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Autore: determamfidd    24/01/2016    3 recensioni
La battaglia era finita, e Thorin Scudodiquercia si svegliò, nudo e tremante, nelle Sale dei suoi Antenati.
La novità di essere morto sparisce in fretta, e osservare i propri compagni presto lo riempie di dolore e senso di colpa. Stranamente, un debole barlume di speranza si alza nella forma del suo parente più giovane, un Nano della linea di Durin con dei capelli rosso intenso.
(Segue la storia della Guerra dell'Anello)
(Bagginshield, Gimli/Legolas) Nella quale ci vuole tempo per guarire, i membri morti della Compagnia iniziano a guardare Gimli come se fosse una soap opera, Legolas è confuso, il Khuzdul viene abusato, e Thorin è quattro piedi e dieci pollici di sensi di colpa e rabbia.
[Traduzione]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Gimli, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dopo lunga attesa, finalmente ecco il nuovo capitolo! Sto cercando di mettere un po' di ordine nella formattazione della storia, come si può notare se guardate questo capitolo o i primi della storia. Se provate a passare col mouse sopra una parola in Khuzdul o Sindarin dovreste vederne la traduzione, e sto nascondendo i vocabolari alla fine sotto il pulsante per rendere l'effetto generale un po' più gradevole. Se qualcuno ha suggerimenti da fare, o se ho saltato una parola (capita), potete dirmelo. Buona lettura!


Ori guardò l'enorme rotolo di pergamena. Era coperto di cancellazioni, e piccole note erano scritte lungo tutti i margini in un assortimento di diverse mani. Poteva riconoscere la grafia larga di Thrór, i confusionari segni che erano di Óin, e le curve aggraziate di Frís. Nel suo complesso, era un disastro irriconoscibile e illeggibile. Una sensazione calda e pesante nacque da qualche parte nel suo addome.

Con un ringhio improvviso, alzò la mano e strappò l'orario dalla porta della forgia, lasciando gli angoli attaccati sotto i chiodi che l'avevano tenuto su. «Tutto quel... tutto quel... ARGH, e non sono nemmeno dove – Thorin non è nemmeno – oh, Durin ci salvi, sul serio?»

Bifur, al suo fianco, iniziò ad allontanarsi cautamente. Ori lo ignorò, e passò qualche soddisfacente momento a strappare in pezzi il suo lungo lavoro.

«Ghivashelê?» disse Bifur – piuttosto nervosamente.

«Metterò questa stupida cosa nel didietro di qualcuno» sbuffò Ori, e prese i pezzi stracciati in mano. Poi girò sui tacchi e iniziò ad andare verso la Camera di Sansûkhul. «Andiamo!»

«Oh, mahumb» sospirò Bifur, e poi corse dietro la sagoma borbottante del suo normalmente pacifico piccolo amore «Ori! Aspetta!»


«Non andrà a finire bene» disse Balin in tono piatto, fissando la forma dei due nobili di Dale accucciati in un angolo del mercato insieme, sussurrando ferocemente.

«Temo tu abbia ragione» sospirò Thrór, e la sua mano si poggiò sulla spalla di Balin in goffa rassicurazione «Ma cosa si può fare di loro?»

«Forse gli Orchi li troverebbero divertenti» grugnì Balin, e guardò i due pomposi, idioti palloni gonfiati con intenso disgusto.

«Forse gli Orchi troverebbero piacevole la loro compagnia» aggiunse Hrera acida «Dáin ha appena liberato il mondo del loro capo: non dargliene di nuovi.»

Gli argomenti della loro discussione sembrarono essere arrivati a un qualche accordo. Il loro furioso sussurrare si fermò, e con un cenno della testa e un ghigno crudele Lord Krummet di inchinò sulla mano di Inorna, e se ne andò a grandi passi. Lei lo guardò con una tragica aria di dolcezza ferita, anche se i suoi occhi brillavano di soddisfazione. Poi anche lei girò sui tacchi e scappò fra le ombre.

«Non mi piace» borbottò Balin «Stanno creando tensione fra la Gente di Dale, diffondendo ogni genere di vile pettegolezzo. Non stiamo nascondendo loro del cibo, e lo sanno!»

«Il Popolo di Dale è troppo saggio per credere a tali ovvie menzogne» disse Hrera «E Lady Selga è ancora parte del consiglio. La loro gente si fida di lei, anche se non dei nostri.»

Balin sbuffò nella barba, mordendosi il labbro. «Non mi piace lo stesso. E stanno facendo troppo attenzione ai consiglieri... soprattutto a Dori.»

«Ebbene, non riusciranno facilmente a superare Beri e Genild, non importa quanto tengano il broncio» Thrór si grattò la guancia per un momento, prima di girarsi verso il quarto membro del loro piccolo gruppo «Víli, ragazzo, andresti ad ascoltare ciò che dice la gente? Sei sembra stato il migliore a capire l'umore del popolo.»

Víli arricciò il naso. «Preferirei tornare nelle camere del Consiglio per vedere come sta Dís. Non è molto divertente essere seduto in una taverna quando le tue mani passano attraverso i boccali.»

«Ti porterò personalmente un barile di birra se fai un giro per il mercato con le orecchie aperte» disse Balin, e alzò le sopracciglia guardando Víli «Siamo seduti su un barile di polvere nera, e quei due hanno appena fatto cadere una lampada. Dobbiamo sapere se la Gente di Dale crede a queste menzogne, e dobbiamo sapere se gli Elfi o i Nani sentono tensione o risentimento per questo.»

Víli sospirò e guardò il tetto decorato di smeraldi. «È perché sono comune come il fango, vero?»

«È perché io non so cosa dovrei ascoltare, Thrór anche meno, e Balin analizzerebbe troppo tutto, cercando politiche e angoli e interessi finché tutto non gli si polverizza fra le mani» disse Hrera «E anche perché sì, sei un ottimo Nano, Víli, e il mio nipote acquisito preferito... e sei anche comune come il fango.»

Víli ghignò. «Grazie mille, Maestà.»

Lei gli fece un sorriso teso. Le sue linee di preoccupazione non si lisciarono. «Di nulla. Ora corri.»

«Sì, signora» Víli fece un piccolo inchino, e poi sparì nel mercato rumoroso.


«Solo settemila» giunse il borbottio di Gimli mentre Thorin, Dáin, Frerin e Óin si scrollavano di dosso la luce stellare appiccicosa del Gimlîn-zâram. La loro notte era stata quieta nelle Sale. Ogni Nano che non stava facendo la guardia si era radunato nella forgia di Thrór – non per pianificare o parlare, ma solo per sedersi insieme in silenzio. La tensione era troppo pesante per fare discorsi, e sembrava che una sola parola avrebbe potuto farli crollare. «Come nel benedetto nome di Durin dovremmo assaltare la Terra Nera con solo settemila guerrieri? È follia.»

«Lo sarebbe, se questo fosse davvero un assalto» giunse la voce di Legolas. Thorin socchiuse gli occhi mentre la luce svaniva, e riuscì a riconoscere le forme di cavalieri e fantieri, tutti insieme sotto la pallida luce di metà mattino. «Ma sai bene quanto me che questa non è altro che una incosciente scommessa.»

«Ebbene, ho tirato a sorte a volte, suppongo» sospirò Gimli. Dopo un momento, Thorin riuscì a riconoscere la forma della sua stella. Gimli e l'Elfo erano a piedi piuttosto che a cavallo, e Pipino stava trotterellando su piedi rapidi accanto a loro. Dietro di loro venivano le alte lance dagli occhi grigi che erano i figli di Elrond, le loro armature a foglie luccicavano debolmente.

Gimli rise improvvisamente. «Ti ho mai detto del mio amico Nori? Organizzava tutte le scommesse di Erebor, e anche qualcuna che non era tanto onesta. Scommise anche su di me qualche volta, e mi piace pensare di avergli fatto guadagnare più di quanto non gli abbia fatto perdere!»

Legolas alzò le sopracciglia. «Un altro della compagnia di tuo padre?»

«Aye» Gimli guardò dietro lungo le file e file di soldati fino a Minas Tirith, qualche miglio più indietro «Darei molto per averli al mio fianco, considerando il nostro compito.»

«Tu hai alcuni di loro» disse Thorin, piano e dolcemente. Gimli sorrise.

«Idmi, Melhekhel»

Gli occhi di Legolas andarono verso il basso, e poi chinò impercettibilmente la testa. «Re Thorin ha fatto ritorno, suppongo» mormorò.

«Aye, è qui, insieme a uno o due altri. Dunque posso infine unirmi alla Compagnia, mio Re? Ah, ma siamo molto lontani dai giorni in cui ero ancora troppo fresco e verde per seguirvi in un grande viaggio per affrontare un mortale nemico»

«Avevi sessantadue anni, e mai un ragazzo più incosciente e irritabile ha camminato per Ered Luin» borbottò Óin «Saresti finito sotto i piedi di un Troll prima ancora di arrivare alle Montagne Nebbiose – o avresti persino cercato di lottare con Beorn.»

«Pace, zio. Non sono arrabbiato!» Gimli girò lo sguardo da Minas Tirith, e fece un lungo sospiro che gli fece piegare un poco le spalle «Sto solo ricordando.»

«Mi preoccupa» sussurrò Frerin «Vuol dire... intendo dire, se sta pensando al passato...»

Dáin lo zittì, anche se i suoi acuti occhi blu andavano da Gimli a Thorin.

«Beh, io so chi è arrabbiato, e quello è Merry» disse Pipino. Doveva fare tre passi per ognuno di quelli di Legolas, e stava praticamente trottando mentre camminavano. «Aragorn e Gandalf dicono che non può venire. L'avranno dovuto legare per impedirglielo!!»

«E non dovrebbe!» disse Legolas «Ha già compiuto una grande impresa, e gli è costata caramente nonostante il suo coraggio. Deve riposare, e tornare forte e in salute. L'Alito Nero è qualcosa di terribile da sopportare.»

«Esattamente quello che gli ho detto io!» disse Pipino annuendo decisamente «E anche Aragorn. E poi, devo mettermi alla pari con lui ora. Non posso permettere che i Brandybuck si prendano tutta la gloria quando torniamo a casa! Sarebbero degli insopportabili palloni gonfiati, e non posso permetterglielo, per niente. Devo tenere alto l'onore dei Grandi Smial di Tucburgo, ecco.»

Gimli sbuffò, e Legolas rise apertamente. Poi Legolas si fermò in un lampo, serio velocemente quasi quanto aveva iniziato a ridere. «Quando torniamo a casa» ripeté lentamente, e abbassò gli occhi.

Gimli toccò la mano di Legolas con un dito cauto. «Legolas? Ragazzo?»

«No, non sento i gabbiani, Gimli» disse Legolas, e rimase in silenzio per un pensieroso momento. Poi disse: «Dimmi, cosa farai quando tornerai a casa?»

«Quando tornerò...» la bocca di Gimli rimase aperta. Il dolore entrò nei suoi occhi scuri, e scosse la testa spettinata. «Âzyungelê, non ci sono molte possibilità di...»

«Fingi» disse Legolas, brusco e freddo «Fingi, per me, per carità mia.»

Gimli rimase in silenzio, e poi alzò il mento per guardare le forme proibitive delle Montagne di Mordor, che crescevano sempre di più. «Beh» iniziò, il tono pensieroso e lento «per prima cosa andrò dalla mia famiglia. Li saluterò, e saremo infine insieme dopo quest'anno terribilmente lungo. Mio padre urlerà e riderà e piangerà, e mia madre inizierà immediatamente a sgridarci tutti indiscriminatamente. Anche te» aggiunse, e toccò ancora la mano di Legolas – un tocco caldo e rassicurante.

Le labbra di Legolas si incurvarono, e la sua espressione si addolcì leggermente mentre ricambiava il segreto sorriso di Gimli. «Non vedo l'ora di incontrare tua madre.»

Gimli sbuffò piano. «Sarà orripilata nel vederci, quando noterà quanto magro sono diventato. Ci nutrirà per una settimana senza pause prima di essere soddisfatta! Mio nipote correrà e danzerà e si arrampicherà su di noi, e forse in fine riuscirò a sorprendere mia sorella abbastanza da fermarle quella lingua affilata.»

«E poi cosa?» Legolas girò la mano per stringere le grosse dita di Gimli.

«Poi vedrò il mio nuovo Re, e racconterò la mia storia» disse Gimli «e forse faremo una festa. Visiterò Dwalin e Dori, e mostrerò loro il libro scritto nella grafia di Ori, e dirò loro di ciò che trovammo a Khazâd-dum...» Gimli si interruppe e strinse la mano di Legolas. Anche se il suo tocco rimase gentile, spinse la mascella in avanti in modo determinato, come se si stesse già preparando per una battaglia. «Dirò loro di te, e tutti ci accetteranno con braccia aperte e cuori aperti. Ti vorranno bene, come me. Aspetta e vedrai.»

«E quel giorno, io darò a Thranduil un grosso bacio bagnato sulle labbra, no?» borbottò Óin.

«Andremo a casa» disse Legolas, e fissò le montagne davanti a loro con qualcosa di simile a rabbia negli occhi «E saremo insieme.»

«Aye, ogni giorno» promise Gimli «Ogni giorno. E andremo alle Caverne Scintillanti sotto il Fosso di Helm e ti mostrerò come le rocce crescano e sboccino meravigliosamente come i fiori in un giardino; se non di più, perché la loro fioritura ha bisogno di molte migliaia di anni. E tu mi presenterai a tuo padre e ai tuoi fratelli, e loro ti faranno le congratulazioni per il tuo gusto eccellente in fatto di mariti.»

«Sì» sussurrò Legolas «Ti vedranno come ti vedo io. Andremo a Fangorn e cammineremo fra gli alberi così antichi che mi fanno sentire giovane come l'alba. Ti insegnerò come ascoltare le loro parole...»

«Quella è l'idea, Kurdulê» disse Gimli, e si portò la mano di Legolas alle labbra per baciarla.

Poi si fermò quando la realizzazione gli attraversò il volto, e i suoi occhi scattarono in giro. «Eh.»

Le orecchie di Pipino erano rosse, e i suoi occhi erano enormi. «Quindi, voi...» disse in tono strozzato.

L'unico segno del nervosismo di Legolas era un certo biancore delle sue nocche dove stringeva la mano di Gimli. Per il resto, pareva rilassato mentre camminava per i campi devastati del Pelennor.

«Aye» disse Gimli, come sfidando Pipino a commentare. Guardò cautamente anche Elladan e Elrohir. «Così stanno le cose.»

«Oh» disse Pipino, e parve molto giovane in quel momento, battendo le palpebre stupefatto. Poi un largo ghigno iniziò a formarsi sul suo volto. «Aspetta, voi siete – oh, gloria e trombe, come direbbe Sam! Beh, congratulazioni a tutti a due!»

«Sei il secondo ad offrirci la sua benedizione» disse Legolas, e sembrava confuso per la reazione di Pipino «Non eravamo sicuri del fatto che avresti approvato.»

«Approvare? Certo che approvo!» Pipino mise i pollici nelle spalline del suo zaino e sorrise loro orgogliosamente «Sono un Tuc, miei cari amici, non qualche fastidioso Boncorpo o noioso Tronfipiedi, sempre a fare pettegolezzi come fanno loro a Crifosso! Lo scandalo è stato il mio pane da quando sono nato: chiedete a Merry se avete dei dubbi. E poi, state ignorando la cosa davvero importante qui.»

«Aye?»

Pipino si strofinò assieme le mani. «I matrimoni hanno le danze migliori e il cibo migliore! Dunque, ora che è chiaro, quando possiamo iniziare a fare piani? Penso che dovreste farlo appena potete, prima che ce ne andiamo da Minas Tirith. Altrimenti come faremmo a esserci tutti?»

Gimli sbuffò forte. «Sarebbe come mettere il gatto fra i corvi, te lo dico io!»

«Mio padre non me lo perdonerebbe mai» disse Legolas, ma il suo sorriso era compiaciuto, anche se un po' confuso.

Pipino fece un suono maleducato. «Ed è così probabile che lui te la faccia passare liscia anche così?»

«Perché lo Hobbit è l'unico che usa la testa?» chiese Óin all'aria.

«Beh, farete come volete, ovviamente» continuò Pipino, e scrollò le spalle «Ma tuo padre sarà livido non importa quello che fai, quindi il mio consiglio, per quanto possa valere, è di ignorare tutte le urla e fare quello che ti rende felice. Almeno, per me ha sempre funzionato.»

«Questo spiega molto, Piccolo Combinaguai» disse Thorin, reprimendo un sorriso.

Gimli e Legolas si guardarono, e poi Gimli disse: «c'è una qualche saggezza in ciò che dici...»

Pipino fece uno sbuffo soddisfatto. «Naturalmente.»

«...ma sono sicuro che mi sarebbero strappate le trecce dalla testa» Gimli si grattò il mento «O la barba pelo per pelo.»

«Ed io» Legolas guardò i gemelli Peredhel «Io non sono certo che d'ora in poi sarò il benvenuto nelle sale di mio padre. Non posso parlare per tutti i regni degli Elfi, ovviamente...»

Tranquillamente, Elladan disse, come se stesse parlando con l'aria: «anche se molto è stato detto della nostra eredità mista, sembra spesso che gli altri non si rendano conto che nostra sorella presto si unirà a uno di sangue mortale.»

«E non abbiamo nulla contro l'unione, né nessuno del nostro popolo» aggiunse Elrohir. Poi il suo volto serio si corrugò un poco. «Anche se credo che sarebbe una prova persino per l'incredulità di mio padre, se vi vedesse in cerca di protezione a Imlardis. E lui ha visto molte cose.»

«Molte, molte, molte cose» aggiunse Elladan.

Pipino gonfiò il petto. «Ora, dovete considerare tutti i fattori. Qualsiasi cosa voi facciate, probabilmente sorprenderete tutti quelli che incontrerete. Siete qualcosa di davvero nuovo, in caso vi sia in qualche modo passato di mente in tutti questi discorsi terribilmente tristi di cosa farai, eccetera. Se veniste nella Contea sorpassereste persino il Signor Bilbo in quanto cosa più strana vista negli ultimi secoli, ed è un fatto.»

«Gentile da parte tua» disse Gimli a denti stretti. Dáin rise.

«Mi piacciono questi Hobbit, a voi?» disse allegramente «Il mio genere di persone.»

«Non tanto nuova» disse Legolas, e strinse più forte la mano di Gimli «Ci furono altri. Mio padre derise il loro amore, e esiliò lei dal suo regno.»

«Io non credo che tuo padre ti esilierebbe, Thranduilion» disse Elladan «Lui ti ama troppo, e Thranduil stringe forte ciò che ama.»

«Mio padre è orgoglioso» disse Legolas «E non ha amore per i Nani.»

«Ah, ma è il suo orgoglio più grande del suo amore per te?» disse Elrohir, e scosse la testa «Abbi cuore! Perché affrontiamo un pericolo più grande dell'ira di Thranduil, e ogni discorso del domani è solo fumo nel vento.»

«Allegro» disse Frerin amaramente «Se questa è la loro idea di conforto, lascia molto a desiderare.»

«Il fumo nel vento è una bella idea» borbottò Gimli «Quando ci fermiamo?»

Thorin considerò mentalmente le parole del Signore Elfico. «Ma c'è questo: Gimli e Legolas non saranno esclusi da tutti gli Elfi» disse, e poi ringhiò e si strofinò la fronte. Sono più che stanco di dover cambiare la mia opinione su questi dannati, dannati scopa-alberi. Maledizione.

Però, era una buona cosa che Legolas non sarebbe stato separato dal suo popolo. Ma cosa fare con Thranduil, il ragno pallido di Bosco Atro, che sarebbe rimasto fermo a guardare Nani che morivano di fame ma avrebbe nutrito Uomini senza pensarci?

Pipino si sistemò la spada, e poi strinse le mani. «Ora, tornando a questioni veramente importanti, per favore: cosa pensate di servire al matrimonio? Perché, in quanto vostro amico, sarei estremamente mancante se non vi facessi la ricetta di mia nonna per i funghi ripieni al burro con salvia e basilico.»

Gimli e Legolas si guardarono, e si affrettarono a soffocare le loro risa.


Víli guardò con preoccupazione e nervosismo crescente mentre Inorna sussurrava all'orecchio di un Uomo di Dale dall'aspetto tartassato. Lei si toccò il naso e scappò via tenendosi alte le gonne. L'Uomo di Dale storse il naso e scosse la testa in disgusto, ma continuò a spostare barili verso la grandi piattaforme che si alzavano fino ai bastioni.

«Nessuna gioia qui, Inorna» disse Víli, e ghignò fra sé e sé andando avanti.

Si fermò brevemente alla vecchia taverna di Nori, che era per la maggior parte vuota. Le mura tremarono per l'impatto di macigni quando le catapulte ripresero il loro lavoro. Víli si tirò le trecce dei baffi, e si chiese se gli Orchi e gli Esterling erano infine riusciti a raggrupparsi dopo la morte di Dâgalûr.

Probabilmente no, decise, e si piegò per ascoltare una coppia di vecchie donne di Dale pettegolanti. «Dubito ci sia tutto quel cibo nascosto di cui parlano» disse una «Sarebbero visiti mangiarlo in seguito e lo sanno, e porterebbe a ogni genere di guai, quindi perché fare tutto il lavoro di organizzare i silo e i magazzini in quel caso?»

«Non ha senso, per me» disse l'altra, annuendo a labbra strette e bevendo un sorso del suo tè annacquato «I Nani della Montagna sono sempre stati di parola sin da quando possa ricordarmi, sin da quando ero piccola. Qualche gattaccio nervoso non cambierà i fatti!»

Víli fece un sospiro di sollievo, e iniziò a tornare indietro per le silenziose sale di Erebor. La maggioranza delle persone erano ancora a difendere le mura o lavorare nelle forge, sembrava, e la maggior parte dei corridoi erano deserti. Un frammento di conversazione gli giunse all'orecchio quando passò oltre l'entrata delle cucine, e guardò dietro l'angolo per ascoltare meglio.

«...non un maiale arrosto?» giunse la voce fastidiosa di Krummet «Li abbiamo visti tutti in giro, grassi come il burro e sfrontati! È una prova di quello che dico, questa. C'è cibo, e molto, e i Nani stanno nascondendo la nostra parte! Possiamo sopportare questo egoismo? Il Popolo di Dale non ha più orgoglio?»

«Non so» disse la donna incerta «Ho aiutato nelle cucine, e gente che ha cibo in abbondanza non fa solo zuppa per nove giorni di fila. La fanno perché dura, riempie, e non servono poi molti ingredienti...»

Krummet la guardò storto. «I maiali!» sibilò, gli occhi sbarrati «Ignorerai delle prove così ovvie?»

«Quei maiali non sono cibo, da quanto mi dice Barur Panciapietra» lei si asciugò le mani sul grembiule, e scosse la testa «Non ignorerò le regole dell'ospitalità uccidendo gli animali domestici del mio ospite senza un te-lo-concedo. Vi auguro una buona giornata, grazie» disse seria, e sparì nella cucina.

Krummet ringhiò in furia impotente, e se ne andò a grandi passi con il collo paonazzo.

«Ratto di fogna» borbottò Víli alle sue spalle, sentendo una nuova ondata di disgusto per quel tipo spiacevole. Poi mise da parte pensieri dell'untuoso nobile di Dale e iniziò ad andare verso i livelli superiori.

«...sempre intorno alle mie stanze come un pessimo odore» giunse la voce di Dori da una sala di riunione della Gilda. Víli quasi continuò per la sua strada prima che il suo cervello tornasse al passo con le sue orecchie. Si fermò rapidamente e mise la testa attraverso la porta.

Seduti dietro a un tavolo coperto da un pesante libro con borchie in ottone, Glóin si stava massaggiando le tempie, un'espressione stanca sul volto. Attorno al tavolo erano Dori, Mizim, la Lady Selga e il Capitano Elfico Merilin. «Non saprei come risolvere il problema» disse Glóin, e Dori borbottò fra sé e sé dei vili piccoli rompiscatole «Anche se probabilmente non sarebbe diplomatico da parte mia suggerire un buon pugno.»

«Sarei felice di eseguire» disse Dori bruscamente.

«Se pensate che potrebbe creare un incidente, forse potrei offrirmi volontaria» disse Lady Selga. Gli occhi scuri di Merilin andarono verso di lei, brillando con un lampo di divertimento.

«Mi piacerebbe vederlo» disse, piano.

«Potresti averne occasione» disse Glóin cupo, e fece correre un dito lungo una colonna del suo grande libro, trovando e picchiando sull'ultima cifra «Non ci rimane abbastanza per durare una settimana per come stanno le cose. Temo che noi stiamo sopravvalutando largamente i nostri viveri. Ci rimangono solo le ossa del culo, ragazzi.»

«Hai delle copie di queste informazioni?» disse Merilin; la sua espressione passò da ammirazione a serietà quando girò lo sguardo da Selga a Glóin.

Il vecchio Nano parve incredibilmente indignato. «Io sono un banchiere. Ho tre copie di queste informazioni, e una copia è data in custodia di una persona rispettabile di grande segretezza.»

Fu il turno di Selga di essere divertita, quando Merilin disse: «le mie più sincere scuse, Mastro Glóin.»

«Se ho delle copie» sbuffò Glóin, rilassandosi mentre Mizim gli accarezzava la mano distrattamente.

«Non avete centrato il punto, voi tutti» disse, e si piegò in avanti per guardare di nuovo il libro, prima di raddrizzarsi «Quando finiremo il cibo, cosa pensate faranno i nostri due piccoli pettegoli vendicativi?»

Dori gemette in comprensione. «Accusarci di nasconderlo, naturalmente. E probabilmente non smetteranno mai il loro infernale spiare le mie stanze.»

«E quando le cinture di tutti saranno un po' più larghe, è quando inizieranno a trovare qualche altro orecchio amichevole» disse Selga.

«Perché stanno dando fastidio a voi, però?» disse Merilin a Dori, il quale fece un suono di frustrazione impotente «Voi siete il Mastro delle Gilde e il Quartiermastro di Erebor, la vostra reputazione è senza macchia...»

Gli occhi di Glóin si allargarono. «E tu sei il Mastro delle Gilde, e il Quartiermastro dell'esercito, e vivi solo, e sei seduto su una miniera d'oro di informazioni che potrebbero usare.»

Dori sbiancò di colpo. «Questo...»

«Non lo escludo da loro» disse Selga, il tono piatto. Si alzò e si raddrizzò il vestito con un movimento brusco. «Sono conosciuti per le loro pratiche immorali negli affari, a casa. Non si fermerebbero a pettegolezzi e menzogne.»

«Pensate che si introdurrebbero nelle mie stanze?»

«Penso che ci proverebbero» disse Selga, e si allontanò dal tavolo con passi rapidi e rabbiosi «Quei due! Ci hanno ostruiti in tutto. Ora artigliano il potere e giocano giochi idioti! C'è una guerra fuori!»

«Evidentemente non sanno abbastanza di te se pensano che tu sia un bersaglio facile» disse Mizim a Dori, che sembrava assolutamente furioso.

«Ebbene, Dori non è come sembra, no?» disse Glóin, e si appoggiò allo schienale della sua sedia e si mise i suoi vetri da lettura sopra la testa bianca «Sospetto che rimpiangeranno aver preso di mira il puntiglioso, educato burocrate quando scopriranno che ha un gancio destro come una sbarra di ferro.»

«Puntiglioso!?» sputacchiò Dori, e Glóin fece spallucce.

«Ti conosco da abbastanza tempo per essere diretto, gamil bâhûn»

Dori lo incenerì, prima di dover concedere il suo punto con un borbottio.

«Che informazioni ci sono nelle vostre stanze, Mastro Dori?» disse Merilin, piegandosi in avanti e chinando la testa, quegli scuri occhi Elfici concentrati.

«L'inventario delle armi» sospirò lui, e si tirò la stretta treccia nella sua barba «Accordi delle Gilde. E sfortunatamente, la posizione dei magazzini» quando un urlo seguì la notizia, Dori si gonfiò difensivamente «Come nel nome di Mahal avrei dovuto predire questo? E qualcuno deve informarne Beri e Genild!»

«Ah, dannazione» gemette Glóin «Smettila di essere così dannatamente competente, Dori, e lascia che qualcun altro faccia le cose per una volta.»

«Io sono la più rapida, andrò alle vostre stanze per vedere se sono state disturbate» disse Merilin, raddrizzandosi. Il suo mantello rosso frusciò contro i suoi polpacci quando si girò e andò alla porta.

Un altro impatto risuonò contro il versante della montagna come il suono di un enorme martello, e Selga sobbalzò. «Muoviti, capitano» incitò l'Elfa.

Merilin si fermò a metà di un passo, e chinò la testa. Poi svanì in un lampo di mantello e lunghi capelli neri.

Dori aprì le spalle e si girò verso Glóin e Mizim. «Potrei chiederle un'arma, vecchio amico?» disse nella voce più controllata che Víli avesse mai sentito.

Glóin scoprì i denti in un ghigno feroce, e fece un cenno verso il muro. Dori non rispose, ma andò diretto verso le rastrelliere piene di armi che erano lì appese. Le sue mani esitarono su un mazzafrusto per un momento, prima di scegliere un enorme, pesante martello.

Alzandolo senza segno di sforzo, si girò verso Glóin, Mizim e Selga, e fece loro un cenno cortese. «Ora, se mi volete scusare...?»

«Prego, Dori caro» disse Mizim, ugualmente educata.

«Fai loro il culo» aggiunse Glóin.

Dori si inchinò educatamente verso Selga, poi ringhiò e corse dietro Merilin, gli occhi infuocati per la furia.

Víli ingoiò le sue imprecazioni più scelte, e chiuse gli occhi e lasciò che la luce stellare lo trascinasse via. Thrór doveva sapere.


«Come fa ad essere ancora in piedi?» si chiese Kíli ad alta voce, il tono diviso equamente in disperazione e meraviglia.

Fíli non ne aveva idea, ma guardò Frodo che barcollava in avanti mentre il capo Orco faceva di nuovo schioccare la frusta contro le gambe in movimento dei soldati. Lo Hobbit parve non sentire nemmeno i colpi, come se fosse già morto per il mondo dei vivi – o come se interiormente fosse già al limite del dolore, e quindi il carezza di una frusta non faceva nessuna differenza.

E per tutto il tempo, l'Anello chiamava.

«Questa è agonia» disse, e fece un altro passo e un altro ancora, obbligandosi a rimanere al passo con Sam e Frodo. Quando aveva scelto questo dovere, non si era aspettato tali orrori. Non aveva saputo quanto sarebbe stato difficile essere testimone di tanta sofferenza, incapace di aiutare. Troppe volte aveva desiderato voltarsi, permettere alla luce stellare di portarlo via dalla vista del volto pallido di Frodo, dal suo respiro rasposo, dai suoi occhi senza vita.

No. Questo coraggio – questo sacrificio – si meritava un testimone. Frodo e Sam non sarebbero rimasti soli, e lui li avrebbe onorati. Se Fíli avesse potuto, l'intera creazione li avrebbe onorati.

Frodo barcollò, e Sam lo sorresse. «Dove c'è una frusta, c'è una volontà, fannulloni!» ruggì il capo degli Orchi, e la rabbia di Fíli montò mentre gli altri Orchi urlavano.

«A quel tizio serve un appuntamento coi miei coltelli» borbottò Nori. Era avanti a loro, i suoi occhi acuti osservavano la piana affollata avanti. Fíli rimaneva a destra di Frodo, e Kíli fiancheggiava Sam a sinistra.

«Sento il bisogno di un arco in mano, per qualche motivo» confermò Kíli, guardando tetramente il comandante.

Mordor sembrava infinita, la marcia insopportabile. In qualche modo gli Hobbit barcollarono e si trascinarono avanti, strisciando i piedi nella polvere. Il tempo passava come ghiaccio che si scioglie lentamente. Il sole avanzava lungo il suo corso, enorme e rosso e rabbioso dietro il cielo perpetuamente puzzolente e pieno di fumo.

«Dovranno fermarsi prima o poi» disse Nori. Il suo volto furbo e allegro era tetro e aggrottato, e tutti e tre avevano degli orribili segni sotto gli occhi. «Un esercito può andare avanti solo al passo del soldato più lento – per non parlare di tutti i vagoni di viveri o cose del genere. Gli eserciti sono lenti, e c'è sempre molta confusione: una bella opportunità per scappar via, spero.»

«Speri» ripeté Fíli, e fece un altro passo, e un altro. A volte gli sembrava che tutto ciò che facesse fosse camminare accanto a Frodo, inutile e inefficace come uno scudo di vetro.

«Cosa c'è là avanti! Nori?» disse Kíli improvvisamente, spezzando la monotonia. Nori guardò fra i corpi degli Orchi in marcia, e soffiò fra i denti.

«Un incrocio – e sta arrivando qualcuno! È la loro occasione!»

Proprio in quel momento, un nuovo gruppo di Uruk, correndo a un trotto ritmico, si scontrò con la loro colonna. Tutto fu gettato nella confusione, con ogni Orco che strillava e picchiava e sputava agli altri. «Padron Frodo!» sussurrò Sam, e tirò l'intontito Frodo «Andiamo, ora: scendiamo in quel fosso, non riusciranno a vederci oltre quell'alto muro. Ma dobbiamo farlo ora!»

Frodo si riscosse, e poi i due Hobbit strisciarono via dalla confusione, con gli Orchi che gli inciampavano sopra e imprecavano tutto il tempo. Poi si arrampicarono oltre il bordo della strada, e rimasero immobili, coperti nei loro mantelli Elfici, mentre le due colonne si riorganizzavano con molte urla e minacce.

«Se ne sono accorti?» chiese Fíli a Nori sottovoce.

«Nah, nessuno ha visto niente. Troppo occupati a cercare di infilzare gli altri in un occhio» sbuffò Nori «Gente amichevole, eh? Penso che se non fosse per l'influenza di Sauron, gli Orchi si estinguerebbero fra loro in un paio di decenni.»

«Se solo fossimo così fortunati» disse Fíli, e indicò Sam che stava incitando gentilmente Frodo a strisciare un po' più lontano dalla strada «Se solo lo fossero loro.»

«Ha ancora tanta speranza in sé» disse Kíli, piano «Sam, intendo.»

Fíli guardò suo fratello per un momento, e poi si girò di nuovo verso gli Hobbit. Frodo si era mosso di nuovo grazie all'incitazione di Sam, e stava andando un pollice alla volta verso la roccia irregolare. «Sono contento che almeno uno di loro ne abbia, in ogni caso» si disse «Se non possono avere fortuna, almeno hanno quella.»

«Ed eccola di nuovo, cosa dannata» disse Nori cupo, e guardò la tetra forma dell'Orodruin – così vicina ormai, molto vicina «Odio quella montagna.»

Era una cosa strana da dire per un Nano, ma Fíli sapeva esattamente come si sentiva Nori. Con laghi di lava attorno a ogni versante, i fianchi irregolari come pelle scabrosa e malata, e la luminosa bocca aperta che era senza dubbio l'entrata all'abisso di fuoco, il Monte Fato era orribile da vedere e orribile da percepire. Il senso della roccia di Fíli era sempre stato migliore di quello di Thorin, Dís o Kíli, e gli si accapponava la pelle a pensare alla roccia dentro a quella deforme, malevolente fornace. Tutta la terra qui era stata avvelenata per talmente tanto tempo, e quel posto più di ogni altro.

«Andiamo» disse, e si fece forza mentre gli Hobbit iniziavano a strisciare verso di essa.


Ori si scrollò di dosso la luce del Gimlîn-zâram e alzò un dito, pronto a dire a chiunque avrebbe trovato esattamente cosa gli passava per la testa. Poi si fermò.

«Dove siamo?» disse Bifur, strofinandosi gli occhi.

«Questi sono gli appartamenti della mia famiglia» disse Ori lentamente, e si girò confuso «Erebor. Ma erano Thrór e la Regina Hrera a essere di guardia qui, pensavo? Perché le stelle ci hanno portati qua e non a Gondor?»

Gli occhi di Bifur si allargarono, e indicò un punto dietro la schiena di Ori. «Forse quello è il motivo.»

Ori si girò, e la sua bocca si spalancò in rabbia alla vista dell'untuoso Uomo che cercava nei cassetti della scrivania di Dori. Le carte che erano state sistemate sulle mensole erano gettate sul pavimento. Persino lo sbiadito disegno che Ori aveva dato a Dori il suo centesimo compleanno era stato strappato dal muro, e ora giaceva a terra lontano dalla sua cornice. «Come osa!» sputacchiò lui, e i suoi pugni tremavano ai suoi fianchi «Come OSA!?»

«Quello è uno dei due nobili di cui ci ha parlato Dáin» disse Bifur, le labbra arricciate in disgusto. Un rumore dall'altra stanza catturò la sua attenzione, e spiò la donna che svuotava una scatola di carte. «Ed ecco l'altra.»

«Avrò i loro capelli, gli sporchi – le bestie traditrici, i – NO!» ululò Ori quando gli occhi di Inorna caddero un un vecchio porta penne. Si frantumò al suolo quando lei aprì la scatola sotto di esso. «Quello era di nostra madre!»

«Ori! Ori, Âzyungelê!» Bifur fece un passo avanti e mise una mano sul braccio di Ori, fermandolo «Il drago non era nemmeno lontanamente pericoloso quanto te» mormorò in ammirazione e preoccupazione «ma sanmelek, possiamo solo guardare e fare rapporto a Thorin. Ma ikhyij thaiku khama nurt ze' suruj!»

«E allora TROVIAMO Thorin» ringhiò Ori, e si girò verso la porta. Che fu improvvisamente occupata da una alta, elegante figura in rosso, piegata per passare sotto il basso stipite.

«Lord Krummet» disse Merilin nella sua voce calma e limpida «Cosa pensate di fare?»

Krummet si bloccò, la mano infilata fino al polso in un portamonete. Il respiro di Inorna si mozzò, e lei immediatamente si premette contro il muro, nascondendosi.

Il mento di Krummet si alzò, e lui gonfiò il petto. Un pugnale gli scintillava in mano. «Ciò che deve essere fatto» ringhiò «Ci sono delle prove da qualche parte, ci scommetto il mo nome. E le troverò e porterò alla luce questi mostri!»

Merilin alzò una mano e si avvicinò all'Uomo, il corpo teso e allerta. «Vedete cospirazione dove non ve ne sono» disse, dura e calma «I Nani di Erebor hanno fatto affari onesti con il tuo popolo, e lo fanno ancora nonostante le loro perdite, nonostante tutti i costi per loro e il loro popolo. Non c'è nessuna congiura, nessun magazzino nascosto, nessuno schema segreto. Il cibo era già scarso prima che Dale cadesse. Ora, nonostante tutte le collette e gli sforzi, è quasi finito. Eppure voi non state morendo di fame.»

«Menzogne!» Krummet alzò un dito verso la donna Elfo, il volto illuminato dal fervore degli ossessionati «Allora perché non ci hanno ascoltato quando si sono radunati per imporci la loro volontà? Nani, che si impongono su di me!» fece una brutta risata di derisione «Deforme, avida piccola feccia, che pensa di essere più forte di loro superiori, tenendo per sé un potere che è mio di diritto!»

Inorna aggrottò la fronte, e si incupì nel suo nascondiglio. Però non mosse un muscolo.

«No, ho cambiato idea, uccidilo» grugnì Bifur.

Ori era troppo preso dalla rabbia per dare una risposta coerente.

«I Nani di Erebor si sono comportati correttamente» ripeté Merilin, e fece un altro cauto passo avanti «Tu e la tua compagna, invece, non lo avete fatto. Avete cercato di usarli per i vostri scopi. Avete cercato di sfruttare la loro generosità e il loro dolore. Pensavate che il dolore di Bard e Thorin sarebbe stato così completo che avreste potuto fare i vostri comodi nella casa di un altro. Strisciate e vi contorcete in cerca del potere, e diffondete menzogne ovunque possiate. La Montagna vi ha dato riparo nel momento del bisogno, ma voi l'avete solo derisa.»

Il pugnale si alzò verso di lei. «Complete menzogne!» urlò Krummet, gli occhi che scattavano da un lato all'altro, cercando una via di fuga «Voglio un compenso per tali offese!»

«Devi solo dirmi il momento, se la vendetta è tutto ciò che vuoi» disse Merilin fredda «C'è un esercito di Orchi oltre queste mura, e noi moriremo di fame fra una settimana.»

«Ti dico che c'è-»

«Io sono una di coloro che ha fatto da testimone alla raccolta» disse lei, e fece un altro passo avanti, e un altro «Io sono un'Elfa. Non servo gli interessi degli Uomini o dei Nani, e ti dico, i silo sono quasi vuoti. La colletta di cibo non ha raccolto quanto si sperava. Le tue accuse sono false. Le tue delusioni di grandezza sono errate e patetiche, e i tuoi metodi vili.»

Krummet ringhiò per l'indignazione, il pugnale che si muoveva avanti e indietro. «Parli di cose che non conosci, Elfo! Voi non avete cuore, voi immortali, nessuna simpatia per le lotte di coloro il cui sangue è più fiero e fresco del vostro. Fatti di ghiaccio e cera, tutti voi! Non puoi nemmeno immaginare cosa io abbia perso: il mio oro, i miei affari, i miei servi, il mio posto nella corte...»

«Se ciò che dice Balin è vero, il suo posto nella corte consisteva nel tiranneggiare ed estorcere al povero vecchio Brand finché il Re non fu troppo stanco per lottare» disse Bifur.

«Se potessi mettergli un sasso» ringhiò Ori «dritto fra gli occhi, se avessi la mia fionda...»

«Il tuo oro e la tua influenza non sono nulla qui» disse Merilin, e rapida come un serpente la sua mano si alzò e prese l'elsa del pugnale. Le sue dita si strinsero su quelle di lui, e lui urlò e strappò via la sua mano. Lei si piegò in avanti e disse, lentamente: «questa montagna è piena di oro. Ora vale meno di una manciata di piselli.»

Krummet si tenne la mano al petto, ansimando pesantemente. «Cosa hai intenzione di fare?» disse a fatica.

«Fare?» giunse un ringhio dall'entrata dietro di loro «Cosa non farò?!»

«Dori!» urlò Ori, e tirò un pugno all'aria «Sì!»

«Attento, non dimenticare Inor-» gridò Bifur, mentre Dori correva verso la scena col martello che fischiava davanti a sé. Merilin si fece da parte, rapida come un lampo, e Krummet squittì e si nascose sotto la scrivania – che si frantumò sotto il pesante colpo di martello.

«Fuori! Da! Casa! Mia!» ruggì Dori, e alzò nuovamente il martello e si avvicinò all'Uomo, che stava strisciando via sul fondo schiena, squittendo terrorizzato «Tu vile, traditore...»

«Mastro Nano!» urlò Merilin, e girò il pugnale nella sua mano per tenerlo basso e pronto «Controllatevi! Dobbiamo portarlo davanti ai nostri Signori! Risponderà delle sue azioni e delle sue parole. Che la saggezza di Bard sistemi questa situazione. Che le questioni degli Uomini rimangano fra gli Uomini.»

Dori dondolò avanti a indietro, il martello pronto ad abbassarsi. Krummet stava quasi balbettando dal terrore.

Il respiro di Ori si mozzò, e fece una smorfia. «Mahal lo maledica» gemette, e sentì la mano di Bifur che ancora una volta gli dava forza, il suo calore contro la propria spalla «Dovremmo liberarci del suo veleno...»

«Dori non è un assassino» gli ricordò Bifur, e le sue dita strinsero la spalla di Ori ancora una volta, dolcemente «Né lo sei tu, Ghivashelê.»

Infine, Dori abbassò il martello, anche se i suoi muscoli ancora tremavano di rabbia repressa. «Legatelo» ringhiò, e andò verso dove le sue carte erano state gettate per terra «Non mi fido di occuparmene io stesso, se mi perdonate, Signora Merilin.»

Il volto di Merilin era, come sempre, composto, ma il suo corpo si rilassò nuovamente. «Come volete, Mastro Dori» disse, e la sua bocca si incurvò «Non posso biasimarvi, considerando tutto.»

Dori fece un enorme respiro, le sue spalle si abbassarono, quando il suo sguardo cadde sul ritratto a inchiostro strappato di sé con i suoi fratelli, gettato come tante altre vecchie cose. «Portatelo fuori di qui» raspò. Con movimenti lenti e dolci lo prese e lisciò i bordi strappati col pollice, sistemando il volto allegro di Nori. «Prima che io cambi idea.»

Prendendo un lungo pezzo di tessuto caduto dal tavolo di Dori, Merilin prese le braccia tremanti di Krummet e lo tirò in piedi. Poi gli legò fermamente mani e piedi. «Non farai nulla di stupido» gli disse mentre strappava un altro pezzo di tessuto e glielo infilava fra i denti, e lui scosse la testa con incredibile rapidità.

Ori non aveva tempo per loro, però. Tutta la sua attenzione era su suo fratello, che era ancora in piedi furioso e triste, guardando il muro nella rovina della sua casa. Dori si morse il labbro e strinse al petto il vecchio ritratto. Fece un sospiro.

«Nadad, sono qui» gemette Ori, e la mano di Bifur gli strinse la spalla nuovamente «Oh, non lo sopporto» esclamò, e si girò per seppellire il volto contro il petto di Bifur. Accarezzando i capelli di Ori, Bifur gli baciò la fronte e appoggiò la guancia sulla morbida testa castana.

Ci fu un suono strozzato.

Bifur si girò in tempo per vedere Inorna che piantava un coltello nella schiena scoperta di Dori.


Una nocciola volò nell'occhio di un Orco, e ci fu un piccolo suono acuto di trionfo.

«Bel colpo, Reggie!»

«Non riesco a credere che lo Stregone abbia portato uno scoiattolo in battaglia» disse Lóni, anche se la sua voce aveva un ché di rassegnato «Voglio dire, posso crederlo – ma vorrei non potere.»

«Sempre a criticare» borbottò lo Stregone, e si girò di nuovo, il bastone si schiantò contro i denti del grande Orco settentrionale che stava attraversando gli alberi per arrivare a lui «Dol Guldur è avanti a noi! State attenta, mia signora!»

Thráin fissò la grande forma minacciosa di Dôl Guldur. Gli si vedeva chiaramente il bianco degli occhi.

«Siamo troppo vicini per gli arcieri!» urlò Celeborn, e la sua spada girò attorno a lui in cerchi aggraziati «Dovremo combattere fino ai cancelli!»

«Non c'è nulla di nuovo su questo» ansimò Radagast «Per carità, maleducato – aspetta il tuo turno!» urlò a un Orco che stava correndo verso di lui con la spada alta. Un lampo di fuoco bianco e viola dalle sue dita lo fece cadere all'indietro, coprendosi gli occhi, e fu ucciso da un altro colpo del bastone.

«Non sono abbastanza» disse Thráin. Le sue mani erano strette sull'orlo della sua tunica, e il suo volto era duro e pallido. Frís gli era vicina, il braccio attorno alla vita di lui. «Dol Guldur è troppo ben difesa, e loro sono troppo stanchi. Hanno combattuto sin qui, dai margini del Bosco Dorato...»

Radagast si raddrizzò e guardò con espressione rassegnata dove Celeborn stava guidando la loro avanzata. Dietro ai ranghi era la Dama Galadriel. La sua spada era insanguinata, ma ora era separata dalla lotta, persa nei suoi pensieri. L'anello sul suo dito brillava come la bocca di un drago, e il suo corpo dondolava mentre raccoglieva le sue forze. «Maledizione. Sono quasi esausti.»

Un ragno saltò giù dagli alberi in quel momento, e Lóni urlò: «sopra di te!»

Radagast fece una smorfia. «Non voglio fare questo» disse all'aria «Davvero non voglio, non dovrei usare così la nostra amicizia...»

«Qualsiasi cosa tu voglia fare, Stregone» urlò Frár mentre un altro enorme ragno correva verso gli Elfi circondati «fallo e smettila di preoccuparti! Non c'è tempo!»

Radagast si accigliò. «Gandalf vi sta molto più simpatico» esclamò «Piccolo insolente Nano morto.»

«Il ragno!» urlò Lóni, quando quello sopra di loro infine lasciò la sua tela per cadere su Radagast «Per la barba di Durin, continuerebbe a parlare!»

Con un altro lampo di fuoco viola, il ragno cadde all'indietro, e poi Radagast si tirò in piedi. «Reginald» chiamò, e c'era un'inaspettata nota nota di potere nella sua vecchia voce querula «Ora!»

Lo scoiattolo saltò fuori dalle vesti dello Stregone per sistemarsi sul cristallo sul suo bastone. Poi Radagast si piegò e strane parole iniziarono a uscire dalla sua bocca. L'aria divenne scura e tremò, parve piegarsi davanti a loro come il calore che usciva dalla bocca di un forno. La voce di Radagast divenne più profonda e sonora mentre il cristallo iniziava a pulsare di fuoco.

«Oh, non può essere buono» mormorò Frís.

Poi Radagast alzò la testa e fischiò fra i denti: un suono flautato e alieno. Lóni poteva a malapena credere che venisse dallo Stregone. Echeggiò fra gli alberi, ma invece di svanire parve crescere in intensità, finché l'intero Bosco Atro meridionale ne risuonava.

Il bosco esplose. Piccoli animali e uccelli eruttarono da ogni tronco vuoto e ogni nido, volando e mordendo e graffiando. «Non fatevi del male!» urlò Radagast, mentre il suo fischio saliva e saliva nell'aria, per mischiarsi alle strilla degli uccelli e ai cupi ringhi dei tassi «Non stavo parlando con te» aggiunse irritato a un Orco che si era scontrato con lui nella confusione. Lo Stregone gli spaccò la testa col bastone. L'Orco cadde come un sasso.

Tutto attorno a loro, gli Orchi furono gettati a terra dai rami e dei tentacoli li legarono al terreno, e le creature li beccarono e morsero. I ragni erano stretti nei rampicanti penzolanti, solo per poi essere riempiti di rapide frecce Elfiche.

Ci fu un urlo stanco dai Galadhrim quando infine riuscirono a farsi strada fra gli Orchi e i ragni. Celeborn alzò la sua spada ricurva. «Prendiamo la fortezza!» gridò «State attenti a cosa troverete. L'oscurità ha dormito a lungo qua, indisturbata. Ci saranno delle trappole!»

«E più che trappole» disse Thráin, respirando forte col naso «Vi ingannerà i sensi e la mente. Nulla qua è come sembra! Ci sono menzogne costruite su menzogne.»

«Meleth» disse Celeborn con voce più bassa, e andò dove era Galadriel, scalza come sempre, i suoi occhi serrati e il corpo scosso da qualsiasi potere lei possedesse «Siamo arrivati al Cancello.»

Lei annuì senza parole, e poi il suo volto calmo fu toccato da una debole nota di sorpresa. «Altri arrivano» disse. La sua voce non era forte, ma premette sulle loro orecchie in modo più pesante ancora del fischio acuto di Radagast. Aveva la stessa strana, opprimente qualità del tuono lontano; la sua dolcezza faceva tremare l'aria.

«Riformate i ranghi!» abbaiò Celeborn con un'altra occhiata preoccupata a sua moglie «No dirweg!»

I Galadhrim si mossero in un'unica ondata, estraendo gli archi all'unisono. Celeborn passò fra di loro verso la prima riga, l'armatura luminosa e macchiata di icore e sangue nero. «Chi è là!» urlò nella foresta «Daro! Man le carel sí? Mostratevi!»

Una fredda voce rispose: «è così che salutate i vostri alleati?»

«Oh, a Thorin non piacerà» mormorò Frís.

Fra gli enormi tronchi apparve l'inconfondibile forma di un enorme cervo. I suoi zoccoli si poggiarono delicatamente fra i corpi caduti di Orchi e ragni, e la sua grande testa cornuta era alzata orgogliosamente. Nella penombra dietro di esso erano luminosi occhi Elfici e arti vestiti di verde, in movimento come un sussurro di vento nell'oscurità del Bosco Atro.

Celeborn abbassò leggermente la spada, e respirò con più tranquillità. «Thranduil.»

«Cugino» il Re Elfico inclinò la testa, freddo e remoto come sempre. Alla sua destra cavalcava suo figlio, il forte e fiero Laindawar. Entrambi indossavano un'armatura che li avvolgeva come foglie piegate. «Le mie scuse per essere stato trattenuto: abbiamo respinto gli Orchi che cercavano di attraversare il fiume nero. C'era anche la piccola questione di un incendio nel bosco» inclinò la testa «Vedo che vi siete divertiti prima del mio arrivo.»

«Divertiti!» disse Radagast indignato «Reggie è stato quasi mangiato!»

Lo sguardo penetrante di Thranduil andò allo Stregone, che lo guardò male. «Non cercare di intimidirmi» borbottò, agitando il mantello attorno alle sue gambe. Un topo di campagna ne corse via. «Sono stato fissato da gente molto peggiore di te.»

«Aiwendil» disse Thranduil, e il suo mento si abbassò leggermente – un enorme gesto di rispetto, da parte sua, pensò Lóni «Mio figlio mi aveva detto che eri tornato nei confini meridionali della mia foresta.»

«Certo che sì, sono residente a lungo termine!» esclamò Radagast. Si grattò sotto il cappello sporco, prima di schiacciare un pidocchio fra le dita. «Ce ne avete messo di tempo ad arrivare. Confido che d'ora in poi non ci saranno più offese nei confronti dei miei conigli.»

«La tua foresta?» disse Celeborn, piano.

La testa di Thranduil si girò di nuovo, lentamente e severamente. «Il mio popolo ha sanguinato per essa, e lottato per essa, per molti lunghi mesi. Questa lotta dura da più di quanto tu non possa immaginare» disse, i suoi occhi pallidi fissi sul Sire di Lothlórien «Perché non dovrei chiamare mio ciò che mi appartiene?»

«Non è tua, che sfacciataggine» sbuffò Radagast «Gli alberi e le creature che vivono qui non rispondono a te, né a me, né a nessuno. Questa foresta è stata qui sin da quando apparvero le stelle e durerà molto oltre la memoria Elfica. E poi» e qui fece un cenno alla forma piegata e rovinata di Dôl Guldur «quel pezzo lì ha dei nuovi governanti, sembra.»

Thranduil estrasse la spada. «Allora dovremo persuaderli del contrario.»

«Avevo paura che lo avreste detto» borbottò Galion, da qualche parte nell'oscurità dietro il Re Elfico.

«Quell'Elfo potrebbe iniziare a piacermi» disse Frár pensieroso.

«Non pensavo che sareste stato qui, Sire» disse Laindawar a Celeborn, prima di guardare nuovamente dove Galadriel ansimava e dondolava «Aiwendil ci aveva parlato della vostra situazione. Avete lasciato il Bosco Dorato senza protezione?»

«Mai» disse Celeborn, e si mise fra il Principe e sua moglie, il mento alzato e lo sguardo serio «Lo difendiamo ancora, anche se tre volte il nemico si è gettato contro le nostre mura di magia.»

Gli occhi di Thranduil si socchiusero leggermente, e alzò una mano per segnalare a suo figlio di fare silenzio. «Vedo» fu tutto ciò che disse, anche se c'era una certo non-so-ché di basso e soddisfatto nel modo in cui lo disse. Celeborn si irrigidì.

«Mi sono perso qualcosa, adesso» disse Lóni, confuso.

«Oh, per carità di Nessa, è perfettamente semplice» disse Radagast irritato «La Dama sta espandendo il suo potere più di quanto abbia mai fatto. Sta mantenendo i confini di Lothlórien dal di fuori contro le orde che ancora cercano di distruggerlo, persino mentre si prepara ad assaltare questa pila di feccia. Thranduil sta commentando senza commentare quanto le debba costare portare l'Anello Elfico senza dire una parola. È un po' infantile e sciocco, se volete la mia opinione, anche se dobbiamo concedergli che sia probabilmente scosso dall'aver dovuto affrontare di nuovo del fuoco. Ma, anello o meno, lui è Re dopotutto, e nessun altro Elfo vivente nella Terra di Mezzo porta quel ti...»

«Stregone, penso dovresti fermarti» disse Frís, in tono molto deciso «Ora.»

Radagast si fermò. Poi guardò dall'espressione seria di Celeborn allo sguardo omicida di Thranduil. «Oh, va bene» borbottò, e iniziò a controllare il terreno coperto di foglie «Reggie, dov'è finita la mia scarpa?»

Si sentirono nei paraggi i suoni strozzati di Galion, che cercava di soffocare le sue risa isteriche.

Celeborn e Thranduil si guardarono in silenzio per un lungo, teso momento, prima che Thranduil infine chinasse la testa e abbassasse gli occhi. «Siamo con voi» disse, semplicemente.

«Tutti noi» aggiunse Laindawar. Il suo giovane cervo colpì il terreno con uno zoccolo.

La mascella di Celeborn tremò, e poi si girò sui tacchi e tornò da sua moglie. «Meleth» disse, e le prese la mano. Lei si piegò come un fuscello al vento, il volto che lentamente si muoveva verso quello di lui. I suoi occhi erano ancora chiusi, e il respiro le usciva affannoso. «Meleth, Thranduil è venuto col suo popolo.»

«Thranduil» ripeté lei nella sua dolce, terribile voce «Bene. È una buona cosa. Mi va me?»

L'espressione di lui non cambiò, ma in qualche modo Lóni seppe che gli si stava spezzando qualcosa dentro. «Siamo al Cancello, mio amore» disse ancora, e lei annuì.

«È una buona cosa» disse lei. Poi infine aprì gli occhi.

Stavano bruciando.


«DORI!» ululò Ori «DORI!»

Inorna strappò il coltello, e si voltò per puntarlo verso Merilin. «Lascialo!» sibilò, il volto selvaggio dalla paura e dal disprezzo «Ora!»

Merilin rimase immobile.

«Ho detto ora!» strillò Inorna, mentre Dori cadeva bocconi, ansimando per il dolore «Fai come dico! Sono io che comando, Elfo, e mi obbedirai!»

Con perfetta calma, Merilin alzò il pugnale che aveva preso da Krummet. «Non hai potere su di me» disse, e chinò la testa da un lato «Mastro Dori, non si muova.»

«Non... l'avrei fatto» mugolò lui. Il sangue gocciolava lentamente sul tappeto sotto di lui. Ori piangeva.

«Lo ucciderò!» disse Inorna, la voce tremante «Lo farò, non mi sfidare, gliel'ho detto, gliel'ho detto cosa sarebbe successo se l'avessero fatto! E ora guarda cosa hai fatto!»

Merilin rimase in silenzio, ma la sua lama non si mosse.

Il volto di Inorna si storse. «Oh, sì, è tutta colpa tua! Tua e del tuo prezioso comitato, vi tenete la parte più grossa per voi e non vi curate di nessun altro! Egoisti e malvagi...»

«I vostri discorsi sono sempre più idioti e privi di senso» la interruppe Merilin, e non era mai suonata tanto come un Elfo del reame di Thranduil: perfettamente e gelidamente disprezzante «Finisci questa chiacchierata e colpiscimi. Dubito che saresti altrettanto abile non potendo accoltellare la tua vittima nella schiena.»

Inorna ansimò, il volto pieno di disperazione. Poi in un unico movimento lanciò il coltello al volto di Merilin, raccolse le sue gonne, e si diede alla fuga.

Il coltello mancò ampiamente e cadde per terra. Merilin a malapena dovette muoversi per evitarlo e immediatamente corse da Dori. «Mastro Dori» disse urgentemente, e tenne cautamente una mano sopra la sua schiena «Mastro Dori, siete ancora sveglio?»

«Certo... ah! Lo sono!» giunse la risposta irritata «Questo graffietto non è abbastanza per sconfiggermi – nnnh – sono un Nano, per carità di Mahal!»

Ori quasi collassò fra le braccia di Bifur per il sollievo.

«Potrei toccarvi?»

«Aye, farete meglio» grugnì Dori, e soffiò di dolore quando le mani di Merilin si appoggiarono sulla sua schiena «Era il mio tagliacarte preferito. Maledizione. I miei fratelli mi dicevano sempre che il mio lavoro mi avrebbe ucciso...»

«Lei è scappata, anche se oserei dire che non sarà l'ultima volta che la vedremo» disse Merilin, e con cautela allargò il buco nella tunica di Dori per poter vedere la ferita fra le sue grosse scapole e la sua spina dorsale. Era piccola, ma profonda, e stava gocciolando sangue in un rivolo costante sul fianco di Dori. «Ha mancato la vostra spina dorsale, e non state sanguinando tanto da far pensare che siano state colpite delle arterie. Respirate bene?»

«Molto dolorosamente, grazie molte» esclamò Dori.

«Volete tossire, o vi manca il fiato?» Merilin si sporse per guardargli il volto coperto di sudore, e Dori la guardò male a sua volta.

«No»

«Allora ha mancato anche i vostri polmoni» Merilin si sedette, e premette una mano sulla ferita. Dori fece un respiro brusco e gemette di nuovo. «Sembra che siate molto fortunato. Però, non dovrei lasciarvi. Potreste andare in stato di shock.»

«Stupidaggini. Bendatemi e tiratemi in piedi» ringhiò Dori. L'Elfa esitò come se stesse per protestare, ma allo sguardo feroce di Dori scosse la testa.

«Penso non sia una buona idea» lo avvertì, e strappò un altro pezzo di tessuto da uno dei rotoli lì vicino.

«E sapete molto della resistenza dei Nani, vero?» chiese Dori irritato, anche se smise di parlare appena la benda improvvisata gli fu stretta attorno con mani abili «Siamo molto, molto più duri di quanto voi non – ah! - ammettiate mai. Ho visto di molto peggio di questo graffio. Ero nella Battaglia delle Cinque Armate, se ricordate.»

Merilin lo aiutò ad alzarsi, sorreggendolo cautamente. Dori mugolò e ansimò un poco, e il suo volto era coperto di sudore, ma rimase in piedi. «Il più forte della Compagnia» sussurrò Bifur all'orecchio di Ori «Starà bene, vedrai.»

Le mani di Ori strinsero le sue, e non disse nulla.

«Ora» ansimò Dori, e si appoggiò un attimo contro il muro, prima di raddrizzarsi e accettare di appoggiarsi al braccio di Merilin «Cosa faremo di questo serpente?»

Merilin guardò Krummet con disgusto. «Non possiamo lasciarlo qua. La sua complice è ancora in libertà.»

Un improvviso schianto contro la montagna li fece sobbalzare tutti sorpresi. «Gli altri saranno di nuovo sui bastioni» disse Merilin infine, e Dori fece una smorfia al prospetto di camminare per quella distanza con una ferita aperta sulla schiena.

«Sì, c'è anche la piccola questione degli eserciti assedianti» grugnì. Esitò e ansimò per un momento, prima di annuire con riluttanza. «Non c'è altro da fare. Dovremmo bloccargli le gambe, anche se deve camminare comunque.»

«Lo incatenerò così che possa usarle, ma non potrà correre» disse Merilin, prima di fare un piccolo sorriso a Dori «Il tuo coraggio è ammirabile, Mastro Dori.»

«Certo che lo è. Sono un Ri» disse lui, alzando il mento con orgoglio. Ori sorrise fra le lacrime. «Assicuriamo questa canaglia alla giustizia.»


Il Morannon li sovrastava, una fila di denti scoperti spinti fuori dal suolo desolato. Sembrava vuoto e abbandonato, ma tutti sapevano che le Torri dei Denti erano pieni del nemico, e che l'Occhio guardava sempre, assetato di violenza.

Inoltre, appollaiato come un avvoltoio su un picco vicino era l'immobile figura di una grande bestia dalle ali di cuoio. Il Nazgûl li guardava a sua volta, contando il loro tempo.

«Non avremmo dovuto mandare via quegli Uomini ai Crocevia» borbottò Gimli, e strinse forte l'ascia nel pugno «Pensavo che settemila fossero troppo pochi. Ora siamo meno di seimila.»

Thorin fissò i Cancelli di Mordor. Erano serrati, torreggiavano sulla piana come un dirupo di acciaio. Non c'era modo di assaltarli. L'esercito di guerrieri di Rohan e di Gondor si mosse a disagio nei loro ranghi. I cavalli nitrivano nervosamente nell'aria fredda.

«Non abbiamo altra scelta che recitare la nostra parte sino alla fine» disse Aragorn con la sua voce bassa. I suoi capelli erano stati pettinati indietro, e non portava più l'equipaggiamento da viaggio che aveva indossato per tanto a lungo. Ora indossava un'armatura completa di argento scintillante, e l'Albero Bianco di Númenor era sul suo petto. Era in ogni cosa il Re di Gondor e Arnor, anche se la sua voce era ancora quella del Ramingo. «Dobbiamo organizzarci meglio che possiamo. Ci sono poche alture qui, ma quelle due pietre dannate potranno esserci utili.»

«Aye, ma c'è anche un'enorme palude fetida fra noi e Mordor» disse Gimli, osservandola «Ai cavalli non piacerà molto, Aragorn. Francamente, non piacerà neanche a me.»

«Dobbiamo farli uscire, piuttosto che assaltare il Cancello» disse Legolas, e Aragorn annuì.

«Metterò la nostra esca in posizione» disse.

«Qual'è l'esca?» sussurrò Frerin.

«Aragorn stesso è l'esca, cugino» rispose piano Dáin «Ricordi il Palantír?»

Gli occhi di Frerin andarono ad Aragorn, e deglutì.

Facendo cenno di avvicinarsi a Imrahil e Éomer, Aragorn parlò con loro a voce bassa. Ci fu qualche protesta, ma era chiaro che Aragorn non sarebbe stato dissuaso. Rassegnato, Imrahil annuì. Éomer sembrava più cocciuto, ma infine anche lui capitolò. Ci fu una serie di ordini, e poi il suono delle trombe rimbombò contro le Montagne d'Ombra.

«I Capitani dell'Ovest sono giunti!» urlarono gli Araldi «I Capitani dell'Ovest sono giunti! Che il Signore della Terra Nera esca!»

Il cancello rimase chiuso e silenzioso. L'unico suono era il fischiare del vento sulla pianura. I pennacchi sugli elmi dei Rohirrim si mossero con quel vento, come le code dei loro cavalli.

«Nay!» disse Gandalf, facendo un passo avanti «Non dite, I Capitani dell'Ovest! Dite invece: Re Elessar.»

Imrahil sorrise senza allegria. «Sarebbe vero, anche se lui non si è ancora seduto sul trono; e darà al Nemico più da pensare, se gli araldi usano quel nome.»

I vecchi occhi acuti di Gandalf corsero verso Thorin, e il suo volto si addolcì. «Un Re è un Re, mio Principe Imrahil» disse «ovunque egli si sieda.»

«Gandalf ti ha appena fatto un complimento?» chiese una voce stupefatta, e Thorin si riscosse dalla sorpresa nel vedere Bilbo che si arrampicava oltre una macchia di erba marcia «In ritardo come sempre, vedo.»

«Bilbo» Thorin si massaggiò la nuca «Stai bene?»

Bilbo non lo guardò. «Bene, perfettamente, comunque tu voglia dirlo» disse in quel modo brusco che avvertì Thorin senza parole che Bilbo non voleva parlarne «Dove siamo ora?»

«Siamo a Mordor» Thorin fece un cenno verso di essa, e Bilbo si girò e deglutì guardando su – e su – e su.

«Quella è una porta d'entrata impressionante» disse debolmente «Sono abbastanza sicuro che non gli serva un cartello di “Divieto d'Entrata”.»

«No» Thorin fissò gli enormi cancelli appuntiti «Hanno solo seimila guerrieri. È un tentativo destinato alla rovina.»

«Era sempre stato destinato alla rovina» disse Dáin, osservando le Torri dei Denti, le braccia incrociate «A parte tutto, noi siamo esperti quando si tratta di tentativi destinati alla rovina.»

«Non ha torto» disse Bilbo, incurvando la bocca.

«Che succede?» Óin voleva capire, e Frerin lo tirò da una parte e sussurrò per un momento. Poi Óin esclamò: «Cosa? Qui? Il mio vecchio amico, qui?»

«Mi sto abituando a queste reazioni» disse Bilbo asciutto «Dì ciao a Óin da parte mia, per favore?»

Thorin riferì, ma fu interrotto da dei corni. «Il Re Elessar è giunto! Che il Signore della Terra Nera si faccia avanti!» urlarono gli Araldi «Giustizia sarà fatta. Egli ingiustamente ha attaccato Gondor, imponendosi sulle sue terre. Il Re di Gondor esige quindi che paghi il male fatto e se ne vada per sempre. Avanti!»

Non ci fu risposta dagli enormi cancelli. Rimasero silenzioso e lontani quanto le stelle.

«Beh, neanche questa è andata bene» disse Frerin, storcendo il naso.

«Non dubito che sua Monocola Signoria si stia strofinando l'occhio incredulo» disse Dáin.

Óin sbuffò. «Singolarmente scioccato dalla vista, scommetto.»

Dáin ghignò. «Aye, probabilmente non riesce a credere al suo occhio.»

«Starà battendo la palpebra in meraviglia... o forse lampeggerà»

«Aye, aye»

«No, ne ha solo uno[1]»

«Bontà del cielo, siete terribili» disse Bilbo, grattandosi la fronte in divertimento confuso.

«Come fate a scherzare?» disse Frerin, spostando il peso da un piede all'altro per la preoccupazione quando le trombe suonarono ancora «Io riesco a malapena a respirare, e il mio cuore sta cercando di uscirmi dal petto.»

Dáin si fermò, prima di fare un sorriso storto. «È la cosa migliore da fare, cugino mio» disse «Stiamo affrontando la rovina di ogni speranza. È solo naturale deridere il bastardo che la causa.»

«Guardate!» disse Thorin bruscamente.

Con un echeggiante crack! i grandi cancelli del Morannon si aprirono. Si aprirono appena abbastanza perché un cavaliere ne uscisse. Seduto su un cavallo nero, era un Uomo in aspetto... almeno, a prima vista.

Però, quando uno lo guardava meglio... Thorin sentì la pelle della sua schiena che si accapponava. «La sua bocca» disse in orrore.

«È come se la sua pelle si fosse aperta» sussurrò Bilbo, e il suo piccolo volto sbiancò, anche se non allontanò lo sguardo «Che genere di creatura è quella?»

«Era un Uomo» rispose Gandalf cupo «Un tempo. Ha lo stesso sangue di Aragorn, ha una lunga vita e una mente acuta, ma il suo popolo si volse all'adorazione di Sauron molto tempo fa. Lui è il Luogotenente della Torre Nera, il Numenoreano Nero. La sua bocca è distrutta dal veleno delle sue parole.»

«Fermi!» urlò Éomer ai suoi Rohirrim, prima di girare Zoccofuoco verso Aragorn «Che risposta diamo?»

Aragorn non aveva distolto lo sguardo dall'Ambasciatore di Sauron. «Dobbiamo recitare la parte» disse, serio e calmo «Ogni secondo potrebbe essere prezioso per la Missione. Gandalf, sarai il mio Araldo in capo? Éomer, ti vorrei al mio fianco, e anche Imrahil. E Legolas, Gimli e Pipino, così che tutti i nemici di Mordor siano testimoni.»

«Andrò anch'io» disse Thorin determinato, e Gimli annuì leggermente in risposta.

«Non mi avvicinerei di più a quella cosa senza di te» disse.

Il cavallo nero si fermò a poche lunghezze dal Cancello, gli occhi rossi che roteavano. Quando il piccolo gruppo di avvicinò, la vile bocca distorta si aprì in un sorriso crudele.

«Il mio signore Sauron il Grande vi dà il benvenuto» disse.

«Disse il ragno alla mosca!» sputò Óin.

Bilbo rabbrividì. «Non parliamo di ragni, eh?»

Aragorn fissò con immenso odio il Numenoreano Nero. «Senza dubbio vede un riflesso contorto» disse Thorin «Aragorn, no, non essere un idiota.»

L'orribile figura soffiò divertita. «Io sono la Bocca di Sauron» disse, e le sue labbra si aprirono attorno a denti affilati e simili a uncini che erano neri e marci «Vi è qualcuno in questa folla che abbia l'autorità di parlare con me? O addirittura il cervello per capirmi?»

«Non siamo qui per trattare con Sauron, infedele e maledetto» disse Gandalf severamente «Dì questo al tuo padrone. Gli eserciti di Mordor si devono arrendere. Egli deve lasciare queste terre, per non tornare mai.»

«Ah, vecchio Barbagrigia» lo derise il Messaggero «Sei tu quindi il portavoce? Non abbiamo forse udito parlare di te, e dei tuoi vagabondaggi, sempre intento a tramare tranelli e meschinità a debita distanza? Ho degli oggetti che mi è stato chiesto di mostrarti – se avessi avuto l'ardire di venire fino a qui!»

Primo a emergere fu il coltello di Sam, e poi il mantello di Lothlórien. Poi per la rabbia di Thorin, gli sventolò davanti agli occhi l'inconfondibile luccichio lunare del mithril.

«Frodo» disse Bilbo senza voce, le mani sul volto. Poi urlò: «quella è la mia maglia, tu dannato – tu lurido-»

«Frodo vive» abbaiò Thorin, e si girò verso dove Gimli era ugualmente gelato dall'orrore «Gimli, Bilbo – Frodo è vivo! Gandalf, mi senti? Fu catturato, e quella maglia gli fu presa. Ma Sam l'ha liberato, e lui vive ancora!»

Gli occhi di Gandalf si mossero.

«Come osi metterci su le tue mani sporche! È stata data a me!» gridò Bilbo «Una delle uniche cose che mai...» si fermò di colpo.

Thorin non lo guardò, ma sentì le sue guance che si scaldavano sotto la sua barba. Crudelmente (o forse bonariamente, era difficile da capire), Dáin gli diede una gomitata nella schiena. «Non regalasti tu quella maglia allo Hobbit?»

«Sì, grazie, lo sappiamo tutti» disse Thorin bruscamente. Óin stava ridacchiando in modo leggermente isterico, e Gimli stava alzando gli occhi al cielo.

Ma un'altra voce si alzò sopra lo stupore e confusione, e Thorin si voltò per vedere gli occhi di Pipino pieni di lacrime. «Frodo» singhiozzò.

«Silenzio» borbottò Gandalf.

Ma il volto di Pipino era addolorato. «Frodo!» gemette, e la Bocca di Sauron esultò.

«Silenzio!» sibilò Gandalf, ma il danno era fatto.

«Il Mezzuomo vi era caro, vedo» disse la Bocca di Sauron, con terribile soddisfazione «Sappiate che ha sofferto terribilmente alle mani del mio padrone. Chi avrebbe mai pensato che un essere così piccolo potesse provare tanto dolore?»

Gli occhi di Aragorn brillarono di furia, e vero odio era sul volto di Gimli. Il volto di Legolas era impassibile, ma le sue nocche erano bianche attorno al suo arco.

La voce della Bocca di Sauron si abbassò in una parodia di dolcezza. «E l'ha fatto, Gandalf. L'ha fatto.»

Constatando di avere il controllo, l'uomo orrendo si raddrizzò e parlò al gruppo in tono untuoso. «Ringrazio questo moccioso poiché è chiaro che aveva già veduto questi oggetti prima d'oggi, e negarlo sarebbe ormai vano da parte tua.»

«Non desidero negarlo» disse Gandalf, le labbra strette.

«Cotta di maglia di Nani, manto Elfico, lama dello scomparso Occidente, e spia del piccolo paese di topi, la Contea, no; i segni di una cospirazione!» disse la Bocca di Sauron «Vedo che la sua missione era tale che non desideravate vederla fallire. Ebbene, è fallita. E egli dovrà adesso sopportare il lungo tormento degli anni, reso ancora più lungo e più lento da tutti gli artifici che la Grande Torre potrà escogitare, per non venire mia più liberato, o soltanto quando sarà trasformato e disfatto, affinché tornando da voi vi possa mostrare quello che gli avete fatto. Tutto accadrà di certo a meno che voi non accettiate le condizione del mio Signore.»

«Non lo hanno» urlò Thorin «È una finta.»

«Una finta molto convincente, bisogna concederglielo» disse Dáin, guardando l'Ambasciatore.

Poi la creatura malvagia parve rendersi conto della rabbia di Aragorn, e la sua testa si girò per osservarlo. «E chi è costui? L'erede di Isildur? Per fare un Re ci vuole altro che una lama Elfica spezzata o un pezzo di vetro Elfico.»

Aragorn non disse nulla, ma incontrò lo sguardo dell'altro e lo sostenne per un momento. Thorin trattene il respiro, osservando. Anche se Aragorn non si mosse né portò mano alla spada, l'altro indietreggiò e si riparò come minacciato.

«Sono un Ambasciatore, e non posso essere assalito!» esclamò la Bocca di Sauron, ma Gandalf prese la maglia di mithril e il mantello e la spada dalle sue mani.

«Vattene, perché la tua ambasciata è terminata e la morte ti è vicina» ringhiò «Un'altra parola e la tua vita finirà.»

La Bocca di Sauron scoprì i suoi orrendi denti. «Non avete alcuna speranza» ringhiò – ma le sue parole furono interrotte da un accecante lampo di acciaio quando Andúril gli staccò la testa dalle spalle.

«Fine delle trattative» disse Gimli.

«Avrebbe dovuto farlo sin da subito» borbottò Óin mentre Aragorn girava il suo cavallo verso i Capitani e il popolo libero.

«Io non ci credo» disse «Io non ci credo.»

«Brav'uomo» disse Dáin annuendo.

«Thorin, non posso...» balbettò Frerin, fissando il corpo collassato della Bocca di Sauron. Thorin si girò verso suo fratello, e afferrò strettamente le mani di Frerin.

«Vai» disse «Trova Fíli e Kíli, rimani con loro. Portami notizie di Sam e di Frodo.»

Gli occhi di Frerin si staccarono dal sangue sul terreno paludoso, e c'era gratitudine sul suo volto. Thorin annuì, e gli strinse nuovamente le mani. Questo compito lo poteva eseguire e con onore, e non l'avrebbe fatto soffrire di nuovo. «Grazie, nadad

«Non c'è nessuno più rapido di te, nadad» rispose lui, e fece toccare le loro fronti. Poi la luce stellare stava avvolgendo Frerin e lo portava via.

«Gentile da parte tua» disse Bilbo, piccolo e impaurito. Thorin si raddrizzò.

«Frerin odia le battaglie»

Bilbo fece una smorfia. «Qualcuno no?»

Tamburi iniziarono a suonare dall'interno degli enormi cancelli, e i fuochi si accesero sui bastioni. Mentre Aragorn e i suoi compagni tornavano agli eserciti dell'Ovest, suonò un corno e i cancelli iniziarono ad aprirsi lentamente. Il suono di migliaia Orchi in armatura si sentiva oltre esso.

«Sauron ha abboccato all'esca con mascelle di acciaio» mormorò Legolas, mentre si riunivano ai ranghi degli eserciti dell'Ovest. Si agitavano per la paura e l'incertezza, la dimensione dell'orrore che scendeva su di loro trasformava le loro ossa in acqua.

Aragorn guardò le facce dei Rohirrim e degli Uomini di Gondor, e immediatamente spinse Brego al trotto. «Restate fermi!» urlò, Andúril che brillava nella debole luce «Restate fermi!»

«Oh, avremo un discorso? Tu non hai mai fatto un discorso» disse Bilbo, e allungò il collo per vedere «Dovrei scriverlo, sì sì. Questo è un momento storico...»

«Credo tu abbia già dato la tua opinione sui miei discorsi, Bilbo» disse Thorin, e Dáin rise, di lato.

«Figli di Gondor, figli di Rohan, fratelli miei!» ruggì Aragorn, e Brego volò come il vento lungo la fila «Vedo nei vostri occhi la stessa paura che potrebbe afferrare il mio cuore. Ci sarà un giorno in cui il coraggio degli Uomini cederà, in cui abbandoneremo gli amici e spezzeremo ogni legame di fratellanza. Ma non è questo il giorno! Ci sarà l'ora dei lupi e degli scudi frantumati quando l'era degli Uomini arriverà al crollo, ma non è questo il giorno! Quest'oggi combattiamo!»

«Bel discorso» disse Óin, annuendo in ammirazione.

«Ascoltami, mio cuore» disse Gimli, a voce bassa e chiara «Faremo tutto ciò che abbiamo detto avremmo fatto. Vivremo e ci sposeremo, renderemo nuovi luoghi antichi, affronteremo il tuo popolo e il mio. Dannazione! Scriverò io stesso a Thranduil e gli dirò di tutti i modi in cui ti amo. Starò davanti a lui e canterò canzoni del tuo coraggio e della tua bellezza. Non ho paura di lui. Guardati attorno, kurdulê! Cosa può succederci di peggio? Che più grandi paure possiamo affrontare?»

Legolas strinse il suo arco in mano, e fissò i Neri Cancelli. Si spalancarono, sbadigliando pigramente, su una scena di puro incubo. Il grande Occhio li riempì di terrore, illuminando gli eserciti di Orchi in fuoco infernale. I Troll ruggivano. Bestie indescrivibili sbuffavano e sbavavano nonostante le loro catene. E sopra, i Nazgûl urlavano i loro acuti, stridenti suoni di disperazione.

«Così tanti» sussurrò Bilbo.

Thorin guardò la vista, e una nuova ondata di disperazione lo riempì. «Non possono vincere, non possono, non hanno i numeri, non-» si interruppe.

«Lo sapevamo già» disse Dáin piano.

«Oh, se solo avessi Pungolo» borbottò Bilbo, e si tormentò le mani.

«È stato un mio onore, e la mia gioia, poterti amare» disse Legolas in voce quasi troppo leggera per essere udita.

Improvvisamente, e incredibilmente, Gimli sorrise. «Chi pensava di morire combattendo fianco a fianco con un Elfo?»

Come vino da una bottiglia, tutta la tensione abbandonò Legolas. Il suo sorriso era dolce. «E invece fianco a fianco con un amico?»

«Aye» disse Gimli, e guardò Legolas con una luce accesa negli occhi «Questo potrei farlo.»

«E altro»

«E altro» confermò Gimli, e guardò Legolas con tale tenerezza che Thorin abbassò lo sguardo, imbarazzato.

«Oh» disse Bilbo in modo sorpreso, e guardò Thorin di sottecchi, prima che le sue orecchie divenissero rosa e iniziasse a strisciare i piedi.

Thorin si accigliò. «Cosa c'è?»

«Ecco» Bilbo si grattò il collo, prima di fare un piccolo suono di sconfitta e agitare una mano in direzione di Gimli e Legolas «Stanno affrontando la più totale rovina, completa desolazione. La morte è su di loro, e lo sanno» disse, e poi si girò per incrociare gli occhi di Thorin «E parlano di ciò che faranno, di andare a casa e di ciò che porterà il futuro, e trovano un po' di speranza – un po' di casa – l'uno nell'altro. E. Beh. Mi piace.»

«Aye» Thorin guardò lo Hobbit un po' affettuosamente, un po' tristemente «Anche a me piaceva.»

Bilbo arrossì di nuovo, e si girò in fretta.

Poi Gimli si schiarì la gola, e disse: «Ora, sto per fare una cosa, e so che non è il modo giusto di farlo, ma tutti i parenti morti presenti possono chiudere le loro boccacce.»

Thorin fu colto dal sospetto. «Gimli...»

Gimli lo ignorò. Fece un respiro profondo, si voltò per guardare davvero Legolas. Si bagnò le labbra con la lingua, e poi disse. «Sansûkhâl.»

Le ginocchia di Óin cedettero, e si dovette sedere di colpo, fissando suo nipote in confusa meraviglia e orrore.

Il volto di Legolas divenne fermo e rilassato – il segno Elfico di completo shock – e si inginocchiò sul terreno per prendere la mano di Gimli. «Meleth, quello era...»

Gimli chinò la testa. «Aye.»

«Ma... non siamo sotto la roccia» disse Legolas, e premette il volto contro la barba di Gimli «Perché...»

«Quando un Elfo» gemette Óin «dice a un Nano qual'è il modo giusto di dire il proprio Nome Oscuro...! Beh, eccoci. Questa è l'ultima goccia. Il mondo è al contrario.»

«Voglio che tu conosca tutto di me, amato» disse Gimli dolcemente, e fece passare la mano sulla testa dalle ossa delicate, accarezzando i capelli d'oro pallido «Non ho più segreti per te, non più. Vuol dire “colui che ha una pura e perfetta visione”. Piuttosto pomposo, ho sempre pensato.»

Legolas si raddrizzò per guardare Gimli in meraviglia. La sua mano si alzò, e il suo pollice carezzò l'angolo dell'occhio di Gimli. Poi disse: «il nome scritto nelle tue ossa, hai detto. Quando sei stato creato.»

«Aye» Gimli prese il volto senza barba nella sua enorme mano «Ora mi conosci sin nelle ossa.»

«Grazie» sussurrò Legolas, e si piegò e baciò quel punto, le labbra sulle palpebre di Gimli, che si chiusero «E sappi questo, mio amore. Non importa cosa ci succederà oggi, ti conoscerò con questo nome per il resto dell'eternità. Ti troverò. Affronterò Mandos se devo, ma ti troverò.»

«Non osare» mormorò Gimli, e catturò le labbra di Legolas in un rapido, dolce bacio «Tu vivrai, dannato Elfo. Ora, andiamo. Abbiamo una competizione in corso.»

«Per Frodo!» urlò Aragorn, e alzò la spada e corse fra le zanne del nemico.

«Frodo!» ululò Pipino, e iniziò a correre dietro Aragorn con tutta la sua velocità che gli davano le sue piccole gambe. E poi quando ogni gola si aprì davanti alla morte stessa e i Nazgûl urlarono e attaccarono, il grande e antico urlo di guerra di Nani tuonò sulla pianura, portata dall'urlo rombante di Gimli:

«Baruk Khazâd! Khazâd ai-mênu!»


Era la confusione più totale, pensò Thrór, stringendo la mano di Hrera.

«Stanno praticamente facendo il lavoro per noi!» urlò Dwalin alzando il martello, facendo segnali per l'acqua bollente ancora una volta.

«Le promozioni fra gli Orchi sembrano avere una vita piuttosto corta» confermò Jeri. La sua ascia lampeggiava e roteava, appiccicosa per il sangue. Ovunque sui bastioni, gli Orchi strillavano e ululavano, cadendo dalle mura di Erebor morendo. Sotto nella valle, l'enorme marea squittiva e mordeva e lottava contro i propri compagni: senza comandante, gli Orchi si erano girati contro i propri compagni in fretta quasi quanto i contro i Nani.

«Pensate a quello che fate» urlò Dís.

«Lo vedete, a sud?» urlò Bard, e indicò oltre gli eserciti assedianti verso l'oscurità intervallata da lampi che pesava sugli alberi del Bosco Atro «Cosa può essere?»

Gli occhi di Laerophen si allargarono, e saltò lontano dalla lotta per fissare le nubi tetra. «Adar» sussurrò.

«Preparate le prossime pietre!» ordinò Orla, e le catapulte furono ricaricate. Attorno a loro, la lotta continuava mentre l'Elfo fissava con paura paralizzante la sua casa.

«Altezza, devi difenderti!» urlò Bomfrís, e il suo corto arco cantò «Ehi! Elfo! Guardati la tua stupida schiena, ti spiace...»

Laerophen si riscosse quando un Orco cadde in terra vicino a lui, una delle frecce di Bomfrís nella gola. «Fai attenzione» gli ringhiò lei, e lui si leccò le labbra e alzò i coltelli.

«Grazie, Lady Bomfrís» disse, e tornò a tuffarsi nel caos.

Lei lo fulminò. «Perché la gente insiste col chiamarmi con titoli tanto stupidi...!»

«Fuoco!» urlò Orla, e le catapulte furono scaricate sul rumoroso, inquieto mare di Orchi sotto di loro. Strilla si alzarono quando i massi colpirono molti, anche se sembrava far diminuire a malapena i loro numeri.

«Qua!» giunse un nuovo urlo dalle mura interne, e Thrór distolse lo sguardo dalla vista della sua amata casa in tale caos. Thira stava lottando con le carrucole, e accanto a lei era la sarcastica artigiana Bani. «Aiutatemi con queste, qualcuno!»

«Vostra Maestà!» Gimrís, Dwalin e Jeri corsero ad aiutarla, e quando la piattaforma si alzò lentamente uno strano marchingegno fu rivelato alla loro vista «Cosa nel nome di Mahal è questo?» chiese Gimrís, ansimando. C'era un taglio profondo sulla sua fronte, che le dava un aspetto piuttosto selvaggio, e i suoi coltelli stavano gocciolando.

«Una cosina che ha inventato la Regina» disse Bani, afferrando una corda e tirando in avanti la cosa «Vedrete.»

«Sembra una sorta di argano gigante» disse Jeri, piegando la testa e facendo una smorfia.

«Ah» Dwalin diede una pacca sulla spalla di Jeri «Penso di saperlo. Quando sei stato in giro tanto quanto me, Jeri, hai visto un bel po' di cose. E alcune cose ti rimangono in mente...»

Thira fece a Dwalin un sorriso secco. «Aye, te lo ricorderesti. Andiamo, Bani, carichiamolo e prepariamolo.»

«Ti piacerà» disse Dwalin, ghignando a Jeri «Ora, muoviti. Dov'è il Re?»

Il volto di Jeri si gelò, e id si guardò attorno allarmatum. «Era proprio qua!»

«Oh, per...» Dwalin si passò una mano sulla fronte, facendo una smorfia «Devi tenerlo d'occhio, non sappiamo cosa potrebbe fare! Questo è il tuo dannato lavoro ora, non sono più abbastanza giovane per inseguire i reali e le loro idee idiote!»

«Era proprio qui!» protestò ancora Jeri, e la sua ascia salì e decapitò tranquillamente un Orco.

«Dove sarà finito?» si chiese Hrera, e Thrór scosse la testa.

«Senza dubbio dove la lotta è più feroce» disse.

«Beh, naturalmente lo è. È lo stile della nostra famiglia» sbuffò Hrera «E dove sarebbe quel punto, supponi?»

«Pronti?» giunse la voce di Thira, il laconico “abbastanza” di Bani giunse in risposta.

Thira alzò lo sguardo e vide la sua amica, e urlò: «Dís! Falli levare dai piedi – potrebbe non funzionare!»

«Giù!» strillò Dís – e poi una gigantesca bolas, più lunga di otto Nani sdraiati uno dopo l'altro e con una palla della dimensione di un barile alla fine della mastodontica catena, volò dalla bocca della strana macchina. Si rigirò nell'aria più di quanto non sarebbe sembrato fisicamente possibile, prima di cadere sul suolo ghiacciato per rimbalzare attraverso la valle, tagliando via un'enorme fetta dalla massa di Orchi. Viaggiò per almeno mezzo miglio prima di rallentare, e lasciò spoglia una striscia di terreno larga quanto una strada dietro di sé.

Strilla e urla di sorpresa e terrore si alzarono da Orchi e Esterling – e alcuni degli Esterling disertarono persino dall'esercito, scappando verso la rovinata Dale.

«Sì!» urlò Dwalin, alzando un pugno in aria «Ah, avrebbe adorato poterlo vedere!»

Il sorriso di Thira fu triste. «Aye, è da lì che mi è venuta l'idea.»

«Dove diavolo è il RE?» ululò Jeri, e combatteva come possedutum attraverso gli invasori stupefatti, i suoi occhi cercavano ansiosamente tra i volti «Thorin? Thorin, idiota, dove sei?»

Dwalin esitò, appoggiandosi per un momento al suo martello, e guardò il guerriero più giovane con vecchi, amari ricordi che gli lampeggiavano negli occhi. «Dicono che la storia si ripeta» grugnì.

«Muoviti» gli disse Dís, ma la sua mano sul vecchio braccio robusto di lui era gentile «Sei in mezzo.»

«Thorin, maledetto, cocciuto-» Jeri interruppe il suo urlare per colpire con l'impugnatura dell'ascia i denti di un Orco in arrivo, prima di illuminarsi «Eccoti!»

Il Re aveva la schiena contro un pilastro, il suo mazzafrusto ruotava, la sua pesante spada era coperta di sangue fino al suo polso. C'erano tagli sul suo volto, e i suoi denti erano scoperti in un ringhio di puro odio mentre tagliava e colpiva i nemici attorno a sé. «Resisti ancora un po'!» urlò Jeri, e corse sopra la pila di feriti gementi verso l'Elminpietra circondato.

Ma Thrór non ebbe l'opportunità di vedere il Re che veniva salvato dalla sua situazione, perché in quel momento Víli apparve in un lampo di fuoco bianco. «Thrór, ti ho trovato» disse «C'è un problema...»

«Ci sono molte migliaia di problemi» disse Hrera, alzando le sopracciglia «che strisciano nella valle qui sotto.»

«Nessuno di loro» Víli sembrava così serio che Thrór a malapena riconosceva il suo allegro, rilassato nipote acquisito «Quei due di Dale.»

«È peggio di quanto pensiate» disse un altro, e Ori apparve dal nulla, Bifur che lo inseguiva «Dori è stato ferito.»

«È grave?»

Le labbra di Ori si strinsero, e fece spallucce. «Pugnalato alla schiena.»

Hrera si irrigidì. «Chi ha avuto le pessime maniere di pugnalare il loro ospite?»

Thrór guardò sua moglie divertito. Certo che avrebbe trovato la maleducazione di infrangere le regole dell'ospitalità più gravi di insulti o ferite. «La donna, Inorna» disse Bifur «È stata lei. L'uomo è stato catturato.»

«E cosa è successo a lei?» disse Thrór, piegandosi in avanti.

Bifur e Ori si guardarono. «Non lo sappiamo» confessò Ori, le mani strette a pugno «È scappata.»

Thrór imprecò a lungo e ad alta voce, finché Hrera gli diede un leggero schiaffo sul braccio. «State attenti» disse Thrór, e si raddrizzò «Potremmo aver bisogno di chiamare Thorin e usare il suo dono. Provate a cercare questa Inorna, potrebbe essere andata...»

Un nuovo rumore risuonò sopra la confusione, un debole e rauco gracchiare. Bomfrís urlò allarmata e corse avanti. «No!» disse, agitando le braccia «Tuäc, devi tornare dentro! Ci sono troppe frecce – non è sicuro!»

«Il Re, il Re!» gracchiò il corvo «Portate il Re! Fuoco! Attenti al nemico dietro di voi, gente di Erebor! Fuoco, fuoco!»

«Fuoco?» Dís spinse Bomfrís da parte e guardò il corvo con occhi terribili «Cosa vuoi dire?»

«Fuoco nella montagna!» disse Tuäc, saltellando da una zampa all'altra «Qualcuno ha dato fuoco ai magazzini! La Montagna brucia!»

«Le mie madri sono là sotto» disse Jeri, il volto pallido.

«E i miei figli!» ringhiò Orla.

«E Gimizh e Bofur!» disse Gimrís, bianca come pergamena «Mia madre – mio padre...»

L'Elminpietra girò in cerchio il mazzafrusto, liberando un piccolo spazio, prima di incrociare gli occhi di Bomfrís con la decisione sul volto. «Non...» ansimò, il sangue che gli gocciolava dal lato della testa e nella barba. Si passò un braccio sul volto. «Non so...»

«Li tratterrò io» disse Bard, facendo un passo avanti «Io e il mio popolo. Vai. Salva la tua casa.»

Laerophen guardò il Re di Dale, prima di dire: «Verrò con te, Re Thorin.»

«Se dovete andare, andate» disse Dís, e alzò nuovamente la spada «Muovetevi!»

«Tuäc, rimani con me!» urlò Bomfrís, mentre metà dei difensori sparivano dai bastioni, tornando nella Montagna.

Ciò parve dare agli Orchi nuovo coraggio dopo la devastazione della macchina di Thira, e rinnovarono con fervore i loro attacchi. Nuovo scale furono portate contro la Montagna, e la pioggia di macigni raddoppiò.

«Non possono resistere!» disse Thrór disperato, mentre fumo iniziava ad alzarsi dalla fonte del Fiume Flutti, arricciandosi nel cielo sopra Erebor. Sembrava una terrificante risposta alla nube sopra Bosco Atro,.

«Che alternative hanno?» disse Hrera.


Radagast si afferrò il cappello quando il vento gli sferzò le vesti, vento che girava come un maelstrom attorno all'alta figura di Galadriel. Brillava come il cuore del sole, mentre l'oscurità attorno a loro minacciava di divorarla.

«Gwaem!» urlò Celeborn, e alzò la spada. I guerrieri in verde del Re Elfico affiancarono i Galadhrim nella loro armatura dorata. L'enorme cervo di Thranduil scosse le corna davanti alla colonna di destra, mentre quello di Laindawar sbuffò inquietamente in testa alla colonna di sinistra. «Non sappiamo che sorprese ci riserverà Sauron! Rimanete vicini alla Dama Galadriel!»

«Fatela cadere» sussurrò Thráin, e Frís gli mise un braccio attorno alle spalle «Radetela al suolo.»

«Leithio i philinn!» urlò Thranduil, e i corti, forti archi di Boscoverde si alzarono, l'acciaio brillava nella luce della Dama «Gurth enin goth!»

«Aspettate il mio comando!» disse Celeborn, e alzò la spada. In inquietante unisono, gli Elfi di Lothlórien seguirono le frecce del Re Elfico, spingendosi nei cancelli distrutti. Furono salutati da Orchi che strillavano e ululavano correndo, alcuni di loro feriti dalle frecce e altri già morti. «Non date quartiere!» urlò Celeborn sopra la loro confusione.

Tutto il tempo, Galadriel camminava attraverso la lotta. La spada la teneva debolmente in mano, il sangue gocciolava dalla sua punta. I suoi capelli erano legati sulla sua testa, facendola apparire incoronata d'oro e argento. I suoi passi non esitavano mai.

Quando gli Orchi la guardavano, strillavano di terrore e scappavano.

«Khamûl!» disse, e l'aria tremò attorno a lei. Thráin urlò quando la voce gli martellò nella testa. Lóni strinse i denti, gli occhi che lacrimavano, e strinse più forte la mano di Frár. «Khamûl, esci dalla tua fetida tana e affrontami!»

«Mell nín» disse Celeborn sottovoce, esitando fra i colpi di spada. La paura gli danzò negli occhi per una frazione di secondo, prima che un ragno gli corresse addosso.

Con un urlo, Laindawar cavalcò nella lotta, premette il fianco del suo cervo contro il ragno e intrappolò la bestia contro il muro della fortezza. Colpì l'essere con colpi selvaggi, e la sua testa cadde. «Siete ferito?» chiese, ansimando, mentre il cervo danzava su gambe nervose.

«Nay» disse Celeborn, e spostò lo sguardo fra il Principe e sua moglie. Lei si muoveva ancora non toccata nella cittadella, l'abito scivolava come luce stellare sul terreno. «Ti ringrazio per avermi salvato.»

Laindawar annuì, e si allungò per afferrare il braccio di Celeborn e tirarlo in piedi. «Sradicheremo queste mostruosità dai nostri boschi, una volta per tutte» disse, e girò il cervo per tornare nella lotta.

«Non gli piacciono molto Orchi o ragni, direi» commentò Radagast, grattandosi l'orecchio col mignolo e togliendo un insetto dalle lunghe gambe «Gli piace fingere di essere fatti di cera, a questa gente di Bosco Atro, ma prova a graffiarli e troverai una creatura molto diversa.»

Celeborn si raddrizzò e iniziò a barcollare verso Galadriel. «Restate con la Dama!» disse alla sua gente, che stava lottando per superare la barriera. Ogni genere di creatura disgustosa impediva loro di seguire Galadriel, e la foresta fischiava e risuonava ancora come una campana. Il vento era toccato da un odore fastidioso, e soffiava forte contro i volti degli Elfi e loro urlarono in orrore e rabbia.

«No! Rimanete dove siete!» ruggì Thranduil. Era a piedi, il suo cervo scomparso, e mentre parlava uccise uno spaventoso Orco dalle terribili zanne. La sua corona invernale era storta, i suoi capelli bianchi macchiati di sangue. «Finite questi! Galadriel affronta un nemico che solo lei può sconfiggere!»

«Ma-» Celeborn fece una smorfia, e Lóni strinse ancora più forte le mani di Frár. Le sue dita si stavano intorpidendo, ma non osava lasciarlo andare.

«Khamûl!»

La voce di Galadriel echeggiò sulla pietra morta, a Thráin rabbrividì.

Con un terribile urlo di disperazione, una figura ammantata apparve dal nulla sul moncherino di una torre distrutta. Nelle sue mani coperte d'acciaio era un pugnale simile a una zanna, e una pesante spada piatta. Il suo cappuccio senza volto si girò verso dove Galadriel camminava sola nel cortile interno, una singola luminosa figura, piccola e coraggiosa.

«Donna Elfo» disse il Nazgûl, e la sua spada prese fuoco «Il mio padrone da molto tempo dessssidera la tua tesssssta.»

Il volto bellissimo di Galadriel era sereno, e i suoi occhi brillarono ancora più luminosamente. «Il tuo signore è distrutto» disse. L'anello sul suo dito lampeggiò rapidamente, il suo centro troppo luminoso da guardare. «L'ho percepito abbandonare questo mondo. Secondo dei Nove eri tu, ma presto ve ne saranno solo sette. Perché morto tu sei, e la morte sola di attende.»

«Ssssaressssti dovuta rimanere nasssscosssta nei tuoi alberi» disse il Nazgûl, e con una raffica di mantelli neri stracciati, era su di lei.

«Non posso guardare...!» ansimò Lóni, ma non poté distogliere lo sguardo. Sentì il respiro rapido e irregolare di Thráin.

La spada di Galadriel si scontrò con quella dello Spettro, e lei si mosse attorno a lui con incredibile agilità per scagliare il colpo successivo contro il suo fianco sinistro – il lato del pugnale. Il Nazgûl strillò e si voltò, e la spada infuocata le fischiò vicino al volto. Lei si piegò con facilità, prima di abbassarsi sotto le braccia dell'altro e alzare la mano davanti al cappuccio vuoto. Un lampo di accecante luce stellare giunse dall'anello sul suo dito, e il Nazgûl barcollò. Orchi e ragni mugolarono per il terrore.

«Non possono sopportare la luce!» urlò Laindawar.

«Ovviamente non possono» disse Galadriel con calma, e ruotò ancora una volta per tenere il Nazgûl a distanza «L'oscurità non può esistere alla presenza della luce.»

La spada infuocata si alzò per spezzare la spada di lei. «Morirai lentamente» le promise crudelmente il Nazgûl, assaporando ogni parola.

«No, non è quello il mio fato» lo corresse lei mentre lui alzava la spada verso la sua gola non protetta «Io sparirò, e mi consumerò, e non sarò mai più come ero un tempo. Il riposo mi attende oltre le sponde di questa terra, e poco importa che io viaggi per nave o per una lama. Oh, ma te. Tu ti dissiperai e dissolverai, come fa ogni ombra. Con le mie ultime forze, io ti distruggerò.»

Il Nazgûl sibilò, e alzò la spada per poterla trafiggere dove era.

«Meleth!» urlò Celeborn, ma Thranduil lo afferrò e gli ringhiò all'orecchio.

«L'ha fatto uscire allo scoperto, e ora è dove lei lo vuole! Egli pensa di essere il vincitore! Non distrarla!»

«Io ho visto tale luce» disse Galadriel dolcemente «Ho visto la gloria nei Giardini di Tirion, e amore in occhi grigi, e speranza portata nelle mani più piccole. Ho visto tale luce...» poi lei inalò quando la spada si abbassò su di lei.

Con il fragore di un tuono, le sue braccia si aprirono, e luce si irradiò da lei come da una stella. Il Nazgûl cadde all'indietro, e barcollò via da lei.

«Tu che fosti un tempo Khamûl, Ombra dell'Est, ora mi ascolterai! Io sono Galadriel e Nerwen e Artarnis e Alatáriel, e tu non hai più un nome. La morte ti ha aspettato per troppo a lungo. Io ti esilio! Queste pietre saranno ripulite infine dal tuo essere, creatura dell'oscurità, servitore di menzogne.»

Il Nazgûl si fece indietro come se colpito, e poi iniziò a contorcersi come un pesce preso all'amo.

«Nel vuoto andrai tu e tutte le tue opere!» tuonò Galadriel, il suono tuonante, e la sua mano poteva a malapena essere vista mentre il suo Anello illuminava ogni angolo e pietra caduta di sfumature di bianco e grigio. Gli alberi oltre la foresta si piegarono e agitarono, i loro rami catturati in quell'incredibile e ultraterreno potere. «Il tuo padrone si unirà a te. Vattene!»

Il Nazgûl strillò, e la spada infuocata cadde in terra. Le mani in armatura afferrarono il cappuccio vuoto.

«Vattene!» comandò nuovamente Galadriel. Thranduil stava ancora stringendo Celeborn, ma non cercava più di trattenerlo. Piuttosto si stavano sorreggendo a vicenda contro l'inesorabile potere dell'Anello di Diamante. I loro capelli argentati volavano al vento.

Lóni non poté fare altro: iniziò a urlare. Riuscì a sentire anche Frár e Frís, e le strilla e i gemiti degli Orchi. Ma l'opprimente suono della voce dell'Elfa crebbe e crebbe e crebbe, finché non fu il suono più forte del mondo, che eclissava tutto il resto. «Vattene!» disse ancora una volta, e l'aria si piegò e tremò attorno a loro.

«Sì!» ululò Thráin esultante, quando le torri di Dôl Guldur iniziarono a crollare «Sì!»

Galadriel era quasi impossibile da vedere nella sua corona di energia, ma Lóni ebbe comunque l'impressione che stesse raccogliendo le sue ultime forze.

«Tu non hai potere qui!» disse, e le parole riverberarono più e più volte, echeggiando nella fortezza collassante.

Con un suono di strappo, il fuoco che danzava negli occhi e sulla mano di lei si scontrò con il Nazgûl con la forza di un ariete. Uscì e uscì da lei, attaccando lo Spettro con fruste di puro potere, strillando e ululando. Urla di terrore si alzarono dagli Orchi restanti, che scapparono fra gli alberi via dalla dolorosa, pura radianza.

Con un gemito patetico, la figura ammantata collassò. Le vesti nere caddero in terra, vuote.

Ciò che rimaneva di Dôl Guldur cadde su se stesso, come se il lavoro di Ere fosse compresso in pochi istanti davanti i loro occhi. La roccia si consumò e divenne polvere, e la polvere volò via nella tempesta e svanì.

L'improvviso silenzio fece trattenere il respiro a tutti, vuoto e martellante, le loro orecchie fischiavano e i loro occhi bruciavano. Fra le lacrime, Lóni riconobbe l'alta forma di Galadriel che cadeva in terra.

Celeborn lottò contro le braccia di Thranduil, urlando. Il Re Elfico fece un passo indietro e lo lasciò, e il Sire di Lothlórien barcollò sulla terra nera e ora spoglia verso il punto dove sua moglie giaceva priva di sensi. «Parlami» singhiozzò, e la girò per accarezzarle il volto con la mano «Meleth nín, mell nín...!»

Un movimento catturò l'attenzione di Lóni, e vide lo Stregone che si faceva avanti per inginocchiarsi accanto a Celeborn. «Permettimi» disse, e i suoi antichi occhi erano limpidi e determinati.

Celeborn lo guardò con disperazione per un momento, e poi annuì. Si appoggiò la testa di Galadriel in grembo, e le prese la mano nella sua. Le palpebre di lei si mossero, e i suoi occhi erano vacui.

Radagast chinò la testa, e le sue vecchie dita nodose le lisciarono la pelle perfetta del volto e della fronte. Le sue sopracciglia si corrugarono in concentrazione. Poi il petto di Galadriel si alzò, e lei mormorò: «è finita?»

«Sì, mia Dama» disse Radagast, e si inchinò a lei «Non si potrà tornare indietro. Dol Guldur è distrutta per sempre.»

Lei sospirò, e i suoi occhi si aprirono. Nessun segno dell'infinita luce bianca rimaneva, solo il loro solito azzurro. «Sono stanca» disse, e poi alzò la mano per accarezzare la guancia di Celeborn «Ah, non piangere. Mi è costato molto, ma non quanto avevamo temuto.»

«Qualsiasi verme sia rimasto è scappato a Nord» disse Laindawar, facendo un passo avanti mentre si puliva la spada con un pezzo del mantello «Vanno verso le Montagne Nebbiose, senza dubbio.»

«Prego, non chiamarli vermi, è un insulto a tutti i vermi esistenti» disse Radagast irritato.

L'espressione di Laindawar non cambiò. «Li inseguiremo. Adar?»

Thranduil si raddrizzò, e alzò una mano elegantemente. «Gurth an Glamhoth.»

Laindawar si premette una mano contro il petto, e si inchinò loro uno alla volta (riservando un'ultima occhiata arrogante a Radagast mentre lo faceva), prima di girare su un tacco e iniziare a dare ordini bruschi. I confusi e malconci Elfi si riscossero e tornarono allerta agli ordini del loro Principe. Silenziosamente come erano apparsi, gli Elfi del Boscoverde tornarono fra gli alberi, le loro tuniche verdi li risero invisibili.

«Che maleducazione» disse Radagast.

L'angolo della bocca di Thranduil si incurvò, appena un poco. «Ha lottato per settimane, spesso senza poter comunicare o sperare di essere aiutato. Ti chiedo di dimenticare e perdonarlo per la sua irritabilità.»

Radagast batté le palpebre e poi guardò Thranduil. «Perdonare chi?»

Ciò fece addirittura ridere il Re Elfico, anche se era una risata acida e poco usata. Guardò il cielo notturno che era stato rivelato dalla distruzione della fortezza, e disse: «le stelle sono luminose stanotte.»

«Le posso sentire» disse Galadriel, la voce debole e stanca «Cantano più chiaramente stanotte di quanto abbiano fatto in lunghi anni.»

«Guardate questo enorme buco sporco» disse Galion, tirando un calcio alla polvere nera «Non crescerà mai nulla qui.»

«Questo lo pensi tu» rispose Radagast, e si tirò in piedi con un lamento e un'imprecazione. Poi respiro profondamente e piantò il suo bastone nella terra rovinata.

Nulla accadde, e poi un suono squittente giunse dall'interno delle sue vesti sgualcite. «Oh giusto» disse Radagast, imbarazzato, e prese uno strano cristallo color lavanda dall'interno del suo cappello «Grazie, Reggie.»

Sistemando il cristallo sul suo bastone, lo Stregone sorrise. «Ora, vediamo cosa succederà...»

Il silenzio scese di nuovo, e Lóni poteva sentire il proprio cuore che batteva, il battito di Frár nella mano che ancora stringeva con dita nervose. Il richiamo di un uccello notturno risuonò da non molto distante.

Poi una piccola gemma verde si spinse attraverso il tappeto di detriti neri, seguito da un altro. Rampicanti delicati corsero sulle pile di roccia crollata, scegliendo la strada con i loro germogli. L'odore della terra iniziò ad essere più forte di quello del decadimento.

«Questo luogo sarà purificato» disse Radagast, e alzò il palmo verso il cielo.

Come stiracchiandosi dopo un lungo riposo, piccoli germogli iniziarono a uscire dal terreno. Erbe e fiori divennero spessi attorno alla base mentre crescevano e si allungavano, dondolando dolcemente, i loro rami si estendevano verso la notte stellata.

«Lo vedi, amata?» sussurrò Celeborn, e accarezzò i sudati capelli d'oro di Galadriel. Si stavano liberando dalla loro acconciatura.

«Non avrei mai pensato di rivedere cose simili» mormorò lei «Pensavo che quelle Ere fossero da lungo passate.»

«E siamo tutti sobri, sì?» disse Galion dubbiosamente a nessuno in particolare.

Alberi ora completamente cresciuti fecero fiori che divennero immediatamente frutti. Piccole creature corsero nel fitto sottobosco: l'erba e gli arbusti si piegarono sotto i dolci venti. Dove un'ora prima era stata un'enorme e fetida rovina, ora era una pacifica radura, circondata dall'edera e punteggiata di fiori selvatici. Non rimaneva un solo segno di Dôl Guldur.

Thráin stava piangendo senza vergogna, le lacrime gli scivolavano nella barba. «Non c'è più» ansimò, e premette il volto nei capelli di Frís e tremò incontrollabilmente «Non c'è più. Non c'è più.»

Il suo sguardo lontano fisso sulle stelle, Thranduil disse piano: «Un nuovo anno inizia, miei congiunti. Pace a voi in questo Yestare»

«E a te, cugino» disse Celeborn, fra i fiori e il canto degli usignoli «E a te.»


«Pipino!» ruggì Gimli «Pipino!»

«Gimli, stammi vicino!» urlò Legolas. Uomini urlavano, e cavalli nitrivano di terrore. Gli Orchi ulularono trionfanti, i volti segnati da gioia crudele.

«Non riesco a trovare Pipino!» urlò Gimli, e nemmeno Thorin vedeva alcun segno dello Hobbit «È sparito quando sono arrivati i Troll, non riesco a trovarla quella canaglia!»

«Guardati le spalle!» disse Legolas, e rapido come il pensiero colpì l'Orco che stava mirando alla schiena di Gimli «Lo troveremo, meleth, te lo prometto!» disse, e poi scomparve nel mare dei nemici «Il mio conto è trentasei!»

«Trentasei?» disse Gimli, fermandosi e sbuffando «Per favore, te lo stai inventando.»

«Non devo neanche mirare» giunse la voce di Legolas «Ce ne sono troppi.»

«Legolas, torna indietro!» Gimli diede una testata a un Orco, prima di prenderlo per il collo e lanciarlo contro un altro «Âzyungelê, non riesco a vederti?»

«Qui!»

«Non vedo nulla, sono troppi» disse Óin, scuotendo la testa preoccupato.

«Sei preoccupato per l'Elfo?» mormorò Dáin. Óin lo ignorò.

«Ho detto che dove tu fosti andato, io ti avrei seguito» disse Gimli «Non rendermi un bugiardo, Legolas!»

I corni di Mordor suonarono ancora, e i Nazgûl urlarono nel cielo, i loro artigli si fecero strada fra cavalli e uomini, portandosi dietro terrore.

«Legolas!» risuonò l'urlo di Gimli, ma poi lui fu perduto persino alla vista di Thorin quando l'intera forza di Mordor si scontrò con gli eserciti dell'Ovest.

Il suono fu incredibile. Thorin dovette mettercela tutta per superare il suo disorientamento mentre Orco dopo Uomo dopo Elfo gli passava attraverso il corpo intangibile, il sibilo di lame e le orrende urla dei morenti nelle orecchie.

Dunque è così che finisce. Pensò a Erebor, a Gondor e a Rohan, a Granburrone e Bosco Atro e al Bosco Dorato, alla piccola pacifica Contea. «Ribelli contro Sauron fino all'ultimo respiro» disse. Tale coraggio. Tale sciocco coraggio.

Venendogli vicino, Bilbo mise la mano vicina a quella di Thorin – appena un ciglio di distanza, ma che ancora non si toccavano. «Possiamo dire che anche tu sia un esperto in questo genere di cose» disse, e gli sorrise tremulosamente.

«Aspettate un attimo!» udì dire Dáin, in tono di assoluto stupore «Lo vedete anche voi?»

«Arrivano le Aquile!» cantò una voce acuta, chiara e limpida, oltre il caos assordante «Arrivano le Aquile!»


«Preparasi, mirare, FUOCO!»

«Non è una bella parola da usare ora!» urlò Dwalin.

«Tirate le frecce?» suggerì Bani.

«Meglio!»

«Dov'è la Regina? Dov'è mia sorella?» urlò Barís, spingendosi nella confusione e nella lotta «Devo parlargli! Il fuoco... ci serve...»

«Thira è dentro» disse Bani, e afferrò il braccio di Barís e la trascinò in un punto riparato, via dai bastioni «Cosa nel nome di Durin stai facendo qui, Barís? Non sei un guerriero; ti farai uccidere!»

Barís deglutì diverse volte, ansimante. «Ho un'idea... per il fuoco.»

Bani si accigliò. «Perché non parlarne a Glóin o al Re? Sarebbero...»

Barís la interruppe. «Perché mi serve anche un artigiano» e si girò per trovare Bomfrís che scoccava dalle postazioni degli arcieri «e un arciere.»

Gli occhi dell'intagliatrice si strinsero. «Eh?»

Barís ghignò. «La frase “pioggia di frecce” ti dice qualcosa?»


«Acqua, acqua» gracchiò Sam.

«Nori?» disse Fíli, ma sapeva che non c'erano speranze «Kíli, tu ne hai vista?»

Kíli scosse la testa. «Non bevono da ieri mattina» disse, dondolandosi preoccupato «E Sam l'ha data comunque tutta a Frodo...»

«Sono quasi arrivati, però» Nori alzò la testa per guardare il cratere luminoso del Monte Fato «Liberarsi di quell'equipaggiamento da Orchi gli ha fatto del bene.»

«Ma ora non hanno più niente» borbottò Fíli, e si inginocchiò vicino a Sam. Le labbra dello Hobbit erano bianche e sanguinavano, talmente erano secche. La sua lingua sembrava goffa e pesante quando parlò:

«Svegliatevi, Padrone! È ora di ripartire.»

Frodo tremò e si agitò, e i suoi occhi rotearono dietro palpebre chiuse. Poi si svegliò improvvisamente con un urlo di terrore, il volto pieno di qualsiasi incubo lo avesse tormentato. Vedendo Sam, si rilassò. «Non ce la faccio, Sam» disse «È un tale peso da portare... un tale peso!»

Sam pareva sull'orlo delle lacrime, se gli rimanevano ancora abbastanza liquidi nel suo piccolo corpo. Fece un sospiro rassegnato, e disse con esitazione: «allora lasciate che lo porti io, per qualche tempo. Lo sapete che lo farei, e con piacere, fino a esaurire le mie forze.»

Gli occhi di Frodo si illuminarono di una selvaggia, crudele follia. «Non mi toccare! Ti dico che è mio!»

Kíli trattenne un singhiozzo.

Poi Frodo batté le palpebre, e il dolore sostituì quella terribile luce nei suoi occhi. «Oh Sam» disse miserabilmente «È troppo tardi ormai, Sam caro. Non puoi aiutarmi di più da quel punto di vista. Sono quasi in suo potere, ormai. Non riuscirei ad affidartelo, e se tu cercassi di prenderlo impazzirei.»

Sam chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. «Comprendo, Padron Frodo» sussurrò «Andiamo. Non siamo lontani. Oggi dovremmo riuscire ad arrivare alla fine.»

Come due piccole mosche grige, gli Hobbit strisciarono su per il versante dell'enorme montagna di fuoco. Il fumo gli bruciava gli occhi, e le loro mani erano pieni di tagli per la rocce affilate e crudeli.

«Ricordate quel pezzetto di coniglio, Padron Frodo?» gracchiò Sam, cercando un altro punto dove mettere la mano «E il nostro rifugio caldo nel paese del Capitano Faramir, il giorno che vidi un Olifante?»

Frodo rabbrividì. «No.»

Le sopracciglia di Nori si aggrottarono. «No?»

«Mi sembra... come una storia, raccontata da qualcun altro» disse Frodo, a malapena udibile «So che sono cose accadute, ma non riesco a vederle. Né il sapore del cibo, né il gusto dell'acqua, né il rumore del vento, né il ricordo d'erba, albero o fiore, né l'immagine della luna e delle stelle sopravvivono in me. Sono nudo nell'oscurità... e non vi sono veli fra me e il turbine di fuoco. Incomincio a vederla anche ad occhi aperti, e ogni altra cosa scompare.»

La testa di Sam si chinò sentendo queste parole, e riuscì a far cadere un paio di lacrime d'odio. «Allora quanto prima ce ne liberiamo, tanto prima riposeremo» disse, il più allegramente possibile.

«Sto iniziando ad odiare questa speranza» borbottò Nori «È più crudele di ogni altra cosa in questo luogo maledetto.»

Kíli guardò Nori seriamente. «Ti meraviglierebbe quello che la speranza può fare.»

Nori fu il primo ad abbassare lo sguardo. «No, non lo farebbe» disse tetramente.

«Nadad» disse Fíli, e guardò l'apertura della caverna, ormai così vicina «Puoi andare avanti?»

«Aye» disse Kíli, guardando Nori un'ultima volta, prima di correre su per il pendio.

Fíli guardò i due Hobbit che strisciavano ancora un poco, prima di collassare uno sopra l'altro. Sam cercò l'ultima scorta di pan di via, dando la ultime briciole a Frodo e rimanendo senza mangiare. «Non vuole ferirti» disse infine.

«Chi, Kíli?» Nori parve sorpreso che Fíli ne avrebbe parlato «Nah, non penso che la intendesse in modo personale. Mi sorprende che qualcun altro abbia ancora un po' di speranza, a essere sincero.»

Fíli lasciò che la sua bocca si incurvasse, le trecce dei suoi baffi dondolarono, e fece un cenno verso Sam che accarezzava la testa di Frodo, dandogli ciò che rimaneva del cibo. «Quella è l'ispirazione, sospetto.»

Nori fissò i due. «Avevo delle speranze» disse «Un tempo.»

Fíli lo guardò. «Ne hai ancora, Nori. Altrimenti perché saresti qui?»

Nori non ebbe nulla da dire.

Parve che Frodo fosse come caduto in trance dopo aver mangiato, e Sam gli sistemò attorno il manto Elfico e si strinse le ginocchia al petto. «Non avrei dovuto lasciarmi indietro la mia coperta» borbottò, e guardò la Montagna «A malapena gli rimane un po' di fiato in corpo, e parla del proprio sé passato come un sogno o una persona morta.»

Picchiò i piedi pelosi contro la lava vulcanica raffreddata per un momento, e poi si passò le mani sporche sui capelli. Ne cadde polvere nera. «La Pozza a Lungacque» sussurrò con nostalgia «Jolly Cotton e Tom e Nibs e Rosie, che danzava alla luce della luna del raccolto...»

Poi diede una manata al terreno, come se stesse cercando di farsi uscire da quello stato d'animo. «Ma ciò accadeva anni fa» si disse severamente «Sei uno sciocco per sperare in questo modo. Avreste potuto sdraiarvi a terra e andare a dormire giorni fa, se tu non fossi stato così testardo. Ma morirai lo stesso, o anche peggio. Non possiamo tornare indietro dopo questa Montagna, e lo sai bene.»

Nori distolse lo sguardo.

«Suvvia, abbiamo fatto meglio di quanto non mi aspettassi» si rispose Sam cocciutamente.

«E quanto ancora potrai andare avanti, senza acqua né cibo?» Sam piantò un dito nel terreno, prima di rispondere, con un tocco di ribellione: «Posso andare avanti ancora un bel po', e lo farò.»

«E dopo?» chiese all'aria.

Sam scoprì di non avere una risposta da darsi. «Il Padrone saprà cosa fare» disse, e si mise nuovamente le braccia attorno alle gambe «E lo farò arrivare fin là, anche lasciandomi dietro anche le ossa. E porterò io in braccio Padron Frodo, dovessi rompermi la schiena e schiantarmi il cuore. Quindi, piantala di discutere!»

«Cosa succede?» si inserì una voce acuta. Fíli guardò giù per vedere Frerin, i capelli biondi spettinati, tremante accanto a lui.

«È quasi ora, zietto» disse «Sono quasi arrivati.»

In quel momento, come in risposta alle sue parole, ci fu un tremore nel terreno, un rombo distante. Frodo si riscosse.

Sam rabbrividì guardando la montagna, prima di farsi forza e scuotere la spalla di Frodo. «Ora, coraggio! È l'ultimo sforzo!» disse, e lisciò i capelli sporchi di Frodo.

Gli occhi di Frodo si aprirono, enormi pozzi neri di orrore, fissi su un qualche altro mondo terrificante. Gemette, e poi si tirò in ginocchio, prima di ricadere. «No...» ansimò.

Sam lo guardò e pianse nel proprio cuore, ma nessuna lacrima cadde dai suoi occhi asciutti e pizzicanti. «Ho detto che l'avrei portato in braccio, dovessi rompermi la schiena» mormorò «e lo farò!»

Fu in quel momento che Kíli corse giù per il pendio. «È poco più avanti!» urlò «Non potete vederla per la massa di lava che è uscita dalla porta e giù lungo i pendii, ma sono a un lancio di pietra dall'entrata! Sono quasi arrivati!»

Anche se era impossibile, pareva che grazie a un qualche piccolo miracolo, una parte di Sam fosse riuscita a sentirli. «Coraggio, Padron Frodo!» urlò «Non posso portarlo per voi – ma posso portare voi!»

I tre Nani rimasero a guardare Sam che lottava per raddrizzarsi, tirandosi il corpo molle di Frodo sulle sue piccola spalle robuste. Poi Sam fece un passo avanti – e un altro – e un altro.

Gli occhi di Fíli si riempirono di lacrime, e chinò la testa.

Era mentre era distratto che un figura simile a un ragno cadde da un masso vicino e si schiantò con i due Hobbit. Nori urlò di rabbia, e la mano di Kíli corse al suo fianco dove un tempo sarebbe stata la sua spada. Sam rimase a terra confuso per un secondo.

«Padrone cattivo!» soffiò una voce familiare e odiata, e lunghe dita afferrarono la gola di Frodo e strinsero. «Padrone cattivo ci tradisce, tradisce Sméagol, gollum. Non deve andare lì. Non deve fare male al Tesoro. Dallo a Sméagol, sssì, dallo a noi! Dallo a noi!»

«Sam!» urlò Fíli, e si girò verso Kíli «Trova Thorin! Ora! Frerin, vai a dirlo a Thrór!» poi afferrò il braccio di Nori «Va dagli altri! Avvertili!»

Con uno sguardo sorpreso, Nori annuì. «Come vuoi, Altezza.»

Non fu finché Nori non se ne andò che Fíli si rese conto che il titolo era stato usato in totale rispetto.

Sam riuscì a tirarsi in piedi, mentre Kíli, Frerin e Nori svanivano nella luce stellare. Estrasse Pungolo, ma Frodo e Gollum erano stretti tanto che non poteva colpire uno senza rischiare l'altro.

Parve a Fíli che il cuore morente di Frodo si fosse infine svegliato – e per l'unico motivo che avrebbe potuto ancora stuzzicarlo, una minaccia all'Anello. Lottò con una furia che meravigliò Fíli, trovando una qualche riserva di forza nel suo corpo distrutto. Inoltre, Gollum era ancora più affamato e disgraziato degli Hobbit, e non aveva la sua vecchia forza. Calciarono e morsero, ma infine Frodo tirò un buon colpo e rotolò via, alzandosi.

«Giù, giù!» ansimò, e la sua mano era stretta sulla catena al suo collo «Vattene, e non mi tormentare più! Se mai dovessi toccarmi ancora, verrai gettato anche tu nel Fuoco del Fato.»

Gollum strisciò via, terrore e desiderio insaziabile ancora nei suoi occhi.

«Sta per scattare!» urlò Sam, e brandì Pungolo «Presto, Padrone, andate! Non c'è tempo da perdere! Mi occuperò io di lui. Andate avanti!»

Frodo esitò, prima di dire: «Addio, Sam» poi si voltò e barcollò verso la luminosa entrata, barcollando debolmente.

Sam lo guardò per un momento, prima di abbassare Pungolo alla gola di Gollum. «Ora, infine» ringhiò.

Gollum non saltò, ma si strinse in posizione fetale e mugolò. Le sue mani dalle lunghe dita si strinsero attorno al suo petto, come se si stesse abbracciando da solo.

«Non ucciderci» pianse «Non farci del male con cattivo crudele acciaio! Lasciaci vivere, sì, vivere ancora un po'. Perduti, perduti! Siamo perduti. E quando il Tesoro se ne va, moriremo, sì, moriremo nella polvere.»

Il cuore di Fíli esitò. «Dannazione» gemette, e si premette le dita sugli occhi «Vorrei dire uccidilo e falle finita...»

Sam parve ugualmente combattuto. La sua spada esitò. Infine, con un sospiro rabbioso, la abbassò. «Maledetto essere puzzolente!» esclamò «Vattene! Togliti dai piedi! Non mi fido di te, ma vattene. Altrimenti ti farò davvero del male, sì, con cattivo crudele acciaio.»

Gli occhi a lampada di Gollum brillarono di meraviglia, e si rilassò un poco, guardando Sam stupefatto. Poi si allontanò ancora un poco, solo per correre via quando Sam fece per dargli un calcio.

«Sam Gamgee, dov'è il tuo padrone?» la voce di Thorin rimbalzò sulle pietre, e Sam si raddrizzò, correndo su per il sentiero tanto rapidamente quanto i suoi piedi pelosi potevano muoversi.

Entrando nella Camera di Sammath Naur, a Fíli parve che tutto fosse coperto di sangue. La luce era rossa, le mura erano rosse; persino l'aria sembrava pulsare come il battito di un cuore. Sam barcollò avanti, la spada ancora in mano, e tossì per i fumi della lava che si alzavano e lo soffocavano.

«Padrone?» urlò, e si agitò la mano libera davanti al volto. Un lingua di roccia si allungava sopra la voragine di fuoco, e Sam andò verso di essa, ancora tossendo. «Padron Frodo? Padrone, mio caro, dove siete?»

«Sono qui, Sam»

Fíli socchiuse gli occhi. Lì, nero contro il rosso, era Frodo sull'orlo del precipizio. Era in piedi con la catena in mano, come se fosse diventato pietra.

«Fatelo!» urlò Sam «Ora!»

Frodo non si mosse.

«Oh, per favore» sussurrò Thorin.

«Cosa state aspettando? Gettatelo!» lo pregò Sam.

Frodo si voltò. Il tormento nei suoi occhi era svanito. Sorrise, ed era un taglio rosso sul suo volto.

«Sono venuto» disse «Ma ora non scelgo di fare ciò per cui sono venuto. Non compirò quest'atto. L'Anello è mio!»

«No!» urlò Sam, e il sorriso di Frodo divenne beato quando si mise l'Anello sul dito a svanì nel nulla.

Poi l'improvviso peso dell'Occhio era su di loro, e Fíli ululò quando la volontà di Sauron li fece cadere in terra. Ai suoi lati udì Thorin che ansimava, e Kíli stava singhiozzando.

«No» singhiozzò Sam, ma fu colpito violentemente in testa e qualcosa gli fece spostare le gambe quando una cosa piccola e rapida corse oltre lui.

«Gollum» disse Fíli con labbra intorpidite.

«Gli serve...» gracchiò Thorin «gli serve tempo...»

«L'Occhio» disse Kíli a fatica, e cercò Thorin con mani tremanti «Non posso... muovermi...»

«Sauron ora conosce la magnitudine della propria follia» disse Thorin, facendosi forza. Premette con le sue mani e le sue ginocchia, prima di alzarsi lentamente. «Ora tutti i suoi pensieri sono in questo luogo.»

TU NON TI INTROMETTERAI FRA L'ANELLO E IL SUO PADRONE...

Fíli urlò e si mise le mani sulle orecchie.

Thorin si strinse le spalle come se stesse attraversando una tempesta di neve, gli occhi socchiusi e le mani alzate contro l'incredibile forza di quella voce.

TU NON SEI NULLA DAVANTI AL SIGNORE DEGLI ANELLI, COME OSI, PATETICO ESSERE MORTO

AVRESTI POTUTO ESSERE GRANDE, DOHYARZIRIKHAB

AVRESTI POTUTO...

FATTI DA PARTE!

Thorin barcollò, e ansimò. «No. Anche se il tuo Occhio può attraversarmi, non potrai raggiungerli. Io sopporterò questa pressione, e li riparerò da questo.»

TU NON SEI CHE UN NANO MORTO

TU NON SEI NULLA

SPOSTATI, ORA, E TI MOSTRERÒ PIETÀ

«Menti» ansimò Thorin, e gli si vedevano i tendini del collo mentre lottava sotto il peso dell'Occhio.

E poi erano in due. Una debole sagoma, certo, ma Fíli riconobbe qualcuno basso, e piccolo, e dai capelli ricci, di fianco a Thorin.

«Chi è quello?» gemette Kíli, e i denti di Fíli si scoprirono in un ghigno selvaggio.

Bilbo.

TU! TU, CUSTODE DI RICORDI, TU CHE HAI SEPOLTO L'ANELLO IN RIMPIANTO! IO SO CHI SEI! BUGIARDO DELLA CONTEA!

La sagoma in ombra si piegò, come distrutta sotto quello sguardo. Poi si raddrizzò lentamente quando Bilbo trovò la sua forza.

«I morti e i morenti» gracchiò Thorin, e si raddrizzò al massimo «Ma noi sopporteremo il tuo sguardo, se possiamo.»

«Padrone!» ululò Sam, e Fíli si girò. Poi vide qualcosa di strano e terribile – Gollum lottava come un gatto impazzito contro un nemico invisibile, proprio sull'orlo dell'abisso di fuoco. Andava sempre più vicino, soffiando e mordendo e tirando e sputando. La lava sputò e ribollì come in risposta, la luce rabbiosa.

E per tutto il tempo l'Occhio premeva su di loro con la sua volontà.

Poi la testa di Gollum si piegò, i denti si chiusero su qualcosa di duro. Ci fu un urlo di dolore, e Frodo riapparve, stringendosi la mano al petto e cadendo in terra.

«Tesoro!» gioì Gollum, e tenne alto l'Anello. Un dito era ancora dentro il cerchio, che brillava nella luce rossa, più bello e dorato che mai. «Tesoro, tesoro, tesoro!» cantò Gollum, ubriaco di gioia «Mio tesoro! Oh mio tesoro!»

Sam strisciò verso Frodo, che stava cercando di alzarsi di nuovo per aggredire il ladro... «Padrone! No!»

Gollum danzò come un folle, gioendo del suo premio. I suoi occhi erano alzati verso l'Anello e inciampò. Ci fu un momento in cui parve immobile, in bilico sull'orlo. Ma poi cadde, e con un ultimo urlo di tesoro...!

...sparì.


Galadriel si alzò improvvisamente, stringendosi l'anello argentato sul dito. «Può essere» sussurrò, mentre Celeborn guardava in alto in meraviglia.


«Gli uccelli stanno scappando!» urlò Dwalin dal suo posto sui bastioni di Erebor «Gli uccelli del nemico stanno fuggendo! Cosa vuol dire?»


Il terreno tremò e rotolò, come se stesse respirando. Gimli guardò in meraviglia le Torri dei Denti che iniziavano a crollare alla loro base. Gli Orchi strillarono quando il loro mondo iniziò a cadere. Dopo pochi istanti non rimase nulla dove prima era stato il Morannon. Un grande buco nel terreno l'aveva ingoiato completamente.


Narvi guardò la Torre di Barad-Dûr che cadeva, e lacrime amare le riempirono gli occhi.

«Infine» sussurrò.


«Padrone?» balbettò Sam, mentre la lava sputava e si agitava attorno a loro.

«Ebbene, questa è la fine, Sam Gamgee» disse una voce al suo fianco, ed era Frodo, ed era di nuovo se stesso. Sorrise a Sam, stando certo, ma senza quel terribile dolore o quella luce negli occhi.

Sam fece un singhiozzò. «La vostra povera mano! E non ho niente per medicarla, o per fasciarla. Avrei preferito dargli una mia mano tutta intera.»

«Ormai è scomparso per sempre» disse Frodo, e guardò nuovamente il Cratere del Fato «Ma ricordi le parole di Gandalf?»

Fíli udì Thorin che diceva, in una voce troppo intima per essere udita da altri: «la pietà di Bilbo potrebbe cambiare il fato di molti.»

Poi suo zio ghignò, in modo allegro e decisamente troppo compiaciuto, come se fosse appena stato sgridato da un irritato piccolo Hobbit.

Frodo appoggiò la testa contro quella di Sam, e insieme si strinsero sul versante dell'Orodruin mentre il mondo crollava attorno a loro. «Se non fosse stato per lui, Sam, non avrei distrutto l'Anello» sussurrò «La Missione sarebbe stata vana, proprio alla fine. Quindi perdoniamolo! La Missione è compiuta, e tutto è passato.»

«È passato» ripeté Sam.

«È finita» disse Frodo, e diede un bacio sulla fronte di Sam «Sono felice che tu sia qui con me. Qui, alla fine di ogni cosa, Sam.»

TBC...

Note:

Nessa – Sposa di Tulkas e sorella di Oromë, che ama danzare nei prati verdi di Valimar

Thranduil e Celeborn si incontrarono nella foresta il 6 aprile, secondo l'Appendice B.

Khamûl – un tempo un uomo mortale, era il secondo degli Spettri dell'Anello dopo il Re Stregone di Angmar. In vita, governò su Rhûn. Secondo una versione, Khamûl fu messo di guardia a Dol Guldur in seguito alla morte del Re Stregone, e fu infine sconfitto dalle forze Elfiche.

La Battaglia Sotto gli Alberi – non fu una vera battaglia, ma più una guerriglia. Lothlórien fu assaltata tre volte, e gli eserciti di Thranduil erano costantemente sotto attacco.

Alcuni dialoghi presi dai film, e dai capitoli "Il Cancello Nero si Apre" e "Monte Fato"

[1] Battuta intraducibile. "Aye" assomiglia all'inglese "eye" (occhio). [Torna alla storia]

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

   
 
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