Capitolo
2: Tutto quel che è in un abbraccio.
Nda: Byron è tornato con le
sembianze originali
Una
volta varcata la porta di casa Four lo aggredì:
“Ma si può sapere dove sei stato? E’
tutto il giorno che ti aspettiamo!
Accidenti, eravamo preoccupati !
…O meglio,
quei due lì” disse indicando con un cenno Three e
il padre “erano
preoccupati. A me se ci sei o non ci sei non fa né caldo
nè freddo.” chiarì,
come a voler rimarcare la distanza che lo separava dal
fratello.
Five lo
scansò, oltrepassandolo, per poi dirigersi verso la propria
camera.
Una volta
lì si lasciò cadere sul letto, esausto,
sprofondando in un sonno
senza sogni.
“Cioè,
mi ha ignorato? Mi ha ignorato! Appena esce di lì giuro che
lo faccio
pentire di avermi trattato così !”
esclamò Four, ancora arrabbiato per il
trattamento ricevuto dal fratello maggiore.
“Thomas,
è ovvio che sia sconvolto. Tu come ti sentiresti se ti fosse
appena
morto il tuo migliore amico ?”replicò calmo Byron
guardandolo in tralice
“…Che
cosa ??”
“E’
così. Ed è assolutamente naturale che tuo
fratello sia distrutto. Me l’ ha
comunicato ieri mattina Faker.” spiegò piatto
l’ uomo, lasciando Four per la
prima volta nella sua vita, senza parole.
“Accidenti,
perché nessuno mi ha detto nulla ? Gli avrei potuto dire
qualcosa !
Ora capisco perché aveva quello sguardo stravolto
quand’è uscito…”
esclamò il
diciassettenne gettando occhiatacce infuocate al padre.
“Perché
quando qualcuno soffre si tende, anche solo involontariamente, a
lasciare sola quella persona.
Il dolore è
qualcosa che va superato individualmente e, per quanto tu possa
dare conforto, non basterà mai a colmare il vuoto che si
crea nel cuore, come
una voragine o un buco nero, che inghiotte tutto.
Se ci pensi bene
è molto più facile dire “Il mio dente
fa male” che dire “Il
mio cuore è spezzato”. Eppure negare non
può essere una soluzione, sebbene
quando si soffre si faccia di tutto pur di non farlo pesare agli
altri.”
E
Byron sapeva fin troppo bene quello che stava dicendo.
Senza
saperlo, stava ripetendo quello che gli aveva detto suo fratello, molti
anni prima, quando si era ritrovato con tre figli da crescere e un
senso di
abbandono crescente nel petto.
La lucida spiegazione
del padre lasciò Four di nuovo senza parole: il
diciassettenne, scioccato e confuso, biascicò un veloce
“a dopo” per andarsi a
chiudere nella propria stanza, col rumore di quelle parole che gli
rimbalzavano
nel cervello come un'eco impazzita.
Passarono tre giorni e
la situazione non migliorò affatto.
Il ventenne si
presentava solo ai pasti, senza dire una parola.
Mangiava e
sparecchiava, per poi andarsi a rinchiudere nella propria stanza a
pensare a chissà cosa.
Era diventato un
fantasma, una muta presenza, un estraneo persino per la
propria famiglia.
Three, una volta
trascorsi cinque giorni, iniziò a preoccuparsi
seriamente.
Five non era mai stato
molto loquace ma adesso era diventato talmente
silenzioso da essere inquietante.
I tre decisero di fare
una riunione per cercare di trovare una soluzione.
“Non
possiamo andare avanti così! Sono cinque giorni che Five ci
ignora!
Dobbiamo fare qualcosa !” sbottò Three, che non
riusciva proprio a tollerare
quella situazione innaturalmente tesa.
“Beh, se ti
vengono in mente idee brillanti proponi pure, signor
“Dobbiamo fare
qualcosa”! Io credo che andrò a farmi un
panino.” disse Four alzandosi dal
divano e dirigendosi verso la cucina.
“Non
pensarci proprio !” lo riprese il padre “Tu rimani
qua e insieme cerchiamo
una soluzione.”
“Insieme?
Scusa, mi vuoi spiegare da quando in qua in questo
“noi” saresti
incluso anche tu?”
“Five
è anche mio figlio, potrò nutrire almeno un
briciolo di preoccupazione
nei suoi confronti?”
“Se
permetti, Christopher Arclight era tuo figlio, dopo quello che gli hai
fatto dubito che lui ti consideri ancora come parente o parte
integrante di
questa... “famiglia”, se così si
può chiamare.” replicò Four guardandolo
con
aria di sufficienza.
"Esattamente
come me e Three... A volte fatico a credere davvero che lui ci
consideri effettivamente parte di uno stesso nucleo.”
pensò amaramente il
Puppet Master ripensandoci.
“Non lo
saprò mai se continuo ad ignorarlo, esattamente come fai tu,
che lo
fuggi come la peste.”
“Non sono
stato io ad evitarlo, è lui che mi ha scansato.”
Disse a mo’ di
scusante.
“Già,
ma siamo stato tu a permetterglielo.” intervenne
Byron.
“L’ho
già perso una volta, non posso permettermi di perderlo di
nuovo.” pensò
dirigendosi verso la camera del figlio maggiore.
Una volta davanti alla
porta di mogano esitò un istante, vedendola accostata.
Sapeva che se essa era aperta si poteva entrare liberamente, mentre
quando era
chiusa stava a significare che era meglio non disturbare.
Aspettò un secondo
per poi bussare delicatamente.
Un leggero
“Toc toc” ruppe l’opprimente silenzio che
regnava nella camera di
Five, spezzando l’atmosfera gelida. Il ventenne, seduto sul
bordo del letto e
lo sguardo perso nel vuoto, voltò appena la testa per poi
mormorare “Avanti.”
“Ti posso
parlare ?” esordì Byron entrando.
“Va
bene.” L’uomo si sedette accanto al figlio, un
po’ distante
“Come stai
?”
“Non faresti
prima a chiedermi come non sto? Non felice, e questo dovresti
poterlo intuire da te.” pensò con amara
ironia
“Bene.”
“Chris, non
mi mentire. Te lo leggo negli occhi che non è
così.”
“Quando la
smetterai di chiamarmi con quel nome? Lo sai anche tu che quella
persona che era Christopher Arclight è morta e non potrai
riportarla
indietro.”rispose, irritato dal suono di quel nome che gli
riportava alla mente
troppi ricordi sgradevoli
“Non mi
importa poi molto. Che tu ti faccia chiamare Five o Christopher
Arclight non cambia nulla. Non è il nome a determinare chi
siamo, sono le
nostre azioni e le nostre scelte.”
“Ah, non
sapevo che per te questo discorso non valesse. Non puoi ripresentarti
qui dopo cinque anni e pretendere di fingere che non sia cambiato
nulla, pur di
recuperare uno straccio di rapporto con noi.
Le persone cambiano,
il tempo passa.” disse Five con un tono tagliente come il
ghiaccio dell’ artico.
Non era mai riuscito a
perdonare del tutto al padre quei cinque, lunghi anni di
assenza e, sebbene il padre cercasse di riavvicinarsi, da lui non
avrebbe
ricevuto altro che fredda indifferenza.
Serviva ben altro che
delle belle parole a farlo sciogliere.
“Sarà
come dici tu, ma mi sembra che il tuo rapporto con Kite non sia
cambiato,
a giudicare da come hai reagito.” “Non nominarlo.
Tu non hai neppure il diritto
di pronunciare il suo nome, soprattutto dopo quello che mi hai ordinato
di fare
ad Hart.” replicò il ventenne trattenendo a stento
uno scatto d’ ira.
“Io…”
“Vorresti non averlo mai fatto, vero? Eppure l’hai
fatto, e io ti ho
obbedito, come un bravo soldatino.
Neppure le tue belle
parole adesso serviranno a qualcosa.
Le tracce
restano.” disse Five senza nascondere il pungente sarcasmo
nelle sue
parole.
Poi si alzò
e si diresse verso la finestra.
Oltre le finestre la
neve aveva cessato di cadere e un forte vento faceva
ondeggiare i rami spogli degli alberi, tesi come braccia scheletriche a
ghermire l’aria, mentre la flebile luce che riusciva a
perforare le spesse nubi
grigie trafiggeva i vetri resi opachi dal calore che aleggiava nella
stanza.
Sospirò
pesantemente per poi mormorare a bassa voce: “Ti prego, non
lo
nominare. Tu non hai idea di quanto mi sia costato dirgli
addio.”
Byron rimase per un
attimo scioccato dalla risposta del figlio. “Ti
prego”
erano due parole che Five usava molto raramente, ed era la prima volta
che
ammetteva apertamente quanto gli mancasse l’ amico.
L’ uomo si
alzò e gli si avvicinò, fino quasi a toccarlo per
poi carezzargli
affettuosamente i lunghi capelli argentei.
“Posso fare
qualcosa per te ?” gli domandò dolcemente
“No, a meno
che tu non possa cambiare il passato, ma non credo che tu
possa.”
replicò il ventenne chiudendo gli occhi, mentre la rabbia e
il rancore che gli
avvelenavano il sangue scemavano.
“Neppure
potendo vorrei farlo.
Il passato costituisce
ciò che siamo, nel bene e nel mare e cambiare ciò
che è
stato equivarrebbe a distruggere una parte di noi stessi. Converrebbe
davvero
farlo?”
“Cambiare il
passato forse cambierebbe ciò che è
stato.”
“Lo so, non
è bello e non è giusto ciò che ho
fatto, e se ancora adesso pago lo
scotto delle mie azioni vuol dire solo che è giusto
così.” disse.
Five
sollevò appena la testa per andare ad incrociare gli occhi
verde chiaro
del padre e vi lesse solo un disperato bisogno di amore, al di
là del prezzo da
pagare pur di ottenerlo.
No, non sarebbe
bastato chiudergli una porta in faccia per lasciarlo fuori
dalla sua vita.
Lui sarebbe rimasto
lì, con quella sua dolce insistenza.
Byron prese un respiro
profondo per poi avvicinarsi al figlio e attirarlo a sé
cingendogli le spalle.
Gli passò
una mano tra i morbidi capelli e ne respirò il profumo,
trattenendolo
più che poteva, come se fosse un prezioso incenso
d’Oriente. Dopo qualche
istante percepì che l’ altro si irrigidiva e
allentò la stretta, affinchè
potesse andarsene, se voleva.
Non se ne
andò.
Five rimase
lì, fermo, lasciandosi stringere dolcemente, ripensando
all’ultima
volta che suo padre l’aveva stretto così.
Quando erano ancora
una famiglia.
Sebbene quei tempi
sembrassero talmente lontani da appartenere a un’altra vita
improvvisamente gli sembrava che fosse possibile ricominciare. Certo i
rimpianti e i rimorsi sarebbero rimasti, ma sentiva prepotente il
bisogno di
tornare a vivere.
Era arrivato a un
bivio, e da lì in poi si poteva solo andare.
Ci pensò
per un istante, poi finalmente trovò nel profondo di
sé il coraggio
per ricambiare l’abbraccio e azzerare la distanza tra di
loro, mentre il muro
che si era costruito nel cuore per proteggere quella parte di
sé che ancora
sperava, pian piano si sgretolava, mattone dopo mattone, lasciando
libero sfogo
al dolore che aveva trattenuto per troppo tempo.
Appoggiò il
capo sulla spalla del padre e chiuse gli occhi, lasciandosi cullare
dalla tenerezza di quel discorso così silenzioso eppure
così eloquente.
Si strinse un poco di
più, mentre il calore di quel contatto così
intimo lo
avvolgeva e lo faceva sentire al sicuro, come se tutto il resto non
fosse mai
successo, come se fosse stato solo un brutto sogno, una
realtà sospesa e
illusoria.
I loro due battiti si
fusero in uno solo per un istante e i respiri risuonarono
uno nell’altro, mentre ognuno trovava in
quell’abbraccio caldo e sincero la certezza di
essere amato.
*Epifania:
Manifestazione della divinità, illuminazione.