Anime & Manga > Rocky Joe
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Autore: innominetuo    31/01/2016    10 recensioni
Joe Yabuki ritorna sui suoi passi, dopo un anno di dolore e di rimpianto. La morte di Tooru Rikishi lo ha segnato profondamente. Ma il ring lo sta aspettando ormai da tempo.
E non solo il ring.
…Se le cose fossero andate in un modo un po’ diverso, rispetto alla versione ufficiale?
Storia di pugilato, di amore, di onore: può essere letta e compresa anche se non si conosce il fandom e quindi considerata alla stregua di un'originale.
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Questi personaggi non mi appartengono: dichiaro di aver redatto la seguente long fic nel rispetto dei diritti di autore e della proprietà intellettuale, senza scopo di lucro alcuno, in onore ad Asao Takamori ed a Tetsuya Chiba.
Si dichiara che tutte le immagini quivi presenti sono mero frutto di ricerca su Google e che quindi non debba intendersi il compimento di nessuna violazione del copyright.
Si dichiara, altresì, che qualsivoglia riferimento a nomi/cognomi, fatti e luoghi, laddove corrispondenti a realtà, sono puro frutto del Caso.
LCS innominetuo
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Bianche Ceneri'
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Nikko, in un tardo, pigro pomeriggio…

“Che ne dici… dobbiamo rientrare?” mormorò Yoko rabbrividendo dal piacere, mentre Joe le percorreva la schiena di baci morbidi e leggeri, su su fino alla nuca, dopo averle scostato con delicatezza la lunga chioma di seta.

“Uhmm… Tokyo ti manca così tanto?” brontolò lui, mordicchiandole, piano, il lobo dell’orecchio.

“Sciocco che sei, abbiamo delle responsabilità, mica possiamo dimenticarcelo!” pontificò la giovane, con finto disappunto e mettendosi supina per accoglierlo tra le braccia, dopo avergli scompigliato la chioma, già arruffata di suo.

“Parla per te, Presidente. Io mi limito a boxare.”concluse Joe, zittendola con un lungo bacio.

Yoko lo strinse a sé, ebbra di lui.

Dopo una dolce ora d’amore, rimasero, stanchi e felici, ad ascoltare la speciale melodia della pioggia primaverile che in quel giorno non aveva smesso di tamburellare, fresca e fitta, tutta d’intorno, regalando all’atmosfera un intenso profumo di terra e di alberi.

Era bello starsene, così, per tutto il tempo rimasto al ryokan a fare l’amore. Joe si scioglieva dalle braccia della sua donna giusto il tempo di andare a fare la sua consueta corsetta, una al mattino ed una al tardo pomeriggio. Sentivano il bisogno, fisico e spirituale, di stare costantemente uniti. Non parlavano poi molto, solo l’essenziale, e per lo più scherzavano come se fossero di nuovo bambini: troppe parole non erano necessarie… non in quei momenti, almeno.

Si decisero a fare ritorno a Tokyo solo qualche giorno dopo: la boxe li reclamava, anche se per ruoli ben diversi. Neppure per tutto il tempo del viaggio smisero di sorridersi, con le labbra e con gli occhi: il dono che si erano fatti l’un l’altra in quella breve vacanza li aveva ritemprati profondamente e si sentivano ora pronti ad affrontare tutto ciò che il destino avrebbe loro portato, nel bene e nel male.

Si sentivano forti, una volta di più, dopo aver superato insieme il delicato momento vissuto da Joe per poter salire sul ring contro Ryuhi Kim.

°°°°°°°

Un mezzodì a Tokyo di qualche giorno dopo.


Cercava di non pensarci… ma il suo cervello di vecchio testardo andava a parare sempre lì, alla fin fine.

Hiro Nakamura non si era trattenuto, l’ultima volta, per più di una decina di minuti: ma quello che gli aveva detto, o meglio, ingiunto, gli si era scolpito nella mente e da giorni continuava a ronzargli nelle orecchie come una fastidiosa eco.

“Non voglio che mio figlio ci muoia, su quel maledetto ring. Deve smettere, e subito.”

Tange sorrideva amaramente, tra sé e sé. Magari fosse stato facile, togliere Joe da “quel maledetto ring”, come aveva detto lo yakuza. Pure lui in passato aveva cercato di distogliere il ragazzo dall’ossessione per il pugilato, ma senza riuscirvi. Nessuno sarebbe mai stato in grado di convincere Joe a cambiare vita. Per un momento aveva accarezzato l’idea di chiedere l’aiuto di Yoko: le lacrime femminili a volte riuscivano, ancora come in passato, ad ammorbidire gli uomini più coriacei. Ma Tange accantonò quasi subito quell’intento, dato che Yoko Shiraki non era il tipo di donna che usasse il piagnisteo per raggiungere i suoi obiettivi. E, soprattutto, per il fatto che Joe stesso non era il tipo da farsi soggiogare dai ricatti affettivi.

Da nessuno: Yoko compresa.

“Nakamura non ha ancora capito di che pasta è fatto suo figlio… eppure è sangue del suo sangue!” borbottò tra sé e sé, mentre rassettava la palestra. Aspettava il ritorno a casa del suo ragazzo proprio di lì a poco, ritardi del treno permettendo, dato che Joe gli aveva dato un colpo di telefono giusto la sera precedente. Gli si era allargato il cuore nel sentire la voce di Joe così calma e serena: era quindi vero il potere miracoloso dell’amore!

“Ad ogni modo dovrò parlarci, con quel benedetto figliolo… in fondo Nakamura è suo padre e Joe gli deve portare rispetto: non può continuare ad ignorarlo, non sarebbe giusto! E poi forse sarebbe davvero meglio che pensasse a ritirarsi, ora che ha vinto un bel titolo e gode ancora di ottima salute. Mica mi sono scordato di quei due poveri ragazzi, Tooru e Carlos: il primo è morto, il secondo… chissà che fine avrà fatto. Non voglio neppure io che Joe finisca male, come loro.” sospirò.

Ogni tanto gettava l’occhio sulla grande busta gialla che giaceva sul tavolo, intoccata: il contratto per il prossimo incontro di Joe alle Hawaii contro Pinan Sarawaku aspettava solo la firma sua e di Joe per la chiusura delle trattative. Se Joe avesse vinto anche contro Pinan si sarebbe aggiudicato un altro titolo, quello del Pacifico, e la sua scalata per il titolo mondiale contro José Mendoza avrebbe continuato, inarrestabile. Sarebbe stato incredibile se quel ragazzo di strada, venuto su dal nulla, alla fine ci fosse riuscito a strappare la cintura a Mendoza.

Davide contro Golia?

Chi poteva saperlo.

Finora nessun aspirante campione del mondo era riuscito a buttare giù quello che era considerato da tutto il mondo della boxe come IL pugile per antonomasia: un atleta dalla tecnica perfetta, rifinita e cesellata in ogni particolare. Uno stilista di prim’ordine, dal gioco di gambe elegantissimo ed efficace, dalla difesa elastica e duttile. Incassatore inossidabile ed attaccante spietato. A Mendoza non mancava proprio nulla. Soprattutto, a differenza dei pugili affamati di ring, Mendoza era una persona pacata, equilibrata: un uomo molto bene educato, un po’ d’altri tempi. Mai uno scandalo, uno scoop pruriginoso: le poche fotografie dei rotocalchi lo ritraevano con la sua amata famiglia, a spasso con la bella moglie ed i figlioli, sorridente e tranquillo. E sorridente e tranquillo, infatti, lo era sempre: sul ring, in attesa di cominciare un match; con i giornalisti, dopo aver sconfitto il suo ultimo avversario, per l’ennesima volta. Come avrebbe potuto il suo ragazzo, per quanto bravo e coraggioso, riuscire in una simile impresa? Questo Tange non lo sapeva. Però era consapevole che fin quando nello sguardo di Joe fosse brillata quella sua speciale fiamma, niente e nessuno sarebbe mai riuscito a distoglierlo dal suo obiettivo di incrociare i guantoni con José.

Costi quel che costi. Per se stesso, prima di tutto, ma non solo.

Anche per Carlos.

E, soprattutto, per Tooru.

“Ehi vecchio, cosa fai, così pensieroso? Conti le farfalle?” risuonò nel silenzio della palestra, improvvisa, la voce di Joe, appena apparso sulla soglia, col suo solito sorrisetto beffardo. Tange lo osservò per qualche secondo: provò autentico orgoglio paterno nel vederlo così in forma, con un bel colorito sano. Soprattutto negli occhi del suo ragazzo brillava una luce calda e dolce. Benedisse tra sé e sé Yoko Shiraki, per la felicità che sapeva donare a Joe. Ma questo, ovviamente, non lo disse: anzi, assunse, suo solito, un’aria a dir poco arcigna.

“Eccoti, signorino: ben arrivato. Mentre tu te ne vai a spasso, io qua devo pensare a tutto! Adesso dobbiamo occuparci del tuo prossimo sfidante! O vuoi salire sul ring regalando al tuo avversario mazzolini di fiori di montagna? Porca miseria!” sbraitò, sbatacchiandogli in faccia la busta gialla.

“Oh che gentile, un regalo di bentornato per me?” scherzò Joe, mimando una buffa riverenza.

“Piantala di fare il cretino, eh. Ora in ballo c’è un altro titolo, quello del Pacifico… sì, sì, non farmi quella faccia scocciata, lo so che vuoi direttamente un incontro per il titolo mondiale, ma devi prima scalare la classifica, o Mendoza non lo vedi neppure di striscio! Un passo alla volta!!”

“E chi cavolo sta dicendo nulla? Te la canti e te la suoni da solo, vecchio. Per me va bene tutto… com’è che si chiama questo tizio? Pinan Sarawaku?” borbottò, scartabellando il contratto che aveva estratto dalla busta. “Ma che nome è?”

“Si chiama così perché è hawaiano. Infatti è proprio alle Hawaii che si dovrebbe disputare il match, tra un mese esatto.” gli spiegò Tange, alzando gli occhi al cielo, ma con tono già un po’ più pacato. “Porteresti in palio il tuo titolo in un incontro di dodici riprese. Allora, che ne dici? Accettiamo? Naturalmente saremmo sponsorizzati da Fujita-san di Tele Kappa*, che organizzerebbe tutto, dal viaggio all’albergo ad un budget per le nostre spese personali. E poi, come puoi leggere nel contratto alla pagina 3, il nostro compenso sarebbe eccellente anche in caso di sconfitta.”

“Umpf, figurati se intendo perdere contro questo tizio. Cosa penserebbe di me Mendoza, se mi lasciassi sfuggire il titolo che ho appena conquistato? La sconfitta è fuori discussione.” brontolò Joe, mettendosi a disfare il suo piccolo bagaglio.

“Sì sì, va bene. Piuttosto, non è che mi sei ingrassato nella tua… fuga d’amore?” chiosò Tange, beccandosi, di rimando, un’occhiataccia di Joe. “Con tutta la fatica che abbiamo fatto per farti calare di peso, non vorrei che tu fossi ingrassato di nuovo!”

“Tranquillo, mi sono pesato proprio ieri in una farmacia: sono 71 chili e novecento grammi.”

“Ah, meno male. Ma che fai, esci? Sei appena tornato!”

“Torno subito. Però non ti escludo che oggi pomeriggio io possa ripartire di nuovo. Ma sarò a casa al massimo entro domattina, promesso. Intanto, eccoti qua la mia firma per il contratto e intanto chiama pure la Tele Kappa anche per me, per dire che accettiamo tutto.”

“Cosa intendi fare? Dov’è che te ne vai?”

Joe, già sulla soglia, si voltò verso Danpei.

“C’è prima una cosa che devo fare. Da quasi ventidue anni.” gli sussurrò.

°°°°°°°

Era sempre bello poterlo guardare da vicino.

Ultimamente era cresciuto ancora di qualche centimetro e le spalle gli si erano allargate. Il ragazzo era ormai diventato un giovane uomo molto attraente: i lineamenti suoi e quelli, piuttosto belli, di Kahori si erano riprodotti in lui in un modo assai felice. Nessun pugno avversario, per quanto forte, era ancora stato in grado di deturpare il viso di suo figlio.

“Kei.”

“Non mi chiamo così.” replicò Joe, un po’ secco.

“Te l’ho già detto: il tuo vero nome è Kei, non Joe.”

“Può darsi: ma è un nome che a me non dice nulla e non mi ci riconosco. Piuttosto: posso sedermi?”

“Ovvio: questa è casa tua.”

Joe non volle replicare a questa affermazione di Hiro e si limitò a sedersi su una poltrona. Da diversi giorni ci aveva riflettutto su come e se affrontare Nakamura, ed alla fine si era deciso ad andare direttamente a casa dell’uomo, ricordandosi ancora dell’indirizzo.

“Gradisci qualcosa da bere? Un sakè? Una birra?”

“Con l’alcool devo andarci piano, perché fa ingrassare. Preferirei del tè, se ne hai. Grazie.”

“Già…” Hiro si mise ad armeggiare con un thermos pieno di acqua bollente per preparare due tazze di tè. “Devi sempre fare attenzione con il peso, o ti ritroverai di nuovo nei guai. Sempre che tu non la smetta.”

“Che cosa intendi dire?” nicchiò Joe.

“Hai capito benissimo. Dovresti darci un taglio con il pugilato.”

“Non sono venuto qui per parlare di questo.” dichiarò il ragazzo, sforzandosi di rimanere calmo e di non innervosirsi. “Tempo fa mi accennasti ad una cosa, e vorrei parlarne con te… se non ti dispiace.”

In silenzio, Hiro finì di preparare l’infuso, per poi porgere una tazza a Joe.

“Dimmi.” gli sussurrò, con dolcezza.

Joe prese la tazza con tutte e due le mani ed alzò gli occhi per guardare in viso suo padre, ancora in piedi davanti a lui.

“Parlami di lei.”

°°°°°°

“Mi chiedi di tua madre, Kei?

Perché è così che dovresti chiamarla: mamma. Non ‘lei’.

Ma non è colpa tua. Non hai mai potuto pronunziarla in vita tua, quella parola. Le tue labbra di bambino non hanno sillabato quel nome… del resto, a chi avresti dovuto
indirizzarlo, quel dolce epiteto? A qualche arcigna insegnante dell’orfanotrofio?

Sì, figlio mio: ora ti parlerò di tua madre.

Ti dirò di quanto fosse bella.


E testarda.

Amava il colore blu e detestava mangiare la zuppa di miso.


Studiava con impegno lo shamisen** per diventare una brava geisha, anche se ascoltava di nascosto i dischi di Louis Armstrong.

Per renderla davvero felice, bastava regalarle un cucciolo: un giorno le portai un coniglietto nano, tutto bianco con una macchia nera su un occhio e lei se lo strinse subito al petto, infilandoselo nello scollo del kimono ‘per tenerlo al caldo’.


Questa era Kahori Abe, tua madre.

E non c’era nulla che non avrebbe fatto per te, per il suo Kei-chan…

Persino ora, che riposa a Niigata, farebbe qualsiasi cosa. Solo per te.”


°°°°°°

Joe aveva ascoltato, in silenzio, il lungo racconto di Nakamura.

Come questi avesse conosciuto sua madre, i loro giorni più felici. I litigi e le riappacificazioni. Lo sconcerto di Kahori, appena diciottenne ed ancora solo una maiko, nello scoprirsi incinta e nel doverglielo rivelare. La gioia che le irradiò il viso quando si attaccò al seno il loro bambino per la prima volta. L’ira della giovane quando conobbe la verità sulla sua …”professione”. La fuga assurda di Kahori da Kyoto, insieme al piccolo. E, soprattutto, la disperazione di un uomo che nel giro di poche ore si era visto cadere a pezzi il proprio mondo, perdendo tutto: Kahori morta, il figlioletto di pochi mesi sparito chissà dove. Per più di vent’anni, però, Nakamura non aveva voluto arrendersi, cercando il suo Kei per tutto il Giappone. Poi un giorno aveva posato, per puro caso, lo sguardo sull’articolo di un quotidiano sportivo che parlava di una nuova promessa della boxe giapponese.

“Il resto lo sai.” concluse.

Joe teneva ancora tra le dita il biglietto di addio di Kahori, dai caratteri mezzi cancellati dal tempo e da antiche lacrime, che Hiro gli aveva dato da leggere, perché aveva voluto essere assolutamente sincero con lui, senza omettere nulla del suo doloroso passato.

“Com’era… fisicamente, intendo.” Joe non aveva quasi finito la frase, che si ritrovò tra le mani, oltre al biglietto, anche una piccola fotografia in bianco e nero. Ammirò il ritratto, a mezzo busto, di una giovane donna incantevole, dal puro viso ovale e dallo sguardo profondo. “Era bellissima.” mormorò. Fino a pochi secondi prima non sapeva neppure che aspetto avesse avuto, sua madre. L’unica cosa che riusciva a ricordare era il suo profumo: lo stesso dei capelli di Yoko. “Portami a Niigata.” disse poi, asciutto.

Hiro annuì, andando a prendere da uno scrittoio le chiavi della sua Porsche.

°°°°°

Quando arrivarono al cimitero di Niigata erano quasi le sei di sera, avendo trovato l’autostrada parecchio trafficata.

Per tutto il viaggio, padre e figlio parlarono assai poco, facendo cadere spesso la conversazione. Soprattutto quando Hiro provò di nuovo a toccare l’argomento “boxe”, si ritrovò, suo malgrado, a fare un monologo, dato che Joe si era chiuso in un cupo silenzio, ostinandosi a guardare fuori dal finestrino.

Kahori riposava in un piccolo cimitero sulla collina, da cui si stendeva un bellissimo paesaggio. Dal mare giungevano profumi freschi e salmastri, mentre la luce del sole stava lentamente morendo, per affidare la città al vespro.

“Eccola.”

Lo yakuza si fermò davanti ad una lapide candida, ove erano incisi due nomi: quello di Kahori Abe e quello di Hiro Nakamura, quest’ultimo in rosso, dato che Hiro si considerava, a tutti gli effetti, il suo sposo***.

Joe gli fece notare i fiori freschi, un mazzo di lillà, legati con un fiocco rosso e disposti in un vasetto.

Suo padre gli spiegò: “Da più di vent’anni pago il custode del cimitero perché tenga pulita la sua lapide e vi deponga ogni settimana un mazzo di fiori. Soprattutto di lillà, quando sono di stagione: erano i suoi fiori preferiti.” Chinandosi leggermente, estrasse dal pastrano una bottiglietta d’acqua, per versarla sulla lapide. Porse al figlio un accendino, per fargli accendere i bastoncini di incenso che aveva comprato poco prima, all’ingresso del cimitero.

Con le mani che gli tremavano leggermente, Joe bruciò l’estremità dei bastoncini, per poi posarli con delicatezza nell’apposita conchetta, posta alla base della piccola lapide.

E, per la prima volta in vita sua, si concesse il lusso di provare pena per se stesso.

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Spigolature dell’Autrice:


*v. capitolo XVII “Blu come il mare”

**Lo Shamisen (三味線) è uno strumento musicale giapponese a tre corde, della famiglia dei liuti, utilizzato per l'accompagnamento durante le rappresentazioni del teatro Kabuki. Deriva dal san xian cinese e cominciò a diffondersi in Giappone nel periodo Muromachi (tra il XV ed il XVI secolo d.C.).

(fonte: Wikipedia)

Ecco qui, a tal proposito, una bella immagine d’epoca:

geisha-con-shamisen
(This image is from a google search, no copyright infringement intended)

***La tipica tomba giapponese consiste, nella maggior parte dei casi, in una tomba di famiglia (come spesso succede pure da noi: mia suocera riposa, infatti, in una tomba di famiglia). Consiste in una lapide di pietra molto semplice e sobria, con un posto per i fiori, uno per l'incenso, ed uno per l’acqua, con una piccola cripta sottostante per le ceneri (in Giappone si usa la cremazione). Il nome del defunto è spesso inciso sulla parte frontale della tomba. Quando una persona sposata muore prima del suo coniuge, il nome del coniuge viene talvolta inciso anch’esso sulla pietra, ma con le lettere dipinte di rosso. Dopo la morte e la sepoltura pure del coniuge, l’inchiostro rosso viene rimosso dalla pietra.

(fonte: http://www.marcotogni.it/funerale-giappone/)

Sono felice di mostrarvi la bellissima fanart che mi ha regalato DivergenteTrasversale

Joe-fatto-da-Monica

C’è amore in questo ritratto di Joe e si vede! Grazie, amica mia carissima!
 
§§§§§§


Sì, lo so: vi avevo promesso le Hawaii, per questo capitolo. Ma le Muse e le esigenze narrative hanno i loro dettami, cui mi sottometto volentieri. Vi prego di scusarmi e… aloha, ci vediamo al prossimo capitolo!
  
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