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Autore: Eire_    29/01/2016    1 recensioni
Irina e Eugene sono amici da quando lei ha sette anni. A dire la verità lui è il suo unico amico, e se proprio vogliamo essere precisi, è un coniglio peluches. Dopo dieci anni lui le propone di andare dove l'avrebbero apprezzata, dove si sarebbe finalmente sentita a casa.
È folle pensare che qualcuno possa vivere nella fantasia meglio che nella realtà?
È folle sperare di trovare qualcuno che capisca il vuoto che la riempie?
È folle credere di poter diventare un sogno?
Un viaggio alla ricerca di un senso, di un significato, che porterà la sua storia di incomprensioni e di solitudine ad intrecciarsi ad una folle e feroce lotta tra bene e male.
“Quando il tuo destino è deciso sempre e solo da qualcuno che ti pensa come un peso, che differenza vuoi che faccia se lo lascio nelle mani di un coniglio? Non ho distrutto la mia famiglia. Non c'è mai stata. La mia famiglia siamo io e Eugene. Il resto non importa... Il resto mi odia, l'ha sempre fatto. Se non mi odia mi crede pazza, e forse è vero... Sì, dovrei stare tra loro. Tra i pazzi.”
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1- Calamity

 

Erano circa le cinque del pomeriggio e i bambini giocavano tranquillamente nel parco per sfogarsi dopo la scuola, ognuno impegnato a cercare di conquistare l'altalena o ad accaparrarsi il pallone per poter correre in porta a fare gol.

Una bambina di sette anni era in piedi sul tavolino di una casetta del parco a fare la ramanzina alle sue compagne.

“Elena! Se Giorgio ti ruba ancora i quaderni, tu lo dici a me e io lo picchio, chiaro? E se continua gli dico anche le parolacce! Che tanto l'ho sentito che le dice anche lui.”

“Ma poi me li ha dati subito...” Si giustificò malvolentieri l'accusata, che non poté fare a meno di dondolare le gambe per poter sfogare l'angoscia che provava.

“Sì, ma ci ha sfidato, e non si fa questo. Come quando accendi la tv e la mamma non vuole, no? La spegni e lei continua a sbufforeggiare e quelle cose. Quindi ora andiamo a riempire di pugni Giorgio.”

“La mamma mi ha sgridato l'altra volta!” Gridò Elena spaventata al ricordo.

Le altre tre bambine si alzarono in piedi e cominciarono a lamentarsi tutte assieme, una cominciò a piangere. Si attaccarono al vestitino della piccola despota che accingendosi a scendere dal tavolo, spaesata dalla rivoluzione a cui stava assistendo, inciampò inavvertitamente nel braccino di Cristina, che a quel punto pianse più forte. La confusione attirò l'attenzione delle mamme, così due di loro si rialzarono per andare a controllare cosa stavano facendo le piccole, per la posizione strategica infatti, la casetta era da sempre il posto preferito dei bambini per combinare marachelle.

Le donne si alzarono nel momento esatto in cui Irina era a faccia terra, aveva il vestitino con i grandi fiori sporco e due belle sbucciature sulle ginocchia. A quella vista le compagne non poterono non trattenere una risata cristallina nonostante l'agitazione dell'attimo precedente.

Rassicurate dai rumori, le signore si arrestarono un attimo e una delle due fece per tornare indietro, poi ci ripensò e insieme decisero comunque di controllare per vedere se tutto andasse bene.

A quel punto Irina era di nuovo in piedi e si stava allontanando di gran carriera con i pugni serrati ai fianchi e scintille di odio negli occhi.

Le signore raggiunsero le tre rimaste nella casetta, ignorando quella che si stava allontanando di spalle.

“Tutto a posto monelline?”

“Cristina! Non piangere per ogni cosa!”

“Io... mamma...”

Tirò su con il naso e Elena prese la parola

“Gli abbiamo detto che non volevamo fare il suo gioco e se l'è presa.”
Le due donne si guardarono complici, come a dire poveretta sua madre; sospirarono quasi in sincrono e poi una si girò verso le bambine:

“Bene, ora andate a fare la pace con lei e giocate ancora un po' tutte assieme, che tra dieci minuti si torna a casa!”

“NO! Mamma!”

“Niente lamentele signorine, dritte a casa a fare i compiti.”

Così dicendo si allontanarono, lasciandole ai loro giochi.

Le bambine ovviamente non richiamarono indietro Irina, in fondo perché avrebbero dovuto rivolere lì la dittatrice? Anche le mamme non la volevano, lo avevano capito dagli sguardi che si erano lanciate, e poi quante sgridate per colpa sua! Certo, in classe era comoda perché i bambini la rispettavano e non tiravano loro i capelli, ma quando lei si allontanava i maschi davano vita alle peggiori ripicche. Così si limitarono a guardare le spalle della piccola che con un bastone in mano si avviava dietro i cespugli.

 

 

Irina tirò un calcio ad un sasso mentre con il bastone scriveva segni indecifrabili per terra.

Sbuffò, fece uscire il labbro inferiore e due lacrimoni caldi le rigarono la faccia.

Non dovevano ridere di lei, non voleva.

Era brutto, e quando piangeva non la smetteva più, e allora tutti ridevano ancora di più, soprattutto quando alla fine, scossa dalle lacrime, non riusciva più a fermarsi e il respiro le diventava pesante.

La maestra le diceva di smetterla, che a sette anni non si doveva piangere così, che doveva calmarsi; ma lei non ci riusciva, inspirava con la bocca piena di lacrime e muco e faceva quel rumoraccio, e i suoi piccoli polmoni la spingevano ad ansimare.

Così se doveva piangere si nascondeva, tremava un po' e poi, con i suoi tempi, tornava più distruttiva che mai. Dietro ai cespugli quindi era perfetto, ma quando arrivò lì, vide qualcosa che vinse le lacrime: un coniglio.

Bianco, tarchiato, con una corona di peli marroni intorno al musetto, le orecchie lunghe e abbassate: per la piccola fu amore a prima vista.

Si mise in ginocchio ignorando il male per le sbucciature e allungò le braccia.

“Coniglietto!”

Lui le si avvicinò e le saltò in braccio, Irina lo stritolò di coccole e lui la lasciò fare.

Tirò su con il naso, residuo del pianto che stava per cominciare un attimo prima, lo prese meglio sotto le zampe e lo allontanò dal petto. Dopo averlo squadrato un attimo esclamò:

“Gioberto!”

Il coniglio piegò la testa perplesso, poi aprì la boccuccia:

“Eugene.”
Disse con una voce profonda, baritonale.

Lei sgranò gli occhi e strinse più forte.

“Vinciberto!”

“No, mi chiamo Eugene.”

“Cavaniglio!”

“Ho detto...”

“Conigliozzo!”

“Guard...”

“Ciuffo!”

“Eugene.”
“Eugene!”

“Esatto!”

Il coniglio, per quanto fosse possibile con le sue guanciotte paffute, sorrise.

Irina si illuminò tutta.

“Posso tenerti??”

“Ma certo.”

Rispose gentilmente, probabilmente pentendosene l'attimo dopo quando quella schizzò in piedi e corse a rotta di collo dalla madre già in piedi e con la sua giacchetta in mano. Irina le si sfracellò addosso alle ginocchia.

“Ah, eccoti! Dai, dobbiamo andare... Cos'hai in mano Calamity?”

“MAMMAMAMMMA! Posso tenerlo??”

Sorrise con tutti i denti che aveva ancora in bocca -con le continue botte e cadute quelli da latte le stavano partendo in fretta- la guardò trepidante e si tenne il coniglio stretto tra le braccia.

“Ma... quel peluches? Te ne compro uno nuovo al...”

“Mamma! Questo!”

“Irina, non farmi fare la figura... Che poi dove l'hai preso? È di qualche bambino? Dai, lascia perdere quel giocattolo.”
“Non lascio qui Eugene.”

La piccola si impuntò.

“Oh, santo cielo! Aspetta...”

Si girò verso le altre donne

“È di qualcuno dei vostri bambini?”
Scossero tutte la testa, qualcuna fece l'accenno di un sorrisetto, e Marta si sentì morire dalla vergogna, doveva chiudere l'ennesimo capriccio della figlia in fretta.

“Sicure? Non sembra fatto male... E se fosse una cosa di un drogato? No no! Irina, questa non me la fai. È pericoloso, punto.”

“Ti prego...”

“Ho detto no! Non serve che ti aggrappi alla mia maglia.”
“Non ti chiederò più niente.”
Sfoderò gli occhioni dolci e la madre, stanca, la guardò meglio cercando di capire se quel peluches avrebbe significato davvero pace per le sue orecchie. Decise impulsivamente di sì, e poi non voleva passare una buona mezz'ora lì al parco a discutere, tanto più che stava alzandosi un venticello e non aveva intenzione di sopportare sua figlia a casa un'intera settimana con l'influenza.

“Allora...”
“Di' di sì, mamma, di' di sì!”

“Niente lagne per tutta la settimana?” La donna avvicinò il volto a quello della figlia.

“Sì, sì!”

“Non urlerai prima di andare a scuola?” Portò i pugni ai fianchi, per assumere una posizione più minacciosa.

“Sì, sì!”

La bambina aveva le ciglia aggrottate, la sua faccia era implorante e aveva piegato le gambine come per farsi ancora più piccola di quanto già non fosse.

“Niente liti con...”
“Sì Mamma!”

La donna sospirò.

“Ok, ma farai...”

Irina si mise a gridare di gioia, ma la madre la prese per una spalla e con l'altra mano le mise un dito davanti alla bocca per zittirla e farle ascoltare ciò che le stava dicendo.

“Ma farai bene a mantenere ciò che hai detto, ci siamo capite?”

La squadrò con lo sguardo più cattivo che riusciva a fare, e la piccola mosse la testa in su e giù vigorosamente

“Bene. Ora, a casa.”

 

In quella arrivarono anche le altre tre bambine, che vedendo il peluches di Irina cominciarono a guardarlo ad occhi sgranati e ad avanzare richieste.

“Mamma... Irina non fa la brava, posso avere anche io un giocattolo?”

“Anch'io, mamma! Guarda che bello, Me lo prendi?”

Le signore gestirono la situazione promettendo delle caramelle una volta tornate a casa. Così, in quell'attimo di caos generale, Marta ne approfittò per prendere figlia e coniglio e sparire dagli sguardi furiosi delle amiche; se tali potevano definirsi: passavano metà del tempo a parlare di quanto i loro pargoli stessero facendo progressi e l'altra metà a spiegarle come avrebbe dovuto gestire la sua piccola peste. Per non smentirsi, Irina alzò la testa quel tanto che le occorreva per fare una boccaccia alle compagne, mentre avanzava veloce in braccio alla madre.

“Irina, perché non puoi fare la brava come tutti gli altri?”

Sbottò la donna appoggiando la bambina per terra dato che si erano distanziate abbastanza dal parco. Per una volta aveva davvero intenzione di aspettare che la figlia le rispondesse, ma si accorse di essere sporca di terra.

“Santo cielo! Cos'è successo qui?”

Controllò più in dettaglio il fianco dove prima teneva Irina, dopodiché si girò a guardare meglio la bambina, lei ne approfittò per allungare le braccia e cercare di riprendersi il coniglio.

“Signorina! Cos'hai combinato?”

Le si accovacciò davanti per guardare meglio il mento arrossato e le ginocchia rovinate come i palmi.

“Cosa hai fatto, eh?”

Irina abbassò il viso e guardò di lato, poi cominciò a parlare con una vocina lamentosa.

“Mi hanno spinto giù e poi hanno riso di me. Sono state cattive ma Eugene mi ha detto che è mio amico, quindi non me la prendo.”

Guardò la mamma alzando gli occhi, ma sempre tenendo il mento abbassato. Le altre donne intanto si stavano avvicinando, lo si capiva dalle voci gaie che si sentivano sempre più forti.

“Sono brava mamma? Non ho pianto come una bambina piccola e non mi sono nemmeno arrabbiata...”
“Ne avevi combinata un'altra delle tue e le altre se la sono presa.” Sbuffò, “No Irina, non va bene. Ma ora andiamo che non ho voglia di vedere nessuno. Chi è Eugene? Un nuovo compagno di classe? Davvero ti vuole come amica... L'hai picchiato?”

“Eugene è il coniglio mamma! Ed è più simpatico di te!” Continuò con voce lamentosa.

“Santo cielo! E piantala con questo peluches, che se mi gira te lo butto nel bidone.”
“Mamma!” Gridò la piccola spaventata.

“Ah! Ci tieni davvero? Beh, allora a casa senza storie se lo rivuoi intero.”
Tenendola per la nuca per spingerla, la fece marciare in silenzio fino a casa e la bambina, stranamente, collaborò senza nemmeno una lamentela.

Le due entrarono nell'ascensore, Marta premette il pulsante per il terzo piano e approfittò di quei secondi per osservare la figlia e chiedersi, visto il suo comportamento così strano -pacifico- se per una volta non avesse raccontato, a suo modo, la verità.

Scesero dall'ascensore e raggiunsero la porta dell'appartamento, e il pensiero si dissolse più in fretta di quanto non si fosse creato quando, cercando le chiavi in borsa, si rese conto di ciò che aveva in mano: il peluches.

Quando si ostinava a volere qualcosa niente le faceva cambiare idea, così il suo demonietto si era travestito da agnellino solo per riavere il trofeo.

Potrei buttarglielo davvero, così per una volta imparerebbe che non può avere tutto. E poi cosa ne so? Sarà pieno di malattie questo coso, magari era di zingari... Non mi piace. Lo devo buttare.

 

 

Ecco cosa le passava nella testa quando varcò l'ingresso, ma suo marito non colse i suoi pensieri. Così quando le si avvicinò per salutarla le prese il giocattolo dalle mani.

“Ehi, ehi! Mi stai tornando bambina?”

“Senti, lascia perdere, tua fi...”

A quella lui la abbracciò per baciarla e Irina ne approfittò per acchiappare Eugene dalle sue mani prive di resistenza, e se la svignò in camera sua.

“Allora? Cosa ha combinato Calamity?” disse, posandole una mano tra i corti capelli castani.

“Il peluches... l'ha preso da terra, zingari, boh. E poi si è azzuffata ancora con le sue compagne, lei dice di essere caduta ma ha l'aria di una che ne ha combinata un'altra... Come se le avessi mai visto un'altra espressione...”

“Dai, ora calmati. Tu prepara del caffè, io vado a parlarle.”

Il marito la tenne per i fianchi e la guardò negli occhi, le sorrise dolcemente e poi le diede un bacio di sfuggita. La donna strizzò gli occhi, poi fissò il marito.

“Non voglio che quel peluches rimanga qui, è chiaro? Non volevo nemmeno ridarglielo. A tenerlo in mano avevo i brividi.” Strinse le spalle ricordando la sensazione avvertita un attimo prima. “Chissà di chi è...”

“Certo, certo! Dai che ora sistemo tutto io.”

La donna non replicò, appese la giacca e si avviò verso la cucina mentre Alessandro si diresse nella stanza della piccola.

 

“Allora! Fa' vedere a papà il giocattolo nuovo!”

Irina era per terra a gambe divaricate per non dovere appoggiare le ginocchia arrossate, la giacca era stata frettolosamente appoggiata sul letto e il coniglio stava lì, seduto tra le sue gambe. L'uomo era stato previdente, quindi aveva già con sé il disinfettante e il resto dell'occorrente, ma nonostante si fosse prefissato di fare una predica alla piccola, la scena lo fece sorridere e perse in un attimo tutta la serietà con cui aveva intenzione di iniziare il discorso.

“Papà, lui è Eugene.”

Disse la piccola guardando intensamente l'uomo.

“E ha detto che sarà mio amico solo se non gli dirò bugie e se potrà fare parte della famiglia.”

Alessandro rimase spiazzato della serietà con cui la figlia aveva posto la richiesta, e dal fatto che per una volta chiedesse qualcosa senza piangere o frignare.

“Allora papà? Può essere il mio fratellone?”

L'uomo tentennò, poi scoppiò in una grossa risata.

“Da' qua, fammelo vedere.”
La piccola lo consegnò obbediente e l'uomo ne rimase colpito. Esaminò dunque l'oggetto del contendere trovandolo di ottima fattura, le cuciture non si vedevano nemmeno, il pelo era perfetto, morbido e liscio. Non fosse stato per gli occhi di plastica e la consistenza che sentiva tra le sue mani -un'imbottitura morbida con dei semi dentro che facevano da peso- lo avrebbe preso per vero.

Così decise che un giocattolo del genere non poteva essere di gente malfamata.

Se proprio, dobbiamo preoccuparci di una denuncia di smarrimento, probabilmente costa parecchio, pensò, quindi prese alla svelta una decisione e annunciò:

“Lo teniamo in prova per una settimana. Se il suo proprietario si rifà vivo dovrai restituirglielo, altrimenti lo puoi tenere. Va bene?”

Irina lo guardò estasiata.

“Nessuno lo cercherà, me l'ha detto lui!”

Sorrise e allungò le braccia, ma il padre invece di restituirglielo se lo portò all'altezza degli occhi e proclamò

“Coniglio Eugene, il qui presente Alessandro Faltieri ti nomina membro in prova della nostra famiglia.”

Lo ripose nelle mani della figlia, che già stava emettendo gridolini di gioia.

“Trattalo bene, mi raccomando.”
“Sì! Sì, sì e sì!”

“E metti a posto la giacca!” Intimò uscendo dalla stanza, poi chiuse la porta e si voltò.

“Tu... cosa?”

Marta, davanti a lui in piedi, stava cercando di incenerirlo con lo sguardo.

 

 

 

Angolino dell'autore (piccino perché il capitolo è già molto lungo)

Beh, che dire… Ringrazio anche qui anche solo quelli che danno una chance alla storia anche solo aprendola. Spero di riuscire a postare almeno un capitolo a settimana, dato che ho il tempo per scriverli.

Spero che il capitolo sia a posto e soprattutto che sia logicamente coerente, mi scuso ma non sono ancora riuscita a trovare qualcuno che mi revisioni il testo >.<.

Ecco, se avete domande fatemele, perché molto si spiega (?) nel prossimo capitolo, ma potrei aver dimenticato dettagli vari a cui non ho pensato.

Grazie ancora! :D

 

 

  
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