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Autore: Stephanie86    31/01/2016    4 recensioni
Tutti vogliono salvare Emma.
Tutti vogliono trovare un modo per liberarla dall'oscurità prima che la divori.
Ben presto, però, Regina - e gli altri - si rende conto che per raggiungerla e aiutarla avrà bisogno di aiuto. E non di un aiuto qualsiasi.
Lily è sempre stata legata ad Emma, fin dal principio. Ha sempre dovuto lottare contro il potenziale oscuro che gli Azzurri e l'Apprendista hanno trasferito in lei. Cosa accadrà quando la sua oscurità incontrerà quella della nuova Emma? Dove la condurrà il filo rosso che la unisce al nuovo Signore Oscuro?
Regina diventerà davvero la Salvatrice?
[Spoiler! per chi non segue la messa in onda americana | Pairing: principalmente Swan Queen e Swan Star]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Lily, Regina Mills, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lost and Found'
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7

 

 

 
Storybrooke. Oggi.

 

Lily non aveva idea di dove si trovasse.

Il posto era in penombra. Una vaga luce biancastra entrava dalle finestrelle alle sue spalle. C’era un tavolino ingombro di oggetti al centro dello stanzone, ma non riusciva  distinguerne bene i contorni.

Però vedeva bene gli acchiappasogni.

Gli acchiappasogni che erano ovunque.

Erano appesi alle travi del soffitto e alle pareti, decine e decine di quegli affari folkloristici. Cerchi di salice con una rete interna e le piume colorate. Erano diversi rispetto a quello che aveva visto in quell’appartamento a New York.

“Non riesco a credere che sia sopravvissuto tutto questo tempo”, aveva detto Emma, quando aveva visto l’acchiappasogni.

“Questo posto era di...”

“Si chiamava Neal. È stato... molte cose per me. Ed ora non c’è più. Per colpa sua”.

Zelena si era limitata a regalare una delle sue smorfie. “Scusa?”

Lily fece un giro su se stessa e poi allungò una mano verso uno dei tanti acchiappasogni. Ne sfiorò le piume rosse e poi lo prese. Sì, erano diversi. Non erano come quello di Neal. C’era qualcosa di strano e di inquietante in tutti quei cerchi. Emanavano energia. Fascino. Potere. E non era niente di buono, su questo non c’erano dubbi. L’Oscuro che rubava il piccone di un nano. L’Oscuro che minacciava una fata a caso, una fata che non era nemmeno a Storybrooke, come se volesse mettere in chiaro che chi comandava lì era lei... l’Oscuro che portava via i ricordi e accusava la sua famiglia di aver fallito. L’Oscuro che viveva in una bella casa. Che sosteneva che Regina non avrebbe mai potuto essere la Salvatrice. Ed ora gli acchiappasogni.

Poi sollevò lo sguardo e vide Emma.

La stava fissando con quei suoi magnetici occhi verdi. Le labbra erano pressate in una linea piatta. Il pallore del suo viso era accentuato dalle ombre che aleggiavano nello stanzone.

Avanzò verso di lei.

 

Lily si svegliò di soprassalto e per poco non ruzzolò giù dal letto.

Si era addormentata vestita e con le cuffie dell’IPod nelle orecchie. La musica taceva e lei aveva la fronte imperlata di sudore. Guardò l’orologio sul comodino e vide che erano quasi le otto.

Il sogno iniziò a sbiadire, a perdere la sua coerenza. Una gran bella cosa. Però l’immagine di Emma che la osservava, il luccichio di quegli occhi... quello rimase. Rimase, come un avvertimento. Una minaccia. Un mano oscura che aleggiava sopra di lei.

- Lily? Sei sveglia? – le gridò sua madre dalla cucina.

Gli acchiappasogni. Tutti quegli acchiappasogni.

Brancolò per padroneggiarsi e scacciare anche quelle ultime immagini. – Sì!

Per quale motivo sogno gli acchiappasogni?

Ma sapeva che spesso i sogni non avevano una logica precisa. Erano fatti di simboli. Di simboli da interpretare. Molte volte non era facile capire che cosa significassero e quando ti destavi cominciavano a svanire, impedendo una reale comprensione di ciò che avevi visto mentre dormivi.

- Lily? – Malefica doveva aver detto qualcos’altro, ma se l’era perso. – Ti sei rimessa a dormire?

- No. – rispose, subito. La sua mente, a margine, stava anche notando che nessuno le aveva mai preparato la colazione, prima d’ora. Malefica era venuta apposta per farlo. Cercò di immaginarsela mentre spadellava e quell’idea avrebbe dovuto rassicurarla, farla ridere... ma non la rassicurò affatto.

- Un toast o due?

- Due. - Non aveva idea di che cosa stesse dicendo. Aveva lo stomaco chiuso e una brutta sensazione che le opprimeva il petto. Come se la stranezza del sogno si fosse insediata proprio lì, vicino al cuore. - Bruciacchiati.

- Come vuoi.

Lily richiuse un attimo gli occhi, ma in quell’istante di oscurità rivide quelli verdi dell’Oscuro. Li riaprì immediatamente e, quasi di corsa, entrò in bagno, aprì la doccia e si ficcò sotto l’acqua, talmente calda che quasi scottava la pelle.

Non gliene importava.

 

***

 

Camelot. Cinque settimane prima della maledizione.

 

Regina aveva rovistato tra i libri e le pozioni presenti nella Torre di Merlino e non era ancora riuscita a cavare fuori la maledetta Sfatastrega. In quel posto polveroso e pieno di tarli sembrava esserci ogni cosa, a parte ciò di cui lei aveva davvero bisogno.

Robin era appena uscito per andare a prepararle una tazza di tè, ma Regina era sicura di non potersi calmare con una tazza di tè. Doveva trovare una soluzione e doveva trovarla in fretta. Comunicare con Merlino e liberarlo era la loro priorità. La priorità di Emma. Merlino poteva scacciare l’oscurità...

Si voltò. Zelena sedeva in un angolo, muta e annoiata. Levò gli occhi al cielo.

- Ricordati che sei qui solo perché così posso tenerti d’occhio – le disse Regina. – Cara la mia serva muta... non ti conviene alzare gli occhi al cielo, con me.

Zelena aprì la bocca per dire qualcosa, ma naturalmente non uscì neanche un suono. Al polso era ancorato il bracciale nero che inibiva i suoi poteri. Da quando le aveva tolto la voce perché non si mettesse a chiacchierare più del dovuto, Zelena non aveva fatto altro che roteare gli occhi e riservarle smorfie o sguardi fulminanti.

- Stammi a sentire... – cominciò Regina.

Lily entrò nella Torre, guardandosi in giro. La figlia di Malefica aveva deciso che gli abiti di Camelot non facevano per lei e aveva indossato le cose più normali che aveva trovato. Una camicia di lino sotto una giubba in cuoio senza maniche e i pantaloni in pelle infilati negli stivali.

- Che ci fai tu qui? – chiese Regina.

- Sono venuta a dare un’occhiata. E anche a dare una mano. So che stai cercando qualcosa per poter comunicare con Merlino.

- In effetti sì. Perché tu vorresti aiutarmi?

- Io sono qui per aiutare Emma. Non te.

Regina si domandava perché Malefica non la costringesse ad abbassare la cresta. Fu il suo turno di levare gli occhi al cielo. – D’accordo. Allora datti da fare.

Lily si avvicinò al tavolo pieno di scartoffie e libri di magia. Difficile dire da dove fosse giusto cominciare. – Hanno preso il mago che ha incantato la spada di Percival. Artù l’ha buttato in prigione.

- Bene. Almeno un problema è risolto. Mi auguro che abbia incantato anche le sbarre della cella.

- Non è un mago così potente. A guardarlo si direbbe più un ciarlatano.

Regina aprì un altro volume, un grosso tomo rilegato in pelle, con le pagine così ingiallite da farle credere che si sarebbero sbriciolate non appena avrebbe cominciato a sfogliarle. – Un ciarlatano che ha comunque incantato una spada destinata ad essere usata per uccidermi. E una collana. Vorrei ricordarti questo.

- Ed io vorrei ricordarti che quel cavaliere voleva ucciderti perché tu hai ucciso la sua gente. Cosa avresti fatto al posto suo?

Zelena sorrise, divertita.

Regina richiuse il libro. Cercava in tutti i modi di non lasciarsi irritare dal tono di quella ragazzina. Che poi non era una ragazzina, dato che aveva l’età di Emma.

Le ultime giornate erano state faticose. Erano ore che frugava in mezzo alle pagine e agli incantesimi. Era dal momento in cui aveva messo piede a Camelot che si sforzava di recitare la parte della Salvatrice, anche ora che Artù sapeva che lei era stata la Regina Cattiva. Era dalla notte del sacrificio di Emma che la sua mente vorticava senza posa. – Mi dispiace molto. Quello che è successo l’altra sera avrei voluto evitarlo. So che è difficile per te... hai salvato la vita di Robin e, in fin dei conti, anche la mia. Se non fossi intervenuta...

- Io non sono intervenuta. Sai cosa ti dico, non volevo nemmeno salvare la vita di quella testa vuota del tuo uomo. – scattò Lily, gli occhi come tizzoni ardenti. - Se non fosse stato per te, non sarebbe successo niente. Non avrei usato la magia e non l’avrei ucciso! E poi vuoi che tutti credano che tu sia la Salvatrice?

Regina lottò contro l’impulso di metterle le mani al collo. D’improvviso era furente. Prima era dispiaciuta per Lily, perché riusciva ad immaginare come si sentisse dopo aver arso vivo un uomo che l’aveva persino invitata a ballare un attimo prima. Ora era furente e offesa in un modo che non riusciva a spiegare. – Io l’ho fatto per proteggere Emma! Nessuno deve sapere che lei è Salvatrice, perché la costringerebbero ad usare la magia! Ed è magia nera!

- Sei brava a convincerti di questo. E sei brava anche a costringere gli altri a crederlo.

- Come?!

- Ti ho vista, in cima a quella scalinata. La Regina Cattiva che recita la parte della Salvatrice e si gode il momento di gloria! Era quello che volevi. Che tutti ti vedessero come una Salvatrice. Che ti vedessero come vedevano Emma.

Zelena si sentiva invasa da una potente sensazione di ilarità, un’inguaribile forma di follia. Sarebbe rimasta là ad ascoltarle per ore. Finalmente assisteva a qualcosa di interessante! Avrebbe voluto assistere anche alla scena in cui la figlia dell’amica di Regina bruciava vivo uno dei burattini del sovrano. Sperava che non cogliesse l’occasione per bruciare anche sua sorella, perché distruggere Regina era un compito che spettava a lei, non ad un giovane drago pieno di rabbia e oscurità, rabbia che avrebbe dovuto convergere contro i due imbecilli che l’avevano maledetta.

- Non ti permetto di rivolgerti a me con questo tono. Tu non sai niente! – sibilò Regina, puntandole contro un dito. La collera le impediva quasi di parlare.

- So abbastanza. Quelle come te... – disse Lily, avvicinandosi. – Come noi... non possono essere Salvatrici. È come sperare che Biancaneve sia davvero la ragazzina che parla con gli uccellini.

- Forse tu non puoi esserlo. Ma io sono in grado di farlo. Sono capace di proteggere le persone che contano, per me.

- Non lo stai facendo molto bene, allora. Hai un passato troppo pesante. Ovunque tu vada, quello che hai fatto ti perseguita. Così come l’oscurità ha sempre perseguitato me. Non te ne libererai mai. Ci sono troppe persone che ti odiano per quello che hai fatto loro. Non potrai mai essere ciò di cui Emma e Storybrooke hanno bisogno.

- Questo è tutto da vedere! – Improvvisamente rivide se stessa mentre diceva ad Emma che quello che era accaduto a Lily non era affatto colpa sua. Pensavano che fosse morta, così come aveva raccontato quel barbone puzzolente nel vecchio stabile di Lowell. Improvvisamente udì la voce di Emma, della vecchia Emma già minacciata dal male, che rispondeva...

“Sei sicura? Hai sentito quel tizio? Lei aveva una vita difficile, oscura... quell’oscurità era la mia! O avrebbe potuto esserlo”.

- Vai a farti un giro. Anzi, un volo! – aggiunse Regina, tornando a concentrarsi sui libri. - Credo che tu ne abbia bisogno. Incendiare qualche boschetto ti aiuterà a chiarirti le idee.

Zelena alzò di nuovo gli occhi al cielo, ma questa volta la sorella non la vide. Lily lanciò un’occhiata di sbieco alla strega e poi lasciò la stanza, non prima di aver gettato a terra con una manata un cumulo di scartoffie.

Regina era stupefatta. Incredula. Non riusciva a capire che cosa stesse succedendo. Non aveva più il controllo su niente.

- Cosa c’è? – chiese a Zelena, notando il suo sorriso smagliante.

Lei scrollò le spalle e poi indicò l’uscita.

- Va bene – esclamò Regina. Con un gesto della mano le restituì la voce. – Se devi per forza aggiungere uno dei tuoi commenti, tanto vale che tu lo faccia.

Zelena si profuse in un’esclamazione di sollievo e si portò le mani alla gola. – Oh! Oh, finalmente, riecco la mia voce, così limpida e femminile! Giusto in tempo per dirti quanto mi stia simpatica quella ragazza. È andata molto vicina ad incendiare e distruggere questa bellissima torre, l’hai sentito, vero?

In effetti sì. L’aveva sentito. Un’onda di potere in procinto di saltare in aria.

- Resta il fatto che ha cercato di darmi fuoco, come ha fatto con quel... Percival, giusto? Ma... non si può essere perfetti. – continuò Zelena. – A proposito, ho notato che la tua pelle sta assumendo una sfumatura verde, sorellina. Non ti dona molto. Credevo fosse il nero il tuo colore.

- Ma di che parli? – chiese Regina.

- Oh, non parlo solo di questo – disse Zelena, portandosi le mani al ventre. – Parlo di quel drago, quello che non sopporti, perché ha avuto il coraggio di dirti che puoi essere tutto, a parte una Salvatrice. Non solo; ti ha rubato la scena al ballo e... oh! Guarda, anche l’unica amica che eri riuscita a trovare!

Mise una particolare enfasi nella parola amica.

- E poi credevo che ti piacessero i draghi, sorellina. – continuò Zelena, imperterrita. - Sai, quando vivevo ad Oz e non ero occupata a trovare un modo per cambiare il passato, ti ho osservata spesso. A volte passavo ore ad osservarti e a studiare le tue mosse... per conoscerti meglio.

- Non ti è servito a molto, a quanto pare.

- Oh! In realtà è stato assai utile! Ho scoperto particolari interessanti. La tua predilezione per i draghi, per esempio. Ce ne sarebbero di cose da raccontare a Robbie...

- Tu non racconterai un bel niente. E basta con queste chiacchiere inutili. – replicò Regina, seccamente. – Dovremmo parlare della tua pessima idea di scappare ad Oz, piuttosto.  

Zelena tacque.

- Lo sai che non puoi sottrarre questo bambino a Robin.

Lei le rivolse un sorriso. – E puoi biasimarmi? Intendi portarmelo via. Questo bambino potrebbe essere l’unica persona in grado di amarmi veramente.

- Devi meritartelo, quell’amore.

- Il punto non è questo. Qualsiasi cosa io faccia, non andrà bene in ogni caso. Tu vuoi questo bambino. Vuoi crescerlo con Robin! – Scandiva ogni parola, buttandola fuori come un colpo di tosse. La sua voce stava diventando stridula. – Pensi di averne il diritto, perché ora ti senti un’eroina. Ma sai cosa ti dico? Puoi avermi sconfitta con la magia bianca, ma non prenderai mio figlio.

Regina incrociò le braccia. - Questo dipende da te, Zelena. Quello che desidero è che questo bambino cresca protetto e abbia la sua migliore chance.

- No. Questo dipende anche da te. Dovresti occuparti del figlio che hai già. Oppure... occupati di risolvere il tuo problema, se ne vuoi uno. Problema che ti sei procurata da sola, a dire il vero.

Regina le chiuse la bocca, ritrasformandola nella sua serva muta. Zelena boccheggiò, arpionandosi il collo.

- Per oggi hai parlato abbastanza – concluse.

 

 
Suo padre non riuscì a portare a casa la Corona Scarlatta.

Aveva recuperato il fungo nella Foresta della Notte Eterna per poi vederselo portare via da un cavaliere sbucato dalle acque del lago. Ma Artù era rimasto impressionato dal suo coraggio. Per questo lo aveva nominato cavaliere e gli aveva offerto il seggio più importante della Tavola Rotonda, quello che un tempo era appartenuto ad un altro uomo del re, Lancillotto del Lago. Il posto destinato alla persona con il cuore più puro. Il Seggio Periglioso.

Emma era felice per suo padre, ma doveva trovare una soluzione per tirare fuori Merlino da quell’albero. Lily aveva provato a comunicare di nuovo con lui, ma non aveva udito più niente. Era stato come chiamare a gran voce qualcuno che era precipitato in un gigantesco buco nero.

Dopo la cerimonia dell’investitura di Azzurro, Emma scese nelle prigioni. Addormentò le guardie per evitare che le facessero domande o le impedissero di arrivare alla cella del mago che aveva incantato la spada di Percival. Non avrebbe dovuto usare la magia, ma era solo... solo un piccolo incantesimo.

Knubbin era sveglio. Indossava ancora la camicia tutta sbrindellata e i capelli gli stavano ritti sulla testa. – Ma guarda, una visita! Non è più tanto difficile trovarmi, vero? Una volta non lo sarebbe stato neanche per gli uomini di questo re. Mi avrebbero trovato solo se io avessi desiderato essere trovato. Ma i tempi bui arrivano per tutti. Anche per me. Ultimamente non c’era più molta gente disposta a farsi aiutare dal sottoscritto. Cosa posso fare per voi, tesorino?

- Mi chiamo Emma. Emma Swan.

- Emma, ma certo. Che nome delizioso. – Si tirò su. La sua schiena scricchiolò e anche il collo. – C’è qualcosa in voi, Emma. È... qualcosa che portate. Vero? Qualcosa di molto grande. Non riesco a metterlo a fuoco con chiarezza, ma se siete venuta qui per chiedermi di liberarvene, non sono la persona adatta. E anche se lo fossi, sono bloccato in questa cella. E la cella è protetta da un incantesimo. Molto antico. Non sono in grado di scioglierlo.

- Ma siete in grado di incantare una spada. E stando a quello che mi ha detto Granny... anche un mantello. – Emma si avvicinò di più alle sbarre della buia prigione. Avvertiva l’incantesimo di cui parlava il mago. Una protezione contro chiunque avesse tentato di scappare.

- Incantare una spada non è così difficile, tesorino. Neanche incantare un mantello. Ma il mantello fu una grande idea. Ho incantato il mantello di quella ragazza e anche il ciondolo. Beh, il ciondolo era di sua madre. Aspettate, si chiamava... è proprio qui. – Si indicò la tempia. – Anna? Annette? Ah, ecco. Anita. Quella era la madre. La ragazza si chiamava Red. Ma non aveva i capelli rossi.

Emma avrebbe voluto interromperlo, ma non lo fece.

- E il cavaliere che è venuto da me era così determinato! Non potevo certo sapere per chi fosse la spada. Ovviamente doveva essere destinata a qualcuno, perché incantarla, in caso contrario? Incanti una spada se vuoi usarla contro qualcuno dei tuoi demoni personali. Anche se Persico non ha parlato di un demone, in realtà. – Interruppe il suo sproloquio per grattarsi la barba e arruffarsi i capelli. Il corvo se ne stava appollaiato sulla branda. – Un angelo della morte, ecco come l’ha definito. Molto affascinante.

Anche Emma lo trovò affascinante. Pensare a Regina che calava come un angelo della morte su un villaggio e uccideva decine di innocenti aveva un che di terribile e cattivo, oscuro... eppure era anche enormemente affascinante.

Si riscosse. – Sentite, Knubbin... devo liberare una persona. È intrappolato da molto tempo. Mio padre aveva trovato qualcosa che ci avrebbe permesso di comunicare con lui, ma non è riuscito a recuperarlo. Un fungo.

- La Corona Scarlatta! – esclamò Knubbin, saltando in piedi. Mosse qualche passo strascicato, approssimandosi alla sbarre. – Certo, certo. La Corona. Si trova nella Foresta della Notte Eterna. Non ditemi che vostro padre è andato laggiù! Immagino che nessuno si sia curato di avvisarlo del cavaliere fantasma che abita le acque intorno al luogo in cui cresce la Corona. Non che qui ci sia qualcuno che conosca a fondo la leggenda... tutte le leggende hanno un fondo di verità, solo che la gente si rifiuta di crederci. Viviamo in un mondo strano.

- Possiamo recuperarla?

- Oh, non direi, tesorino. Le acque di quel luogo sono profonde e oscure. Niente riemerge di solito. Vostro padre deve essere stato fortunato. Ma forse voi... forse voi avreste qualche possibilità.

- Esistono altri modi per comunicare con lui, vero? Ho bisogno di sapere che cosa mi serve per liberarlo.

- Beh, certo. Questa è una situazione assai complicata. Vedete,  tesorino, solitamente questo richiederebbe un prezzo. La magia ha sempre un prezzo, no? Io sono una persona gentile, mi basta poco. Percival mi aveva pagato bene ed era il primo dopo molto tempo, tempo che ho passato seduto davanti a casa a guardare le carote crescere...

Le salì in gola una risata isterica e riuscì miracolosamente ad imbottigliarla. Tremotino, invece, appoggiato al muro della prigione, non la imbottigliò. Ridacchiò di gusto.

- Un prezzo! – esclamò. – Lui vuole stipulare un accordo con noi! Ne ho visti di ciarlatani, in tutti questi anni...

- Sta zitto – rispose Emma, seccamente.

- Zitto, io? – domandò Knubbin. – Diamine, io sono una persona a modo, conosco le buone maniere e voi mi dite di stare zitto, tesorino?

- Non parlavo con voi – replicò Emma.

- E con chi, allora? Oh, capisco. – Knubbin picchiettò di nuovo l’indice contro la tempia. – Parlate con i vostri demoni. Che aspetto hanno?

- Dov’eravamo rimasti, Knubbin? – lo interruppe Emma. - Non ho tempo da perdere.

- In prigione, ecco dov’eravamo – disse il mago, guardandosi i piedi. – Ah, ma voi intendete con il nostro discorso! Naturalmente. Allora, dicevamo... non avete la Corona Scarlatta e questa è una brutta notizia. Avete un oggetto di questo mago, forse? No, sarebbe la strada più lunga. Meglio di no.

Emma restò in attesa, mentre Knubbin si scervellava.

- Occorre... occorre scoprire che cos’è accaduto, sì. È necessario scoprire perché è stato intrappolato ovunque si trovi. Ci vorrebbe una sfera magica. Non ho sfere magiche, purtroppo. Ne avevo una, ma è rimasta nella mia umile dimora e non posso certo uscire per andare a prenderla.

Ad Emma sovvenne qualcosa. Si formò un’immagine, nella sua mente. E si diede dell’idiota per non averci riflettuto prima. – Certo... scoprire cosa gli è successo. I suoi ricordi...

- I suoi ricordi sono importanti. I ricordi sono sempre importanti. – borbottò Knubbin. Ora parlava più con se stesso, roteava gli occhi e spostava il peso da un piede all’altro. – I ricordi vanno custoditi gelosamente. Non si dovrebbero cancellare i ricordi. Non che io non l’abbia mai fatto, ma erano circostanze particolari. Mi hanno implorato di farlo, se capite cosa intendo.

- Farò in modo che Artù non vi condanni a morte. – concluse Emma, girandosi per andarsene. – E forse riuscirò a farvi uscire da qui.

- Siete generosa! Questo è un buon prezzo, davvero. Meglio di tutte le monete d’oro che Persico mi ha offerto per incantare la spada!

Emma smise di ascoltarlo. Si incamminò lungo il corridoio buio. Tremotino la seguì.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

Lily era al Granny’s in attesa della sua ordinazione, quando Uncino entrò e si diresse verso il tavolo al quale era seduto Robin, intento a mangiare un hamburger. Aveva un’aria cupa e pensosa mentre prendeva posto davanti al ladro.

Lily scrutò l’orologio. Sua madre sarebbe dovuta arrivare di lì a poco, ma lei era troppo nervosa e avrebbe voluto trovarsi da tutt’altra parte. Pensava ad Emma. Pensava alla porta chiusa in casa dell’Oscuro, che stonava con tutto il resto. Pensava a cosa potesse esserci dietro quella porta. E dato che la sua mente continuava a tornare là, un motivo doveva pur esserci.

“Perché mi stai dicendo questo? Ti dispiace avermi tolto i ricordi? Ho sentito cos’hai detto a Regina. Abbiamo fallito”.

“Gli altri hanno fallito, Lily. Tu no. Tu non hai fallito. Né tu né Henry avete fallito”.

Granny le piazzò davanti la sua ordinazione.

- Avevo ordinato delle tapas – osservò Lily, sollevando un sopracciglio. – Non tutta questa roba.

- Non mi risulta – rispose la vecchia, mostrandole l’ordinazione. – Fino a prova contraria, so ancora leggere. Ah, è tutto pagato. Deve essere stata sua madre.

Lily scrutò il foglietto che Granny le aveva lasciato. In effetti il numero del tavolo era giusto, ma l’ordinazione era diversa. Aveva la testa da un’altra parte, ma ricordava benissimo ciò che aveva chiesto al cameriere. Patatas bravas rosso fuoco con asparagi annegati nell’aceto. E lui la stava ascoltando.

Adesso aveva davanti...

No, ti prego.

Non era stata sua madre, ne era certa.

“È roba da fast food, ma sai, con la partenza...”

“Adoro il fast food. Quest’atmosfera... divisione dei compiti, regole di casa! Sembrate venuti fuori da una pubblicità”.

Il cibo che aveva davanti era effettivamente roba da fast food e, ci avrebbe giurato, erano le stesse cose che aveva mangiato quella sera, quando era stata ospite della famiglia affidataria di Emma. Persino i cartoni che contenevano panini, patatine e anelli di cipolla erano gli stessi. Non ricordava più i nomi di quelle persone, ma ricordava l’atmosfera... le stanze in perfetto ordine, oggetti preziosi, il cartello con le regole per una vita tranquilla e ordinata appeso alla parete della sala da pranzo. Mentre i due coniugi recitavano una noiosissima preghiera che lei aveva finto di ascoltare, la sua mente stava già riflettendo su quanto sembrasse finta, innaturale quella perfezione. Certo, pensava anche a quanti soldi avrebbe potuto trovare facendo un giretto in quella casa...

Lily appallottolò il foglio di carta e lo gettò via, seccata.

“Allora, dicci: come vi siete conosciute tu ed Emma? In casa famiglia?”

“Ehm... sì, eravamo a Falcon Heights. Abbiamo legato subito. Migliori amiche per sempre”. Non poteva certo raccontare che l’aveva conosciuta in un supermercato. In un supermercato in cui Emma era entrata per rubare, tra l’altro.

“L’allontanamento è stato un peccato”.

“Sì. Emma è stata la prima persona che mi abbia capita veramente, sapete? Come se fosse stato il destino a farci incontrare”.

Belle entrò di corsa al Granny’s, con la sua campana di vetro, indaffarata e nervosa. – Nonna, il mio pranzo è pronto?

- Sì, tesoro, ma non puoi campare solo di quello. – rispose la nonna, dandole il piatto con il toast. – Siediti e mangia qualcos’altro.

- Ah, non posso...

Lily decise che le era passata la fame e si alzò. La moglie dell’ex Oscuro poteva mangiarsi anche il suo, di pranzo, per quanto la riguardava. 

 

- Guardate. – disse David. Mostrò il fungo a Regina e Neve.

- Questo è il fungo che ho visto nel libro. – constatò Regina. Prese il grosso tomo nel quale si trovava il foglio di carta con il punto di domanda. L’immagine della Corona Scarlatta era ben impressa nella sua mente. Ed era identica al fungo che lui aveva in mano. – Dove diavolo l’hai preso?

- Ce l’aveva uno dei servi di Artù. Oggi c’è stato un furto...

- Un furto? – chiese Neve, perplessa.

- Sì, il servo del re ha rubato qualcosa dal reliquiario dei cavalieri. Artù è convinto che abbia preso anche un fagiolo magico. – spiegò David, passando la Corona Scarlatta a Regina. – Adesso è in cella.

- È proprio quello che stavamo cercando. – disse Regina.

- Perché? – domandò Neve.

- Può essere usato per comunicare attraverso delle barriere magiche. Certamente lo cercavamo per poter comunicare con Merlino. – Finalmente vedeva una luce in fondo al tunnel. Era possibile che quegli indizi li conducessero da qualche parte. Dal mago, ad esempio.

- Chissà se ci siamo riusciti... – sussurrò Neve.

Era una domanda alla quale Regina non voleva rispondere, al momento. Tutto faceva pensare che qualcosa fosse andato terribilmente storto, ma lei aveva bisogno di concentrarsi sulla Corona Scarlatta, sul presente.

- Bene, usiamolo, allora! Scopriamo se possiamo parlargli. – disse David, con decisione.

- Potrebbe dirci come salvare Emma dall’oscurità. – aggiunse Neve.

Regina ne era convinta. Merlino non era lì, però avrebbe potuto avere un messaggio per loro. Avrebbe potuto suggerire una soluzione. Il mago più potente del reame doveva sapere come aiutare l’Oscuro.

- David. – Neve lo guardava con orgoglio. I suoi occhi verdi cercarono quelli azzurri del marito. Del suo Principe Azzurro. - Ce l’hai fatta.

Il principe sorrise.

 

 
- Sai, non ha proprio una bella cera – osservò la proiezione oscura di Tremotino. – E se me lo dico da solo...

Gold giaceva su alcune rocce, nei sotterranei della casa di Emma, ancora addormentato. Belle si era presa molta cura di lui, a giudicare dai pantaloni e dalla camicia nera, entrambi freschi di bucato.

Emma, invece, non si prese la briga di rispondergli ed estrasse la spada che aveva sottratto a Killian. Non era stato facile come si aspettava. Quando l’aveva incontrato sulla Jolly Rogers, Uncino era restio, diffidente. Cambiarsi d’abito ed indossare lo stesso del loro primo appuntamento non le aveva fatto guadagnare molti punti...

- Che fortuna aver trovato qualcosa che l’abbia toccato... quand’era ancora un uomo. – disse Tremotino, sogghignando.

- Non è fortuna, ma frutto di un duro lavoro. – precisò Emma.

- È vero – rispose Tremotino, ma come chi la stesse soltanto prendendo in giro, fingendo di ammirarne gli sforzi. – Saresti stata anche più impassibile se avessi dovuto frantumare il cuore di Uncino sotto i tuoi... scomodissimi stivali a tacco alto.

Emma fremeva di rabbia, ma non si lasciò distrarre. – Zitto.

Non le disse più niente e lei frantumò la spada di Uncino, spargendone i granelli neri sul petto di Gold.

Aveva bisogno del suo eroe. E non di un eroe qualsiasi; aveva bisogno del più puro di tutti. L’unico che rispondeva ai requisiti era Gold, ormai libero dall’entità che l’aveva corroso e tormentato per trecento anni. Un uomo da costruire. Una tela bianca pronta per essere dipinta. Solo che questa volta il colore predominante non sarebbe stato il nero. Avrebbe prevalso la luce. Non aveva scelta, se voleva mettere le mani su Excalibur.

Occorse ancora qualche minuto, poi Gold sollevò lentamente le palpebre. Emma non sapeva se al suo risveglio sarebbe stato confuso, ottenebrato dalla debolezza o se fosse stato nel pieno delle forze... ma a giudicare dalla rapidità con cui la mise a fuoco e da come si rese subito conto di essere capitato in una situazione estremamente complicata, Emma non dubitò che fosse assolutamente lucido.

- Cosa... – balbettò, tirandosi su. – Cosa vuoi da me?

Emma lo fissò, impassibile. Notando la nuova fragilità che lo rivestiva. Percependo la sua paura.

- Tu sei l’Oscuro, adesso. Non io.

Lei spostò gli occhi su Tremotino, che sorrideva, soddisfatto e divertito.

- È vero – confermò. – Non hai più l’oscurità in te, ma non hai nemmeno la luce. Non sei niente. Il tuo cuore è una tabula rasa. Il che, piccoletto, fa di te una risorsa molto utile.

Sedette accanto a lui. Gold si spostò di scatto. Una volta erano gli altri ad essere terrorizzati in sua presenza, mentre ora... lui era spaventato dalla nuova Oscura. Non voleva essere toccato da lei.

Emma stava per aggiungere qualcosa, ma ridivenne di colpo molto seria e si mise in ascolto. I suoi occhi scattarono verso l’alto.

- Oh! Abbiamo visite – osservò Tremotino. – Devo dire che ha proprio un tempismo perfetto.

Aveva percepito la presenza di Lily. Non avrebbe potuto coglierla di sorpresa, neanche se avesse impiegato tutte le sue energie.

- Che succede? Chi c’è? – disse Gold, seguendo lo sguardo di Emma.

- Niente di cui tu debba preoccuparti. – osservò Emma, appoggiandogli una mano sul petto per spingerlo di nuovo giù. – Perché adesso... io farò di te l’ultima cosa che avresti mai pensato di poter essere. Un eroe.

Gold aggrottò la fronte. I battiti del suo cuore accelerarono.

- E non un eroe qualunque. Bensì l’eroe più puro che sia mai esistito. – precisò Emma. Il verde dei suoi occhi si era fatto più pressante e intenso, più torbido. – Dopodiché... avrò un lavoretto per te.

Aveva spostato la sua attenzione su qualcosa che si trovava dietro di lui. Gold si girò e l’unica cosa che vide fu una roccia, nella quale era incastonata una spada.

Lo costrinse a tirarsi su. Gold barcollò sulla gamba malandata. – Ti prego... non fare questo.

- Tutta questa paura è inutile. Io ti costringerò a dimenticarla. Con un piccolo aiuto, certo. - Con la magia, Emma lo spinse contro le sbarre in fondo alla caverna.

- E Belle? Che cos’hai fatto a Belle? – chiese lui, mentre le corde si attorcigliavano intorno ai suoi polsi, immobilizzandolo contro la prigione.

- La tua domestica sta bene – disse Emma. – Sta tranquillo. Non ho avuto bisogno di farle del male. Ho aspettato che ti lasciasse solo. Mi serve viva. Può essere un incentivo.

- Non usare Belle, ti prego. Lei non c’entra.

- Per una volta la tua domestica può essere utile in qualche modo... e tu mi chiedi di non usarla? – Emma scosse il capo. - Evitiamo i piagnistei.

- Non posso essere ciò che vuoi tu. Io non sarò mai un eroe.

- Certo che lo sarai. – Emma sfiorò l’elsa di Excalibur. – Non ho dubbi su questo.

 

 
All’esterno, Lily si diresse a grandi falcate fino all’ingresso della casa dell’Oscuro. Allungò una mano per afferrare la maniglia e ovviamente un incantesimo di protezione la respinse, sbalzandola sul prato.

- Emma... – sibilò.

D’accordo, avrebbe dovuto aspettarselo.

L’abitazione sembrava deserta, ma Lily fece comunque un giro completo, sbirciando dalle finestre. Le stanze erano in ombra. E vuote. La misteriosa porta era chiusa.

Sul retro c’era anche un altro edificio, una vecchia struttura bianca. Aveva tutta l’aria di essere un garage o una rimessa di qualche tipo. Si avvicinò, ma senza azzardarsi a toccare il pesante chiavistello che serrava i battenti.

Sentiva la magia vibrarle intorno. Anche quel posto era protetto, non solo la casa.

E la magia era strana. Sulle prime, Lily pensò che ci fosse qualcun altro lì con lei. Non Emma, ma qualche nuova presenza. Udiva dei ronzii. Dei suoni simili a voci, solo che non distingueva le parole. Bisbigli, sussurri, echi che si frantumavano.

Scosse la testa per scacciarle, ma senza successo. Allora piegò il capo di lato e rimase in ascolto.

Le voci sembravano dapprima distanti, poi vicinissime. Si allontanavano un po’ e ritornavano minacciosamente. Lily sentì che una goccia di sudore le colava dalla fronte sulla guancia. Il palmo della mano stretta a pugno le si era fatto madido. La sua carne strisciava. Sì, era una sensazione tremenda, ma era così. Strisciava. Pareva muoversi sul corpo.

Si girò di scatto per andarsene e si ritrovò faccia a faccia con Emma. Per poco non le andò addosso.

Le voci scomparvero.

- Non dovresti essere qui – le disse Emma. – Credevo fossi al Granny’s a gustarti il tuo pranzo. Ho sbagliato qualcosa?

Se hai sbagliato qualcosa?, Lily era esterrefatta. Ancora stordita dalla voci che l’avevano assalita tutte insieme, batté le palpebre e rifletté, sicura di aver capito male.

- Tu... che? – balbettò.

- So che adori il fast food. O almeno un tempo lo adoravi. Non sei stata tu a dirmelo?

Ah, certo.

- L’ho detto anche per fare buona impressione. – si ritrovò a rispondere. – Ma non capisco che cosa c’entri questo con... il resto. Cosa stai combinando qui? Cosa c’è là dentro?

Emma lanciò un’occhiata all’edificio bianco. – Cose che mi appartengono. Che mi servono.

- Davvero? Ma che bella risposta. Proprio la risposta che mi aspettavo.

Emma non disse niente.

- Io credo che tu me ne debba qualcuna, di risposta. Sei stata tu stessa a dirmi che non ho fallito, a Camelot.

- Ed è vero.

- Bene. Allora perché ne so quanto gli altri?

- Tu hai qualcosa che gli altri non hanno. La certezza di non aver fallito. Ed è molto importante. – Emma la fissava con quegl’occhi che sembravano dimostrare almeno cinquecento anni. La faccia era tirata e le labbra rosse spiccavano come mele mature e avvelenate. – Lo è per te.

- Cosa?

- Oh, suvvia. Io so benissimo quanto sia importante sapere di aver fatto la cosa giusta. – ribatté. E, sempre con quella voce calma che suonava così sicura ed implacabile, quella voce che le dava un brivido, aggiunse: - Non importa cosa faccio, tanto ogni decisione che prendo mi sembra giusta, ma è sbagliata. Io ricordo la ragazzina che mi disse questo. Ricordo quanto era disperata, perché non riusciva a fare niente di buono, per quanto si sforzasse. Ricordo quella ragazzina mentre mi supplicava di aiutarla alla fermata dell’autobus... perché io rendevo la sua vita più luminosa.

Lily deglutì a fatica. Aveva la bocca secca, quasi non fosse rimasta nemmeno una goccia di saliva. Avrebbe voluto rispondere, ma stentava a trovare una replica adeguata.

- Non posso più renderla luminosa – ammise Emma, con rammarico. – Ma posso... rimediare. Posso darti questa certezza. A Camelot tu mi hai aiutata. E hai preso la decisione giusta. Se sono come mi vedi adesso, la colpa non è tua. So quanto sia importante, questo. Infatti non hai detto nulla a nessuno. Nemmeno a tua madre.

- Non è l’unica cosa importante – disse Lily, con la voce roca. – Anche i miei ricordi sono importanti. Di che cosa hai paura, Emma?

- Io? Perché dovrei avere paura di qualcosa?

- Perché in caso contrario non lo nasconderesti. Non sei soltanto furiosa con tutti. Tu hai cancellato i nostri ricordi perché hai paura di qualcosa.

- Lilith... qui non si tratta di paura. Si tratta di...

- Di cosa? Di ferire le persone che ami? Ci stai riuscendo. Regina già dubita di essere in grado di proteggere la città, tuo padre si sente inutile, persino i nani ce l’hanno con lui, il tuo adorato pirata gira in tondo senza trovare risposte... e tuo figlio non fa che pensare a dove sia finita sua madre. Non fa che chiedersi se sua madre sia ancora lì da qualche parte.

Ora Emma le parve furente. Sollevò una mano e Lily si sentì soffocare. Si portò una mano alla gola e rantolò, mentre macchie colorate iniziavano a lampeggiare lungo i bordi del suo campo visivo.

- Io sto cercando di proteggerti! – gridò Emma, costringendola a piegarsi sulle ginocchia. Il suo sguardo era acceso di furia. – Ma tu non riesci a capire... non hai idea di che cosa sia la verità! Non hai idea di che cosa io stia facendo! E quando gli altri ce l’avranno... si renderanno conto da soli che sarebbe stato meglio non sapere!

“Non importa cosa faccio, tanto ogni decisione che prendo mi sembra giusta, ma è sbagliata. Io ricordo la ragazzina che mi disse questo. Ricordo quanto era disperata, perché non riusciva a fare niente di buono, per quanto si sforzasse. Ricordo quella ragazzina mentre mi supplicava di aiutarla alla fermata dell’autobus... perché io rendevo la sua vita più luminosa”.

La presa sulla sua gola si allentò e Lily annaspò in cerca d’aria. Appoggiò le mani sul prato, respirando con affanno.

Poi i suoi occhi si riempirono di fuoco.

Emma guardò l’enorme drago spalancare le ali, pronto a spiccare il volo. Un lieve sorriso le increspò le labbra. La creatura ruggì, imbestialita e si precipitò contro di lei, ma Emma scomparve in una nuvola magica e riapparve in groppa a Lily. Il corpo robusto si irrigidì per la sorpresa. Sguinzagliò la coda, che urtò il maggiolino giallo. L’auto rimase in bilico per qualche istante su due ruote e poi si ribaltò su un fianco.

- Lily... questo non è divertente. Sai da quanto tempo ho quella macchina? – domandò Emma, serrando le gambe sui fianchi del drago e percependo l’elevata temperatura della pelle, protetta dalle dure scaglie nere.

 Lily non approvò. Affatto. Lanciò uno strepito e piegò il collo per guardarla. I suoi grandi occhi avevano assunto una colorazione arancione, come il fuoco che sputava. Scosse la sua possente mole, sgroppò e si levò sulle zampe posteriori per scrollarsi Emma di dosso, ma l’Oscura rimase saldamente ancorata alla sua groppa.

Infine il drago prese una breve rincorsa e, appoggiando una delle zampe sul maggiolino, si spinse verso l’alto, aprendo le ali e spiccando il volo.

 

 
Uncino adocchiò la creatura alata sorvolare i cieli e notò subito che c’era qualcosa di strano.

Ben sapendo che mamma drago si trovava dentro la centrale di polizia con Regina e gli altri, capì che quello era il suo cucciolo e che il cucciolo era anche molto arrabbiato. Planava verso la città per poi risollevarsi in volo. Disegnava ampi cerchi in aria e scuoteva la testa di qua e di là, come se qualcosa lo stesse infastidendo. Si avvitò, tracciando spirali immaginarie e così lui vide che c’era qualcuno sulla sua groppa. La figura che cavalcava il drago vestiva di nero ed era decisamente umana. Precipitò quando il suo destriero personale si capovolse, ma disparve grazie alla magia.

- Emma! – esclamò, esterrefatto.

Regina uscì dalla centrale, seguita da Malefica e da Neve. Erano tutti con i nasi all’insù. Il drago si dirigeva verso i boschi fuori città.

- Lily – disse Malefica.

- Che diavolo sta facendo? – domandò Regina.

- Non lo so, ma c’è Emma con lei. – rispose Uncino. - E qualsiasi cosa sia, non è nulla di buono.

 

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Angolo autrice:

Bene, salve! Grazie per essere arrivati fino a qui anche stavolta.

 
L’unica precisazione che devo fare riguarda Knubbin. Come già spiegato in precedenza, il mago compare nel libro di Wendy Toliver, Red’s Untold Tale. L’informazione inerente al fatto che lui è il creatore del mantello rosso di Ruby viene dal libro. Prima di aiutare Granny con il mantello, aveva aiutato anche Anita, la madre di Ruby, citata durante il suo dialogo con Emma nelle prigioni. Il ciondolo di cui si parla nel capitolo è appartenuto ad Anita ed è poi passato alla stessa Ruby. Anche queste sono cose che vengono spiegate nel romanzo.


   
 
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