7
Storybrooke. Oggi.
Lily
non aveva idea di dove si
trovasse.
Il
posto era in penombra. Una vaga
luce biancastra entrava dalle finestrelle alle sue spalle.
C’era un tavolino
ingombro di oggetti al centro dello stanzone, ma non riusciva distinguerne bene i
contorni.
Però
vedeva bene gli
acchiappasogni.
Gli
acchiappasogni che erano
ovunque.
Erano
appesi alle travi del
soffitto e alle pareti, decine e decine di quegli affari folkloristici.
Cerchi
di salice con una rete interna e le piume colorate. Erano diversi
rispetto a
quello che aveva visto in quell’appartamento a New York.
“Non
riesco a credere che sia
sopravvissuto tutto questo tempo”, aveva detto Emma, quando
aveva visto
l’acchiappasogni.
“Questo
posto era di...”
“Si
chiamava Neal. È stato... molte
cose per me. Ed ora non c’è più. Per
colpa sua”.
Zelena
si era limitata a regalare
una delle sue smorfie. “Scusa?”
Lily
fece un giro su se stessa e
poi allungò una mano verso uno dei tanti acchiappasogni. Ne
sfiorò le piume
rosse e poi lo prese. Sì, erano diversi. Non erano come
quello di Neal. C’era
qualcosa di strano e di inquietante in tutti quei cerchi. Emanavano
energia.
Fascino. Potere. E non era niente di buono, su questo non
c’erano dubbi. L’Oscuro
che rubava il piccone di un nano. L’Oscuro che minacciava una
fata a caso, una
fata che non era nemmeno a Storybrooke, come se volesse mettere in
chiaro che
chi comandava lì era lei... l’Oscuro che portava
via i ricordi e accusava la
sua famiglia di aver fallito. L’Oscuro che viveva in una
bella casa. Che
sosteneva che Regina non avrebbe mai potuto essere la Salvatrice. Ed
ora gli
acchiappasogni.
Poi
sollevò lo sguardo e vide Emma.
La
stava fissando con quei suoi
magnetici occhi verdi. Le labbra erano pressate in una linea piatta. Il
pallore
del suo viso era accentuato dalle ombre che aleggiavano nello stanzone.
Avanzò
verso di lei.
Lily
si svegliò di soprassalto e per poco non ruzzolò
giù dal letto.
Si
era addormentata vestita e con le cuffie dell’IPod nelle
orecchie. La musica
taceva e lei aveva la fronte imperlata di sudore. Guardò
l’orologio sul
comodino e vide che erano quasi le otto.
Il
sogno iniziò a sbiadire, a perdere la sua coerenza. Una gran
bella cosa. Però
l’immagine di Emma che la osservava, il luccichio di quegli
occhi... quello
rimase. Rimase, come un avvertimento. Una minaccia. Un mano oscura che
aleggiava sopra di lei.
-
Lily? Sei sveglia? – le gridò sua madre dalla
cucina.
Gli
acchiappasogni. Tutti quegli
acchiappasogni.
Brancolò
per padroneggiarsi e scacciare anche quelle ultime immagini.
– Sì!
Per
quale motivo sogno gli
acchiappasogni?
Ma
sapeva che spesso i sogni non avevano una logica precisa. Erano fatti
di
simboli. Di simboli da interpretare. Molte volte non era facile capire
che cosa
significassero e quando ti destavi cominciavano a svanire, impedendo
una reale
comprensione di ciò che avevi visto mentre dormivi.
-
Lily? – Malefica doveva aver detto qualcos’altro,
ma se l’era perso. – Ti sei
rimessa a dormire?
-
No. – rispose, subito. La sua mente, a margine, stava anche
notando che nessuno
le aveva mai preparato la colazione, prima d’ora. Malefica
era venuta apposta
per farlo. Cercò di immaginarsela mentre spadellava e
quell’idea avrebbe dovuto
rassicurarla, farla ridere... ma non la rassicurò affatto.
-
Un toast o due?
-
Due. - Non aveva idea di che cosa stesse dicendo. Aveva lo stomaco
chiuso e una
brutta sensazione che le opprimeva il petto. Come se la stranezza del
sogno si
fosse insediata proprio lì, vicino al cuore. -
Bruciacchiati.
-
Come vuoi.
Lily
richiuse un attimo gli occhi, ma in quell’istante di
oscurità rivide quelli
verdi dell’Oscuro. Li riaprì immediatamente e,
quasi di corsa, entrò in bagno,
aprì la doccia e si ficcò sotto
l’acqua, talmente calda che quasi scottava la
pelle.
Non
gliene importava.
***
Camelot.
Cinque settimane prima
della maledizione.
Regina
aveva rovistato tra i libri e le pozioni presenti nella Torre di
Merlino e non
era ancora riuscita a cavare fuori la maledetta Sfatastrega. In quel
posto
polveroso e pieno di tarli sembrava esserci ogni cosa, a parte
ciò di cui lei
aveva davvero bisogno.
Robin
era appena uscito per andare a prepararle una tazza di tè,
ma Regina era sicura
di non potersi calmare con una tazza di tè. Doveva trovare
una soluzione e
doveva trovarla in fretta. Comunicare con Merlino e liberarlo era la
loro
priorità. La priorità di Emma. Merlino poteva
scacciare l’oscurità...
Si
voltò. Zelena sedeva in un angolo, muta e annoiata.
Levò gli occhi al cielo.
-
Ricordati che sei qui solo perché così posso
tenerti d’occhio – le disse
Regina. – Cara la mia serva muta... non ti conviene alzare
gli occhi al cielo,
con me.
Zelena
aprì la bocca per dire qualcosa, ma naturalmente non
uscì neanche un suono. Al
polso era ancorato il bracciale nero che inibiva i suoi poteri. Da
quando le
aveva tolto la voce perché non si mettesse a chiacchierare
più del dovuto,
Zelena non aveva fatto altro che roteare gli occhi e riservarle smorfie
o
sguardi fulminanti.
-
Stammi a sentire... – cominciò Regina.
Lily
entrò nella Torre, guardandosi in giro. La figlia di
Malefica aveva deciso che
gli abiti di Camelot non facevano per lei e aveva indossato le cose
più normali
che aveva trovato. Una camicia di lino sotto una giubba in cuoio senza
maniche
e i pantaloni in pelle infilati negli stivali.
-
Che ci fai tu qui? – chiese Regina.
-
Sono venuta a dare un’occhiata. E anche a dare una mano. So
che stai cercando
qualcosa per poter comunicare con Merlino.
-
In effetti sì. Perché tu vorresti aiutarmi?
-
Io sono qui per aiutare Emma. Non te.
Regina
si domandava perché Malefica non la costringesse ad
abbassare la cresta. Fu il
suo turno di levare gli occhi al cielo. –
D’accordo. Allora datti da fare.
Lily
si avvicinò al tavolo pieno di scartoffie e libri di magia.
Difficile dire da
dove fosse giusto cominciare. – Hanno preso il mago che ha
incantato la spada
di Percival. Artù l’ha buttato in prigione.
-
Bene. Almeno un problema è risolto. Mi auguro che abbia
incantato anche le
sbarre della cella.
-
Non è un mago così potente. A guardarlo si
direbbe più un ciarlatano.
Regina
aprì un altro volume, un grosso tomo rilegato in pelle, con
le pagine così
ingiallite da farle credere che si sarebbero sbriciolate non appena
avrebbe
cominciato a sfogliarle. – Un ciarlatano che ha comunque
incantato una spada
destinata ad essere usata per uccidermi. E una collana. Vorrei
ricordarti
questo.
-
Ed io vorrei ricordarti che quel cavaliere voleva ucciderti
perché tu hai ucciso la
sua gente. Cosa avresti
fatto al posto suo?
Zelena
sorrise, divertita.
Regina
richiuse il libro. Cercava in tutti i modi di non lasciarsi irritare
dal tono
di quella ragazzina. Che poi non era una ragazzina, dato che aveva
l’età di
Emma.
Le
ultime giornate erano state faticose. Erano ore che frugava in mezzo
alle
pagine e agli incantesimi. Era dal momento in cui aveva messo piede a
Camelot
che si sforzava di recitare la parte della Salvatrice, anche ora che
Artù
sapeva che lei era stata la Regina Cattiva. Era dalla notte del
sacrificio di
Emma che la sua mente vorticava senza posa. – Mi dispiace
molto. Quello che è
successo l’altra sera avrei voluto evitarlo. So che
è difficile per te... hai
salvato la vita di Robin e, in fin dei conti, anche la mia. Se non
fossi
intervenuta...
-
Io non sono intervenuta. Sai cosa ti dico, non volevo nemmeno salvare
la vita
di quella testa vuota del tuo uomo. – scattò Lily,
gli occhi come tizzoni
ardenti. - Se non fosse stato per te, non sarebbe successo niente. Non
avrei
usato la magia e non l’avrei ucciso! E poi vuoi che tutti
credano che tu sia la
Salvatrice?
Regina
lottò contro l’impulso di metterle le mani al
collo. D’improvviso era furente.
Prima era dispiaciuta per Lily, perché riusciva ad
immaginare come si sentisse
dopo aver arso vivo un uomo che l’aveva persino invitata a
ballare un attimo
prima. Ora era furente e offesa in un modo che non riusciva a spiegare.
– Io
l’ho fatto per proteggere Emma! Nessuno deve sapere che lei
è Salvatrice,
perché la costringerebbero ad usare la magia! Ed
è magia nera!
-
Sei brava a convincerti di questo. E sei brava anche a costringere gli
altri a
crederlo.
-
Come?!
-
Ti ho vista, in cima a quella scalinata. La Regina Cattiva che recita
la parte
della Salvatrice e si gode il momento di gloria! Era quello che volevi.
Che
tutti ti vedessero come una Salvatrice. Che ti vedessero come vedevano
Emma.
Zelena
si sentiva invasa da una potente sensazione di ilarità,
un’inguaribile forma di
follia. Sarebbe rimasta là ad ascoltarle per ore. Finalmente
assisteva a
qualcosa di interessante! Avrebbe voluto assistere anche alla scena in
cui la
figlia dell’amica di Regina bruciava vivo uno dei burattini
del sovrano. Sperava
che non cogliesse l’occasione per bruciare anche sua sorella,
perché
distruggere Regina era un compito che spettava a lei, non ad un giovane
drago
pieno di rabbia e oscurità, rabbia che avrebbe dovuto
convergere contro i due
imbecilli che l’avevano maledetta.
-
Non ti permetto di rivolgerti a me con questo tono. Tu non sai niente!
– sibilò
Regina, puntandole contro un dito. La collera le impediva quasi di
parlare.
-
So abbastanza. Quelle come te... – disse Lily, avvicinandosi.
– Come noi... non
possono essere Salvatrici. È
come sperare che Biancaneve sia davvero la ragazzina che parla con gli
uccellini.
-
Forse tu non puoi esserlo. Ma io sono in grado di farlo. Sono capace di
proteggere le persone che contano, per me.
-
Non lo stai facendo molto bene, allora. Hai un passato troppo pesante.
Ovunque
tu vada, quello che hai fatto ti perseguita. Così come
l’oscurità ha sempre
perseguitato me. Non te ne libererai mai. Ci sono troppe persone che ti
odiano
per quello che hai fatto loro. Non potrai mai essere ciò di
cui Emma e
Storybrooke hanno bisogno.
-
Questo è tutto da vedere! – Improvvisamente rivide
se stessa mentre diceva ad
Emma che quello che era accaduto a Lily non era affatto colpa sua.
Pensavano
che fosse morta, così come aveva raccontato quel barbone
puzzolente nel vecchio
stabile di Lowell. Improvvisamente udì la voce di Emma,
della vecchia Emma già
minacciata dal male, che rispondeva...
“Sei
sicura? Hai sentito quel
tizio? Lei aveva una vita difficile, oscura...
quell’oscurità era la mia! O
avrebbe potuto esserlo”.
-
Vai a farti un giro. Anzi, un volo! – aggiunse Regina,
tornando a concentrarsi
sui libri. - Credo che tu ne abbia bisogno. Incendiare qualche
boschetto ti
aiuterà a chiarirti le idee.
Zelena
alzò di nuovo gli occhi al cielo, ma questa volta la sorella
non la vide. Lily
lanciò un’occhiata di sbieco alla strega e poi
lasciò la stanza, non prima di aver
gettato a terra con una manata un cumulo di scartoffie.
Regina
era stupefatta. Incredula. Non riusciva a capire che cosa stesse
succedendo.
Non aveva più il controllo su niente.
-
Cosa c’è? – chiese a Zelena, notando il
suo sorriso smagliante.
Lei
scrollò le spalle e poi indicò
l’uscita.
-
Va bene – esclamò Regina. Con un gesto della mano
le restituì la voce. – Se
devi per forza aggiungere uno dei tuoi commenti, tanto vale che tu lo
faccia.
Zelena
si profuse in un’esclamazione di sollievo e si
portò le mani alla gola. – Oh!
Oh, finalmente, riecco la mia voce, così limpida e
femminile! Giusto in tempo
per dirti quanto mi stia simpatica quella ragazza. È andata
molto vicina ad
incendiare e distruggere questa bellissima torre, l’hai
sentito, vero?
In
effetti sì. L’aveva sentito. Un’onda di
potere in procinto di saltare in aria.
-
Resta il fatto che ha cercato di darmi fuoco, come ha fatto con quel...
Percival, giusto? Ma... non si può essere perfetti.
– continuò Zelena. – A
proposito, ho notato che la tua pelle sta assumendo una sfumatura
verde,
sorellina. Non ti dona molto. Credevo fosse il nero il tuo colore.
-
Ma di che parli? – chiese Regina.
-
Oh, non parlo solo di questo – disse Zelena, portandosi le
mani al ventre. – Parlo
di quel drago, quello che non sopporti, perché ha avuto il
coraggio di dirti
che puoi essere tutto, a parte una Salvatrice. Non solo; ti ha rubato
la scena
al ballo e... oh! Guarda, anche l’unica amica
che eri riuscita a trovare!
Mise
una particolare enfasi nella parola amica.
-
E poi credevo che ti piacessero i draghi, sorellina. –
continuò Zelena,
imperterrita. - Sai, quando vivevo ad Oz e non ero occupata a trovare
un modo
per cambiare il passato, ti ho osservata spesso. A volte passavo ore ad
osservarti e a studiare le tue mosse... per conoscerti meglio.
-
Non ti è servito a molto, a quanto pare.
-
Oh! In realtà è stato assai utile! Ho scoperto
particolari interessanti. La tua
predilezione per i draghi, per
esempio. Ce ne sarebbero di cose da raccontare a Robbie...
-
Tu non racconterai un bel niente. E basta con queste chiacchiere
inutili. –
replicò Regina, seccamente. – Dovremmo parlare
della tua pessima idea di
scappare ad Oz, piuttosto.
Zelena
tacque.
-
Lo sai che non puoi sottrarre questo bambino a Robin.
Lei
le rivolse un sorriso. – E puoi biasimarmi? Intendi
portarmelo via. Questo
bambino potrebbe essere l’unica persona in grado di amarmi
veramente.
-
Devi meritartelo, quell’amore.
-
Il punto non è questo. Qualsiasi cosa io faccia, non
andrà bene in ogni caso.
Tu vuoi questo bambino. Vuoi crescerlo con Robin! – Scandiva
ogni parola,
buttandola fuori come un colpo di tosse. La sua voce stava diventando
stridula.
– Pensi di averne il diritto, perché ora ti senti
un’eroina. Ma sai cosa ti
dico? Puoi avermi sconfitta con la magia bianca, ma non prenderai mio
figlio.
Regina
incrociò le braccia. - Questo dipende da te, Zelena. Quello
che desidero è che
questo bambino cresca protetto e abbia la sua migliore chance.
-
No. Questo dipende anche da te. Dovresti occuparti del figlio che hai
già.
Oppure... occupati di risolvere il tuo problema, se ne vuoi uno.
Problema che
ti sei procurata da sola, a dire il vero.
Regina
le chiuse la bocca, ritrasformandola nella sua serva muta. Zelena
boccheggiò,
arpionandosi il collo.
-
Per oggi hai parlato abbastanza – concluse.
Suo
padre non riuscì a portare a casa la Corona Scarlatta.
Aveva
recuperato il fungo nella Foresta della Notte Eterna per poi vederselo
portare
via da un cavaliere sbucato dalle acque del lago. Ma Artù
era rimasto
impressionato dal suo coraggio. Per questo lo aveva nominato cavaliere
e gli
aveva offerto il seggio più importante della Tavola Rotonda,
quello che un
tempo era appartenuto ad un altro uomo del re, Lancillotto del Lago. Il
posto
destinato alla persona con il cuore più puro. Il Seggio
Periglioso.
Emma
era felice per suo padre, ma doveva trovare una soluzione per tirare
fuori
Merlino da quell’albero. Lily aveva provato a comunicare di
nuovo con lui, ma
non aveva udito più niente. Era stato come chiamare a gran
voce qualcuno che era
precipitato in un gigantesco buco nero.
Dopo
la cerimonia dell’investitura di Azzurro, Emma scese nelle
prigioni. Addormentò
le guardie per evitare che le facessero domande o le impedissero di
arrivare
alla cella del mago che aveva incantato la spada di Percival. Non
avrebbe
dovuto usare la magia, ma era solo... solo un piccolo incantesimo.
Knubbin
era sveglio. Indossava ancora la camicia tutta sbrindellata e i capelli
gli
stavano ritti sulla testa. – Ma guarda, una visita! Non
è più tanto difficile
trovarmi, vero? Una volta non lo sarebbe stato neanche per gli uomini
di questo
re. Mi avrebbero trovato solo se io avessi desiderato essere trovato.
Ma i
tempi bui arrivano per tutti. Anche per me. Ultimamente non
c’era più molta
gente disposta a farsi aiutare dal sottoscritto. Cosa posso fare per
voi,
tesorino?
-
Mi chiamo Emma. Emma Swan.
-
Emma, ma certo. Che nome delizioso. – Si tirò su.
La sua schiena scricchiolò e
anche il collo. – C’è qualcosa in voi,
Emma. È... qualcosa che portate. Vero?
Qualcosa di molto grande. Non riesco a metterlo a fuoco con chiarezza,
ma se
siete venuta qui per chiedermi di liberarvene, non sono la persona
adatta. E
anche se lo fossi, sono bloccato in questa cella. E la cella
è protetta da un
incantesimo. Molto antico. Non sono in grado di scioglierlo.
-
Ma siete in grado di incantare una spada. E stando a quello che mi ha
detto
Granny... anche un mantello. – Emma si avvicinò di
più alle sbarre della buia
prigione. Avvertiva l’incantesimo di cui parlava il mago. Una
protezione contro
chiunque avesse tentato di scappare.
-
Incantare una spada non è così difficile,
tesorino. Neanche incantare un
mantello. Ma il mantello fu una grande idea. Ho incantato il mantello
di quella
ragazza e anche il ciondolo. Beh, il ciondolo era di sua madre.
Aspettate, si
chiamava... è proprio qui. – Si indicò
la tempia. – Anna? Annette? Ah, ecco.
Anita. Quella era la madre. La ragazza si chiamava Red. Ma non aveva i
capelli
rossi.
Emma
avrebbe voluto interromperlo, ma non lo fece.
-
E il cavaliere che è venuto da me era così
determinato! Non potevo certo sapere
per chi fosse la spada. Ovviamente doveva essere destinata a qualcuno,
perché
incantarla, in caso contrario? Incanti una spada se vuoi usarla contro
qualcuno
dei tuoi demoni personali. Anche se Persico
non ha parlato di un demone, in realtà. –
Interruppe il suo sproloquio per
grattarsi la barba e arruffarsi i capelli. Il corvo se ne stava
appollaiato
sulla branda. – Un angelo della morte, ecco come
l’ha definito. Molto
affascinante.
Anche
Emma lo trovò affascinante. Pensare a Regina che calava come
un angelo della
morte su un villaggio e uccideva decine di innocenti aveva un che di
terribile
e cattivo, oscuro... eppure
era anche enormemente affascinante.
Si
riscosse. – Sentite, Knubbin... devo liberare una persona.
È intrappolato da
molto tempo. Mio padre aveva trovato qualcosa che ci avrebbe permesso
di
comunicare con lui, ma non è riuscito a recuperarlo. Un
fungo.
-
La Corona Scarlatta! – esclamò Knubbin, saltando
in piedi. Mosse qualche passo
strascicato, approssimandosi alla sbarre. – Certo, certo. La
Corona. Si trova
nella Foresta della Notte Eterna. Non ditemi che vostro padre
è andato laggiù!
Immagino che nessuno si sia curato di avvisarlo del cavaliere fantasma
che
abita le acque intorno al luogo in cui cresce la Corona. Non che qui ci
sia
qualcuno che conosca a fondo la leggenda... tutte le leggende hanno un
fondo di
verità, solo che la gente si rifiuta di crederci. Viviamo in
un mondo strano.
-
Possiamo recuperarla?
-
Oh, non direi, tesorino. Le acque di quel luogo sono profonde e oscure.
Niente
riemerge di solito. Vostro padre deve essere stato fortunato. Ma forse
voi...
forse voi avreste qualche possibilità.
-
Esistono altri modi per comunicare con lui, vero? Ho bisogno di sapere
che cosa
mi serve per liberarlo.
-
Beh, certo. Questa è una situazione assai complicata.
Vedete, tesorino,
solitamente questo richiederebbe un
prezzo. La magia ha sempre un prezzo, no? Io sono una persona gentile,
mi basta
poco. Percival mi aveva pagato bene ed era il primo dopo molto tempo,
tempo che
ho passato seduto davanti a casa a guardare le carote crescere...
Le
salì in gola una risata isterica e riuscì
miracolosamente ad imbottigliarla.
Tremotino, invece, appoggiato al muro della prigione, non la
imbottigliò.
Ridacchiò di gusto.
-
Un prezzo! – esclamò. – Lui vuole
stipulare un accordo con noi! Ne ho visti di
ciarlatani, in tutti questi anni...
-
Sta zitto – rispose Emma, seccamente.
-
Zitto, io? – domandò Knubbin. – Diamine,
io sono una persona a modo, conosco le
buone maniere e voi mi dite di stare zitto, tesorino?
-
Non parlavo con voi – replicò Emma.
-
E con chi, allora? Oh, capisco. – Knubbin
picchiettò di nuovo l’indice contro
la tempia. – Parlate con i vostri demoni. Che aspetto hanno?
-
Dov’eravamo rimasti, Knubbin? – lo interruppe Emma.
- Non ho tempo da perdere.
-
In prigione, ecco dov’eravamo – disse il mago,
guardandosi i piedi. – Ah, ma
voi intendete con il nostro discorso! Naturalmente. Allora, dicevamo...
non
avete la Corona Scarlatta e questa è una brutta notizia.
Avete un oggetto di
questo mago, forse? No, sarebbe la strada più lunga. Meglio
di no.
Emma
restò in attesa, mentre Knubbin si scervellava.
-
Occorre... occorre scoprire che cos’è accaduto,
sì. È necessario scoprire
perché è stato intrappolato ovunque si trovi. Ci
vorrebbe una sfera magica. Non
ho sfere magiche, purtroppo. Ne avevo una, ma è rimasta
nella mia umile dimora
e non posso certo uscire per andare a prenderla.
Ad
Emma sovvenne qualcosa. Si formò un’immagine,
nella sua mente. E si diede
dell’idiota per non averci riflettuto prima. –
Certo... scoprire cosa gli è
successo. I suoi ricordi...
-
I suoi ricordi sono importanti. I ricordi sono sempre importanti.
– borbottò Knubbin.
Ora parlava più con se stesso, roteava gli occhi e spostava
il peso da un piede
all’altro. – I ricordi vanno custoditi gelosamente.
Non si dovrebbero
cancellare i ricordi. Non che io non l’abbia mai fatto, ma
erano circostanze
particolari. Mi hanno implorato di farlo, se capite cosa intendo.
-
Farò in modo che Artù non vi condanni a morte.
– concluse Emma, girandosi per
andarsene. – E forse riuscirò a farvi uscire da
qui.
-
Siete generosa! Questo è un buon prezzo, davvero. Meglio di
tutte le monete
d’oro che Persico mi ha
offerto per
incantare la spada!
Emma
smise di ascoltarlo. Si incamminò lungo il corridoio buio.
Tremotino la seguì.
***
Storybrooke.
Oggi.
Lily
era al Granny’s in attesa della sua ordinazione, quando
Uncino entrò e si
diresse verso il tavolo al quale era seduto Robin, intento a mangiare
un
hamburger. Aveva un’aria cupa e pensosa mentre prendeva posto
davanti al ladro.
Lily
scrutò l’orologio. Sua madre sarebbe dovuta
arrivare di lì a poco, ma lei era
troppo nervosa e avrebbe voluto trovarsi da tutt’altra parte.
Pensava ad Emma.
Pensava alla porta chiusa in casa dell’Oscuro, che stonava
con tutto il resto.
Pensava a cosa potesse esserci dietro quella porta. E dato che la sua
mente
continuava a tornare là, un motivo doveva pur esserci.
“Perché
mi stai dicendo questo? Ti
dispiace avermi tolto i ricordi? Ho sentito cos’hai detto a
Regina. Abbiamo fallito”.
“Gli
altri hanno fallito, Lily. Tu
no. Tu non hai fallito. Né tu né Henry avete
fallito”.
Granny
le piazzò davanti la sua ordinazione.
-
Avevo ordinato delle tapas – osservò Lily,
sollevando un sopracciglio. – Non
tutta questa roba.
-
Non mi risulta – rispose la vecchia, mostrandole
l’ordinazione. – Fino a prova
contraria, so ancora leggere. Ah, è tutto pagato. Deve
essere stata sua madre.
Lily
scrutò il foglietto che Granny le aveva lasciato. In effetti
il numero del
tavolo era giusto, ma l’ordinazione era diversa. Aveva la
testa da un’altra
parte, ma ricordava benissimo ciò che aveva chiesto al
cameriere. Patatas
bravas rosso fuoco con asparagi annegati nell’aceto. E lui la
stava ascoltando.
Adesso
aveva davanti...
No,
ti prego.
Non
era stata sua madre, ne era certa.
“È
roba da fast food, ma sai, con
la partenza...”
“Adoro
il fast food.
Quest’atmosfera... divisione dei compiti, regole di casa!
Sembrate venuti fuori
da una pubblicità”.
Il
cibo che aveva davanti era effettivamente roba da fast food e, ci
avrebbe
giurato, erano le stesse cose che aveva mangiato quella sera, quando
era stata
ospite della famiglia affidataria di Emma. Persino i cartoni che
contenevano
panini, patatine e anelli di cipolla erano gli stessi. Non ricordava
più i nomi
di quelle persone, ma ricordava l’atmosfera... le stanze in
perfetto ordine,
oggetti preziosi, il cartello con le regole per una vita tranquilla e
ordinata
appeso alla parete della sala da pranzo. Mentre i due coniugi
recitavano una
noiosissima preghiera che lei aveva finto di ascoltare, la sua mente
stava già
riflettendo su quanto sembrasse finta, innaturale quella perfezione.
Certo,
pensava anche a quanti soldi avrebbe potuto trovare facendo un giretto
in
quella casa...
Lily
appallottolò il foglio di carta e lo gettò via,
seccata.
“Allora,
dicci: come vi siete
conosciute tu ed Emma? In casa famiglia?”
“Ehm...
sì, eravamo a Falcon
Heights. Abbiamo legato subito. Migliori amiche per sempre”.
Non poteva certo
raccontare che l’aveva conosciuta in un supermercato. In un
supermercato in cui
Emma era entrata per rubare, tra l’altro.
“L’allontanamento
è stato un
peccato”.
“Sì.
Emma è stata la prima persona
che mi abbia capita veramente, sapete? Come se fosse stato il destino a
farci
incontrare”.
Belle
entrò di corsa al Granny’s, con la sua campana di
vetro, indaffarata e nervosa.
– Nonna, il mio pranzo è pronto?
-
Sì, tesoro, ma non puoi campare solo di quello. –
rispose la nonna, dandole il
piatto con il toast. – Siediti e mangia
qualcos’altro.
-
Ah, non posso...
Lily
decise che le era passata la fame e si alzò. La moglie
dell’ex Oscuro poteva
mangiarsi anche il suo, di pranzo, per quanto la riguardava.
-
Guardate. – disse David. Mostrò il fungo a Regina
e Neve.
-
Questo è il fungo che ho visto nel libro. –
constatò Regina. Prese il grosso
tomo nel quale si trovava il foglio di carta con il punto di domanda.
L’immagine
della Corona Scarlatta era ben impressa nella sua mente. Ed era
identica al
fungo che lui aveva in mano. – Dove diavolo l’hai
preso?
-
Ce l’aveva uno dei servi di Artù. Oggi
c’è stato un furto...
-
Un furto? – chiese Neve, perplessa.
-
Sì, il servo del re ha rubato qualcosa dal reliquiario dei
cavalieri. Artù è
convinto che abbia preso anche un fagiolo magico. –
spiegò David, passando la
Corona Scarlatta a Regina. – Adesso è in cella.
-
È proprio quello che stavamo cercando. – disse
Regina.
-
Perché? – domandò Neve.
-
Può essere usato per comunicare attraverso delle barriere
magiche. Certamente lo
cercavamo per poter comunicare con Merlino. – Finalmente
vedeva una luce in
fondo al tunnel. Era possibile che quegli indizi li conducessero da
qualche
parte. Dal mago, ad esempio.
-
Chissà se ci siamo riusciti... –
sussurrò Neve.
Era
una domanda alla quale Regina non voleva rispondere, al momento. Tutto
faceva
pensare che qualcosa fosse andato terribilmente storto, ma lei aveva
bisogno di
concentrarsi sulla Corona Scarlatta, sul presente.
-
Bene, usiamolo, allora! Scopriamo se possiamo parlargli. –
disse David, con
decisione.
-
Potrebbe dirci come salvare Emma dall’oscurità.
– aggiunse Neve.
Regina
ne era convinta. Merlino non era lì, però avrebbe
potuto avere un messaggio per
loro. Avrebbe potuto suggerire una soluzione. Il mago più
potente del reame
doveva sapere come aiutare l’Oscuro.
-
David. – Neve lo guardava con orgoglio. I suoi occhi verdi
cercarono quelli
azzurri del marito. Del suo Principe Azzurro. - Ce l’hai
fatta.
Il
principe sorrise.
-
Sai, non ha proprio una bella cera – osservò la
proiezione oscura di Tremotino.
– E se me lo dico da solo...
Gold
giaceva su alcune rocce, nei sotterranei della casa di Emma, ancora
addormentato. Belle si era presa molta cura di lui, a giudicare dai
pantaloni e
dalla camicia nera, entrambi freschi di bucato.
Emma,
invece, non si prese la briga di rispondergli ed estrasse la spada che
aveva
sottratto a Killian. Non era stato facile come si aspettava. Quando
l’aveva
incontrato sulla Jolly Rogers, Uncino era restio, diffidente. Cambiarsi
d’abito
ed indossare lo stesso del loro primo appuntamento non le aveva fatto
guadagnare molti punti...
-
Che fortuna aver trovato qualcosa che l’abbia toccato...
quand’era ancora un
uomo. – disse Tremotino, sogghignando.
-
Non è fortuna, ma frutto di un duro lavoro. –
precisò Emma.
-
È vero – rispose Tremotino, ma come chi la stesse
soltanto prendendo in giro,
fingendo di ammirarne gli sforzi. – Saresti stata anche
più impassibile se
avessi dovuto frantumare il cuore di Uncino sotto i tuoi...
scomodissimi
stivali a tacco alto.
Emma
fremeva di rabbia, ma non si lasciò distrarre. –
Zitto.
Non
le disse più niente e lei frantumò la spada di
Uncino, spargendone i granelli
neri sul petto di Gold.
Aveva
bisogno del suo eroe. E non di un eroe qualsiasi; aveva bisogno del
più puro di
tutti. L’unico che rispondeva ai requisiti era Gold, ormai
libero dall’entità
che l’aveva corroso e tormentato per trecento anni. Un uomo
da costruire. Una
tela bianca pronta per essere dipinta. Solo che questa volta il colore
predominante non sarebbe stato il nero. Avrebbe prevalso la luce. Non
aveva
scelta, se voleva mettere le mani su Excalibur.
Occorse
ancora qualche minuto, poi Gold sollevò lentamente le
palpebre. Emma non sapeva
se al suo risveglio sarebbe stato confuso, ottenebrato dalla debolezza
o se
fosse stato nel pieno delle forze... ma a giudicare dalla
rapidità con cui la
mise a fuoco e da come si rese subito conto di essere capitato in una
situazione estremamente complicata, Emma non dubitò che
fosse assolutamente
lucido.
-
Cosa... – balbettò, tirandosi su. – Cosa
vuoi da me?
Emma
lo fissò, impassibile. Notando la nuova fragilità
che lo rivestiva. Percependo
la sua paura.
-
Tu sei l’Oscuro, adesso. Non io.
Lei
spostò gli occhi su Tremotino, che sorrideva, soddisfatto e
divertito.
-
È vero – confermò. – Non hai
più l’oscurità in te, ma non hai
nemmeno la luce.
Non sei niente. Il tuo cuore è una tabula rasa. Il che,
piccoletto, fa di te
una risorsa molto utile.
Sedette
accanto a lui. Gold si spostò di scatto. Una volta erano gli
altri ad essere
terrorizzati in sua presenza, mentre ora... lui era spaventato dalla
nuova
Oscura. Non voleva essere toccato da lei.
Emma
stava per aggiungere qualcosa, ma ridivenne di colpo molto seria e si
mise in
ascolto. I suoi occhi scattarono verso l’alto.
-
Oh! Abbiamo visite – osservò Tremotino.
– Devo dire che ha proprio un tempismo
perfetto.
Aveva
percepito la presenza di Lily. Non avrebbe potuto coglierla di
sorpresa,
neanche se avesse impiegato tutte le sue energie.
-
Che succede? Chi c’è? – disse Gold,
seguendo lo sguardo di Emma.
-
Niente di cui tu debba preoccuparti. – osservò
Emma, appoggiandogli una mano
sul petto per spingerlo di nuovo giù. –
Perché adesso... io farò di te l’ultima
cosa che avresti mai pensato di poter essere. Un eroe.
Gold
aggrottò la fronte. I battiti del suo cuore accelerarono.
-
E non un eroe qualunque. Bensì l’eroe
più puro che sia mai esistito. –
precisò
Emma. Il verde dei suoi occhi si era fatto più pressante e
intenso, più
torbido. – Dopodiché... avrò un
lavoretto per te.
Aveva
spostato la sua attenzione su qualcosa che si trovava dietro di lui.
Gold si
girò e l’unica cosa che vide fu una roccia, nella
quale era incastonata una
spada.
Lo
costrinse a tirarsi su. Gold barcollò sulla gamba malandata.
– Ti prego... non
fare questo.
-
Tutta questa paura è inutile. Io ti costringerò a
dimenticarla. Con un piccolo
aiuto, certo. - Con la magia, Emma lo spinse contro le sbarre in fondo
alla
caverna.
-
E Belle? Che cos’hai fatto a Belle? – chiese lui,
mentre le corde si
attorcigliavano intorno ai suoi polsi, immobilizzandolo contro la
prigione.
-
La tua domestica sta bene – disse Emma. – Sta
tranquillo. Non ho avuto bisogno
di farle del male. Ho aspettato che ti lasciasse solo. Mi serve viva.
Può
essere un incentivo.
-
Non usare Belle, ti prego. Lei non c’entra.
-
Per una volta la tua domestica può essere utile in qualche
modo... e tu mi
chiedi di non usarla? – Emma scosse il capo. - Evitiamo i
piagnistei.
-
Non posso essere ciò che vuoi tu. Io non sarò mai
un eroe.
-
Certo che lo sarai. – Emma sfiorò l’elsa
di Excalibur. – Non ho dubbi su
questo.
All’esterno,
Lily si diresse a grandi falcate fino all’ingresso della casa
dell’Oscuro.
Allungò una mano per afferrare la maniglia e ovviamente un
incantesimo di
protezione la respinse, sbalzandola sul prato.
-
Emma... – sibilò.
D’accordo,
avrebbe dovuto aspettarselo.
L’abitazione
sembrava deserta, ma Lily fece comunque un giro completo, sbirciando
dalle
finestre. Le stanze erano in ombra. E vuote. La misteriosa porta era
chiusa.
Sul
retro c’era anche un altro edificio, una vecchia struttura
bianca. Aveva tutta
l’aria di essere un garage o una rimessa di qualche tipo. Si
avvicinò, ma senza
azzardarsi a toccare il pesante chiavistello che serrava i battenti.
Sentiva
la magia vibrarle intorno. Anche quel posto era protetto, non solo la
casa.
E
la magia era strana. Sulle prime, Lily pensò che ci fosse
qualcun altro lì con
lei. Non Emma, ma qualche nuova presenza. Udiva dei ronzii. Dei suoni
simili a
voci, solo che non distingueva le parole. Bisbigli, sussurri, echi che
si
frantumavano.
Scosse
la testa per scacciarle, ma senza successo. Allora piegò il
capo di lato e
rimase in ascolto.
Le
voci sembravano dapprima distanti, poi vicinissime. Si allontanavano un
po’ e
ritornavano minacciosamente. Lily sentì che una goccia di
sudore le colava
dalla fronte sulla guancia. Il palmo della mano stretta a pugno le si
era fatto
madido. La sua carne strisciava. Sì, era una sensazione
tremenda, ma era così. Strisciava.
Pareva muoversi sul corpo.
Si
girò di scatto per andarsene e si ritrovò faccia
a faccia con Emma. Per poco
non le andò addosso.
Le
voci scomparvero.
-
Non dovresti essere qui – le disse Emma. – Credevo
fossi al Granny’s a gustarti
il tuo pranzo. Ho sbagliato qualcosa?
Se
hai sbagliato qualcosa?, Lily
era esterrefatta. Ancora stordita dalla voci che l’avevano
assalita tutte
insieme, batté le palpebre e rifletté, sicura di
aver capito male.
-
Tu... che? – balbettò.
-
So che adori il fast food. O almeno un tempo lo adoravi. Non sei stata
tu a
dirmelo?
Ah,
certo.
-
L’ho detto anche per fare buona impressione. – si
ritrovò a rispondere. – Ma
non capisco che cosa c’entri questo con... il resto. Cosa
stai combinando qui?
Cosa c’è là dentro?
Emma
lanciò un’occhiata all’edificio bianco.
– Cose che mi appartengono. Che mi
servono.
-
Davvero? Ma che bella risposta. Proprio la risposta che mi aspettavo.
Emma
non disse niente.
-
Io credo che tu me ne debba qualcuna, di risposta. Sei stata tu stessa
a dirmi
che non ho fallito, a Camelot.
-
Ed è vero.
-
Bene. Allora perché ne so quanto gli altri?
-
Tu hai qualcosa che gli altri non hanno. La certezza di non aver
fallito. Ed è
molto importante. – Emma la fissava con quegl’occhi
che sembravano dimostrare
almeno cinquecento anni. La faccia era tirata e le labbra rosse
spiccavano come
mele mature e avvelenate. – Lo è per te.
-
Cosa?
-
Oh, suvvia. Io so benissimo quanto sia importante sapere di aver fatto
la cosa
giusta. – ribatté. E, sempre con quella voce calma
che suonava così sicura ed
implacabile, quella voce che le dava un brivido, aggiunse: - Non importa cosa faccio, tanto ogni
decisione che prendo mi sembra giusta, ma è sbagliata. Io
ricordo la
ragazzina che mi disse questo. Ricordo quanto era disperata,
perché non
riusciva a fare niente di buono, per quanto si sforzasse. Ricordo
quella
ragazzina mentre mi supplicava di aiutarla alla fermata
dell’autobus... perché
io rendevo la sua vita più luminosa.
Lily
deglutì a fatica. Aveva la bocca secca, quasi non fosse
rimasta nemmeno una
goccia di saliva. Avrebbe voluto rispondere, ma stentava a trovare una
replica
adeguata.
-
Non posso più renderla luminosa – ammise Emma, con
rammarico. – Ma posso...
rimediare. Posso darti questa certezza. A Camelot tu mi hai aiutata. E
hai
preso la decisione giusta. Se sono come mi vedi adesso, la colpa non
è tua. So
quanto sia importante, questo. Infatti non hai detto nulla a nessuno.
Nemmeno a
tua madre.
-
Non è l’unica cosa importante – disse
Lily, con la voce roca. – Anche i miei
ricordi sono importanti. Di che cosa hai paura, Emma?
-
Io? Perché dovrei avere paura di qualcosa?
-
Perché in caso contrario non lo nasconderesti. Non sei
soltanto furiosa con
tutti. Tu hai cancellato i nostri ricordi perché hai paura
di qualcosa.
-
Lilith... qui non si tratta di paura. Si tratta di...
-
Di cosa? Di ferire le persone che ami? Ci stai riuscendo. Regina
già dubita di
essere in grado di proteggere la città, tuo padre si sente
inutile, persino i
nani ce l’hanno con lui, il tuo adorato pirata gira in tondo
senza trovare
risposte... e tuo figlio non fa che pensare a dove sia finita sua
madre. Non fa
che chiedersi se sua madre sia ancora lì da qualche parte.
Ora
Emma le parve furente. Sollevò una mano e Lily si
sentì soffocare. Si portò una
mano alla gola e rantolò, mentre macchie colorate iniziavano
a lampeggiare lungo
i bordi del suo campo visivo.
-
Io sto cercando di proteggerti! – gridò Emma,
costringendola a piegarsi sulle
ginocchia. Il suo sguardo era acceso di furia. – Ma tu non
riesci a capire...
non hai idea di che cosa sia la verità! Non hai idea di che
cosa io stia
facendo! E quando gli altri ce l’avranno... si renderanno
conto da soli che
sarebbe stato meglio non sapere!
“Non
importa cosa faccio, tanto
ogni decisione che prendo mi sembra giusta, ma è sbagliata.
Io ricordo la
ragazzina che mi disse questo. Ricordo quanto era disperata,
perché non
riusciva a fare niente di buono, per quanto si sforzasse. Ricordo
quella
ragazzina mentre mi supplicava di aiutarla alla fermata
dell’autobus... perché
io rendevo la sua vita più luminosa”.
La
presa sulla sua gola si allentò e Lily annaspò in
cerca d’aria. Appoggiò le
mani sul prato, respirando con affanno.
Poi
i suoi occhi si riempirono di fuoco.
Emma
guardò l’enorme drago spalancare le ali, pronto a
spiccare il volo. Un lieve
sorriso le increspò le labbra. La creatura ruggì,
imbestialita e si precipitò
contro di lei, ma Emma scomparve in una nuvola magica e riapparve in
groppa a
Lily. Il corpo robusto si irrigidì per la sorpresa.
Sguinzagliò la coda, che
urtò il maggiolino giallo. L’auto rimase in bilico
per qualche istante su due
ruote e poi si ribaltò su un fianco.
-
Lily... questo non è divertente. Sai da quanto tempo ho
quella macchina? –
domandò Emma, serrando le gambe sui fianchi del drago e
percependo l’elevata
temperatura della pelle, protetta dalle dure scaglie nere.
Lily non approvò.
Affatto. Lanciò uno strepito
e piegò il collo per guardarla. I suoi grandi occhi avevano
assunto una
colorazione arancione, come il fuoco che sputava. Scosse la sua
possente mole,
sgroppò e si levò sulle zampe posteriori per
scrollarsi Emma di dosso, ma
l’Oscura rimase saldamente ancorata alla sua groppa.
Infine
il drago prese una breve rincorsa e, appoggiando una delle zampe sul
maggiolino, si spinse verso l’alto, aprendo le ali e
spiccando il volo.
Uncino
adocchiò la creatura alata sorvolare i cieli e
notò subito che c’era qualcosa
di strano.
Ben
sapendo che mamma drago si trovava dentro la centrale di polizia con
Regina e
gli altri, capì che quello era il suo cucciolo e che il
cucciolo era anche
molto arrabbiato. Planava verso la città per poi
risollevarsi in volo.
Disegnava ampi cerchi in aria e scuoteva la testa di qua e di
là, come se
qualcosa lo stesse infastidendo. Si avvitò, tracciando
spirali immaginarie e
così lui vide che c’era qualcuno sulla sua groppa.
La figura che cavalcava il
drago vestiva di nero ed era decisamente umana. Precipitò
quando il suo
destriero personale si capovolse, ma disparve grazie alla magia.
-
Emma! – esclamò, esterrefatto.
Regina
uscì dalla centrale, seguita da Malefica e da Neve. Erano
tutti con i nasi
all’insù. Il drago si dirigeva verso i boschi
fuori città.
-
Lily – disse Malefica.
-
Che diavolo sta facendo? – domandò Regina.
-
Non lo so, ma c’è Emma con lei. –
rispose Uncino. - E qualsiasi cosa sia, non è
nulla di buono.
____________________
Angolo
autrice:
Bene,
salve! Grazie per essere arrivati fino a qui anche stavolta.
L’unica
precisazione che devo fare riguarda Knubbin. Come già
spiegato in precedenza,
il mago compare nel libro di Wendy Toliver, Red’s
Untold Tale. L’informazione inerente al fatto che
lui è il creatore del
mantello rosso di Ruby viene dal libro. Prima di aiutare Granny con il
mantello, aveva aiutato anche Anita, la madre di Ruby, citata durante
il suo
dialogo con Emma nelle prigioni. Il ciondolo di cui si parla nel
capitolo è
appartenuto ad Anita ed è poi passato alla stessa Ruby.
Anche queste sono cose
che vengono spiegate nel romanzo.