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Autore: lulubellula    06/01/2016    1 recensioni
Rumbelle, what if, post "Skin Deep".
"L'amore ha ucciso molto più di qualsiasi guerra" e questo Rumple lo sa bene, non fa che ripeterselo da anni, soprattutto dopo l'arrivo di Belle al Castello Oscuro. Non fa altro che ripeterselo finché le parole non perdono del tutto significato.
Una volta oltrepassato il limite vorrebbe tornare sui suoi passi, fingere che nulla sia accaduto ma non può poiché tutte le azioni portano con sé delle conseguenze, delle conseguenze del tutto inaspettate.
RumbelleBaby
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Regina Mills, Signor Gold/Tremotino
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Chasing stars

Capitolo IV

 
Quella notte Rumple non riuscì a chiudere occhio. Un pensiero spaventoso e meraviglioso lo tormentava come un tarlo e gli si stava piantando nel cervello alla stregua di un chiodo appuntito e corroso dalla ruggine. Ancora non poteva credere a quanto aveva realizzato solo una manciata di ore (o forse erano solo poche decine di minuti?) prima.
Non riusciva a pensare lucidamente e questo lo mandava in Bestia, se in quegli anni c’era stato qualcosa che lo aveva contraddistinto dai comuni mortali, oltre alla vita eterna e ad un potere che non conosceva confini, era proprio la sua capacità di ragionare in modo critico e freddo di fronte agli eventi.
Ma a chi voleva darla a bere? Riusciva ad essere lucido solo quando non era punto sul vivo, quando non venivano tirati in mezzo gli affetti più cari, sua moglie Milah in un tempo che era ormai andato e suo figlio Baelfire, sempre e comunque; in quei casi non c’era pensiero razionale che reggesse, era un tumulto di carne, nervi, cuore, pancia, muscoli che ragionavano laddove la sua materia grigia non era in grado di giungere.
Ed ora c’era Belle, la dolce, innocente, testarda, fiera, Belle e lui non sapeva che fare.
Rinunciare al potere e a ritrovare suo figlio, un figlio che con tutta probabilità lo odiava oppure a Belle e a …
Dannazione, non era nemmeno capace di pronunciare quella parola, più ci pensava e meno riusciva a farsene una ragione. Sperava che la luce del sole gli avrebbe portato consiglio, lui che fino a qualche mese prima nemmeno poteva sopportarlo e che cercava di evitarlo, con ogni fibra del suo essere, coprendo le finestre con ampi e pesanti drappeggi dai colori scuri.
Anche questo era merito di Belle.
Lui forse aveva ridato al popolo di Avonlea un regno senza guerra e senza fame, ma lei, dal canto suo, gli aveva restituito la vita, il sorriso, la speranza.
L’aveva reso un uomo diverso e lui, in cambio, le aveva fatto conoscere la Bestia, l’egoismo, il buio e il freddo del suo cuore, le aveva portato via la gioventù, la grazia e la bellezza dei suoi anni in fiore e le aveva restituito la vecchiaia e la morte di un’anima incattivita dalla solitudine e dalla diffidenza verso il prossimo.
Non avrebbe mai più potuto dormire sereno, mai più.
Il pensiero di quel fascio di magia che aveva percepito aleggiare nella sua stanza, sul suo letto, nella (sua) Belle, lo avrebbe ucciso, dilaniato, condotto all’insanità mentale.
Non c’erano precedenti e perciò non aveva idea di come le cose si sarebbero potute evolvere, non era mai accaduto prima di allora che il Signore Oscuro si innamorasse di una comune mortale e concepisse un figlio con lei; quindi non aveva la più pallida idea di quello che sarebbe successo.
Avrebbe avuto un figlio con tre teste, un occhio di vetro e una gamba di legno?
Sarebbe nato un bambino apparentemente normale, ma con dei poteri straordinari?
Il fanciullo avrebbe ucciso sua madre non appena venuto alla luce, dopo averle strappato con forza, un pezzo alla volta, tutta la sua energia vitale di povera donna umana e senza poteri magici?
Le prospettive che si stavano affollando nella sua testa erano l’una più raccapricciante dell’altra e in nessuna di queste Belle faceva una bella fine, anzi, nel migliore dei casi, la gravidanza l’avrebbe condotta allo stremo fisico e mentale e ad un futuro incerto e tormentato dalla follia.
Cercò di mettere da parte quei cattivi pensieri per qualche istante ed entrò nella sua stanza, dove al momento giaceva nel suo letto, l’oggetto delle sue preoccupazioni e dei suoi timori, purtroppo fondati.
Si avvicinò al bordo del letto e si sedette piano, cercando di non svegliarla di soprassalto; la donna dormiva profondamente e si lamentava di tanto in tanto per poi quietarsi da sola dopo aver esalato qualche debole e flebile suono.
Rumple attese qualche momento prima di convincersi a fare ciò che andava fatto; poi raccolse tutto il coraggio che gli era rimasto e scostò con attenzione e cura le coperte che aveva rimboccato quella sera alla donna.
Con qualche incertezza avvicinò le mani tremanti al ventre della giovane e chiuse gli occhi, lasciando un paio di centimetri di spazio tra le sue dita e la stoffa leggera della camicia da notte che le aveva fatto indossare prima di metterla a letto.
Si focalizzò sul suo respiro, in modo da lasciare fuori tutto il resto, la paura, le preoccupazioni, le ansie, l’orrore di quello che lui, stolto, avrebbe potuto causare con la sua avventatezza.
Quello che percepì, di lì in poi, fu difficile da comprendere, persino ad un uomo che aveva visto ben oltre l’umana immaginazione, eppure cercò di non scomporsi e continuò a cercare di captare il più possibile.
Sentì la magia di quella creatura in divenire fluire tra le sue dita e ne contemplò la forza, la prepotenza e la vitalità che ne scaturiva, ma non ne colse alcuna malvagità o ombre oscure.
“Non è malvagia, non è malvagia, non è malvagia” ripeté quasi sussurrando, gli occhi iniziarono a brillargli in un moto di commozione che durò solo per qualche istante.
“Non sarà un mostro come suo padre – pensò – ma sarà pur sempre una creatura magica e forte, preziosa quanto un’arma invincibile, poiché frutto della magia più oscura spezzata dall’amore, la magia di luce più potente di tutti i reami”.
Con questo pensiero spaventoso e rassicurante insieme, Rumple decise di lasciare la sua stanza e di andare in una delle tante camere per gli ospiti, sempre vuote e tristi, che Belle spolverava periodicamente per evitare che venissero soggiogate da polvere e ragnatele.
Non aveva sonno e mille pensieri tormentavano la sua mente, tuttavia sentì il bisogno di togliersi i vestiti più pesanti e ingombranti, levarsi le scarpe e mettersi sotto le coperte come un qualunque essere umano, da Agrabah ad Arendelle, era solito fare.
Nonostante le tribolazioni e i dubbi, Morfeo gli appesantì dapprima e chiuse poi le palpebre, facendolo calare in un sonno profondo e privo di sogni.
Quando si risvegliò notò per prima cosa che il cielo era plumbeo e scuro e che l’aria era fredda e pesante, come a preannunciare un’abbondante nevicata.
Visto che il tempo non era favorevole, Rumple pensò che fossero solo le prime ore del giorno e, stanco e spossato per gli stress del giorno precedente, ritornò a dormire.

Nel frattempo, poche stanze più in là della camera degli ospiti, Belle aprì gli occhi e li richiuse dopo qualche istante, poiché sentiva la testa pesante e greve e aveva un mal di testa che avrebbe fatto impazzire anche quella buon’anima di Mago Merlino.
Sentiva le ossa indolenzite e le ferite del giorno prima avevano ripreso a farle male, ma cercò di ignorarle e di tentare di alzarsi in piedi e iniziare una nuova giornata lavorativa.
Quando riaprì gli occhi, si accorse di non essere nella sua camera e realizzò con orrore che quelle pesanti tende color senape lei le aveva già viste, anche se solo per una volta, dato che Rumple le aveva impedito espressamente di entrare nella sua stanza da letto.
Per un attimo cercò di quietare i suoi timori cercando di fare mente locale sul perché si trovasse nella camera del suo padrone, con indosso una camicia da notte che sicuramente era di gran moda ai tempi della sua bisnonna e con un mal di testa di proporzioni epiche.
Niente, nella sua testa aleggiava il vuoto misto a una profonda confusione, si sentiva come se le ultime ventiquattro ore fossero state cancellate dalla sua mente. Aveva paura di quello che poteva esserle accaduto e del perché si trovasse proprio in quella stanza al suo risveglio.
Lei e Rumple non si parlavano da settimane ormai e svegliarsi proprio lì metteva in discussione tutto quanto.
Doveva esserne felice, lusingata, imbarazzata?
Doveva esserne furiosa, adirata, umiliata?
Non ne aveva la più pallida idea, ma sapeva che l’unico modo per uscirne era alzarsi in piedi e affrontare la giornata a testa alta.
Si alzò dal letto velocemente e venne colta da un capogiro improvviso che la costrinse ad aggrapparsi ai bordi del letto.
Ok, forse non così in fretta, meglio agire a testa alta, ma con calma.
Prese un profondo respiro e si rialzò in piedi con meno foga, i passi le riuscirono più facili, anche se molto incerti e dovette lottare contro un senso di oppressione allo stomaco, tipico di quando era in forte ansia o agitazione per questo o per quello.
Si incamminò così verso la sua stanzetta e, seppure con qualche esitazione, la raggiunse alcuni minuti dopo; giunta di fronte al suo letto si sedette per riprendere fiato.
“Probabilmente avrò preso freddo e avrò la febbre, non mi sento un tale straccio da parecchio tempo” pensò mentre avvicinava lo specchio al volto.
“Volto pallido e guance arrossate, gocce di sudore lungo la fronte che risulta bollente al tatto. Sì – sospirò – ho una brutta influenza”.
Si alzò per andare verso la toeletta e versò dell’acqua fresca dalla brocca direttamente nella bacinella, prendendo un asciugamano color cremisi, imbevendolo e tamponandoselo leggermente sulla faccia, sul collo e sulle spalle.
La sensazione di andare a fuoco si allentò appena e quello che prima era un semplice mal di stomaco, peggiorò fino a sfociare in un malessere che aumentava in crescendo. Cercò di fare dei respiri profondi e di non iperventilare, ma non le fu di aiuto. Allora si fece coraggio e andò verso il corridoio, sperando che fare due passi la avrebbe aiutata a stare meglio, ma nemmeno questo servì a molto. L’unica cosa che riuscì a fare, nel disperato tentativo di non sentirsi male nel bel mezzo di un salone dell’ala ovest del castello, fu appoggiarsi ad una mensola e lasciare maldestramente cadere un antico vaso cinese con annessi una fila di preziosi suppellettili che si infransero rovinosamente sul pavimento.

Poche stanze più in là, Rumple fu svegliato di soprassalto dal rumore provocato dalla caduta degli oggetti e scese di corsa dal letto, correndo in direzione della sua camera, che trovò vuota.
Preoccupato per la mancanza di Belle, corse a perdifiato da una stanza all’altra finché non la trovò nel salone, vicino alla Biblioteca che aveva creato appositamente per lei.
Era pallida e sembrava spaventata, non avrebbe dovuto alzarsi dal letto così presto e di certo, non senza chiedere il suo aiuto; anche se lei ancora non ne era al corrente (o forse sì, Rumple non ne aveva la certezza matematica), dentro di lei stava formandosi un esserino magico e il suo corpo mortale stava subendo un forte stress.
“Belle, cosa ci fai qui? Hai avuto la febbre alta tutta la notte e sei svenuta solo ieri sera, dovresti essere al caldo, sotto alle coperte”.
Si avvicinò alla giovane che aveva davvero un aspetto poco rassicurante e la sorresse tra le sue braccia.
“Rumple, credimi, mi sento male e credo che tra qualche istante vomiterò e non sarà un bello spettacolo. Mi serve una bacinella e che tu te ne vada”.
Anche durante i momenti di “debolezza”, Belle si dimostrava fiera e indipendente, ma Rumple era fermo nelle sue intenzioni e non aveva nessuna voglia di lasciarla sola.
Fece comparire un secchio e delle pezze fredde e stette vicino a lei mentre la donna stava male e piangeva, la aiutò come poté e avrebbe scambiato volentieri i ruoli per non vederle soffrire così tanto.
Le massaggiò la schiena e le raccolse i capelli dietro alla nuca, poi le pulì la bocca con un asciugamano freddo e le asciugò il sudore dalla fronte, aspettando che il malessere si affievolisse e le permettesse di ricondurla in camera.
“Ti senti ancora male?” le chiese piano.
Erano ormai seduti sul tappeto da un po’, con il secchio di poco lontano e con Belle accoccolata attorno al suo corpo in una posa del tutto naturale e innaturale al tempo stesso.
La giovane azzardò un timido no, anche se non corrispondeva esattamente alla realtà.
La nausea era quasi del tutto svanita, ma la febbre le stava facendo perdere la poca lucidità rimastale e faceva fatica a mettere a fuoco gli oggetti attorno a sé, tanto che la stanza sembrava quasi muoversi vorticosamente.
“R-rump, falla smettere” mormorò, biascicando le parole.
“Smettere cosa, Belle?” le chiese preoccupato.
“Smettere di girare, ho le vertigini!” rispose in un lamento.
Rumple la fissò preoccupato e incerto sul da farsi.
Rifletté qualche istante e decise che la mossa più saggia fosse quella di riportarla a dormire.
Si alzò, la aiutò a lavarsi i denti e il volto e la condusse in una camera, stavolta non nella sua, ma in una che possedeva un caminetto e un’esposizione sul parco favorevole anche durante i lunghi e rigidi inverni.
La donna rabbrividiva per il freddo e per la febbre e siccome questa non accennava a diminuire, fu costretto a mantenere una temperatura non troppo alta nella stanza per non peggiorare la situazione e a levare le coperte per far sì che scendesse.
Era quasi mezzogiorno ed erano più di ventiquattro ore che la donna stava male e lui conosceva la ragione del suo malessere, ma non riusciva a trovare il coraggio per parlarne con lei. Era il Signore Oscuro, il peggiore dei mali, un essere sempiterno, ma in quell’istante non era altri che un codardo, un vile codardo che stava per diventare padre e non aveva la più pallida idea di come affrontare tutta quella situazione.
   
 
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