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Autore: niclue    26/01/2016    0 recensioni
Di come Castiel migliorò la vita a Sam e Dean senza cambiare di una virgola, nonostante una nazione intera lo stesse facendo.
Conosciuta anche come "L'avventura del fato omofobo del Texas."
Il mio personale contributo (in ritardo) per festeggiare la legalizzazione negli USA. #LoveWins
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Prima di tutte le scuse per questo ritardo illegale vorrei dedicare questo capitolo
e fare tanti, ma tanti, ma tanti auguri di buon compleanno
alla mia lettrice più accanita e più spaventosa
A Emma, la più dolce delle persone, buon compleanno,
spero che questo capitolo ti piaccia almeno la metà di quanto
a me piaccia passare le giornate con te. 

 

 

Capitolo VII: Pausa – riavvolgi

 

Il chiasso di una porta violentemente aperta fu la sveglia personale di Dean, che scattò subito a sedersi sul letto.

 

La luce della stanza si accese e Dean poté notare l’orario – le tre di notte – dall’orologio appeso sopra alla porta d’ingresso e le due figure sotto ad esso.

 

Castiel chiuse la porta dietro di sé mentre un Sam dall’aria confusa e assonnata si appoggiava contro di lui.

 

“Cas?” chiamò Dean, alzandosi dal letto. “Cosa—“

 

“Sam è ubriaco,” annunciò Castiel con ovvietà, trascinando il nominato fino al letto e depositandocelo con la stessa grazia con cui un contadino poserebbe un sacco di patate nel portabagagli di un furgone.

 

Sam si limitò a rotolare fino a sdraiarsi supino, addormentandosi quasi subito.

 

Dean sbuffò. “Beh, almeno pare che si sia divertito,” commentò, avvicinandosi al letto del fratello.

 

“Forse, ma ha esagerato,” replicò Castiel seccamente, osservando mentre Dean toglieva le scarpe di Sam dai suoi piedi.

 

L’acidità della sua voce colpì Dean; si voltò in modo da poterlo guardare in faccia, con aria interrogativa, mentre gettava le scarpe di Sam a terra. “Cosa intendi?” gli domandò.

 

“Beh,” disse Castiel, alzando lo sguardo e facendolo volare per la stanza, “diciamo che il suo comportamento, qualunque piega abbia preso questa sera, ha avuto effetti decisamente negativi sui propositi romantici recentemente espressi.”

 

Dean coprì Sam con una coperta e si voltò verso Castiel. “Quindi,” arguì, “Amber ti ha telefonato per chiederti di riportarlo qui?”

 

Castiel annuì.

 

Dean sbatté le palpebre un paio di volte. Abbassò lo sguardo su Sam. Lo rialzò. Chiuse gli occhi e se li massaggiò con una mano. Li riaprì. Sbatté di nuovo le palpebre. Concentrò l’attenzione su Castiel.

 

Castiel aggrottò la fronte. “Stai bene?” domandò, piegando la testa in una posa inquisitrice.

 

Dean agitò una mano in aria e chiese, “Ti ha detto che cosa ha fatto Sam di tanto orribile da spaventarla tanto?”

 

Castiel rilassò la sua smorfia e disse, “Non era spaventata… almeno, non credo lo fosse. Mi ha detto che Sam ha bevuto un po’ troppo alcool e aveva cominciato a… trovarsi in particolare disaccordo con altri abitanti del locale.” Fece spallucce, “Amber ha trovato saggio chiamarmi prima che la situazione degenerasse inevitabilmente.”

 

Dean annuì, più a se stesso che a Castiel, e fece ancora, “Ma perché ha chiamato proprio te?”

 

Castiel abbassò lo sguardo sulle sue scarpe, agitandosi appena in quello che Dean aveva imparato a leggere su di lui come imbarazzo. “A quanto pare,” mormorò Castiel, dandogli le spalle, “il mio nome è così… particolare che se ne era ricordata subito.”

 

Nel silenzio in seguito alla breve spiegazione Dean si sforzò, per quanto il sonno che gli appesantiva ancora la ragione permetteva, di trattenere l’ilarità isterica che essa gli causava, e si portò quindi una mano sulle labbra molto stirate e molto divise, cercando di nascondere il ghigno già nato e ben cresciuto nel caso Castiel si fosse voltato di colpo. Non che temesse una possibile reazione violenta dall’angelo, – era un essere spirituale millenario, non una mogliettina isterica in menopausa – anzi, solitamente Castiel reagiva in quel modo quieto ma intenso che Dean paragonerebbe vagamente ad un broncio di un bambino stufo di piangere o alle espressioni seccate che hanno i gatti appena usciti da un bagno indesiderato, in altre parole, in modo esilarante; eppure, in quel momento, i pensieri di Dean avevano ormai tagliato ogni ponte logico che ci fosse stato tra di loro e il suo subconscio si trovava già sotto le coperte. Per esperienze vissute, Dean sapeva di non volersi addormentare con un angelo imbronciato e fin troppo conscio accanto a sé.

 

“Non ha tutti i torti,” replicò infine Dean avvicinandosi a Castiel, il quale gli dava ancora le spalle. Allungò una mano sulla nuca scura e gli scompigliò i capelli in una carezza, osservando con divertimento il tremore che passò lungo la spina dorsale di Castiel come reazione, oltre ad una sua rotazione di centottanta gradi.

 

Nella sua vista leggermente annebbiata dalla stanchezza, Dean vide il dolce sorriso appena accennato sul volto dell’angelo e sentì le sue mani calde circondargli il viso. “Dean.”

 

“Mh?” replicò in modo assente, chiudendo gli occhi in anticipazione – se di un bacio o di un po’ di sonno, non sapeva decidere.

 

“Vai a dormire, Dean,” lo incitò gentilmente Castiel, facendo scivolare le mani fino alle sue spalle per sospingerlo meglio verso il suo letto.

 

Dean riaprì gli occhi. “Vieni con me?” chiese, con quella che sperò fosse meno della metà della speranza che provava.

 

Il sorriso indulgente di Castiel, però, gli fece capire che, in qualche modo, ne aveva espressa più del doppio. “Certamente,” lo rassicurò, facendolo sedere infine sul materasso del suo letto e inginocchiandosi appena come per accompagnarlo nella discesa.

 

Dean approfittò del momento per afferrare i lembi del suo trenchcoat e tirarseli contro, accogliendo una morbida collisione che non era ancora avvenuta quella sera, fino a quel momento. Dei leggeri gemiti d’affetto accompagnarono il casto bacio e dopo pochi secondi i due si separarono.

 

Avendo ancora il tessuto dell’impermeabile tra le dita, Dean mosse le braccia attorno alle spalle di Castiel, spogliandolo pazientemente del soprabito per poi gettarlo con noncuranza ai piedi del letto.

 

Castiel osservò la traiettoria del vestito con disapprovazione negli occhi e fece per alzarsi dalla sua posizione quando Dean lo precedette e lo tirò con sé sul materasso.

 

“Shh,” soffiò, ridacchiando nell’orecchio di Castiel che cercava di rialzarsi dal letto. “Lascia la giacca dov’è. Se poi si piega puoi fare il tuo bibidi-bobidi e pace.”

 

Con uno sbuffo quasi divertito, Castiel si lasciò ricadere di peso sulle coperte, mentre Dean poggiava sgraziatamente la testa sul suo petto, scatenando una risata più decisa dall’angelo. Castiel portò una mano sulla fronte di Dean e pizzicò una lentiggine tra le sue dita con dispetto infantile, per poi accarezzare i capelli disordinati come scusandosi.

 

“Dormi, Dean,” gli sussurrò Castiel, lasciandogli un’ultima carezza sulla tempia.

 

Dean cercò di augurargli la buona notte, ma non si era reso conto di quanto i suoi occhi fossero appesantiti dal sonno: infatti, dopo aver chiuso le palpebre non trovò la forza di riaprirle, né tantomeno di aprire la bocca. Si addormentò all’istante, il calore rassicurante di Castiel sotto alla sua guancia e il fantasma delle sue dita sul viso.

 

***

 

L’aria calda e soleggiata del mezzogiorno sopprimeva ogni sollievo rinfrescante tentato da Dean, che si lasciò cadere sul letto con uno sbuffo d’impazienza.

 

Nel suo letto, Sam dormiva ancora profondamente nella stessa posizione di come lo avevano fatto sdraiare la notte prima, una mano si alzava e si riabbassava lentamente insieme al suo petto e da un angolo della bocca si distingueva l’impronta di un rivolo di bava essiccata.

 

Dean appoggiò il mento sulle sue dita intrecciate, picchiettando il piede destro a terra in un ritmo nervosto e incostante, per poi fermare il tamburellio e cominciare a dondolare i piedi in avanti e indietro. Dopo una decina di sequenze del movimento si lasciò cadere sul materasso con un gemito sofferente e concentrò lo sguardo sul soffitto azzurro, analizzando pigramente la leggera nell’intonaco sopra al suo letto.

 

Castiel era uscito a prendere il pranzo per i due fratelli e non era ancora tornato e Dean non poteva né chiamarlo al telefono che l’angelo aveva deliberatamente lasciato sul tavolo della stanza né tanto meno poteva uscire e andare a cercarlo, nonostante non ce la facesse più a starsene con le mani in mano ad aspettare seduto in una silenziosa e cocente stanza di motel.

 

Stupido signor sono-un-angelo-e-non-dormo-quindi-esco-quando-voglio-non-puoi-fermarmi.

 

Okay, ora stava diventando davvero ridicolo. Meglio pensare al caso.

 

Dean si tirò a sedere raddrizzando la schiena e raddrizzando le gambe davanti a sé e cominciò a riflettere su tutti gli elementi che avevano raccolto.

 

Le vittime erano coppie omosessuali sposate e il reverendo officiante; già da questo si poteva capire il movente del colpevole. I cadaveri presentavano arrossamenti, irritazioni, dei sintomi abbinati per le coppie e unici per il reverendo: da questo si poteva capire, invece, la natura del colpevole.

 

Stringendo con forza il copriletto verde tra le dita, Dean ricercò nella sua mente i casi di stregoneria che aveva affrontato nella sua vita e analizzò i cadaveri ritrovati, gli elementi simili o addirittura ricorrenti. Non era affatto raro trovare degli ematomi insoliti sulle vittime degli stregoni, ma non si ricordava di aver mai visto degli sfoghi differenti e abbinati per le coppie. Probabilmente ogni coppia era stata soggetta ad una fattura diversa. Quella dannata branca di magia era decisamente vasta, rifletté Dean con irritazione, e gli stregoni più potenti sono anche i più informati.

 

Ma come arrivare al colpevole? Era ovvio che dietro agli omicidi ci fosse un intento omofobo. Ma erano molti i pazzi della città che sarebbero arrivati a tanto. E non erano i buonisti quelli che sceglievano di studiare le arti della magia oscura.

 

E qual è il posto in cui tutte e sette le vittime sono state?, aveva ragionato Cas il giorno prima.

 

Ma non era detto, però, che il colpevole fosse necessariamente interno al convento. Poteva essere un esterno che aveva assistito a tutti i matrimoni— no.

 

Le cerimonie dovevano essere decisamente private. In pochi, in questa città, sarebbero andati ad una celebrazione omosessuale. Lo stesso individuo, notoriamente omofobo per giunta, che si fosse invitato a tre matrimoni di fila sarebbe apparso decisamente sospetto. Quindi no— il colpevole doveva essere interno alla chiesa.

 

Ma questo equivaleva alla ricerca di un ago in un pagliaio.

 

Trovare un omofobo in un convento, tsk. In Texas. Dean preferirebbe gettarsi nel pagliaio.

 

Inoltre, chiunque fosse lo stregone, doveva essere in rapporti stretti con Dunnets. Così stretti da sentirsi tradito dalla sua propaganda di uguaglianza tra le coppie.

 

Eppure, c’era una cosa che continuava a sfuggirgli: secondo quello che aveva detto il reverendo Gilbert, le cerimonie erano state molto affrettate e decisamente intime, quasi segrete; la coppia arrivava direttamente nel convento assieme a due testimoni e chiedeva al reverendo di essere sposati. Nessun annuncio, nessuna voce anticipata. Da sposata, la coppia ripartiva—ed entro un’ora, tornavano in sacchi di plastica.

 

Come faceva lo stregone ad intercettarli in tempo?

 

Dean si strofinò le tempie, sentendo una leggera fitta attraversargli il cranio mentre continuava a ragionare sul paradosso che gli si presentava. Scoraggiato, fece vagare lo sguardo per la stanza, posandolo infine sul pc di Sam, abbandonato la mattina precedente nel suo borsone da viaggio.

 

Si alzò, illuminato da un’idea improvvisa, raccolse il computer e andò a sedersi al tavolo, nel posto che fronteggiava sia la porta d’ingresso che il letto dove Sam stava dormendo. Accendendolo, aprì poi il motore di ricerca e ricercò nella cronaca cittadina. Andò oltre gli articoli riguardanti gli incidenti dell’ultima settimana e navigò per una decina di minuti tra notizie riguardanti incidenti domestici e riforme del sindaco.

 

Quando stava per cambiare ricerca, trovò una notizia risalente a febbraio di quell’anno e riguardante una morte decisamente misteriosa per i giornali locali e decisamente interessante agli occhi di Dean.

 

“Ucciso davanti al convento: Emerson senza cuore”

 

L’articolo riportava il caso – irrisolto – dell’omicidio del reverendo Emerson. Due ferite di pistola nel torace, che con perfetta precisione colpirono il cuore che, però, non c’era. Non era stato rimosso, era semplicemente scomparso, senza lasciare nemmeno una traccia di sangue o ulteriori tagli.

 

Di qualche giorno più vecchi erano altri articoli, riguardanti altre morti inspiegabili e disorientanti, più simili, però, a quelle a cui stava investigando Dean: corpi ritrovati con strani sintomi sul corpo, nonostante l’ottima salute. Anche questi casi erano rimasti irrisolti. Le morti – quattro in totale, senza contare quella di Emerson – risalivano alla fine di gennaio di quello stesso anno.

 

Con tanti pensieri diversi che si rincorrevano nella sua testa, Dean si tirò indietro, appoggiandosi contro lo schienale della sedia di legno chiaro abbinata al tavolo e si terse la fronte da qualche goccia di sudore. Si strofinò le dita bagnate sulla parte bassa della sua maglietta per poi riportare la mano all’altezza dei suoi occhi e poggiarci la fronte contro, sospirando.

 

Fu in quel momento che dal suo letto Sam cominciò a svegliarsi. Un grugnito sofferente si liberò nella stanza. “Dean?”

 

Dean alzò lo sguardo e trovò Sam e i suoi gloriosi capelli scompigliati guardarlo con aria confusa e assonnata. “Buongiorno, principessa,” lo riprese, controllando l’ora sul suo polso sinistro. “E’ quasi l’una e mezza, complimenti.”

 

Sam si strofinò una mano sugli occhi e si tirò a sedere; dopo aver sbadigliato rumorosamente, rimosse la mano e rivelò un livido bluastro sulla guancia destra, un graffio sullo zigomo corrispondente e uno sul labbro superiore.

 

“Ah!” gli fece Dean con un ghigno, alzandosi e avvicinandosi al fratello. “Quante gliene hai date in cambio?”

 

Sam batté stupidamente gli occhi mentre Dean gli prese il viso tra le mani, osservandolo in modo critico dall’alto e spostandolo da un lato all’altro alla ricerca di altri lividi. Era un po’ gonfio anche sull’altra guancia, notò, ma l’insieme non era poi così grave. “Te la caverai,” sentenziò infine, lasciando la presa e sedendosi sul suo letto, di fronte a Sam, “ora, mi vuoi dire cosa è successo o no?”

 

Sam batté un’altra volta le palpebre.

 

Dean sentì il bisogno di lanciargli qualcosa.

 

Dopo qualche attimo di silenzio, Sam domandò “Come sono arrivato qui?”

 

Dean roteò gli occhi, “Ti ha portato Cas.”

 

“Oh.” Fu la replica.

 

“Già,” concordò Dean.

 

“E come mi ha—“

 

“L’ha chiamato la tua Bambie,” lo interruppe subito Dean. “Ed era piuttosto scossa. Che cosa hai fatto?”

 

Sam sbatté di nuovo le palpebre e Dean dovette concentrarsi sull’ipotetica espressione di rimprovero sul viso di Cas se scoprisse che anche Dean aveva la sua parte sulle contusioni di Sam. Aiutò, ma poco. Il pensiero gli fece venire subito fame, per qualche ragione.

 

“Beh,” cominciò Sam, con lentezza, “i miei ricordi sono un po’ confusi.”

 

“Ma non mi dire,” commentò aspramente Dean, incrociando le braccia sul petto.

 

“Eravamo andati a fare un giro per la città,” riprese Sam, ignorando il fratello, “e verso le sette siamo andati in un pub a mangiare.”

 

“Tu sì che sei un Romeo provetto,” lo schernì Dean.

 

“Senti chi parla,” replicò Sam, schiarendosi finalmente la voce dalla nota roca che aveva assunto, “al vostro primo appuntamento portasti Cas a vedere Mad Max!”

 

“Allora,” fece Dean, improvvisamente serio e colpito nel profondo, puntandogli un dito minaccioso contro, “quel film è maledettamente epico se tu non—“

 

“Okay, Dean, comunque—“ Sam si fermò ancora prima di cominciare e si guardò attorno per poi assottigliare lo sguardo sul fratello. “Dove—“

 

“E’ andato a prendere il pranzo,” gli rispose subito Dean, con noia e irritazione in mostra. “Vai avanti.”

 

Sam scrollò le spalle e riprese. “Allora, siamo andati in questo pub dove lei va spesso,” raccontò, “e ci siamo seduti ad un tavolo vicino alla cucina.

 

***

 

“…quindi, Meg era riuscita a non cadere per tutto il giorno, ma nel momento in cui stava uscendo dalla pista, perde l’equilibrio, afferra d’istinto una signora di mezz’età che non stava nemmeno con i pattini e la tira giù con sé sul ghiaccio! Ricordo ancora la sua faccia—oddio, e la signora era così arrabbiata!”

 

La narrazione di Amber viene spezzettata dalla sua risata contenuta e da quella più liberatoria di Sam mentre i due si sistemano al tavolo che avevano scelto.

 

“Quindi, se l’è portata giù con sé?” domandò ancora Sam, con un sorriso divertito.

 

“Oh, sì,” annuì Amber mentre le scappava un’altra risata al ricordo. “E non è nemmeno il pezzo migliore.”

 

“Dimmi, allora,” la incoraggiò Sam, curioso, e sorridendo al rossore delle guance pallide.

 

“Dopo essersi rialzate entrambe, e dopo le mille scuse che Meg ha fatto alla signora, si era finalmente aggrappata in modo stabile alla ringhiera e stava uscendo, quando David, un altro nostro amico, la prende per un braccio per tenersi in equilibrio – non è molto bravo a pattinare – e la rimanda giù per terra!”

 

Sam rise di nuovo, in modo contenuto ma allegro, e incontrò lo sguardo altrettanto felice di Amber. “Spero per Meg che non le succeda spesso,” commentò.

 

“Speri male,” rispose Amber, con un sorriso un po’ più nostalgico, “lei cade sempre, anche da seduta.”

 

Sam la osservò con occhi comprensivi e le sorrise, “Ti manca?”

 

Amber batté velocemente le palpebre, abbassando lo sguardo. “Certo che mi manca,” disse piano, “sono mesi che non la vedo.” Ricomponendosi, rialzò lo sguardo e sorrise di nuovo, un po’ più spavalda. “Sono sicura che andreste davvero d’accordo. Magari un giorno te la presenterò.”

 

Sam alzò le sopracciglia all’ultimo commento, ma sorrise in fretta per non farle notare il suo stupore. “Dovrò avere i riflessi pronti per afferrarla, quindi?” propose, in tono scherzoso.

 

Con un’altra risata di Amber l’argomento si chiuse da sé e arrivò un’alta cameriera dal sorriso grande e una parlantina alta e chiara a prendere i loro ordini. Con un cenno di saluto verso Amber e un sorriso di cortesia verso Sam, si allontanò verso le cucine a ordinare un’insalata di tonno e un cheeseburger e Sam diede uno sguardo più dettagliato al grande pub in cui si trovavano.

 

Le pareti in legno, le casse dello stereo, le varie cornici colorate appese in giro assieme a dei souvenir ancora più strani – era un dinosauro rosso quello sopra all’ananas gigante? – davano una sensazione di calore e familiarità ai clienti del locale che dove posavano lo sguardo trovavano un effetto che sarebbe stato benissimo nel loro salone. Il soffitto era tanto alto da permettere un soppalco dove erano posti altri tavoli e divanetti di pelle, ma meno di quelli presenti al piano inferiore. La zona del bar era moderatamente affollata, più per le conversazioni in cui i consumatori impegnavano i baristi che per vero bisogno di bevande e il resto del locale era altrettanto affollato, con appena una manciata di tavoli vuoti. L’ambiente allegro e il via vai di camerieri tra la sala e la cucina promettevano un esito decisamente positivo.

 

“Che ne dici? Ho buon gusto, eh?” gli chiese Amber, con un’infantile curiosità simile a quella di Castiel, e Sam sorrise.

 

“Devo ammettere che almeno ha stile,” le concesse Sam, fingendo un’espressione irritata e Amber ridacchiò in risposta, per poi sbuffare con tono oltraggiato.

 

“Beh,” fece poi Amber, sorseggiando il suo tè freddo, “ti ho raccontando delle mie avventure con i miei amici. E tu, invece? Scommetto che con quel tuo gruppetto ne avete combinate di memorabili.”

 

Sam non batté ciglio. “Scommetti male,” rispose un po’ troppo in fretta. Amber alzò un sopracciglio, la serietà delle sue labbra stirate che nemmeno si avvicinava alla curiosità persistente nel suo sguardo.

 

“Voglio dire,” riprese Sam, schiarendosi nervosamente la gola, “ora come ora non mi viene in mente nulla. Anche se ci sono state delle situazioni. Ad alcune nemmeno crederesti,” concluse, prendendo un sorso della sua birra e quasi sospirando dal sollievo della freschezza della bevanda.

 

“Okay,” commentò Amber, chiudendo l’argomento.

 

Quando poi il silenzio si fece troppo lungo, Sam fece per aprire bocca, ma Amber lo precedette, “Cosa pensi dell’ultima stagione del Trono di Spade?”

 

Sam sorrise e iniziarono a discutere sulla preferenza dei libri rispetto alla versione televisiva e ai vari cambiamenti dei produttori. Da lì, la conversazione procedette tranquillamente su altri sentieri, tra cui la letteratura fantasy, la letteratura generale, il cinema, la televisione, la musica, la politica, la società. Parlare con Amber risultò più semplice di quanto avesse mai potuto sospettare, realizzò Sam con sollievo e sorrise in modo un po’ più genuino di prima alla cameriera – Nancy – che con un occhiolino giocoso per entrambi portò i loro ordini e gli augurò una buona degustazione.

 

E stavano davvero avendo un’ottima degustazione quando vennero interrotti.

 

***

 

Con insolito impaccio e più chiasso di quanto si potesse evitare, Castiel fece ingresso nella camera con due buste di carta artigliate contro il petto. Chiudendo la porta con un piede, si avvicinò al tavolo, chiuse il computer lasciato aperto da Dean con una gomitata e vi poggiò sopra le buste.

 

“Ce ne hai messo di tempo,” commentò Dean, alzandosi in piedi e avvicinandosi al tavolo, passando accanto a Castiel e accarezzandogli appena una spalla come saluto.

 

“In questa città non sanno dare le indicazioni,” ringhiò Castiel, se come giustificazione o sfogo personale, a Dean non è dato saperlo. “Ciao, Sam.”

 

“Hey, Cas,” salutò di rimando Sam, tentando un sorriso nonostante l’irritazione per essere stato interrotto nel bel mezzo del suo racconto.

 

“Cosa hai preso?” chiese Dean, aprendo una delle buste e tirandone fuori un quotidiano; in prima pagina vi era scritto: “Gli omicidi del mistero: nessun progresso, oggi i funerali”. Dean serrò la mascella e chiuse il giornale con un po’ troppa decisione, poggiandolo sul tavolo.

 

“Per te, un cheeseburger, delle patatine e una bottiglietta d’acqua, poi la ricarica del telefono che mi hai chiesto,” illustrò Castiel, porgendogli la busta che Dean non aveva preso – quante chance c’erano, dannazione – e togliendogli l’altra dalle mani. “Sam,” fece poi, avvicinandosi all’amico, “non sapevo se avessi voluto fare la colazione o il pranzo e non sapendo nemmeno cosa avresti voluto mangiare ti ho preso un caffè, una banana, una cialda, un hamburger e un’insalata – e l’acqua, ovviamente,” si mordicchiò il labbro e alzò lo sguardo tormentato su di lui. “Ho sbagliato?”

 

Tutta l’irritazione che avrebbe potuto provare si sciolse mentre il profumo del caffè raggiunse le narici di Sam e sorrise dolcemente a Castiel. “Grazie mille, Cas, davvero.” E diceva sul serio: non si era accorto di quanta fame avesse fino all’ingresso dell’angelo – e sì, aveva davvero tanta fame.

 

Prese la busta dalle sue mani e tirò fuori il bicchiere di caffè caldo con attenzione e lo poggiò sul tavolo. Cominciò poi a sbirciare il resto dei contenuti della busta ma prima che potesse decidere da cosa iniziare sentì due dita sulla fronte e il formicolio seguito dal familiare senso di pace conseguenti alla guarigione angelica. Riaprendo gli occhi chiusi d’istinto, sorrise a Castiel ringraziandolo di nuovo, il quale rispose con un altro sorriso e una timida reverenza della testa.

 

A quel punto Castiel si sedette sul letto di fronte a Sam, nello stesso punto in cui Dean era seduto pochi minuti fa e chiese: “Di cosa parlavate?”

 

Dean afferrò la busta contenente il suo pranzo e si andò a sedere accanto a Castiel, spiegandogli, “Sam mi stava raccontando la sua serata con Amber.”

 

“Oh, interessante,” commentò Castiel, lanciando a Sam un’occhiata sospettosa e lontana mille miglia a quella piena di gentilezza di un attimo fa.

 

“Posso andare avanti?” domandò con un sopracciglio alzato a Dean, mentre questi scartava casualmente il suo panino.

 

“Certo— oh, prima faccio un riassunto a Cas,” fece Dean, voltandosi meglio verso Castiel e gli disse, con tono professionale, “Sono andati in un pub – la cameriera ci provava con Sam – Amber e Sam parlavano del Trono di Spade – lei beveva del tè come se fossimo nel maledetto Yorkshire. Fine.”

 

Castiel corrugò la fronte, non in perplessità, tanto più per processare le informazioni e annuì lentamente, voltandosi poi verso Sam. “E poi?”

 

Sam sospirò, prendendo un morso della sua cialda. “Quindi,”

 

***

 

Sam ed Amber stavano passando una davvero piacevole serata: la comunicazione tra i due era ottima, il cibo lo era altrettanto e tra i due la conversazione procedeva senza intoppi né imbarazzo.

 

Amber si sentiva così a suo agio da allungare la mano e cominciare a rubacchiare qualche patatina dal piatto di Sam, sorridendo in modo raggiante quando questi spostò il piatto verso il centro del tavolo in un invito chiaro e accettato.

 

Fu in quel momento che qualcuno li interruppe.

 

“Hey, Amber! Non si saluta più un amico?”

 

Sam si voltò verso l’origine del richiamo e trovò un ragazzo – non più di trent’anni e non meno di venticinque, la stazza generosa e i capelli scuri e scompigliati abbinati a una carnagione abbronzata – che, dal bancone del bar, si avvicinava al loro tavolo con un tumbler pieno fino a metà di quello che Sam giudicò essere scotch. Con un sorriso che mostrava pienamente i denti dritti e bianchi, il ragazzo si fermò nello stesso punto in cui Nancy si era fermata poco prima per chiedere come stesse procedendo la serata.

 

“Neil,” lo accolse Amber con un sorriso gentile e un cenno del capo, “non ti avevo visto. Come stai?”

 

Neil scrollò le spalle sorridendo bonariamente, “Non male, non male. E tu, invece? E’ da tanto che non ci facciamo una bevuta insieme,” fece, ammiccando giocosamente. Solo in quel momento sembrò notare Sam e lo salutò alzando appena il bicchiere nella sua mano, per poi sorseggiarne la bevanda.

 

“Oh, capisco,” disse poi, appoggiando il tumbler sul tavolo e osservando Sam dall’alto in basso, per poi indirizzare un ghigno divertito verso Amber. “Chi è il tuo ragazzone?”

 

Amber alzò gli occhi al cielo e le sue lentiggini risaltarono con il rossore che le adombrò le guance. “Lui è Sam,” lo presentò, abbassando lo sguardo sul suo piatto di insalata ancora mezzo pieno.

 

Sam, intanto, aveva occhieggiato in modo guardingo Neil: non sembrava esattamente ubriaco, più che altro un po’ brillo, ma abbastanza lucido da camminare con sicurezza e parlare in modo chiaro; Amber non sembrava a disagio, forse in imbarazzo, ma Sam pensava di poter credere che tra loro ci fosse un buon rapporto.

 

Allungò una mano verso Neil, alzandosi dalla sedia, “Ciao, Neil,” lo salutò, stirando appena le labbra.

 

Neil afferrò la sua mano e la strinse nella sua in modo sicuro e deciso, agitandola una volta e mollando completamente la presa subito dopo, in modo veloce, ma non affrettato: tutto in lui dava l’impressione di un carattere sicuro e misurato.

 

Afferrando una sedia da un tavolo vuoto accanto al loro, Neil la trascinò a uno dei lati liberi tra Sam ed Amber, dicendo, “Vi dispiace se mi siedo qualche minuto con voi? Sapete, non è bello stare da soli in un bar così pieno.”

 

Amber alzò lo sguardo su di Sam, alzando le sopracciglia in una domanda e Sam annuì, rispondendo.

 

“Certo,” gli rispose quindi Amber, ma Neil si era già seduto.

 

“Allora, Sam,” fece Neil, voltandosi verso di lui. Sam afferrò la bottiglia di birra e si rilassò contro lo schienale della sedia, mettendosi a proprio agio, per poi berne un breve sorso. “Non ti ho mai visto da queste parti,” commentò Neil. “Di dove sei?”

 

“Vivo in Kansas,” rispose Sam.

 

Neil alzò le sopracciglia, sorpreso, e lanciò un’occhiata ad Amber, che sorrise; poi, tornando a Sam, gli chiese ancora, “hai conosciuto lì Amber?”

 

Sam scosse la testa. “No, l’ho conosciuta l’altro giorno.”

 

“Al motel,” concluse Neil, annuendo. Prima che Sam potesse dire altro, Neil riprese, “Cosa ti porta qui, quindi?”

 

“Lavoro,” rispose Sam, scrollando le spalle.

 

“Di cosa ti occupi?” Sam non sapeva se quello di Neil fosse semplice curiosità o se lo stesse interrogando per qualche ragione a lui oscura; in ogni caso, la situazione cominciava ad irritarlo.

 

“Sam sta investigando sugli omicidi,” intervenne Amber con un sorriso cordiale, e Sam si ricordò improvvisamente di tutte le volte in cui Dean si ritrovava a dover collaborare con qualcuno a cui avrebbe preferito sparare che sorridere.

 

“Oh,” soffiò Neil, e qualcosa sembrò come spegnersi in lui. “Senza offesa, ma per me è una perdita di tempo.”

 

Sam alzò le sopracciglia. “Davvero?” disse, “e perché mai?”

 

Neil scrollò le spalle, quasi incurante. “Trovare un colpevole in mezzo a tante possibilità mi sembra un po’ impossibile,” spiegò, finendo in un colpo solo tutto il contenuto del suo bicchiere.

 

Sam provò a rispondere, ma Neil aveva chiuso l’argomento, voltandosi verso Amber e chiedendole dell’università.

 

Sam decise quindi di estraniarsi dalla conversazione e riflettere sulle parole di Neil e su quanto fossero tristemente vere. Erano davvero indietro su questo caso e Sam non aveva la minima idea su cosa iniziare. Che fosse un caso di stregoneria ormai era chiaro e questo elemento avrebbe potuto aggravare i nervi di Dean, già messi duramente alla prova dalla natura propria degli omicidi, e a buona ragione. Anche Sam ribolliva di rabbia solo a ripensarci.

 

Almeno erano riusciti a restringere il raggio d’azione del colpevole: la chiesa.

 

Ma anche in questo modo si ritrovavano con decine di sospettati e non potevano certo cercare libri di stregoneria sotto a ogni letto per tutto il convento.

 

“Sam?”

 

Sam alzò lo sguardo su Neil. “Come scusa?”

 

Neil gli sorrise. “Ti avevo chiesto se volessi favorire o meno,” gli ripeté, accennando alla bottiglia di scotch apparsa in mezzo al tavolo.

 

Sam batté un paio di volte le palpebre, prima di annuire piano. “Sì, grazie.”

 

“E tu Amber?” le offrì Neil, riempiendo un terzo del bicchiere per l’acqua di Sam.

 

Amber scosse la testa. “No, grazie, oggi mi accontento del tè,” lo assicurò e prese un sorso dal suo bicchiere come per dimostrazione.

 

I due amici tornarono a chiacchierare tra loro e Sam fu grato di poter essere lasciato in pace a pensare.

 

Non fu più così grato quando, senza quasi accorgersene, finì il terzo bicchiere di scotch e si era immerso nella conversazione degli altri due.

 

Parlarono delle facoltà universitarie, dell’esperienze del college, del Kansas e delle famiglie e degli amici e dei film usciti quell’estate; infine, parlarono della nuova sentenza della Corte Suprema.

 

“Voglio dire,” cominciò a dire Neil, “non è che io giudichi le perversioni altrui. E’- è solo che, non siamo mica in Europa, non si può chiudere un occhio su ogni pazzia, la coppia è uomo e donna e—“

 

“Se non fossi ubriaco fradicio ti picchierei fino a farti implorare pietà per i tuoi peccati,” commentò Amber e Neil scoppiò a ridere, nonostante sul viso di lei non c’era altro che serietà e malcelato disgusto. Sam sul suo viso notò solo come i suoi occhi scuri risaltassero rispetto alla pelle chiara.

 

“Ha ragione, sai,” fece Sam rivolto a Neil, che intanto si era calmato. “L’amore è amore, amico. Fattene una ragione.”

 

Neil lo fissò per un po’ di tempo, assottigliando gli occhi. “Sei una checca, per caso?” gli domandò poi.

 

Sam aggrottò la fronte e azzardò un’occhiata a Amber che, con una mano a coprirsi una guancia, osservava lo scambio con lieve allarme. “Eh, direi di no,” rispose quindi, facendo abbassare appena lo sguardo di Amber e scatenando un altro sbuffo divertito da Neil.

 

“Allora, beh, perché te ne importa?”

 

“Beh, perché se non sono le persone non direttamente interessate ad interessarsi anche a ciò che non li interessa non si potrebbe mai arrivare ad un comune… interesse,” articolò piano Sam, imbronciandosi al suono di tutte le ripetizioni.

 

Amber rise e fece, “Abbiamo un vincitore.”

 

Sam fece un gran sorriso sornione e si domandò se anche prima di tutto quell’alcol avesse avuto tanta voglia di toccare i capelli di Amber. Poi di domandò esattamente quanto alcol avesse bevuto.

 

“Secondo me invece sei una checca,” intervenne poi Neil, guardandolo in modo un po’ troppo cattivo. “E quelli come te dovrebbero finire all’inferno, a bruciare, come diceva Emerson.”

 

La mente di Sam viaggiò subito a Dean e un’ondata di irritazione si risvegliò nel suo petto. S’impose la calma e decise, invece, di versarsi un bicchiere d’acqua.

 

“Scommetto che lo siete tutti in famiglia,” continuò Neil. “Tu, tuo fratello—“ (come faceva a sapere che aveva un fratello? Oh—glielo aveva detto prima, giusto) “—anche vostro padre, scommetto.”

 

A quello, Sam sbatté un pugno sul tavolo, rovesciando buona parte dell’acqua attorno a sé e fece per alzarsi, ma Amber si alzò e lo intercettò, ponendosi tra lui e Neil, davanti all’ultimo.

 

“Secondo me avete esagerato per stasera,” disse piano Amber. “O anche per tutta la vita.”

 

Neil sbuffò, sorseggiando ancora il suo scotch e Amber si allungò a prendere la borsa poggiata sul tavolo e, tornando diritta, tirò Sam su con sé, e serrò una mano attorno al pugno ancora stretto, cercando di rilassarlo.

 

“Buonanotte, Neil,” salutò gelidamente l’amico, cominciando ad allontanarsi e spingendo Sam a fare lo stesso.

 

“’Notte, Amber,” ricambiò Neil con un sorriso, per poi ghignare verso Sam e dire, “Ci vediamo, Sam. Saluti calorosi alla famiglia,”

 

E lì Sam si disse stufo.

 

***

 

“Tutto qui?” domandò Dean, a metà tra il perplesso e il deluso.

 

“Cosa?” chiese Sam con un’espressione confusa.

 

“Hai fatto a botte, rovinato il tuo flirt con la ragazza della porta accanto e sei stato probabilmente bandito da uno delle poche bettole carine della città, solo perché ti hanno chiamato checca?” Dean aveva tanto voglia di roteare gli occhi, ma non aveva affatto voglia di vedere quell’irritante espressione saccente alla ‘ecco-da-chi-ho-preso’ di Castiel.

 

Sam sbuffò e distolse lo sguardo e Dean poté quasi leggergli il pensiero: Tu non capisci.

 

Oh sì che capisco, pensò. E lo disse ad alta voce.

 

Sam aggrottò la fronte. “Cosa capisci?” domandò.

 

“Lascia perdere,” sospirò stancamente, alzandosi dal letto. Appallottolò la busta di carta bianca del pranzo e la tirò verso il cestino – mancandolo – e si diresse poi verso il bagno.

 

In quel momento, squillò un telefono e dopo pochi attimi, la voce profonda di Castiel rispose. Dean si fermò sull’uscio per l’altra stanza, curioso di sapere chi fosse l’interlocutore. Un piccolo sorriso sul viso dell’angelo glielo fece intuire.

 

“Sì, Charlie, va tutto bene—aspetta un momento, metto il vivavoce.”

 

Dopo un paio di attimi di ricerca del tasto che Castiel non trovava mai, la voce di Charlie si spanse nella camera.

 

“--maledetti, voi non fate altro che fregarvene e far preoccupare gli altri, non avete idea di cosa—“

 

“Charlie!” esclamò Dean. “Di cosa stai parlando?”

 

“Dean!” tuonò il telefono, che Castiel poggiò prontamente al centro del tavolo, “Cercavo proprio te! Ieri mi hai scritto ‘Oggi ho il telefono scarico ti chiamo domani, ciao’. Oggi mi sveglio, aspetto fino a mezzogiorno e nulla, nessuna chiamata,” Dean lanciò un’occhiataccia a Castiel ricordandogli il ritardo di quel pomeriggio e questi ebbe la grazia di distogliere lo sguardo, “allora penso: dai, sono impegnati in un caso, si sarà dimenticato, allora ti chiamo io e nulla, telefono spento/occupato/morto, non mi interessa. Oltre all’aver trovato il bunker vuoto, senza biglietti, né cartelloni stradali, né scritte in cielo che potessero anche solo darmi un’idea che siete usciti a fare qualcosa di utile e non siete stati rapiti da vendicatori assassini come spesso vi succede—“

 

“Oddio,” sospirò Sam, strofinandosi una tempia, “Charlie, ti prego, credici, ci dispiace davvero.”

 

La filippica di Charlie di quietò e dopo qualche attimo, chiese, “Sam, ti sta venendo il mal di testa?”

 

“Sì,” lamentò Sam.

 

“BENE!” gridò allora Charlie, e Dean si fece scappare un risolino di fronte all’assurdità della scena.

 

“Comunque,” riprese Charlie, in un tono molto più civile, “dove siete?”

 

“Lubbock,” rispose Castiel, decidendo di mettersi a sedere.

 

“Lubbock… Texas?” chiese, e dopo l’assenso di Dean, aggiunse. “Ci sono stata qualche mese fa, cos’altro è successo?”

 

“Una serie di omicidi strani,” rispose Dean in modo deliberatamente vago. Incontrando lo sguardo di Dean, si accordarono il silenzio con Charlie.

 

“Che novità,” commentò Charlie.

 

“Non sono un quotidiano,” sbuffò Dean, ma gli sorse un dubbio. “Aspetta, sei stata ad una caccia qui?”

 

“Già.”

 

“Quando ci sei stata?” domandò ancora.

 

“Non ricordo bene,” rispose Charlie. “A febbraio, credo?”

 

 

 

 


Eccola

Guardate, evito direttamente tutte le ridicole e patetiche scuse che potrei tirare fuori, sembrerei solo stupida. E La Somma Autrice non può mai apparire stupida, muahah.
Comunque. Passiamo alle "spiegazioni" del capitolo.
E' un capitolo un po' di passaggio (=/= inutile) costellato da un po' di indizi ed elementi che persino un bambino di tre anni può riconoscere e collegare e che risulteranno molto utili più avanti.
Ma vi prometto che tra poco molliamo questi capitoli statici per tuffarci meglio nell'azione. Credo.
E
quanto
è
bello
scrivere
di
Charlie!!!!?????!?!?!?!!?!??!!??!?!?!?!?!!??!?!?!
Scusate, è l'emozione.
Ah, comunque, prima che mi dimentichi come ho sempre fatto da quando ho iniziato 'sta storia, vorrei dire che il titolo l'ho tratto da questo adorabile tweet risalente al famoso giugno scorso.
Grazie per la vostra attenzione, tanto amore e recensite, cavolo.

   
 
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