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Autore: DeaPotteriana    22/01/2016    3 recensioni
Questa fanfiction era già stata postata, ma ho deciso di riscriverla completamente, in quanto non mi sembrava...mia. Quindi questa è la Re-edizione de "L'Ultima Black".
E se Sirius Black avesse avuto una figlia?
Questa è una raccolta di avvenimenti della vita di Helena Kaitlyn Black, una vita difficile, passata nella rabbia, nel dolore e nella solitudine. Una vita passata senza genitori, con una famiglia dura e razzista e un padrino troppo buono per riuscire a gestire la figlioccia.
Questa storia narra di questo e di molto altro. Narra di un'amicizia eterna, una scuola che fa da casa e una Casa che non sembra adatta a Kait; parla di una guerra in arrivo, di lacrime trattenute a stento e di lutti strazianti. È solo una fanfiction, ma immaginate come sarebbe stata la vita della figlia di Sirius Black, se solo fosse esistita.
Non siete curiosi?
Vorrei dimostrare, in questa storia, che a volte il dolore toglie il fiato, che l'amore spesso non basta e che essere un eroe ha sempre il suo prezzo. Spero di riuscirci.
EDIT: STORIA INCOMPIUTA, NEGLI ULTIMI 2 CAPITOLI SPIEGO COME FINISCE.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Black, I fondatori, Il trio protagonista | Coppie: Ron/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Più contesti
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- Questa storia fa parte della serie 'Isn't that what a great story does? Makes you feel?'
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Prova
 

Sirius li attendeva sotto forma di cane accanto a una staccionata verso la fine di Hogsmeade. Scodinzolò nel vedere Harry, Hermione e Ron, poi si guardò attorno con fare confuso. “Kait sta arrivando,” lo rassicurò il figlioccio e fu proprio in quel momento che la ragazza fece la sua comparsa, lasciando tutti sorpresi perché non era sola.

“Che diavolo ci fa lui qui?!” sbottò Harry senza riuscire a trattenersi. Kait gli lanciò un’occhiata gelida. “Papà,” sorrise invece verso il cane. “Facci strada.”

Felpato eseguì, portandoli ad una piccola caverna lontano da sguardi indiscreti e tornando umano.

Kaitlyn quasi gli si lanciò contro, abbracciandolo stretto sebbene l’altro indossasse vestiti logori e poco profumati. Appena si staccò Harry la imitò, e infine Ron e Hermione alzarono una mano e salutarono con un po’ di distanza.

“E tu…” mormorò Sirius con voce roca, accennando allo sconosciuto alle spalle della figlia. “Lui è Jackson Everdeen. Jackson, mio padre, Sirius Black,” li presentò Kait. Il ragazzo non esitò un istante; subito porse la mano destra e la strinse forte, dichiarando con un sorriso che era un onore conoscerlo e sbattendo il tacco degli anfibi in un mezzo saluto militare.

Sirius annuì, scrutando con attenzione il modo in cui lui e Kait interagivano, quindi si voltò verso Harry e dimostrò ancora una volta di non aver mai imparato a tacere. “Vi siete lasciati, eh?”

Potter e Black divennero scarlatti e Jackson irrigidì i muscoli, portandosi con nonchalance al fianco dell’Unità, quasi a sfidare chiunque a spostarlo da quel posto appena guadagnato.
Discussero a lungo della prova che attendeva Harry e di ciò che stava accadendo, - tra Moody, Crouch, Piton, Bagman e tutto il resto - e Sirius non tornò a parlare con Jackson neanche una volta. Si concentrò solo sul figlioccio, lasciando Kait a mordersi a sangue il labbro per non reagire.

Le chiacchiere andarono avanti per ore e solo quando Hermione mormorò che era ora di andare Sirius parve ricordarsi di Kait. “Tu e lui,” e indicò Jackson, “restate ancora un po’.”

Salutò i tre Grifondoro, che presto si dileguarono verso il centro di Hogsmeade, e si voltò verso la propria figlia ed Everdeen.

“Ho sentito che siete praticamente le uniche persone al mondo di cui Moody si fidi,” borbottò dopo qualche secondo di silenzio. “Sì, signore.”

“Non c’è bisogno di chiamarmi così,” lo rassicurò Sirius, cogliendo il sorriso contento di Kait. Gli dispiaceva che tra lei e Harry le cose non avessero funzionato, e moriva dalla voglia di capirne di più; non voleva, tuttavia, chiedere davanti a quello che aveva tutta l’aria di essere il nuovo interesse amoroso della figlia.

“Quindi… Diventerai un Auror, una volta finito Hogwarts?” domandò invece. Jackson sorrise e annuì. “È il sogno, il programma di una vita.”

“Conoscevo tuo padre,” sussurrò Sirius dopo qualche secondo di silenzio. Everdeen non reagì e Kait gli strinse una mano, sapendo che era un argomento di cui non parlava mai. Era felicissima che Jackson le avesse creduto subito riguardo la colpevolezza di Peter Minus, e odiava l’idea di rovinare quella bella giornata.

Sirius annuì, immerso nei suoi pensieri, dopodiché cambiò argomento, ridendo a proposito del Quidditch e di Grifondoro. Rimasero così per un’ora, prima che Kait chiedesse a Jackson di lasciarla sola con il padre.

“Signore, è stato un onore,” ripeté il ragazzo in un ultimo saluto. Sirius gli strinse la mano e gli diede una pacca sulla spalla, affondando le unghie nella giacca e trattenendolo. “Falle male e ti distruggo.”

“Capito,” mormorò Jackson in risposta, nascondendo un sorriso. Diede un bacio sulla guancia a Kait e sparì giù per la collina.

“Cosa gli hai detto?” domandò l’Unità, abbracciando il padre. “Era solo un consiglio,” minimizzò lui. “Come stai?” 

Presa in contropiede, la Black sputò un “bene” stiracchiato e voltò lo sguardo verso l’orizzonte. “Dimmi la verità, piccolo raggio di luna.”

Kait sobbalzò, mentre il nomignolo rimbalzava nella sua memoria e riportava a galla sensazioni sopite. Senza volere le si riempirono gli occhi di lacrime.

“Va tutto bene,” singhiozzò nascondendo il viso tra le mani; Sirius la strinse forte a sé, cullandola e rassicurandola con numerosi baci sul capo.

“Harry mi ha spezzato il cuore,” sbottò la ragazza. “Lo so. Lo so. Ma,” le fece notare lui, “stare male non è una scusa per usare qualcun altro come rimpiazzo. Fidati che ne so qualcosa.”

Kait si allontanò di scatto. “Jackson non è un rimpiazzo!”

“Scusa, è che può sembrare che…”

“Tu non sai un bel niente!” sbraitò lei. Sirius alzò le mani davanti a sé, dichiarando la resa. “Dico solo,” mormorò, “che non voglio che nessuno dei tre soffra.”

“Harry,” constatò Kait. “Stai pensando a Harry! Tua figlia è in lacrime davanti a te e tu pensi…”

“Non è così, tesor-”

“Certo che è così! Ti interessa solo di lui! L’ho capito, okay?! È il figlio di James! Però questo non vuol dire che…” e la voce si perse in un singhiozzo.

Sirius la strinse forte a sé, rifiutandosi di lasciarla andare anche quando lei picchiò e scalciò. Gli ricordava Dorcas in un modo spaventoso, tanto da costringerlo a concentrarsi su qualcos’altro perché altrimenti sarebbe crollato a sua volta.

“È un periodo di schifo, eh?” domandò dopo qualche minuto.

“Sì,” sussurrò la ragazza, finalmente immobile, arresa.

“Io sono qui. Anche quando ti sembra mi concentri solo su Harry. Io sono qui. Okay?”

Kait annuì, scusandosi con un brontolio. “Non avrei dovuto…”

“Non importa.”
Lei continuò, imperterrita. “Faccio solo cose stupide, in questi giorni. Ho spezzato il cuore a Jackson e poi gli sono corsa tra le braccia. E ora siamo bloccati in una specie di situazione di stallo, a metà tra essere amici e stare insieme. Cioè insieme insieme.”

Sirius provò a intervenire per calmarla e rassicurarla, ma Kait pareva aver preso il via verso un monologo. “E fino a pochi giorni fa ero convinta di poter aggiustare le cose con Harry.”

Prese fiato, l’attenzione del padre tutta su di sé dopo mesi. “Come ho potuto pensare… Come ho potuto pensare che avrei potuto fargli dimenticare Cho Chang, o che ignorando il problema si sarebbe risolto tutto.”

Si passò le mani tra i capelli, tirandoli e respirando a fatica. “Perché?! Come ho fatto a essere così stupida! Pensavo davvero che… Che… Che scopando sarebbe migliorato tutto?!”

Scusami?!” sbottò Sirius a quel punto, incapace di tacere più a lungo. Fissò la figlia - una bambina, in pratica - con disapprovazione, rendendosi conto di dover parlare al più presto con Remus e… I suoi pensieri si dissolsero in un istante nel notare che Kait si era appoggiata alla parete della grotta, piangendo e faticando a respirare.

“Sono un casino, papà,” gemette.
Ogni tipo di sentimento negativo lui avesse provato fino a quel momento scomparve, sostituito dal desiderio di protezione. La abbracciò ancora, senza il coraggio di lasciarla andare - aveva passato così tanti anni lontano da lei...
“Lo siamo tutti,” rispose. “E ti prego, fidati di me,” continuò, “e prova a credere che le cose andranno meglio. Devi solo avere pazienza. Andrà tutto bene.”

E Kait, stretta nella presa del padre, chiuse gli occhi e annuì. 

Non gli credeva, non davvero, ma per un secondo si costrinse a farlo.

 


Le cose tra lei e Jackson rimasero in una situazione di stallo fino all’ultima settimana di aprile, quando lui le chiese di accompagnarlo a fare una passeggiata nel parco. Non vedendoci nulla di male, Kait annuì, non trovando niente da ridire neppure quando Jackson la prese per mano.
“Ti va bene?” le domandò riferendosi al proprio gesto.

“Non sono di porcellana, dovresti saperlo,” rispose Kait. “Se mi desse fastidio mi sarei già allontanata.”

“Vero.”

Si addentrarono sempre di più nel parco e si fermarono solo al limite della Foresta Proibita; si appoggiarono all’albero più esterno e rimasero lì per qualche minuto, fissandosi in silenzio.

Kait sapeva che Jackson non avrebbe fatto di nuovo la prima mossa e non per mancanza di coraggio, ma per semplice rispetto. Era il suo turno, ora. Toccava a lei scegliere.

Spostò il peso da un piede all’altro, concentrandosi sulla quantità di sentimenti incasinati che stava provando. Teneva a Jackson da sempre e, se non ci fosse stato Harry, con tutte le probabilità si sarebbero già messi insieme.

E Harry, a quel punto, non contava più.

Quindi che male poteva fare?

Non le era mai capitato di ragionarci così tanto; con Potter era stato tutto più istintivo.

Alzò titubante una mano e accarezzò la guancia di Jackson, che chiuse gli occhi e si appoggiò alle sue dita. L’unica cosa che le importava davvero, a quel punto, era non ferirlo.

“Non voglio farti del male. Neanche inconsciamente,” sussurrò dopo un po’, perché sentiva di dover esprimere a parole almeno una parte di ciò che aveva dentro.

“Non lo farai,” rispose Jackson.

E così, senza pensarci più, Kait si alzò sulle punte dei piedi e fece scontrare le loro labbra, allacciandogli le braccia al collo. L’altro non esitò a reagire, premendola contro l’albero alle sue spalle e stringendole i fianchi con impeto e delicatezza al tempo stesso.

Rimasero così per almeno un’ora, a baciarsi di nascosto dagli sguardi indiscreti, e da quel giorno divennero ufficialmente una coppia.
Kait non aveva mai visto Jackson così felice. Sembrava illuminarsi ogni volta che la notava tra gli studenti e approfittava di ogni momento per toccarla - che fosse un vero e proprio abbraccio o una semplice stretta delle dita non era importante. Contava solo dimostrare di esserci.

Si abituò così tanto ad averlo al fianco, Kait, che rimase per un attimo imbambolata nel rendersi conto che Jackson non era sceso a cena, il giorno della terza prova del Torneo. A colazione e a pranzo sì, nonostante fosse stato di fretta. “Un gran giorno, oggi!” le aveva detto e lei si era limitata a sorridergli, troppo presa dai propri pensieri per concentrarsi su qualcos’altro.

Che razza di ragazza era?

“Vado a cercarlo,” si scusò con Hermione facendo per alzarsi dal tavolo, ma lei la trattenne. “Harry è un campione e so che non state più insieme, ma ci rimarrà male se non sarai in prima fila a fare il tifo per lui,” le spiegò. “In più devi presentare la prova!”

“Ma Jackson…”

“Si sarà fermato da Moody,” ipotizzò Ron.

Poco convinta, Kait fece per alzarsi comunque. “Black, eccoti qui,” la fermò subito la McGrannitt. “Il professor Silente e i giudici sono già al campo di Quidditch. Sarebbe irrispettoso farli aspettare. Seguimi.”

Sconfitta, Kait eseguì.

 

I campioni erano entrati nel labirinto e una forte agitazione permeava l’aria, nonostante gli spettatori non potessero far altro che aspettare. Sarà pure stata una prova eccitante, eh, ma per chi non ne prendeva parte era piuttosto noiosa - guardare per un’ora il Lago era bastato a tutti… E ora fissavano siepi più alte di loro.

“Interessante,” sbuffò Kait mentre si lanciava un’occhiata attorno. Se Moody non fosse stato impegnato a controllare il perimetro gli avrebbe volentieri chiesto dove si fosse cacciato Jackson.

Ripensò al discorso che avevano fatto pochi giorni prima. Nah, si costrinse a pensare. Jackson me l’avrebbe detto, se avesse di nuovo preso il posto di Cedric.

Ma allora dove diavolo era?!

Era passata già una buona mezz’ora quando un urlo agghiacciante causò un fremito in tutti quanti. “Fleur!” gridò dagli spalti la sorellina, che aveva riconosciuto la voce - non che ci volesse un genio. Era l’unica femmina tra i campioni.

Non ci furono scintille rosse ad illuminare il cielo, ma i giudici del torneo decisero di intervenire comunque, nel caso Fleur non avesse usato l’incantesimo perché troppo nei guai per afferrare la bacchetta.

Pochi minuti dopo e delle vere scintille lasciarono tutti sorpresi. In neanche un quarto d’ora anche Krum era fuori dal labirinto; venne subito portato in infermeria e Kait vide che scalciava e ringhiava come fosse posseduto.

Aspettarono minuti su minuti, la pazienza che si trasformava lentamente in noia.

E poi, nel lampo tipico delle Passaporte, i due campioni di Hogwarts furono di ritorno. Mentre la folla li acclamava, in delirio, Kait avanzò di due passi e si rese conto che qualcosa non andava - non andava per niente.

Cedric era a terra, immobile e con gli occhi spalancati. Era ben più pallido di quanto non fosse sembrato all’inizio della prova, e la Black impiegò solo un secondo a capirne il motivo.

Semisdraiato addosso a lui, la bacchetta fuori e l’intero corpo cosparso di ferite sanguinanti, stava Harry.

“Harry?” lo chiamò lei; fu superata di corsa da Silente, che si inginocchiò accanto a Potter. Le acclamazioni della folla, nel frattempo, si affievolirono sempre di più, mentre la Black fissava i due giovani a terra.

Cedric Diggory, persona che Kait conosceva da quando era arrivata ad Hogwarts, era morto. La ragazza avrebbe dovuto essere devastata dal dolore di quella perdita, - ed effettivamente in parte lo era - ma allora perché non aveva ancora versato una lacrima?

Semplice, si disse Kaitlyn. Harry è vivo, sta bene!, pensò. E inconsciamente sorrise.

Harry stava bene. Solo questo contava.

Fu solo dopo qualche secondo che si rese conto che di Jackson ancora non vi era traccia. Il respiro le si bloccò nella gola, chiusa dalla paura, e sentì subito la testa girare. “Non è possibile,” si costrinse a dire. Accanto a lei, studenti, professori e genitori si muovevano in preda al panico.

“La Polisucco smette di funzionare con la morte,” mormorò ancora. “Vero?”

Jackson era da qualche parte, sano e salvo.

Stava bene.

Vero?

Si voltò verso Silente, decisa a chiedere rassicurazioni, ma l’uomo si sforzava di tenere Harry in piedi e Caramell a bada, e non sembrava propenso a prestarle attenzione.

“Devo sapere,” singhiozzò senza lacrime e fece per aggrapparsi al braccio del preside; venne spinta via da una terza persona e stava già per girarsi e urlarle contro, incavolata, quando si rese conto che era Amos Diggory.

Lo stesso Amos Diggory che cadde in ginocchio, urlando disperato per il figlio morto - come se ogni fonte di luce, nel mondo, si fosse appena spenta.

Con la coda dell’occhio Kait vide Moody allontanarsi con Harry e scattò verso di loro, decisa a sapere di più sulla Polisucco. Doveva capire se Jackson stava bene.
Ne andava della sua sanità mentale, già messa a dura prova dagli strilli e i pianti che le martellavano le tempie. Si sentiva ovattata, quasi niente fosse accaduto veramente.

Quasi fosse sotto shock.

“Signore,” disse, “la Polisucco continua il suo effetto anche dopo morti?”

Moody la fissò come a chiederle “è davvero il momento?”. “Sto impazzendo, signore. Ho bisogno… Non riesco a ricordare!” si passò le mani tra i capelli, ignorando lo sguardo vuoto di Harry.

“Va bene, Kaitlyn!” la apostrofò Moody. “Non è un problema se ogni tanto non ricordi qualcosa. Non è neanche un argomento che abbiamo già trattato, perciò calmati. Comunque no, non continua il suo effetto.”

E, con queste parole, si dileguò nell’oscurità, trascinandosi dietro Harry.

Kait, rimasta davanti al labirinto, impiegò qualche secondo a capire perché, come risposta, non le andasse totalmente a genio.
Avevano studiato gli effetti della Polisucco, di questo era certa. Forse Moody non lo ricordava? Stava davvero invecchiando così?

… No, decise Kait. Non solo avrebbe dovuto sgridarla per non aver ripassato le vecchie lezioni, ma poi non sarebbe mai stato così comprensivo. Il vero Moody non accetta che tu vada nel panico, pensò. Ti tira uno schiaffo e “vigilanza costante”. Come se non bastasse, la chiamava Black.

Non Kait o Kaitlyn.

Black.

Che stesse male o semplicemente invecchiando, Harry non poteva stare con lui. In caso di attacco, chi lo avrebbe aiutato?

Ma soprattutto… Perché Malocchio avrebbe dovuto allontanare Potter da Silente, l’unico a potergli davvero assicurare protezione?

“Silente!” urlò allora facendosi strada tra la folla. Era troppo numerosa, però, tra genitori scioccati che cercavano di tirare in piedi Amos Diggory, membri del Ministero che tenevano a bada il panico e studenti in lacrime.

Non sarebbe mai arrivata al preside senza un aiuto.

Fu allora che, voltandosi, vide l’insegnante di cui meno si fidava in tutta Hogwarts… Ma che, alla fine, era anche quello che era sicura le avrebbe creduto.
“Professor Piton!” esclamò avvicinandoglisi. 

“Non ora, Black…”

“Lei mi ascolterà,” si impose invece lei. E l’uomo, per una volta, annuì e le dedicò la propria attenzione.

Una volta spiegato il proprio timore, Piton non le rise in faccia né la giudicò; semplicemente richiamò Silente - a lui ascoltava, il vecchio - e anche quella della McGrannitt, perché era meglio essere pronti ad ogni evenienza.

“Tu resti qui,” le ordinò il professore di Pozioni. 

“Neanche morta,” rispose Kait e questo mise fine alla discussione.
Si diressero subito nell’ufficio di Moody, sempre più convinti che l’uomo non solo non fosse in grado di proteggere Potter, ma che fosse un vero e proprio impostore. La Black, intanto, ripensava a ogni dettaglio che l’aveva lasciata perplessa durante l’anno. Possibile che non se ne fosse accorta prima?!

Era stata tanto distratta da mere questioni di cuore da ignorare ogni insegnamento avesse appreso da Malocchio.

Aveva fallito in ogni modo possibile.

 

 

  
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