare contro di lui.
<< Ricordati che hai giurato >>
Mormorò Enea ancora ad un centimetro dalle sue labbra, probabilmente Beatrice l’avrebbe ucciso di baci se lui non l’avesse afferrata per condurla finalmente dentro il teatro.
I posti a sedere avevano una buona visuale, e siccome la struttura era in pendenza non c’era il rischio che qualcuno più alto potesse ostruire loro la vista, lo spettacolo iniziò molto presto, e sebbene entrambi conoscessero le canzoni a memoria e avessero già visto alcuni spezzoni per il loro imminente spettacolo, né Enea né Beatrice fiatarono per tutto il tempo della rappresentazione.
Sul finale, poco prima della morte di Romeo, Beatrice si aggrappò inconsciamente al braccio di Enea, lui distolse lo sguardo dal palcoscenico e lo spostò sul viso semibuio e bagnato di lacrime della sua fidanzata, fino a quel momento aveva conosciuto una ragazza forte e testarda, senza un briciolo di umorismo, con un pessimo carattere, un fisico acerbo e lo sguardo sempre truce, dietro quella corazza di ferro che lui stesso aveva accettato e scalfito a fatica, si nascondeva nient’altro che un volto piangente.
Enea allungò una mano titubante e asciugò alcune lacrime con il pollice, Beatrice non sollevò lo sguardo per incrociare quello del fidanzato, si limitò a prendergli la mano e a stringerla, in una muta richiesta di comprensione.
Quando uscirono dal teatro erano le undici di sera e fuori nevicava, la neve era sottile e si scioglieva non appena entrava in contatto con la loro pelle calda, Beatrice cercò di afferrarla più volte senza riuscirci, poi Enea le prese una mano e si incamminarono verso il parcheggio. Quella sera lui si era fatto prestare la macchina dal fratello maggiore, Beatrice aveva messo in dubbio quella scelta temendo per la sua vita, ma doveva ammettere che Enea se la cavava bene nella guida, era calmo e rilassato, non faceva mai nulla di avventato e rispettava la segnaletica quasi meticolosamente.
<< E’ stato uno spettacolo carino, no? >>
Le domandò lui ad un certo punto, mentre apriva con le chiavi la portiera della macchina, Beatrice aspettò che entrambi fossero entrati nell’abitacolo accogliente e profumato di muschio e menta, il profumo preferito di Daniele, per rispondere, mentre Enea si affrettava ad accendere l’aria calda e riscaldare l’ambiente per un viaggio tranquillo e rilassante.
<< Si, mi è piaciuto >>
<< Anche se io canto meglio, non trovi? >> Commentò Enea, Beatrice alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia al petto, mentre il ragazzo ridacchiava facendo retromarcia nel parcheggio << E sono molto più attraente, vero? Insomma, mi hai visto? Non trovi che … >>
<< Sono stata con un altro prima di te, si chiamava Mirko >>
<< … io sia decisamente più …. Cosa? >>
Il commento di Beatrice era stato talmente improvviso che Enea se ne rese conto come al rallentatore, come se quelle parole fossero giunte al suo orecchio con più ritardo del dovuto.
Si fermarono ad un semaforo e si girò a guardarla, Beatrice non lo stava fissando, era piuttosto concentrata sulla strada innevata e ancora illuminata fuori dal finestrino, Enea non lo preso come un atto di codardia, forse per lei era più semplice parlarne in quel modo.
<< L’avevo capito, sai? >> Si limitò a commentare lui, spostando nuovamente lo sguardo sulla fila di macchine davanti a lui, sulla luce rossa del semaforo che appariva sgranata attraverso il vetro ancora macchiato di condensa nei punti ciechi lasciati dai tergicristalli.
<< Lo immaginavo … >> Beatrice sospirò pesantemente dopo quel commento, azzardò a sollevare un po’ lo sguardo, ma lui non la stava più fissando, era scattato il verde ed era concentrato sulla strada << Non è stato … ecco io, se potessi tornare indietro e non incontrarlo mai più sarei … >>
<< Beatrice … non so se ce la faccio >>
Alle parole di Enea Beatrice si girò completamente dalla sua parte, con le sopracciglia aggrottate e un cipiglio nervoso negli occhi.
<< Cosa? Non ce la fai? Non ce la fai a fare cosa? A sopportare l’idea … >>
<< Non so se ce la faccio a vederti stare così male! >> La interruppe bruscamente lui, mettendo contemporaneamente la freccia e svoltando a destra con una calma quasi surreale, per un po’ Beatrice non seppe cosa ribattere, allora continuò Enea << Quando hai cominciato a raccontare … balbettavi … sei diventata pallida, e sinceramente preferisco non saperlo, piuttosto che farti stare male. >>
Beatrice scostò lo sguardo accigliato e incrociò le braccia al petto, sentiva le lacrime pungolarle gli angoli degli occhi, ma non avrebbe mai ammesso di fronte ad Enea che quelle parole le avevano fatto molto piacere.
<< Ti ascolterò volentieri … quando vorrai parlarne davvero. Va bene? >> Beatrice sobbalzò leggermente quando Enea le pizzicò una guancia tirandole la pelle << Però tu devi ammettere che sono più bravo e attraente come Romeo >>
Beatrice alzò gli occhi al cielo, ma si lasciò scappare un sorriso un po’ amaro.
Sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe dovuto affrontare i suoi fantasmi, ma aveva come l’impressione che insieme ad Enea non sarebbe stato troppo difficile.
 
<< Allora ragazzi, avete sentito? Sono uscite le materie esterne di quest’anno >>
Un malumore diffuso si propagò per la classe quando Costantino Riva, il professore di greco e latino, annunciò quelle parole all’intera aula. Erano appena tornati dalle vacanze natalizie e già li tartassavano con quelle scocciature sull’esame di maturità, Gabriele non poteva fare a meno di sentirsi amareggiato e di pessimo umore a sua volta.
Era una giornata fredda, nevicava come se non ci fosse un domani, aveva sonno e non ne poteva più di starsene seduto a sopportare altre quattro ore di strazio.
<< Davvero? Quali sono professore? >> Gabriele spostò con poco entusiasmo lo sguardo su Ivan, che aveva posto la domanda con una leggera apprensione nella voce.
Apprensione che da parte sua Gabriele non condivideva affatto.
<< Come scritto vi è capitato greco … mentre latino è esterno. E così anche per italiano, filosofia e matematica >> Quando il professore ebbe finito di parlare nell’aula scoppiò un putiferio sommato a un brusio di sottofondo davvero fastidioso, Gabriele sbuffò sonoramente e incrociò le braccia al petto, mentre al suo fianco Aleksej gli lanciava una delle  occhiatacce migliori del suo repertorio.
<< Ma questo significa che di esterno avremo anche storia e fisica? >>
La domanda carica di angoscia di Italia fece scoppiare un’altra protesta, il professore si alzò in piedi e si mise seduto sulla cattedra di fronte ai propri studenti, agitando le braccia in modo del tutto innaturale per catturare la loro attenzione.
<< Guardate i lati positivi! Ci sono io che sarò sicuramente un professore interno per quanto riguarda greco … e poi ci sono la professoressa di scienze della terra, quella di arte e di inglese ad aiutarvi! >> La prospettiva sembrò non rincuorare nessuno dei suoi alunni.
<< Sapessi che consolazione >> Gabriele si girò e vide Telemaco intento a brontolare con un muso addirittura peggiore del suo, non era mai andato molto d’accordo con il biondo, in realtà si conoscevano davvero poco e i loro caratteri erano quasi agli antipodi, ma quando si trattava di lamentarsi e diventare pessimisti erano in perfetta sintonia.
<< Ascoltate ragazzi, l’importante è prepararsi per il meglio … facendo in modo di essere preparati. Dunque, per questo motivo, correggiamo le versioni di greco che … >>
Gabriele smise di ascoltare nell’esatto istante in cui il professore pronunciò la parola versione, aveva la mente completamente altrove, apatica, non mostrò nessuna reazione nemmeno quando toccò ad Aleksej proporre la sua traduzione con gli appositi commenti grammaticali, tanto le versioni le aveva copiate da lui.
Aspettò come un’anima in pena che suonasse la campanella della ricreazione, e quando il suo desiderio si realizzò, non aspettò nemmeno che il professore uscisse dalla classe, fu il primo a sfrecciare fuori, ignorando completamente i richiami di Aleksej.
Aveva voglia di prendere la prima tipa che gli capitava sotto tiro, svignarsela da qualche parte e vedere se per un po’ il cervello avrebbe orbitato altrove, ma era troppo pigro e di cattivo umore per mettere davvero in atto la pessima idea che gli era venuta.
Si limitò a camminare fino alla saletta delle macchinette e si lasciò cadere sulle scale a peso morto, appoggiando una guancia su un ginocchio e lasciando le braccia penzoloni nel vuoto, appoggiate sui gradini gelidi e sporchi.
Suo padre gli aveva raccontato che zia Claudia e zio Yulian, i genitori di Aleksej, si erano conosciuti proprio in quel luogo incasinato, non era stato uno degli incontri migliori della storia, eppure da quel momento in poi non avevano fatto altro che amarsi per tutta la vita.
E Aleksej, Ivan, Pavel, Andrea e Lisa erano la prova vivente di quell’amore.
Anche i suoi genitori si era conosciuti al liceo, ma la loro era stata una storia completamene diversa, erano stati assieme per un po’ di tempo all’età di diciassette anni, poi sua madre era scappata. Si erano ritrovati quasi per caso anni dopo, quando erano entrambi adulti e feriti abbastanza dalla vita, e poi era arrivato lui, Gabriele.
Ripensando ai suoi genitori, non riuscì a fare a meno di domandarsi se anche a lui sarebbe successa una cosa del genere, se dopo tanti anni, stanco, avesse potuto guardare Katerina negli occhi e dire: “ Ricominciamo di nuovo”.
Scosse freneticamente la testa e i suoi occhi vennero attratti da diverse scene, vide Ivan e Giasone seduti su uno dei davanzali a litigare con una certa enfasi, scorse Zosimo accompagnato da sua sorella Alessandra e Jurij rincorrere qualcuno, poi vide Katerina e il respiro gli si bloccò in gola, soffocandolo.
Aveva tagliato tutti i capelli, la bellissima chioma bionda che aveva sempre portato raccolta in una treccia o sciolta sulle spalle era completamente sparita. Portava un taglio corto e maschile che le metteva in risalto il viso spigoloso e ammaliante, gli occhi grigi erano marcati da una matita nera e parlava con un ragazzo, attaccata al suo braccio.
Rideva come se non l’avesse mai fatto in vita sua.
Sembrava proprio felice, mentre lui si disperava e si dannava l’anima.
Gabriele si tirò in piedi di scatto, e non fu affatto una buona mossa, perché metà delle persone che si trovavano nella stanzetta si voltarono verso di lui, compresa Katerina.
I loro occhi si scontrarono inevitabilmente e lei smise di ridere all’istante, e a quel punto Gabriele fece l’unica cosa che avrebbe potuto ferirla, accennò un leggero sorriso e le fece un cenno con il capo, quasi come una benedizione.
“Va e si felice
Avrebbe davvero voluto essere maturo fino a quel punto, ma non lo era.
Aveva voluto ferirla perché era uno stupido vendicativo, perché non poteva ammettere di essersi sbagliato, perché non poteva rimangiarsi tutte le promesse che si era fatto.
L’aveva ferita perché era infantile e si era sentito tradito, perché era un incoerente.
Stava tornando in classe quando si sentì afferrare per la manica del pullover con malagrazia, voltò lo sguardo e si scontrò con gli occhi accesi di suo cugino Aleksej.
<< Oh, ma che ti prende oggi? Sei intrattabile! >> Sbottò il biondo strattonandolo leggermente, Gabriele gli spostò malamente la mano e continuò a camminare come se non l’avesse nemmeno sentito, aveva bisogno di andare avanti, di camminare fino a svenire dallo sfinimento, di stordirsi, di sbattere la testa da qualche parte e riprendere il senno.
In qualche modo avrebbe dovuto guarire da quella malattia.
<< E allora lasciami stare, no?! >> Si ritrovò a replicare aggressivo, non si fermò nemmeno ad osservare l’espressione ferita di Aleksej, avevano litigato parecchie volte nel corso della loro lunga amicizia, ma non era difficile capire che quella volta la situazione era diversa.
Non stavano litigando per delle caramelle o per chi doveva vincere alla play station.
C’era qualcosa che non andava ed Aleksej non sapeva cosa fosse, e lui detestava non sapere le cose, soprattutto se riguardavano il suo migliore amico.
<< Ma che cazzo di modi sono?! Sai che ti dico, vaffanculo Gabriele! >>
Sputò il biondo mandandolo a quel paese anche mimicamente, poi gli voltò le spalle e se ne andò, diretto anche lui nella saletta, Gabriele strinse forte i pugni.
<< Io me ne cado a pezzi e a te non te ne fotte un cazzo, vero?! >> Quelle parole gli scivolarono dalle labbra senza controllo, come le lacrime che avevano iniziato a bagnargli il viso, quelle lacrime che non avrebbe mai, mai, mai e poi mai voluto versare, che non doveva lasciare andare << Dannazione! >> Sbottò a denti stretti, con i pugni serrati e il volto chino.
Aleksej si girò a guardarlo frastornato, come se qualcuno gli avesse appena tirato un cazzotto proprio tra gli occhi, non aveva mai visto Gabriele piangere, o almeno non lo vedeva compiere un gesto simile da anni.
Rimase come tramortito sul posto.
<< Cos’hai detto? >> Mormorò facendo un passo verso il cugino, Gabriele si asciugò rudemente il viso, fece un passo indietro e scosse il capo.
<< Niente, ho detto che a ‘fanculo te ne vai tu >>
Aleksej rimase pietrificato, con lo sguardo piantato sulla schiena curva di Gabriele.
Che diavolo stava succedendo?
 
Cristiano detestava le assemblee di classe.
Aveva proprio voglia di lasciare l’aula come aveva fatto Gabriele non appena erano rimasti da soli, ma si scocciava di alzarsi da quella sedia, e poi tutto quel brusio e la voce di Italia, la rappresentante di classe, gli stavano conciliando il sonno piuttosto bene.
Dovevano discutere su cose che a lui interessavano davvero poco, qualcosa che aveva a che fare con la mancanza di carta igienica nei bagni, di lucchetti rotti, puzza di fumo ovunque e la gita dell’ultimo anno, tutte cose che a lui non importavano nulla.
Soprattutto l’ultima.
Era piacevole starsene con la testa appoggiata sulla cartella di pezza vuota, perché quel giorno aveva dimenticato di portare anche l’unico quaderno che utilizzava e la penna per scrivere, teneva gli occhi chiusi e per addormentarsi completamente ascoltava le voci di tutti e cercava di indovinare a chi appartenessero.
Aveva già riconosciuto quella di Catena, di Ivan, di Igor e di Oscar, ma con lui era più facile perché era uno dei suoi vicini di banco.
Non si era scomposto neppure quando Zosimo, l’altro compagno di banco, aveva tentato di infilargli una matita tra i ricci e l’orecchio a mo’ di ingegnere, gli piaceva tenere gli occhi chiusi e far finta di non esistere affatto, avrebbe potuto vivere in quel modo per tutta la vita.
Era in un totale stato di dormiveglia quando il cellulare cominciò a vibrargli nella tasca dei jeans, Cristiano provò una stizza tale che avrebbe volentieri afferrato l’oggetto per fracassarlo contro il primo muro a portata di vista, ma si trattenne, perché non aveva la minima voglia di andare dal padre a chiedergli i soldi per prenderne uno nuovo, certo, glieli avrebbe dati senza nessuna esitazione, senza nemmeno chiedergli a cosa gli servissero, perché in quella famiglia era così che i figli dimostravano il proprio affetto, ma non voleva aveva un faccia a faccia con lui, in alcuno modo.
L’unica soluzione fu quella di sfilarsi l’apparecchio dalla tasca e controllare chi lo stesse infastidendo, aggrottò le sopracciglia quando vide il numero di casa, solitamente a quell’ora c’erano solo Marta e sua madre.
<< Oh, fate silenzio! >> Sbottò all’improvviso, tutti nella classe ammutolirono e si girarono verso di lui, giusto in tempo per vederlo appoggiare il cellulare sul banco e mettere il vivavoce, in modo tale che non avrebbe dovuto sollevare la testa dal cuscino improvvisato.
Erano talmente tutti scioccati che nessuno ebbe il coraggio di replicare, l’unico che aveva sempre la risposta pronta aveva abbandonato la classe << Allora? Chi è? >> Domandò con voce strascicata a causa del sonno nel quale stava lentamente sprofondando e dal quale era stato strappato a forza. Dall’altro lato del telefono si sentì un respiro affannoso, dei rumori strani e poi dei singhiozzi soffocati, a quel punto Cristiano sollevò la testa dal banco ed Italia, che aveva aperto la bocca per dire qualcosa, la richiuse immediatamente.
<< Signorino … signorino! >> Era Marta, ma c’era qualcosa di strano, c’era qualcosa che non andava, stava piangendo, e Cristiano non avrebbe fatto una piega se il pianto non fosse stato disperato e strozzato come quello che stava sentendo in quel momento.
<< Che succede Marta?! Sono a scuola, sai che non puoi … >> Cristiano aveva cominciato a rispondere senza nemmeno pensare che tutta la classe lo stava ascoltando, senza riflettere sul gesto che aveva commesso per pigrizia.
<< Signorino, mi dispiace, mi dispiace davvero tanto! >>
Nell’aula non volava una mosca, e la voce di Marta si sentiva chiaramente, quasi come se la cameriera fosse stata lì con loro, Cristiano stava cominciando ad innervosirsi.
<< Marta! Non farmi perdere la pazienza, cosa … >>
<< E’ … è sua madre … >> Singhiozzò la donna, Cristiano alzò gli occhi al cielo.
<< Cos’ha combinato stavolta? Ha rotto qualche altro vaso? Ne ha lanciato qualcuno addosso a papà? No, perché se fosse così mi fa anche piacere! >> Replicò beffardo ed irritato, non badando minimamente agli sguardi ammutoliti dei suoi compagni di classe.
<< Era … era ubriaca signorino, non me ne sono accorta! Stavo preparando il pranzo per lei, non me ne sono accorta che era uscita di casa … >> Cristiano aggrottò ancora di più le sopracciglia quando sentì quelle parole, c’era qualcosa che non andava, decisamente.
<< Cosa stai cercando di dirmi? Parla chiaro, Marta! >>
La cameriera singhiozzò ancora di più quando Cristiano cominciò ad urlare attraverso la cornetta con più foga di quanta ne fosse necessaria, tanto che alcuni dei suoi compagni trasalirono dallo spavento.
<< Mi dispiace … era ubriaca, non ragionava lucidamente, è scesa con una bottiglia in mano, era scalza e aveva le calze bucate, non l’hanno vista, non … è stata … è stata …. >>
<< Cosa?! Cosa? >> Dall’altro lato del telefono si sentì un singhiozzo strozzato, poi un fruscio e immediatamente dopo prese parola un’altra voce, una voce maschile che Cristiano conosceva particolarmente bene, la voce fredda di suo padre.
<< Torna a casa Cristiano. Tua madre è stata investita per strada. >>
<< Cosa? >> A Cristiano gli si strozzò la parola in gola, come se qualcuno gli avesse improvvisamente bloccato le vie respiratorie, fu in quel momento che si rese conto degli sguardi di tutti i suoi compagni di classe, e che la conversazione era stata ascoltata da tutti.
<< Torna a casa, devi salutarla prima che la portino via >>
<< Portarla dove?! Non è già all’ospedale? Cosa state aspettando, muo … >>
<< Smettila! Tua madre è morta Cristiano. Torna a casa >>
Cristiano osservò con sguardo vitreo lo schermo del cellulare tornare normale e spegnersi, per un tempo indefinito nessuno sembrò fiatare.
<< Cristiano! Cristiano! >>
Fu Sonia a scattare in piedi e raggiungere il ragazzo, ma lui non la stava guardando veramente, non stava guardando niente, non stava sentendo niente, proprio nulla.
Il vuoto assoluto, il nulla più totale.

_______________________________
Effe_95

Buonasera a tutti e Buon 2016 :)
Allora, come avevo accennato nel capitolo precedente siamo passati a Gennaio e al proseguimento temporale della storia. E' stato un capitolo impegnativo da scrivere, e arrivati a questo punto credo voi possiate capire il perchè, la parte di Cristiano lo fa capire perfettamente.
Non voglio aggiungere troppo, mi piacerebbe sapere il vostro parere a riguardo.
Per la parte di Enea e Beatrice, siamo sempre più vicini a scoprire finalmente la storia della nostra ragazza, mentre per quanto riguarda Gabriele, ha litigato con Aleksej e probabilmente raggiunto il suo limite. Grazie mille come sempre per il vostro supporto continuo :)
Alla prossima spero.
 

 
 
 
 
 
 
  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: effe_95