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Autore: Opalix    16/03/2005    8 recensioni
Ho pensato di fare una piccola raccolta di aneddoti ispirati alla storia Dangerous Feelings; si tratta di episodi a cui i personaggi fanno accenni nella storia, o semplicemente scene non descritte nella trama. Non so quanti saranno o quali saranno. Alcuni saranno divertenti, altri potranno essere drammatici. Spero che possano piacervi! (Poiché ognuno è una storia a se stante, e poiché li scrivo solo quando mi viene l’ispirazione… non aspettatevi un aggiornamento regolare.)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo il primo cookie dedicato a Draco, mi sembrava doveroso scrivere qualcosa anche su Ginny, e questo è quello che sono riuscita a partorire. Visto che la situazione in DF si sta facendo critica ho pensato di regalarvi qualcosina di meno angosciante. In più volevo farvi questo regalino per farmi perdonare di quanto vi ho fatto aspettare per il chap 19… chiedo di nuovo perdono, e grazie a chi l’ha recensito!
La dedica questa volta è al mio elfetto personale Klaretta. Lo so che te ne avevo promesso un altro, ma l’ispirazione non è controllabile… spero che ti piaccia lo stesso!
E una dedica aggiuntiva a tutti quelli che, come me, si sentono un po’ come Ginny, e per i quali nulla ha valore quanto la libertà di essere se stessi.

IL RUMORE DELLE CATENE CHE SI SPEZZANO

Scavalcò il davanzale della finestra e rimase seduta, aspettando… dondolava svogliatamente un piede nel vuoto. Le nuvole che durante il giorno avevano fatto cadere più di un metro di neve si stavano ritirando, piano piano… gli alberi sembravano sagome scure su quello sfondo azzurrino e conferivano al paesaggio buio un aspetto lugubre, grottesco. Persino le orme del cane sul manto bianco parevano un po’ minacciose… ma lei non sembrava curarsene, non la impressionavano. Anzi… sorrideva ironicamente all’idea che questo mondo volesse in qualche modo darle un addio quasi triste… quasi offeso dal suo desiderio di lasciarlo.
“Piangi stupido pianeta” pensò con amarezza “non saranno certo le tue lacrime di ghiaccio a costringermi a restare.”
Finalmente uno spicchio di luna apparve dietro alle nubi scure… poi salì e si mostrò in tutta la sua bellezza del plenilunio.
La ragazza si assestò più comodamente, gettò indietro i capelli lunghissimi e attese, cercando di rilassare i muscoli; uno dei raggi lunari, che si riflettevano sui cristalli di neve cominciò a prendere un aspetto fumoso, opaco… lentissimamente le spirali di fumo iniziarono ad unirsi, finchè il raggio non divenne qualcosa di incredibilmente solido, come se la luce della luna si fosse congelata. Appoggiò un piede sul raggio, poi l’altro… si alzò e, senza guardarsi indietro, cominciò a camminare, finchè la sua sagoma non scomparve nell’ombra del Mare della Tranquillità.

Ginny si svegliò infreddolita: si era addormentata di nuovo alla scrivania. Si alzò in piedi e si affacciò alla finestra scrutando le ombre notturne del giardino alla luce della luna piena; era caldo… bè, era Luglio... la sensazione di freddo doveva derivarle dal sogno.
Ancora sogni… questa volta c’era la neve (perché poi doveva sognare la neve a Luglio…mah)… e questa volta la ragazza se ne andava con l’aiuto di una strana magia… che probabilmente nemmeno esisteva. Ma come sempre la ragazza se ne andava. Non ricordava quando aveva iniziato a fare quei sogni strani… probabilmente li aveva sempre fatti; a volte erano realistici, e la ragazza se ne andava su un treno o volava via su una scopa… altre volte erano completamente assurdi e prendevano spunto da quei libri fantasy che aveva iniziato a leggere ultimamente: “Le nebbie di Avalon”, “Il pozzo della Luna”, “Il racconto della maga”… tutti libri babbani. Liberavano la mente, erano divertenti.
Nei sogni non vedeva mai il viso della ragazza… non che ne avesse bisogno, chi mai poteva essere se non lei stessa… era lei che sognava di andarsene, era lei che non sopportava più quella stupida e piatta vita.
Tese l’orecchio e captò il ritmico russare di Ronald nella stanza accanto (sembrava un maiale, l’idiota… gliel’aveva anche detto una volta)… risate sommesse dalla stanza dei gemelli (ma non dormivano mai quelli!?)… la porta sul retro che si apriva: Bill, che probabilmente ritornava in quel momento dopo essere uscito con Fleur. Era tutto così prevedibile in quella casa, tutto così… piatto. Dalla finestra aperta giungeva il monotono cigolio dell’altalena sul retro, che dondolava pigramente nel vento caldo di quella notte estiva... Il fruscio delle larghe foglie del platano faceva nascere pensieri incoerenti nella sua mente inquieta: il grande albero le appariva ora come un enorme essere vivente, lamentoso… come in fin di vita… chissà cosa voleva dirle quel continuo mormorare delle foglie che sfregavano tra loro? Chissà quali segreti le sussurrava il vento, servendosi di quel grande strumento musicale, pur sapendo che lei non poteva capirlo?
Ginny scosse la testa, facendo ondeggiare i lunghissimi capelli… erano lunghi fin sotto al sedere, di un brillante rosso scuro… sarebbero stati mossi se il peso, e la sua abitudine a tenerli quasi sempre legati, non li costringessero a stare dritti… li odiava. Odiava sua madre per la sua ostinazione a non permetterle di tagliarli, odiava quel cretino di Charlie per quella sua mania di accarezzarle la chioma, quasi fosse una bambola, e ripeterle che era bellissima… per lei erano orribili. Si incagliavano dappertutto, le davano un’aria smorta e triste da Maddalena pentita, erano pesanti… e soprattutto erano tanti, tanti e lunghi… la coprivano. Ecco qual’era il punto: quella specie di tenda vermiglia non faceva altro che nasconderla… non contava nemmeno farsi le trecce, perché comunque tutti notavano quelle due lunghe corde color rubino prima del suo viso, del suo corpo… prima di lei; le trecce erano un appiglio semplice per chi voleva prenderla in giro, e una specie di calamita per i complimenti idioti…
Sollevò la criniera (o la pelliccia, come la chiamava lei quando aveva caldo) per cercare di far arrivare un po’ d’aria alla nuca sudata e sentì i passi del fratello fermarsi davanti alla sua porta solo accostata; l’andatura di Bill era inconfondibile, perché ad ogni passo i piccoli speroni dei suoi stivali emettevano quel tintinnio argentino, estremamente snervante.
“Piccola, che ci fai ancora sveglia?” sussurrò il ragazzo scostando leggermente la porta di legno.
“Non dormo.” fu l’infastidita risposta.
“Questo lo vedo… che hai? Stai male?”
No cazzo, non ho voglia di dormire, ok? Devo fornire giustificazioni anche per questo?!
“Ho caldo.”
“Eh già… dai, vai a letto.”
Vai a letto tu e smettila di rompere...
“Buonanotte Bill.”
“’notte, piccola. Sogni d’oro.”
La porta si richiuse.
Merlino grazie… razza di ficcanaso invadente… chissà se la smetterai mai di trattarmi come un animaletto di Swarovski…
Ginny osservò il diario aperto sul tavolo… stava scrivendo prima di addormentarsi ed entrare in quell’inquietante sogno. La data del giorno dopo era segnata con una bella X celeste… era “il giorno”, il giorno in cui avrebbe parlato con sua madre, approfittando dell’assenza dei fratelli… tutti i fratelli… che se ne andavano a vedere una partita di Quiddich. Avrebbe sfruttato quel momento di relativa pace per metterla al corrente dei suoi progetti, ora che aveva finito la scuola finalmente… e aveva scelto proprio quel giorno per evitare di dover affrontare l’ira di sette o otto persone contemporaneamente, invece di una soltanto. Certo, prima o poi avrebbe dovuto scontrarsi anche con loro ma…
Un passo alla volta, Gin… essere uccisa dai tuoi fratelli non sarebbe utile per ottenere quello che desideri. Meglio prima affrontare solo la mamma…
Non che la cosa non fosse ugualmente spaventosa… come minimo avrebbe preso qualche schiaffo. Questo era poco ma sicuro: Molly Weasley era un madre particolarmente nervosa e manesca nei confronti dei suoi pargoli. E sentire la sua figlia minore esprimere il desiderio di andarsene, non solo da casa, ma addirittura dal paese… no, di certo non l’avrebbe indotta a trattenersi.

“C’era in loro qualcosa che mi spingeva a tenermi alla larga, lontana dal fascino della loro vita sedentaria e dalla loro dorata stupidità.”
Tanith Lee
“Nata dal vulcano”

Circa un mese dopo

Ginny si stese sul letto sfondato e polveroso che le era toccato occupare da quando aveva iniziato a lavorare al Paiolo Magico, come cameriera. Sua madre probabilmente ora già sapeva che non era a casa di Hermione… dove in teoria avrebbe dovuto passare le vacanze… non aveva ben capito se i suoi avrebbero voluto mandarla a Londra come punizione per la sua sfacciataggine, o per cercare di rabbonirla con una economica vacanza tra i babbani… mah… Fatto sta che non ci era andata. E non si era nemmeno presa la briga di chiedere a Ron e alla sua fidanzatina di coprirla… tanto non l’avrebbero fatto. Che pensassero pure quello che volevano, anche che fosse morta, per quello che gliene fregava. Se anche fossero capitati alla locanda probabilmente non l’avrebbero riconosciuta, tanto erano abituati a vederla come la dolce bambina dalle trecce più lunghe di lei… Si era tagliata i capelli; era stata la prima cosa che aveva fatto appena preso possesso del suo stanzino di servizio (per inciso, più adatto a una scopa che a un essere umano): si era messa davanti allo specchio del bagno, con due grosse forbici da sarta e ZAC!... a livello delle scapole. Era stato come tagliare un pezzo di se stessa… cioè, tecnicamente aveva davvero tagliato un pezzo di se stessa… ma nel senso figurato dell’espressione la cosa assumeva risvolti psicologici non indifferenti (anche fisici… avete idea di quanto possa pesare una chioma lunga fino culo!?!). Poi, con i primi soldi che aveva guadagnato, era andata da un parrucchiere babbano di Londra e se li era fatti sistemare a regola d’arte; era uscita dal salone con una leggera corona di riccioli morbidi, lunghi fino alle spalle. Il parrucchiere aveva adoperato una lozione (lozione, non pozione) strana per mettere in risalto il naturale riflesso color rubino della sua capigliatura, regalandole come minimo tre anni in più di quelli che dimostrava prima… e siccome quelle trecce idiote non facevano altro che darle un’aria da eterna scolaretta, si può dire che alla fine dimostrava esattamente l’età che aveva: 17 anni. Un discreto bocconcino diciassettenne, a voler essere onesti.
Guardò l’orologio: mancavano dieci minuti all’inizio del suo turno. Sospiro di rassegnazione… non sarebbe stato un pessimo lavoro quello della cameriera, se almeno non avesse incontrato maghi, maghi, esclusivamente maghi dalla mattina alla sera… una palla tremenda.
Si decise ad abbandonare il materasso (scomodo, ma meglio di niente) e scendere nelle cucine. Legò il grembiule azzurro attorno alla vita e aspettò pazientemente…
“Ginny!”
No, mi correggo, NON aspettò l’urlo del vecchio proprietario che la richiamava a rapporto.
“Siii…”
“Quattro té caldi alle signore là in fondo e due Whisky Incendiari ai ragazzi del 5. Veloce!”
“Volo…” rispose ironicamente.
Se non fosse che in fondo in fondo so che mi adori, e che mi metti sempre un paio di galeoni in più nella paga settimanale, vecchio lumacone inacidito… te lo direi io dove devi andare… veloce…
Ginny lasciò le quattro tazze di tè alle quattro streghe (o meglio ai quattro spaventapasseri) del tavolo 12 e corse dietro al banco per versare due bicchieri di Whisky; col vassoio in precario equilibrio su una sola mano, fece un rapido slalom tra i tavoli per raggiungere il numero 5. Occupata com’era a non rovesciare nulla e, soprattutto, a non incrementare la popolazione di lividi bluastri che le fioriva sulle anche ogni sera, a forza di sbattere sugli spigoli dei tavoli di legno, non si rese conto di chi esattamente fosse seduto al tavolo numero 5.
“Ecco a voi.” disse allegramente, senza guardare in faccia i ragazzi.
“Ma guarda che deliziosa cameriera…” disse una voce strascicata.
Ginny alzò la testa e la rispostaccia, già in dirittura d’arrivo, le morì sulle labbra alla vista del ragazzo seduto alla sua destra. Capelli scuri, occhi azzurro intenso, lineamenti virili caratterizzati dal curato pizzetto, e addolciti da un sorriso ironico ma non troppo e da un lampo di ammirazione nello sguardo… come cavolo si chiamava quella visione? Cazzo, non aveva memoria per i nomi… aveva un anno in più di lei, era a Serpeverde di sicuro… dai Ginny!
“Ti do una mano, Weasley… N…” la stava prendendo in giro; a quanto pare lo sforzo mnemonico doveva essere palese.
Nott!! Theodore Nott!! Accipicchia che lusso… non solo il cognome, anche il nome si era ricordata!
“Salve Nott...”
Doveva essere gentile? Doveva rispondere alla provocazione? Doveva allontanarsi il più in fretta possibile? Tutti pensieri che la sfiorarono DOPO aver pronunciato quel saluto… una Grifondoro che saluta gentilmente un Serpeverde, roba da matti…
“Complimenti Weasley… sono lusingato, ma non era necessario farti esplodere il cervello per me…”
Di nuovo quel lampo di ammirazione… Ginny fu improvvisamente conscia dei suoi jeans aderenti e malandati, a vita bassa (molto bassa… troppo bassa…) e del suo vecchio top rosso fragola, che a malapena copriva lo stomaco… il grembiulino era corto, come una minigonna… Ginny si portò una mano ai riccioli e prese a tormentarne uno, senza distogliere lo sguardo da quegli ammiccanti occhi blu.
“Weasley, per quanto mi rincresca interrompere la tua esibizione, io e Nott stavamo parlando… si suppone che una cameriera lasci la consumazione e si allontani…”
La rossa scosse la testa, ripigliandosi al suono di quella voce familiare. L’altro ragazzo, quello alla sua sinistra, che non aveva nemmeno notato, aveva parlato con tono irritato da dietro una copia della Gazzetta del Profeta. Il giornale si abbassò quel tanto che bastava per rivelare una zazzera biondo platino e due occhi grigi, dall’espressione corrucciata e infastidita.
Malfoy.
Arrossì furiosamente e fece un passo indietro; mormorò un imbarazzatissimo “Scusatemi…” e scappò via veloce.
Per tutto il tempo che occuparono quel tavolo, i due ragazzi discussero animatamente… ad un certo punto Ginny li vide quasi litigare. Malfoy se ne andò dal locale sbattendo la porta, senza degnare di no sguardo nessuno dei presenti. Nott si fermò a pagare alla cassa e lasciò anche una bella mancia, salutando la rossa con un bel sorriso. Dopo quel giorno Ginny non rivide nessuno dei due per molti anni…

Parla Ginny:
Molto molto tempo dopo avrei ricordato quell’episodio con un sorriso ironico… quel giorno non avevo nemmeno “notato” quello che poi sarebbe divenuto il mangiamorte più famoso d’Europa… quel giorno non avevo compreso il motivo del litigio tra quelli che un tempo erano amici… i due serpeverde più ammirati di Hogwarts. Alla luce degli eventi che poi si sarebbero verificati, non è poi così difficile immaginarlo: Nott si sarebbe distinto come ottimo auror… Malfoy…

La Tana, fine agosto.

“Mamma, non aprire nemmeno la bocca… so cosa vuoi dire…”
Ginny aveva parlato senza nemmeno sollevare la testa dalla valigia appoggiata sul letto, che stava riempiendo nervosamente con ogni sorta di abiti e cianfrusaglie; aveva solo sentito la porta della sua stanza aprirsi e non aveva nemmeno lasciato il tempo all’intruso di aprire bocca. Il problema di fondo era che “l’intruso” non era certo qualcuno che si lasciava intimidire…
“No, Ginevra Weasley… adesso tu mi ascolterai, e vedi di aprire bene le orecchie perché non sai nemmeno la metà delle cose che voglio dirti!”
Il tono di Molly non era certo di quelli che ammettevano repliche, ma anche la pazienza di Ginny era già andata a farsi benedire da un pezzo…
“E l’altra metà non mi interessa, mamma!” disse stizzita.
Un ceffone le arrivò fulmineo, prima ancora che potesse terminare la frase, lasciandola sorpresa e intontita; Molly Weasley non era certo una madre contraria alle punizioni corporali, ma Ginny, unica femmina della famiglia e “cocca del papà”, aveva avuto meno occasioni dei fratelli di sperimentare i noti “schiaffoni Weasley”… diciamo che non ci aveva proprio fatto il callo.
“E invece tu mi ascolterai, ragazzina! O ti farò passare quell’atteggiamento strafottente a suon di sberle!”
“Mf…” mugugnò la ragazza, massaggiandosi la guancia… cazzo, che manata…
“Ascoltami attentamente Ginny, perché non lo ripeterò due volte: tu andrai a restituire quel biglietto domani stesso… poi tornerai a casa di corsa e ti riterrai in punizione fino a data da destinarsi! Hai una vaga idea di come ho passato le ultime settimane non sapendo dov’eri?! Sei una sconsiderata! Ora togli quella roba dalla valigia e vieni a preparare la cena!”
“No.”
Molly guardò la figlia con gli occhi spalancati per lo stupore.
“No?”
“No.”
“Forse non sono stata abbastanza chiara: non-era-una-domanda! Domani andrai a restituire il biglietto, è un ordine! Tu non ti muoverai da questa casa per nessun’altra ragione!”
“E chi me lo impedirà?”
“Io. Dovessi anche legarti… tu non te ne andrai da qui, da questo paese!”
“Ah si? E perché?”
“Perché lo dico io! E sono tua madre!”
“Non è una ragione!”
“Oh, si che lo è, Ginevra! Tu obbedirai… e lo farai anche senza fiatare… te lo garantisco!” urlò mamma Weasley uscendo dalla stanza e sbattendo la porta alle proprie spalle.

“Io me ne vado.”
Ginny si era presentata in cucina, dove tutti stavano per mettersi a mangiare, con la grossa valigia in mano e la borsetta a tracolla; aveva un’espressione decisa e sicura, non sembrava minimamente preoccupata di quello che gli altri avrebbero potuto dire o fare.
I ragazzi Weasley la guardarono con tanto d’occhi… Molly si alzò in piedi e puntò sulla figlia uno sguardo inceneritore.
“Non sono stata abbastanza chiara Ginny?” chiese trattenendo a stento la stizza.
Ginny sostenne lo sguardo di sua madre.
“Sei stata cristallina mamma… sono io che forse non mi sono spiegata bene: non ti ho mai CHIESTO di lasciarmi andare.”
“Non sei in condizioni di prendere decisioni!”
“E perché? Sono maggiorenne. Non ti ho chiesto soldi e non te li chiederò. Perché non dovrei prendere una decisione…”
“Perché sei mia figlia, per Merlino!”
“Sono tua figlia quando ti fa comodo! Quando devo pulire le stanze dei tuoi figli sono la loro sorella, quando bisogna tenere compagnia a Hermione mentre Ron gioca a quiddich, sono sua amica, poverina… mi sono rotta le palle di fare sempre quello che volete voi! Voglio andarmene e me ne andrò! Farò esattamente quello che voglio!”

…“Ginny che cazzo stai dicendo?”
“Ginny piantala!”
“Ginny!”
“Ginny non pensarci neanche!”…

Tutte le imprecazioni dei fratelli arrivarono alle orecchie di Ginny come attutite dalla nebbia… ormai era abituata a “chiudere l’audio” con loro… di norma ascoltava le loro voci per un massimo di due minuti, poi ritornava a pensare ai cavoli suoi. La lotta era tra lei e sua madre, che si guardavano in cagnesco dai due lati opposti della tavola… uno scontro di due volontà focose e testarde… e Ginny vinse.
“Se te ne vai da questa casa, Ginny… puoi anche non tornare mai più!” urlò Molly.
La ragazza rimase a fissarla per un breve istante, poi si chinò, raccolse la sua valigia, e si avviò faticosamente verso la porta. Nessuno fiatò. Nessuno la salutò. Nessuno tentò di fermarla. Lo sguardo triste e amareggiato di suo padre la seguì per tutto il tragitto dal tavolo alla porta.
Uscì. Si appoggiò al muro di fianco all’ingresso e ingoiò le lacrime di amarezza. Non avrebbe pianto… non avrebbe dato loro quella soddisfazione. Non avrebbe più pianto per loro. Mentre si ricomponeva e tentava di afferrare bene la valigia per dirigersi meno faticosamente verso il paese più vicino, dove avrebbe preso una corriera per Londra, la porta di ingresso si spalancò e si richiuse; Ginny non alzò la testa, sapeva chi era.
“Dove credi di andare?” mormorò una voce tagliente.
“A vivere, Ron.”
“Che significa?”
“Significa che voglio una vita diversa da quella che voi avete progettato per me… voi! Anche tu! Proprio tu…” Ginny inghiottì a vuoto “Torna in casa Ron… lasciami partire, arriverò in ritardo.”
“Ginny è questa la tua vita! Perché vuoi scappare?! È questo il tuo mondo, non lo capisci!” Ron aveva iniziato a urlare.
“No. Questa è la tua vita. E te la puoi anche tenere per quel che mi riguarda… ma io non posso accettarlo. Una volta mi avresti capita Ron…” disse Ginny amaramente.
“Ma cosa c’è da capire, Cristo santo! Non c’è niente per te nel mondo babbano… iscriviti al corso da auror se non ti piace fare la guaritrice! Ma rimani qui! Cosa credi di fare andandotene?! C’è una guerra Ginny! E tu pretendi di andare a giocare alla babbana, facendo cose che non conosci solo per divertirti! Alla fine dovrai tornare qui… e fare quello che devi! Perché vuoi sempre fare la ribelle! Io non ti riconosco più!! Pensavo ti importasse qualcosa di noi! Che cosa pensi di ottenere, eh? I tuoi amici sono qui!”
“No Ron… i miei amici non sono qui… lascia perdere, torna in casa, è troppo tardi.” sussurrò la rossa tormentandosi un ricciolo con le dita.
“Ma come fai a essere così ostinata!! È solo un capriccio!”
“Torna dentro Ron.” Ginny tentò di dargli un bacio sulla guancia, ma il ragazzo si scostò velocemente; la rossa chinò la testa, perché i capelli nascondessero la sua delusione, e mormorò un saluto quasi incomprensibile. La porta si chiuse con un colpo secco e Ginny rialzò la testa.
Guardò verso la strada bianca… in lontananza si vedevano le case del paese più vicino… da lì sarebbe iniziata la sua nuova vita… da li sarebbe iniziato il suo viaggio… oh si, l’avrebbe ripercorsa un giorno quella strada, in senso contrario… ma prima… c’era il mondo ad aspettarla.

Il sole picchiava caldo in quel pomeriggio di fine Agosto. Una ragazzina dai capelli rossi camminava faticosamente sulla strada, trascinando una grossa valigia. Era sola… ma c’era un sorriso sulle sue labbra. C’era una luce dorata nei suoi occhi. C’era una vita intera ad aspettarla… alla fine di quella strada.

“Una brezza ardente mi bruciava il volto nudo, agitando le ciocche dei miei capelli. Sono sola. Non ho nessuno accanto a me. […] Ma ho me stessa. Finalmente ho me stessa. E in questo momento mi sembra abbastanza. E molto, molto di più.”
Tanith Lee
“Nata dal vulcano”

*******************

Non è nulla di eccezionale… solo un insieme di immagini e scene che mi sembravano carine. All’inizio era partito come divertente, poi si è trasformato in qualcosa di un po’ malinconico, spero che vi sia piaciuto comunque!!
Un bacio a tutti!
Opy

   
 
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