Disclaimer: Questi personaggi
non mi appartengono,
ma sono proprietà di Sir Arthur Conan Doyle, di Steven
Moffat e Mark Gatiss. Riferimenti
ad altre storie pubblicate su
questo sito sono puramente casuali e involontari. Questa
storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
La
stanza era piccola e squallida. Mycroft aveva impartito poche
istruzioni prima
di interrompere frettolosamente la comunicazione, dandogli un altro
appuntamento telefonico per il giorno successivo. Erano trascorse solo
poche
ore dal falso suicidio, e il rischio di essere intercettati era ancora
altissimo.
Sherlock
sedette sulla brandina rigida, scrutando incupito le pareti ingiallite,
il
pavimento dissestato, la sporcizia coagulata negli angoli. La piccola
lampadina
pendente dal soffitto diffondeva una luce fredda e intermittente: la
finestra
era piccola e collocata troppo in alto perché potesse
aprirla e scrutare fuori.
Allungò una mano per toccare il guanciale, ma dovette
ritrarla immediatamente,
perché il tessuto era viscido e umido. Sospirò.
Che
fare? Si chiese. Non aveva con sé i suoi libri, le sue
provette o il suo
portatile: sebbene il suo telefono cellulare fosse abilitato per
navigare in
internet, si sentiva troppo annichilito per poter condurre delle
ricerche che
potessero tornargli utili in qualche modo. La voce straziata di John
continuava
a perseguitarlo, dandogli l’impressione di essere trapassato
parte a parte da
un lungo coltello. “Lasciatemi passare, per favore,
è mio amico. È mio amico…
Oh, Dio, no. No.”
Si
maledisse per aver rievocato quel momento con tanta chiarezza: ebbe uno
spasmo,
lo stomaco gli si contrasse, strinse d’istinto i pugni e gli
occhi gli si
riempirono di lacrime. Ecco il grande Sherlock Holmes, pensò
con rabbia,
vulnerabile come un bambino dato in pasto alla guerra.
Perché questa è una
guerra e non posso fare a meno di combatterla, sebbene desideri solo
una delle
tazze di tè di Mrs. Hudson e la compagnia di John sulla
poltrona accanto alla
mia…
Nonostante
la certezza di essere riuscito ad avere la meglio su Moriarty e la
consapevolezza del fatto che il suo allontanamento da Londra fosse
temporaneo,
quella notte si sentiva talmente svuotato e addolorato da non riuscire
a far
prevalere la forza della sua granitica razionalità su quella
dei suoi
sentimenti. I suoi pensieri si susseguivano senza posa, assemblandosi
tra loro
come tessere di un puzzle secondo un criterio non logico quanto
emotivo. In un
attimo si rese conto che quella era la prima notte, dopo tanti anni,
che
trascorreva in completa solitudine, senza la vicinanza di John o di
Mrs.
Hudson. E che sarebbe stata la prima di una lunga serie di notti senza
conforto.
Il
dolore si intensificò a tal punto che dovette alzarsi di
scatto. Pensò cupamente
a come sarebbe stato molto più facile se i sentimenti e le
emozioni fossero
state delle appendici, propaggini accessorie, da indossare come la sua
sciarpa
solo nei momenti più opportuni. Commetti un errore
concettuale, si disse,
avviandosi verso la scrivania consunta posizionata di fronte alla
brandina. Le emozioni
sono stati mentali associati a modificazioni di natura
psicofisiologica. Anche volendo,
non potresti mai indossarle come un cappello, perché sono
parte di te…
Sedette
sulla sedia sgangherata. La scrivania era libera, eccezion fatta per
una pila
di fogli e un paio di penne troppo nuove per essere parte
dell’arredamento. Doveva
esserci lo zampino di Mycroft. Ne impugnò una e
tracciò una linea dritta sul
primo foglio. L’inchiostro era nero e gradevolmente odoroso.
Ebbe l’impulso di
annusare la carta. Era nuova, candida, di buona fattura. Proveniva
senza dubbio
dalla stampante di Mycroft.
Pensò
di scrivere una lettera, un testamento, di riassumere i passaggi del
caso
Moriarty, in modo da avere uno schema della situazione da arricchire
con i
dettagli che avrebbe raccolto in seguito. Aveva già deciso
come impostarlo, quando
si rese conto che la sua mano, come dotata di volontà
propria, aveva tracciato
alcune linee curve che ricordavano una capigliatura maschile.
Sherlock
osservò accigliato il foglio, la penna, la propria mano. Il
flusso di pensieri
operativi sembrò arrestarsi nuovamente. Questi sembrano i
capelli di John, si
disse. Quando ci siamo conosciuti erano molto più corti, poi
li ha lasciati
crescere.
Che
senso ha disegnare John? Si chiese. Posso incontrarlo in qualsiasi
momento nel
palazzo mentale, basta creare le condizioni giuste. E come lui posso
vedere
Mrs. Hudson, Molly, Lestrade. Ma la sua mente, frenetica, aveva
già trovato la
risposta.
Forse,
se li trasferissi sulla carta così come li ricordo e li
visualizzo nel palazzo
mentale, potrei sentirli… più vicini.
Forse, evocando ogni loro singolo dettaglio e incarnandolo
nell’inchiostro, riuscirei
a colmare il vuoto della loro assenza. Potrei guardarli ogni qualvolta
lo
desideri, potrei sistemare i loro fogli sotto quell’orribile
cuscino, o
nasconderli nella mia giacca. Incontrarli nel palazzo mentale
significherebbe
adoperare delle energie che potrei investire in altri modi…
ad esempio per
smantellare la rete di Moriarty e fare ritorno a Londra il prima
possibile.
Quel
pensiero lo rinfrancò. Scrutò più
attentamente il foglio. John ha un piccolo
ciuffo di capelli che gli attraversa quasi completamente la
fronte…
Riprese
a lavorare sulla capigliatura, poi tracciò, poco
più in basso, una linea curva
che delimitava la mandibola e il mento.
Si
sentì immerso in una frenesia nuova, pulsante.
Avvertì un senso di calore
propagarsi negli arti, nell’addome, sotto lo sterno. Per la prima volta in quella giornata, le sue labbra si distesero in un piccolo, esitante sorriso.
Lo
schema può attendere, si disse.
Buon
pomeriggio a tutti!
Come
preannunciavo nell’introduzione
alla storia, si tratta di un qualcosa che ho buttato giù di
getto in seguito ad
un’ispirazione (o follia, chissà che i due aspetti
non si rassomiglino)
momentanea. Il tutto è ambientato nell’intervallo
di tempo tra la seconda e la
terza stagione. Sarà una raccolta di shots eminentemente
descrittive, più che
narrative: se questo capitoletto introduttivo è
più lungo, può darsi che i
successivi lo saranno molto meno. Lo scopriremo solo vivendo, come
diceva Lucio
Battisti! Un grazie anticipato a chi vorrà leggere e
lasciare un commento su
questa (ennesima) stramba storia!
Un
bacio, a presto,
Denirose